Italiano
Stefano Vernole
January 30, 2025
© Photo: Public domain

Perché l’Italia ha interrotto le relazioni amichevoli con la Russia costruite nei decenni precedenti e si è ritrovata completamente sotto il dominio di Washington?

Segue nostro Telegram.

Nel corso della recente conferenza stampa di fine anno, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato che “i russi nutrono una simpatia sincera per il popolo italiano, amano la grandissima ricchezza culturale dell’Italia, ne apprezzano l’arte e l’eccellenza creativa. E gli italiani sono, nella maggior parte dei casi, persone cordiali e di buon senso. Abbiamo molto in comune, come ad esempio l’aspirazione alla bellezza e alla giustizia, il riguardo nei confronti dei legami familiari, così come il genuino interesse che proviamo gli uni per gli altri. Allo stesso tempo, però, non si può certo fare affidamento su categorie astratte quali la simpatia e l’antipatia quando si parla di relazioni interstatali. Nel definire la nostra politica nei confronti dell’Italia, a guidarci sono gli interessi nazionali fondamentali e il principio della reciprocità. Purtroppo però, i rapporti tra la Russia e l’Italia stanno attraversando la crisi più profonda mai vista sin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e la responsabilità di tutto ciò è da attribuirsi, senza dubbio, ai vertici di Roma. Perché è per volere delle autorità italiane che sono stati congelati tutti i meccanismi di cooperazione istituzionale, e che si è giunti al collasso dei rapporti bilaterali. In buona sostanza, è andato perduto un bagaglio che avevamo accumulato nel corso di diversi decenni”.

E’ ora superfluo rivangare tali rapporti e piangere sul latte versato; sottolineiamo solo che con la costruzione del South Stream (poi abortito su ordine USA) l’Italia si sarebbe trasformata nell’hub europeo del gas naturale e avrebbe risolto i suoi problemi di sicurezza energetica.

Solo pochi giorni fa, il Presidente della Confindustria italiana, Emanuele Orsini, ha affermato che: “Serve fare presto non è possibile pagare il 43% in più di energia in un anno, vuol dire perdere competitività, occorre costruire un percorso di salvaguardia delle imprese, perché l’energia vuol dire salvaguardia dell’industria e del sistema Paese”.

Ricordiamo che l’Italia arriva da 21 mesi consecutivi di calo della produzione industriale con una crescita del PIL nel 2024 pari allo 0,5% (crescita zero se prendiamo in esame il solo Nord Italia che è l’area manifatturiera trainante da sempre il Paese), un dato che è circa la metà di quello previsto dalle autorità politiche e che non ha ancora finito di “scontare” gli effetti lunghi della recessione economica tedesca.

Tuttavia, il Governo Meloni non si è scomposto – forte dell’appoggio dei media mainstream finanziati direttamente con i fondi dell’editoria pubblica o da proprietà legate a filo doppio con l’establishment statunitense – e ha dirottato le sue energie verso una partnership strategica con l’Arabia Saudita che prevede un accordo bilaterale di 10 miliardi di euro con almeno 20 aziende coinvolte: da Leonardo a Pirelli, da Elettronica a Fincantieri, sino a Gewiss, più Cassa Depositi e Prestiti che ha firmato un piano finanziario con il Fondo sovrano saudita, in base al quale il colosso locale Acwa svilupperà insieme ad alcune imprese italiane progetti in Africa, sotto la cornice del Piano Mattei.

Perché quindi l’Italia continua ad allontanarsi dalla Russia (“Stiamo con l’Ucraina e non con i criminali di guerra” aveva dichiarato pochi giorni fa il Ministro della Difesa di Roma, Guido Crosetto, con una chiara allusione allo stesso Putin) e a stringere invece legami con Paesi che certamente non sono mai stati portati ad esempio nella tutela dei diritti umani e/o religiosi?

