Occorre osservare con una certa obiettività i cambiamenti che stanno avvenendo nel contesto geopolitico europeo a seguito dell’insediamento di Donald Trump, per comprendere la ridefinizione delle geometrie di potere.
Una storia lunga parecchi decenni
L’imperialismo americano ha avuto uno sviluppo non lineare nei confronti dell’Europa. Per far parte dell’impero americano, ovviamente come sudditi, fino alla fine degli anni ’90 era conveniente e presentava molti vantaggi. Chi accettava le condizioni si ritrovava a sedere al tavolo dei “più forti”, con una convenienza commerciale evidente, data dalla supremazia monetaria del dollaro, ma anche dal mantenimento della deterrenza nucleare classica. Essere amici degli americani era di buon auspicio.
In Europa, questa condizione era, volenti o nolenti, una conseguenza del Piano Marshall con cui gli USA avevano comprato i governi uno ad uno, sia quelli vinti che quelli meno vinti duranti la Seconda Guerra Mondiale. Politicamente, lo spauracchio del comunismo “ad est” bastava come scusa per giustificare sia le politiche preventive, sia l’espansione graduale della NATO, sia una serie di scelte commerciali. Il mostro comunista doveva essere tenuto a bada. L’occupazione era fattualmente un equilibrio di convenienza, non soltanto una questione militare.
Il Piano Marshall, ufficialmente chiamato European Recovery Program (ERP), è stato un piano di aiuti economici lanciato dagli Stati Uniti nel 1947 per favorire la ricostruzione e la stabilizzazione dell’Europa devastata dalla WW2. Venne ideato dal Segretario di Stato statunitense George Marshall con l’obiettivo principale di prevenire il collasso economico dei Paesi europei e contrastare la tanto avversa espansione del comunismo, che stava guadagnando terreno soprattutto in luoghi come l’Italia e la Francia.
Il piano consisteva in un vasto programma di aiuti finanziari, che includeva prestiti e donazioni, destinato a 16 Stati. Questi aiuti economici avevano lo scopo di rimettere in moto le economie attraverso la ricostruzione delle infrastrutture, la modernizzazione delle industrie, e il rafforzamento delle monete locali. Gli Stati Uniti fornivano circa 13 miliardi di dollari, un importo enorme per l’epoca, che corrisponde a una cifra molto più alta in termini attuali se considerato in termini di inflazione.
Uno degli effetti del piano fu la costruzione della Comunità Economica Europea (CEE) – oltre al consolidamento dei legami tra gli Stati Uniti e le nazioni europee – creando un sistema di alleanze che avrebbe poi dato vita alla NATO nel 1949.
La CEE fu indispensabile per decretare la supremazia del dollaro sulle altre valute nazionali d’Europa: organizzazione internazionale fondata nel 1957 con il trattato di Roma da Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, aveva come obiettivo principale la creazione di un mercato comune europeo, che consentisse la libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali tra i membri, favorendo l’integrazione economica e la crescita della regione. La CEE si inseriva nel contesto della Guerra Fredda e mirava a contrastare l’influenza dell’Unione Sovietica in Europa, creando un’area di prosperità e stabilità. Uno degli aspetti chiave della CEE era l’eliminazione delle tariffe doganali tra i paesi membri e l’introduzione di una politica commerciale comune con il resto del mondo, che permetteva di negoziare come blocco unico… ovviamente in dollari!
Il trattato di Roma stabiliva anche la creazione di istituzioni comuni, come la Commissione Europea, il Consiglio dei Ministri e il Parlamento Europeo, che avevano il compito di prendere decisioni su questioni economiche e politiche. La CEE favorì la cooperazione tra i suoi membri anche su altre questioni, come le politiche agricole, industriali e di trasporti, contribuendo a rafforzare i legami tra i paesi europei. Nel corso dei decenni successivi, la CEE si allargò ad altri paesi, e nel 1993 divenne l’Unione Europea (UE) con il trattato di Maastricht. Con l’integrazione di nuove politiche, come la moneta unica e l’allargamento territoriale, la CEE ha evoluto il suo ruolo, ma le sue origini come mercato comune restano fondamentali per la costruzione dell’Europa moderna. Il dollaro aveva un ruolo significativo, soprattutto negli anni iniziali della sua esistenza, quando l’economia mondiale era ancora molto influenzata dal sistema di Bretton Woods (1944-1971), che stabiliva il dollaro come valuta di riferimento per gli scambi internazionali.
Durante questo periodo, il dollaro era legato all’oro e veniva utilizzato come valuta di riserva mondiale. La CEE faceva affidamento sul dollaro per le transazioni internazionali e per la gestione delle proprie riserve valutarie. L’integrazione economica non riguardava solo l’eliminazione delle barriere commerciali tra i membri, ma anche una politica comune esterna in cui il dollaro rappresentava la principale valuta di scambio.
Questo processo ha caratterizzato l’Europa per più di mezzo secolo, un periodo molto lungo, durante il quale le masse sono state educate alla sudditanza. Si è trattato di un processo di garanzia per la sfera UK-USA, processo senza il quale non sarebbe stato possibile mantenere il potere. Le attuali classi dirigenti della politica europea sono anagraficamente nate già sotto l’occupazione americana, ecco perché è così facile e spontaneo, per loro, lasciarsi governare come sudditi.
È in atto un cambiamento significativo
Agli ultimi sospiri dell’imperialismo a stelle e strisce, guardiamo con attenzione cosa sta avvenendo.
L’impero – o ciò che ne rimane – sta imponendo ai vassalli le spese di occupazione: l’Europa deve pagare i debiti americani, deve combattere le guerre al posto suo, deve fare da fabbrica, deve sacrificare uomini e donne, deve, soprattutto, obbedire senza lamentarsi.
