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Lorenzo Maria Pacini
December 21, 2024
© Photo: Public domain

È necessario tenere d’occhio quali risposte Russia, Cina e Iran in particolare daranno alla questione siriana e all’arrogante provocazione degli Stati Uniti.

Segue nostro Telegram.

I recenti eventi in Siria con la caduta del governo di Bashar al-Assad stanno spingendo a importanti cambiamenti in tutto lo scacchiere geopolitico. Cambiando le geometrie del Medio Oriente, cambiano le relazioni fra i molti partecipanti al gioco. E c’è una lezione molto importante da imparare…

Gli USA hanno ancora qualche asso da giocare

Andiamo dritti al punto: gli Stati Uniti hanno dimostrato che il potere militare e il controllo del terrorismo sono ancora oggi più forte dei partenariato geoeconomici. Ora cerchiamo di capire perché.

Gli Stati Uniti hanno vissuto la delicatissima fase di transizione elettorale, che ha comportato una turbolenza interna i cui effetti si sono ripercossi su molti altri Stati e sull’intero mercato globale. Ne sono usciti al suono del motto MAGA, ovvero fare di nuovo grande l’America: nessuno ha specificato in che modo, se attraverso un processo di riforma interna e di mutazione ideologica, oppure se attraverso la ripresa di un certo espansionismo imperialista aprendo nuovi teatri di guerra. La grandezza americana, d’altronde, è sempre stata militare ed economica, non certo storica o culturale, perciò nel motto citato si trovano già compendiate sufficienti ragioni per sollevare non poche perplessità sul prossimo futuro.

Con l’elezione di Trump sono variate rapidamente molte geometrie, portando, da un lato, ad un avvicinamento con le posizioni che aveva lasciato al termine del suo precedente mandato, mentre dall’altro ha lanciato una sfida al nuovo assetto multipolare emergente. Lo scopo è sempre lo stesso: ricordare al mondo intero – meglio ancora, dimostrarlo – che gli USA sono i più forti, sono il primo Paese, sono quelli che decidono da soli le sorti dell’intera umanità.

Coerentemente con questo implicito proposito, la lettura degli eventi in Siria assume una ruolo rilevante nella strategia complessiva attuata dagli americani: destabilizzare il Medio Oriente per tutelare i propri interessi, dimostrando a tutti che gli Stati Uniti non hanno posto fine al loro dominio, che possono ancora provocare cambiamenti repentini e significativi, che possono sconvolgere i piani dei concorrenti e stravolgerne le alleanze. Questo un dato di fatto.

Come ormai conclamato e rivendicato in più momenti, gli USA sono parte della strategia di attacco alla Siria baatista, ben coordinati con Israele, pilotando la Turchia (che è membro della NATO) e, cosa più importante, lo strumento del terrorismo jihadista.

Perché questo è un fondamentale: gli USA ancora controllano una buona parte del terrorismo internazionale, utilizzandolo come “gangster” per compiere il lavoro sporco, allorché le vie ordinarie e legali non sono più percorribili. E il terrorismo funziona incredibilmente bene, soprattutto in luoghi come la Siria che ne è stata lungamente vittima e che ha rappresentato la regione prediletta per un’ampia sperimentazione di tipologie ibride di conflitti e per la messa alla prova delle milizie jihadiste, il cui ruolo forse ancora a molti non è chiaro ma presto potrebbe diventarlo.

Probabilmente, come  hanno osservato alcuni analisti, l’attacco alla Siria era stato programmato con largo anticipo e i concorrenti stavano aspettando solo il momento giusto, che è stato individuato con la presa al potere – graduale ma effettiva – di Donald Trump, proprio durante il suo tour nella colonia Europa, ove ha riscosso grande successo e confermato l’egemonia americana nel vecchio continente.

Garantirsi il controllo sul Mar Mediterraneo è troppo importante per gli USA.

Mantenere il dominio sull’Europa è un affare che non si può mettere in discussione.

Così, Trump raggiunge le capitali europee per il suo tour, incontrando anche Zelensky che è stato molto rassicurato, e sancisce l’apertura delle danze belliche del 2025 con un po’ di anticipo, giusto in tempo per vivere le festività natalizie nel migliore dei modi. Si è assicurato l’obbedienza di Francia, Italia e Germania, è passato a trovare i cugini d’Inghilterra e ha dato ordini all’attore di Kiev; ha riconfermato l’occupazione militare, ha ripetuto l’importanza del dollaro come sovrano padrone del mercato, ha messo al sicuro le rotte commerciali sotto il patronato americano – come la Via del Cotone che passa per Trieste e stabilisce il controllo di USA e Israele sul Mediterraneo fino all’oriente indiano – e si è pure spinto a fare qualche provocazione a Mosca e Pechino. Tutto pronto. Il contesto per far partire la prima fase del piano era perfetto.

Ecco che gli USA, di concerto con Israele e Turchia, hanno sferrato l’attacco, impiegando i burattini del terrorismo ISIS e nel giro di pochi giorni hanno cambiato letteralmente la mappa della Mezzaluna. Quello che ne sarà dopo è ancora da scoprire, ciò che conta adesso è che gli americani hanno dimostrato che con la giusta leadership e un po’ di indignazione, possono ancora muovere importanti mosse sulla scacchiera internazionale e infliggere danni significativi.