La risposta è molto semplice. Fin dal suo insediamento, il Governo Meloni ha puntato tutte le sue carte di sopravvivenza sull’allineamento totale rispetto alle istanze provenienti da Washington, sia durante l’Amministrazione Biden sia ora con Trump.

E i piani statunitensi per l’Italia sono estremamente chiari e non cambieranno radicalmente, tuttalpiù costringeranno l’attuale Governo di Roma ad aumentare le proprie critiche nei confronti della Commissione Europea per sviluppare maggiormente i rapporti tra Paese e Paese senza passare da Bruxelles.

Al vertice del G20 nel 2023, i leader mondiali hanno rivelato l’intento di creare una rete ferroviaria che attraversa la regione mediorientale, collegando i porti; il progetto è noto con l’acronimo “Imec” (Corridoio Economico India-Medio Oriente). Questo ponte commerciale terrestre/marittimo mira infatti a connettere le economie di Europa e India e, per estensione, Asean, Giappone, Corea del Sud, Australia e Taiwan. L’India e l’Italia, sono strategicamente posizionati per diventare teste di ponte e motori dell’Imec, rivitalizzando il commercio e le attività economiche tra Asia ed Europa e sulla base di questo programma costruire nuove relazioni indirizzate anche al Sud globale (area su cui Roma e New Delhi puntano parte della partnership strategica e l’Amministrazione Trump, sciogliendo i vincoli ambientali maldigeriti dai Paesi in via di sviluppo, cerca di recuperare ai danni dei BRICS).

Inoltre, la geopolitica ferroviaria, nota come “Railway Diplomacy”, acquisisce consistenza grazie ai collegamenti ferroviari appoggiati da Arabia Saudita e Israele, e dà un motivo in più al processo di normalizzazione “americana” in corso in Medio Oriente. Contemporaneamente, l’Imec può offrire un percorso reale per integrare le nazioni africane ricche di risorse lungo l’Oceano Indiano, tra cui Kenya, Mozambico e Tanzania. Di più: l’infrastruttura geopolitica si allinea bene con il collegamento del Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia centrale) alle catene di approvvigionamento globali e fornisce ulteriore connettività all’Europa settentrionale, centrale e meridionale.

Restando nell’ottica più ampia, dall’Imec potrebbe anche passare un rinvigorimento dell’Iniziativa dei Tre Mari (3SI), alla quale la Grecia ha recentemente aderito, promettendo una maggiore connettività globale. Non sarebbe sorprendente vedere una maggiore presenza dell’Italia nella 3SI: se l’Italia aumentasse il suo peso nella “Trimarium”, potrebbe diventare leader nel potenziamento della connettività eurasiatica, collegando l’Europa Nord-Sud, il Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia Centrale) e il Corridoio Medio Oriente-Indo-Pacifico (Imec).

Da notare che Washington, contrappeso dell’equilibrio europeo e italiano, vede come vantaggioso tale sviluppo in quanto favorisce la connettività nello spazio post-sovietico, contrasta la Belt and Road Initiative cinese e limita l’influenza geopolitica dell’Iran.

Collegare i tre mari Baltico, Adriatico e Nero servirebbe indubbiamente gli interessi della NATO e corrisponderebbe alla richiesta avanzata pochi mesi fa da Polonia e Paesi Baltici di stabilire una linea di difesa terrestre finanziata congiuntamente lungo il confine orientale dell’Europa contro quella che definiscono “la minaccia russa”.

L’Italia si trova sostanzialmente al centro di entrambi i progetti geopolitici pensati dagli Stati Uniti per un’Europa sempre più dipendente da Washington e la cui autonomia strategica rimane irrimediabilmente compromessa. Lo spazio di manovra dell’attuale Governo di Roma risulta perciò inesistente. A meno che le manovre della Casa Bianca, sempre più pressanti e volte ad allargare a dismisura la crisi economico-istituzionale della UE per reindustrializzare gli USA, non costringano qualcuno dei suoi maggiori Paesi ad uscire dalla gabbia europea.