È qui che si apre la fase finale del ciclo di colonizzazione/occupazione: terribile, distruttiva, sanguinolenta.
Non ci si deve confondere: il sangue versato non è per forza solo quello dei giovani mandati a morire al fronte in una prossima guerra continentale, è anche quello che già scorre delle migliaia e migliaia di imprese che chiudono, di posti di lavoro tagliati, di povertà che aumenta in tutti gli Stati europei. Ogni vita che viene denigrata, offesa, stroncata da questa infamia è sangue versato.
E tutto ciò viene fatto allegramente passare sotto il modo Make the Europe Great Again.
Basta davvero poco per convincere il cittadino europeo medio che il suo carnefice si è magicamente trasformato nel suo migliore amico. Fino all’altro ieri, gli USA era parte del problema; oggi, sembrano essere la soluzione. Il fatto reale è che non è cambiato niente. Gli USA sono ancora gli usa, l’Europa in stato di occupazione e di sottomissione è ancora la stessa. Nessun presidente – bianco, nero o col ciuffo biondo – ha disdetto gli accordi e restituito all’Europa la sua libertà e dignità. Nessuno lo ha nemmeno mai accennato.
Anzi, il contrario: sin dalla campagna elettorale, l’attuale presidente ha ribadito che per fare di nuovo grande l’America (=l’impero americano) era pronto a chiedere il conto alle colonie. Non vi è niente di più psicopatologico di amare il proprio carnefice come se fosse un innamorato salvatore.
Bastano, ripeto, pochi granelli di zucchero per convincere il cittadino europeo: uno slogan accattivante che incita al ritorno glorioso dell’Europa, ma sotto le dipendenze USA; un paio di notizie eccitanti, come la chiusura di USAID o la cancellazione dei molteplici generi sessuali dagli elenchi delle anagrafi; un paio di coccole ai leader, giusto per far sembrare che vengano elogiati.
Ma è tutta demagogia, come lo è sempre stato. E come, purtroppo, continuamente ci sono cascati sia i potenti che le persone semplici.
USAID veramente fuori dai giochi?
Parliamo dello USAID, notizia recente di grande peso.
Lo scioglimento è una cosa senza dubbio positiva, perché si è trattato di uno strumento delle intelligence per suscitare rivoluzioni colorate, riciclare denaro e corrompere istituzioni. Uno strumento di basso profilo per un lavoro certosino di soft power. Pare che non si voglia sciogliere del tutto, bensì integrare nel Dipartimento di Stato – altro grande organismo delle influenze politiche statunitensi. C’è un protocollo standard per affrontare la questione, in cui le organizzazioni di intelligence costruiscono la stessa cosa attraverso il settore privato o affermano che viene tagliata quando in realtà la stanno solo fondendo con un’altra parte del governo, come il Dipartimento di Stato. Quello che stiamo vedendo ora è un mix di entrambe le cose.
Di pari passo, abbiamo però una variazione di questi strumenti. L’infowarfare è più comodo e facile di spendere milioni e milioni di dollari per una struttura internazionale complessa e corrotta. Meglio usare i social network, dove bastano poche persone, mentre gli altri “agenti” sono gli utenti ignari di far parte di un grande gioco.
X “The Everything App” di Elon Musk, Palantir di Peter Thiel, compresa la Fondazione Palantir per la politica di difesa e gli affari internazionali, e OpenGov di Joe Lonsdale si stanno preparando per essere la prossima generazione di statisti. X sta riuscendo nel suo obiettivo di sostituire i media con il suo approccio da “citizen journalist”, sotto la scusa della “libertà di parola”. Una importante rivoluzione tecnocratica del sistema comunicativo. Ce ne renderemo conto solo fra qualche anno. Per di più, X può coprire la gestione di denaro che andava a USAID. Dunque, potenzialmente, non vi è differenza sostanziale, è solo una questione di forma.
Palantir, OpenGov e X gestiranno l’analisi dei dati e li utilizzeranno per elaborare metodi di statecraft e politica estera precedentemente impensabili per le organizzazioni di intelligence.
Quali geometrie?
Basta davvero poco.
Le nuove geometrie sono ancora nella zona grigia e, purtroppo, ci rimarranno a lungo, perché la zona grigia è il dominio ibrido in cui si operano le guerre ibride come questa guerra mondiale.
È verosimile che non ci saranno definizioni chiare e decisioni coincise. La confusione è uno spazio gestionale più confortevole per le strutture di potere.
Pensate ad un Mark Rubio che parla di multipolarismo: 9 spettatori su 10 del mondo europeo ed asiatico si sono emozionati fino all’infarto. Un americano che parla di multipolarismo, wow! Salvezza! Peccato che di multipolarismo ne parlino da anni anche le Nazioni Unite, l’Unione Europa, per esempio, e non con la stessa accezione che gli viene attribuita dai teorici del vero multipolarismo. È chiaro che ci voglia del tempo e che stiamo trattando di relazioni delicate, siamo d’accordo: ma è altrettanto vero che l’appropriazione di registri semantici è una strategia di attacco politico antica come la Retorica di Seneca nel foro dell’antica Roma.
L’Europa è troppo preziosa per gli USA, perché è la fonte a cui succhiare energie e risorse. Percependo il distacco della presa imperialista, gli USA stanno riorganizzando la propria egemonia. L’influenza non è più la stessa di prima sia a livello quantitativo che a livello qualitativo, pertanto occorre cambiare modalità, e questo è ciò che sta avvenendo.
Trump non ha mai parlato di liberare l’Europa o, meglio ancora, di lasciarla libera. Ha detto, anzi Elon Musk ha detto, di farla di nuovo grande. Ma non spetta a loro – né oggi né mai – dirci come.