Joseph Aoun, nuovo Presidente del Libano, e Nawaf Salam, nuovo Primo Ministro, sono il sintomo del declino dell’influenza di Hezbollah e dell’ascesa di un nuovo equilibrio nazionale sostenuto da Occidente e Paesi del Golfo.
Rimasta vacante sin dal 31 ottobre 2022, data della scadenza del mandato di Michel Aoun, la carica di Presidente del Libano ha trovato un nuovo possessore in Joseph Aoun, eletto lo scorso 9 gennaio dopo lunghissime trattative che hanno visto l’intervento di diversi attori esterni, compreso il ruolo di mediazione decisivo giocato dall’Arabia Saudita.
Sessantunenne ex comandante dell’esercito, a discapito dell’omonimia, Joseph Aoun non ha legami di parentela con il suo predecessore, ma rappresenta a sua volta la comunità cristiana, alla quale viene sempre attribuito l’incarico presidenziale. La sua elezione ha sbloccato dunque una lunga situazione di stallo, dopo che il parlamento di Beirut si era riunito 12 volte senza riuscire a eleggere un Presidente.
Secondo gli analisti, l’elezione di Joseph Aoun è stata vista con grande favore sia dagli Stati Uniti che da Israele, oltre che dalla maggioranza delle monarchie del Golfo. Nel corso della sua carriera militare, Aoun ha seguito diversi programmi di antiterrorismo negli Stati Uniti, e, nel 2017, poco dopo aver assunto il comando delle Forze Armate Libanesi, ha messo in pratica il suo addestramento contro il terrorismo lanciando un’operazione contro i combattenti dell’ISIS stanziati al confine con la Siria. Nel corso del tempo, ha inoltre rafforzato i propri rapporti con Stati Uniti, Arabia Saudita e Qatar, fattore risultato determinante nella sua elezione.
Alle prese con una lunga crisi economica e politica, il Libano si trova anche ad essere uno dei bersagli dei bombardamenti di Israele, il che ha probabilmente contribuito ad accelerare le contrattazioni tra le varie forze politiche, con persino Hezbollah (Ḥizb Allāh, il “Partito di Dio”) che ha dato il proprio via libera per l’elezione di Aoun, considerato come un avversario del partito sciita.
Uno dei motivi per i quali Joseph Aoun ha ricevuto l’endorsment delle forze occidentali e sunnite risiede proprio nella sua avversione nei confronti di Hezbollah, visto che il nuovo Presidente spinge da tempo per il ritiro delle forze armate sciite a sud del fiume Litani e la sostituzione delle stesse con l’esercito libanese. A tal proposito, nel suo discorso d’insediamento ha affermato “il diritto dello Stato a monopolizzare il possesso delle armi”. Secondo Aoun, il ritiro di Hezbollah farebbe mancare il casus belli a Israele, con l’esercito sionista che a quel punto di vedrebbe costretto a ritirarsi all’interno dei confini definiti dalle Nazioni Unite. Tuttavia, Aoun dimentica (o forse fa finta di non sapere) che Israele ha già dimostrato in diverse occasioni di non avere nessuna intenzione di conformarsi al diritto internazionale.
Importante sarà anche la posizione del nuovo capo di Stato libanese nei confronti del nuovo regime siriano. Non è forse un caso che, appena due giorni dopo l’elezione di Aoun, il Primo Ministro libanese Najīb Mīqātī abbia incontrato il leader de facto della Siria, il terrorista Muḥammad al-Jawlānī, ora tornato a farsi chiamare con il suo nome civile, Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ. Mīqātī si è recato direttamente a Damasco, evento che non accadeva da ben quindici anni per un capo del governo libanese, e nel suo incontro con al-Jawlānī/ al-Sharaʿ ha dichiarato che Libano e Siria lavoreranno insieme per mettere in sicurezza i loro confini terrestri e per delimitare i confini sia terrestri che marittimi.
Nonostante il suo incontro con il leader siriano, Najīb Mīqātī era considerato come vicino ad Hezbollah, motivo per il quale il 13 gennaio, appena due giorni dopo la sua visita a Damasco, Mīqātī è stato silurato da Aoun, il quale ha nominato Nawaf Salam, Presidente della Corte Internazionale di Giustizia, che ha dovuto rinunciare al suo incarico presso questa istituzione al fine di prendere le redini del governo di Beirut. Sotto la spinta delle potenze occidentali, in particolare Francia e Stati Uniti, Aoun ha dunque proposto il nome di Salam al parlamento, che ha votato la fiducia con 84 voti favorevoli su 128.
Secondo gli analisti, l’elezione di Joseph Aoun come Presidente e la nomina di Nawaf Salam a capo del governo riflettono l’indebolimento della posizione di Hezbollah in Libano, causata dai bombardamenti israeliani e dalla caduta del governo siriano di Baššār al-Asad. “Salam simboleggia il cambiamento.
Non a caso, l’emittente qatariota Al Jazeera, ha incensato sia Aoun che Salam, dopo aver fatto lo stesso con la caduta del governo siriano. “[Salam] è stato scelto da parlamentari dell’opposizione e indipendenti, che stanno spingendo per un nuovo ordine politico, poiché non appartiene alla classe politica che ha governato questo Paese per decenni ed è stata accusata di cattiva gestione e corruzione”, secondo quanto affermato da Zeina Khodr, corrispondente di Al Jazeera a Beirut, parole che riflettono la posizione della monarchia qatariota più che dati di fatto oggettivi.
Dal canto suo, Hezbollah, per bocca del suo rappresentante parlamentare Mohammed Raad, ha fatto sapere di aver voluto tendere la mano alle altre forze politiche permettendo l’elezione di Aoun, ma che in cambio gli altri partiti hanno provveduto a tagliargli la mano, votando un Primo Ministro ostile. Raad ha infatti affermato che gli altri partiti stanno cercando di frammentare Hezbollah e di escludere il partito sciita dal potere, nonostante la formazione disponga di quindici seggi.
Da un lato, dunque, a nomina di Joseph Aoun come Presidente del Libano e quella di Nawaf Salam a Primo Ministro segnano una svolta significativa nella politica libanese, riflettendo il declino dell’influenza di Hezbollah e l’emergere di un nuovo equilibrio di potere favorito dall’intervento delle potenze occidentali e dei Paesi del Golfo. Dall’altro, le sfide che attendono la nuova leadership sono immense: la necessità di affrontare una crisi economica senza precedenti, di ricostruire le istituzioni statali e di garantire una stabilità duratura in un contesto geopolitico altamente volatile. Ma, soprattutto, il Libano dovrà decidere come posizionarsi nell’ambito della grave crisi che affligge la regione, e che potrebbe presto portare ad un conflitto su vasta scala con il coinvolgimento di potenze regionali e globali.