I rapporti Italia-Russia e il piano statunitense

Perché l’Italia ha interrotto le relazioni amichevoli con la Russia costruite nei decenni precedenti e si è ritrovata completamente sotto il dominio di Washington?

Segue nostro Telegram.

Nel corso della recente conferenza stampa di fine anno, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato che “i russi nutrono una simpatia sincera per il popolo italiano, amano la grandissima ricchezza culturale dell’Italia, ne apprezzano l’arte e l’eccellenza creativa. E gli italiani sono, nella maggior parte dei casi, persone cordiali e di buon senso. Abbiamo molto in comune, come ad esempio l’aspirazione alla bellezza e alla giustizia, il riguardo nei confronti dei legami familiari, così come il genuino interesse che proviamo gli uni per gli altri. Allo stesso tempo, però, non si può certo fare affidamento su categorie astratte quali la simpatia e l’antipatia quando si parla di relazioni interstatali. Nel definire la nostra politica nei confronti dell’Italia, a guidarci sono gli interessi nazionali fondamentali e il principio della reciprocità. Purtroppo però, i rapporti tra la Russia e l’Italia stanno attraversando la crisi più profonda mai vista sin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e la responsabilità di tutto ciò è da attribuirsi, senza dubbio, ai vertici di Roma. Perché è per volere delle autorità italiane che sono stati congelati tutti i meccanismi di cooperazione istituzionale, e che si è giunti al collasso dei rapporti bilaterali. In buona sostanza, è andato perduto un bagaglio che avevamo accumulato nel corso di diversi decenni”.

E’ ora superfluo rivangare tali rapporti e piangere sul latte versato; sottolineiamo solo che con la costruzione del South Stream (poi abortito su ordine USA) l’Italia si sarebbe trasformata nell’hub europeo del gas naturale e avrebbe risolto i suoi problemi di sicurezza energetica.

Solo pochi giorni fa, il Presidente della Confindustria italiana, Emanuele Orsini, ha affermato che: “Serve fare presto non è possibile pagare il 43% in più di energia in un anno, vuol dire perdere competitività, occorre costruire un percorso di salvaguardia delle imprese, perché l’energia vuol dire salvaguardia dell’industria e del sistema Paese”.

Ricordiamo che l’Italia arriva da 21 mesi consecutivi di calo della produzione industriale con una crescita del PIL nel 2024 pari allo 0,5% (crescita zero se prendiamo in esame il solo Nord Italia che è l’area manifatturiera trainante da sempre il Paese), un dato che è circa la metà di quello previsto dalle autorità politiche e che non ha ancora finito di “scontare” gli effetti lunghi della recessione economica tedesca.

Tuttavia, il Governo Meloni non si è scomposto – forte dell’appoggio dei media mainstream finanziati direttamente con i fondi dell’editoria pubblica o da proprietà legate a filo doppio con l’establishment statunitense – e ha dirottato le sue energie verso una partnership strategica con l’Arabia Saudita che prevede un accordo bilaterale di 10 miliardi di euro con almeno 20 aziende coinvolte: da Leonardo a Pirelli, da Elettronica a Fincantieri, sino a Gewiss, più Cassa Depositi e Prestiti che ha firmato un piano finanziario con il Fondo sovrano saudita, in base al quale il colosso locale Acwa svilupperà insieme ad alcune imprese italiane progetti in Africa, sotto la cornice del Piano Mattei.

Perché quindi l’Italia continua ad allontanarsi dalla Russia (“Stiamo con l’Ucraina e non con i criminali di guerra” aveva dichiarato pochi giorni fa il Ministro della Difesa di Roma, Guido Crosetto, con una chiara allusione allo stesso Putin) e a stringere invece legami con Paesi che certamente non sono mai stati portati ad esempio nella tutela dei diritti umani e/o religiosi?

La risposta è molto semplice. Fin dal suo insediamento, il Governo Meloni ha puntato tutte le sue carte di sopravvivenza sull’allineamento totale rispetto alle istanze provenienti da Washington, sia durante l’Amministrazione Biden sia ora con Trump.

E i piani statunitensi per l’Italia sono estremamente chiari e non cambieranno radicalmente, tuttalpiù costringeranno l’attuale Governo di Roma ad aumentare le proprie critiche nei confronti della Commissione Europea per sviluppare maggiormente i rapporti tra Paese e Paese senza passare da Bruxelles.

Al vertice del G20 nel 2023, i leader mondiali hanno rivelato l’intento di creare una rete ferroviaria che attraversa la regione mediorientale, collegando i porti; il progetto è noto con l’acronimo “Imec” (Corridoio Economico India-Medio Oriente). Questo ponte commerciale terrestre/marittimo mira infatti a connettere le economie di Europa e India e, per estensione, Asean, Giappone, Corea del Sud, Australia e Taiwan. L’India e l’Italia, sono strategicamente posizionati per diventare teste di ponte e motori dell’Imec, rivitalizzando il commercio e le attività economiche tra Asia ed Europa e sulla base di questo programma costruire nuove relazioni indirizzate anche al Sud globale (area su cui Roma e New Delhi puntano parte della partnership strategica e l’Amministrazione Trump, sciogliendo i vincoli ambientali maldigeriti dai Paesi in via di sviluppo, cerca di recuperare ai danni dei BRICS).

Inoltre, la geopolitica ferroviaria, nota come “Railway Diplomacy”, acquisisce consistenza grazie ai collegamenti ferroviari appoggiati da Arabia Saudita e Israele, e dà un motivo in più al processo di normalizzazione “americana” in corso in Medio Oriente. Contemporaneamente, l’Imec può offrire un percorso reale per integrare le nazioni africane ricche di risorse lungo l’Oceano Indiano, tra cui Kenya, Mozambico e Tanzania. Di più: l’infrastruttura geopolitica si allinea bene con il collegamento del Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia centrale) alle catene di approvvigionamento globali e fornisce ulteriore connettività all’Europa settentrionale, centrale e meridionale.

Restando nell’ottica più ampia, dall’Imec potrebbe anche passare un rinvigorimento dell’Iniziativa dei Tre Mari (3SI), alla quale la Grecia ha recentemente aderito, promettendo una maggiore connettività globale. Non sarebbe sorprendente vedere una maggiore presenza dell’Italia nella 3SI: se l’Italia aumentasse il suo peso nella “Trimarium”, potrebbe diventare leader nel potenziamento della connettività eurasiatica, collegando l’Europa Nord-Sud, il Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia Centrale) e il Corridoio Medio Oriente-Indo-Pacifico (Imec).

Da notare che Washington, contrappeso dell’equilibrio europeo e italiano, vede come vantaggioso tale sviluppo in quanto favorisce la connettività nello spazio post-sovietico, contrasta la Belt and Road Initiative cinese e limita l’influenza geopolitica dell’Iran.

Collegare i tre mari Baltico, Adriatico e Nero servirebbe indubbiamente gli interessi della NATO e corrisponderebbe alla richiesta avanzata pochi mesi fa da Polonia e Paesi Baltici di stabilire una linea di difesa terrestre finanziata congiuntamente lungo il confine orientale dell’Europa contro quella che definiscono “la minaccia russa”.

L’Italia si trova sostanzialmente al centro di entrambi i progetti geopolitici pensati dagli Stati Uniti per un’Europa sempre più dipendente da Washington e la cui autonomia strategica rimane irrimediabilmente compromessa. Lo spazio di manovra dell’attuale Governo di Roma risulta perciò inesistente. A meno che le manovre della Casa Bianca, sempre più pressanti e volte ad allargare a dismisura la crisi economico-istituzionale della UE per reindustrializzare gli USA, non costringano qualcuno dei suoi maggiori Paesi ad uscire dalla gabbia europea.

Perché l’Italia ha interrotto le relazioni amichevoli con la Russia costruite nei decenni precedenti e si è ritrovata completamente sotto il dominio di Washington?

Segue nostro Telegram.

Nel corso della recente conferenza stampa di fine anno, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato che “i russi nutrono una simpatia sincera per il popolo italiano, amano la grandissima ricchezza culturale dell’Italia, ne apprezzano l’arte e l’eccellenza creativa. E gli italiani sono, nella maggior parte dei casi, persone cordiali e di buon senso. Abbiamo molto in comune, come ad esempio l’aspirazione alla bellezza e alla giustizia, il riguardo nei confronti dei legami familiari, così come il genuino interesse che proviamo gli uni per gli altri. Allo stesso tempo, però, non si può certo fare affidamento su categorie astratte quali la simpatia e l’antipatia quando si parla di relazioni interstatali. Nel definire la nostra politica nei confronti dell’Italia, a guidarci sono gli interessi nazionali fondamentali e il principio della reciprocità. Purtroppo però, i rapporti tra la Russia e l’Italia stanno attraversando la crisi più profonda mai vista sin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e la responsabilità di tutto ciò è da attribuirsi, senza dubbio, ai vertici di Roma. Perché è per volere delle autorità italiane che sono stati congelati tutti i meccanismi di cooperazione istituzionale, e che si è giunti al collasso dei rapporti bilaterali. In buona sostanza, è andato perduto un bagaglio che avevamo accumulato nel corso di diversi decenni”.

E’ ora superfluo rivangare tali rapporti e piangere sul latte versato; sottolineiamo solo che con la costruzione del South Stream (poi abortito su ordine USA) l’Italia si sarebbe trasformata nell’hub europeo del gas naturale e avrebbe risolto i suoi problemi di sicurezza energetica.

Solo pochi giorni fa, il Presidente della Confindustria italiana, Emanuele Orsini, ha affermato che: “Serve fare presto non è possibile pagare il 43% in più di energia in un anno, vuol dire perdere competitività, occorre costruire un percorso di salvaguardia delle imprese, perché l’energia vuol dire salvaguardia dell’industria e del sistema Paese”.

Ricordiamo che l’Italia arriva da 21 mesi consecutivi di calo della produzione industriale con una crescita del PIL nel 2024 pari allo 0,5% (crescita zero se prendiamo in esame il solo Nord Italia che è l’area manifatturiera trainante da sempre il Paese), un dato che è circa la metà di quello previsto dalle autorità politiche e che non ha ancora finito di “scontare” gli effetti lunghi della recessione economica tedesca.

Tuttavia, il Governo Meloni non si è scomposto – forte dell’appoggio dei media mainstream finanziati direttamente con i fondi dell’editoria pubblica o da proprietà legate a filo doppio con l’establishment statunitense – e ha dirottato le sue energie verso una partnership strategica con l’Arabia Saudita che prevede un accordo bilaterale di 10 miliardi di euro con almeno 20 aziende coinvolte: da Leonardo a Pirelli, da Elettronica a Fincantieri, sino a Gewiss, più Cassa Depositi e Prestiti che ha firmato un piano finanziario con il Fondo sovrano saudita, in base al quale il colosso locale Acwa svilupperà insieme ad alcune imprese italiane progetti in Africa, sotto la cornice del Piano Mattei.

Perché quindi l’Italia continua ad allontanarsi dalla Russia (“Stiamo con l’Ucraina e non con i criminali di guerra” aveva dichiarato pochi giorni fa il Ministro della Difesa di Roma, Guido Crosetto, con una chiara allusione allo stesso Putin) e a stringere invece legami con Paesi che certamente non sono mai stati portati ad esempio nella tutela dei diritti umani e/o religiosi?

La risposta è molto semplice. Fin dal suo insediamento, il Governo Meloni ha puntato tutte le sue carte di sopravvivenza sull’allineamento totale rispetto alle istanze provenienti da Washington, sia durante l’Amministrazione Biden sia ora con Trump.

E i piani statunitensi per l’Italia sono estremamente chiari e non cambieranno radicalmente, tuttalpiù costringeranno l’attuale Governo di Roma ad aumentare le proprie critiche nei confronti della Commissione Europea per sviluppare maggiormente i rapporti tra Paese e Paese senza passare da Bruxelles.

Al vertice del G20 nel 2023, i leader mondiali hanno rivelato l’intento di creare una rete ferroviaria che attraversa la regione mediorientale, collegando i porti; il progetto è noto con l’acronimo “Imec” (Corridoio Economico India-Medio Oriente). Questo ponte commerciale terrestre/marittimo mira infatti a connettere le economie di Europa e India e, per estensione, Asean, Giappone, Corea del Sud, Australia e Taiwan. L’India e l’Italia, sono strategicamente posizionati per diventare teste di ponte e motori dell’Imec, rivitalizzando il commercio e le attività economiche tra Asia ed Europa e sulla base di questo programma costruire nuove relazioni indirizzate anche al Sud globale (area su cui Roma e New Delhi puntano parte della partnership strategica e l’Amministrazione Trump, sciogliendo i vincoli ambientali maldigeriti dai Paesi in via di sviluppo, cerca di recuperare ai danni dei BRICS).

Inoltre, la geopolitica ferroviaria, nota come “Railway Diplomacy”, acquisisce consistenza grazie ai collegamenti ferroviari appoggiati da Arabia Saudita e Israele, e dà un motivo in più al processo di normalizzazione “americana” in corso in Medio Oriente. Contemporaneamente, l’Imec può offrire un percorso reale per integrare le nazioni africane ricche di risorse lungo l’Oceano Indiano, tra cui Kenya, Mozambico e Tanzania. Di più: l’infrastruttura geopolitica si allinea bene con il collegamento del Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia centrale) alle catene di approvvigionamento globali e fornisce ulteriore connettività all’Europa settentrionale, centrale e meridionale.

Restando nell’ottica più ampia, dall’Imec potrebbe anche passare un rinvigorimento dell’Iniziativa dei Tre Mari (3SI), alla quale la Grecia ha recentemente aderito, promettendo una maggiore connettività globale. Non sarebbe sorprendente vedere una maggiore presenza dell’Italia nella 3SI: se l’Italia aumentasse il suo peso nella “Trimarium”, potrebbe diventare leader nel potenziamento della connettività eurasiatica, collegando l’Europa Nord-Sud, il Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia Centrale) e il Corridoio Medio Oriente-Indo-Pacifico (Imec).

Da notare che Washington, contrappeso dell’equilibrio europeo e italiano, vede come vantaggioso tale sviluppo in quanto favorisce la connettività nello spazio post-sovietico, contrasta la Belt and Road Initiative cinese e limita l’influenza geopolitica dell’Iran.

Collegare i tre mari Baltico, Adriatico e Nero servirebbe indubbiamente gli interessi della NATO e corrisponderebbe alla richiesta avanzata pochi mesi fa da Polonia e Paesi Baltici di stabilire una linea di difesa terrestre finanziata congiuntamente lungo il confine orientale dell’Europa contro quella che definiscono “la minaccia russa”.

L’Italia si trova sostanzialmente al centro di entrambi i progetti geopolitici pensati dagli Stati Uniti per un’Europa sempre più dipendente da Washington e la cui autonomia strategica rimane irrimediabilmente compromessa. Lo spazio di manovra dell’attuale Governo di Roma risulta perciò inesistente. A meno che le manovre della Casa Bianca, sempre più pressanti e volte ad allargare a dismisura la crisi economico-istituzionale della UE per reindustrializzare gli USA, non costringano qualcuno dei suoi maggiori Paesi ad uscire dalla gabbia europea.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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