Conquistare la Siria ha significato non soltanto tagliare l’ingresso sul Mediterraneo per la Russia, non soltanto interrompere la collaborazione anti-sionista con Libano e Palestina da parte dell’Iran, bensì vuol dire soprattutto che da ora in poi tutta la regione avrà un aspetto diverso e che, potenzialmente, gli USA sono pronti a fare la stessa cosa anche altrove. Questo è ciò che fa la differenza. Adesso tutti devono fare nuovamente i conti con questa realtà variata.

Forse si tratta di un’analisi troppo ottimistica per il versante americano, ma è almeno verosimile.

La sfida ai BRICS+

C’è poi da considerare un dato di fatto che influisce molto sulla percezione finale dell’anno 2024, che è stato caratterizzato dal grande summit di Kazan dei BRICS+: quanto avvenuto in Siria dimostra che i BRICS non sono ancora sufficientemente forti da bloccare la forza americana nel mondo, o, meglio, non hanno ancora il peso politico e la capacità militare per farlo. Ciò si comprende se teniamo conto le numerose analisi riguardo la necessità, più volte paventata, di una unione fra BRICS ed SCO che avrebbe dato vita ad un grande partenariato geoeconomica e strategico/anti-terroristico. Questo accordo però non c’è ancora stato.

Kazan aveva ridisegnato le mappe commerciali del mondo intero e spinto fortemente la de-dollarizzazione nel mentre che gli USA erano in una fase di incertezza e rischio, ma ora che le cose sono cambiato – e anche molti Paesi BRICS hanno applaudito al nuovo Presidente – tutto muta nuovamente. Forse una minore percezione del rischio, forse un complesso pacchetto di interessi che sono cambiati all’improvviso, forse accordi segreti stipulati in precedenza o, forse, la semplice volontà di non emanciparsi veramente dall’America… fatto sta che gli USA hanno mostrato una debolezza dei BRICS e questo potrebbe metterne in crisi la struttura e l’evoluzione.

Spetta ora al partenariato muovere dei passi in una direzione diversa, ma la imminente presidenza brasiliana fa tremare gli interessi eurasiatici. Il rischio è che i BRICS vengano “riformati” senza una riforma, lasciati in secondo piano e senza sviluppi significativi in modo da anestetizzarne la forza di cambiamento. Un intero anno di blocco potrebbe risultare addirittura fatale per molti Paesi.

Bisognerà dunque tenere d’occhio quali saranno le risposte che soprattutto Russia, Cina e Iran daranno alla questione siriana e alla provocazione arrogante degli USA.

La Siria, gli USA e una lezione per i BRICS

È necessario tenere d’occhio quali risposte Russia, Cina e Iran in particolare daranno alla questione siriana e all’arrogante provocazione degli Stati Uniti.

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I recenti eventi in Siria con la caduta del governo di Bashar al-Assad stanno spingendo a importanti cambiamenti in tutto lo scacchiere geopolitico. Cambiando le geometrie del Medio Oriente, cambiano le relazioni fra i molti partecipanti al gioco. E c’è una lezione molto importante da imparare…

Gli USA hanno ancora qualche asso da giocare

Andiamo dritti al punto: gli Stati Uniti hanno dimostrato che il potere militare e il controllo del terrorismo sono ancora oggi più forte dei partenariato geoeconomici. Ora cerchiamo di capire perché.

Gli Stati Uniti hanno vissuto la delicatissima fase di transizione elettorale, che ha comportato una turbolenza interna i cui effetti si sono ripercossi su molti altri Stati e sull’intero mercato globale. Ne sono usciti al suono del motto MAGA, ovvero fare di nuovo grande l’America: nessuno ha specificato in che modo, se attraverso un processo di riforma interna e di mutazione ideologica, oppure se attraverso la ripresa di un certo espansionismo imperialista aprendo nuovi teatri di guerra. La grandezza americana, d’altronde, è sempre stata militare ed economica, non certo storica o culturale, perciò nel motto citato si trovano già compendiate sufficienti ragioni per sollevare non poche perplessità sul prossimo futuro.

Con l’elezione di Trump sono variate rapidamente molte geometrie, portando, da un lato, ad un avvicinamento con le posizioni che aveva lasciato al termine del suo precedente mandato, mentre dall’altro ha lanciato una sfida al nuovo assetto multipolare emergente. Lo scopo è sempre lo stesso: ricordare al mondo intero – meglio ancora, dimostrarlo – che gli USA sono i più forti, sono il primo Paese, sono quelli che decidono da soli le sorti dell’intera umanità.

Coerentemente con questo implicito proposito, la lettura degli eventi in Siria assume una ruolo rilevante nella strategia complessiva attuata dagli americani: destabilizzare il Medio Oriente per tutelare i propri interessi, dimostrando a tutti che gli Stati Uniti non hanno posto fine al loro dominio, che possono ancora provocare cambiamenti repentini e significativi, che possono sconvolgere i piani dei concorrenti e stravolgerne le alleanze. Questo un dato di fatto.

Come ormai conclamato e rivendicato in più momenti, gli USA sono parte della strategia di attacco alla Siria baatista, ben coordinati con Israele, pilotando la Turchia (che è membro della NATO) e, cosa più importante, lo strumento del terrorismo jihadista.

Perché questo è un fondamentale: gli USA ancora controllano una buona parte del terrorismo internazionale, utilizzandolo come “gangster” per compiere il lavoro sporco, allorché le vie ordinarie e legali non sono più percorribili. E il terrorismo funziona incredibilmente bene, soprattutto in luoghi come la Siria che ne è stata lungamente vittima e che ha rappresentato la regione prediletta per un’ampia sperimentazione di tipologie ibride di conflitti e per la messa alla prova delle milizie jihadiste, il cui ruolo forse ancora a molti non è chiaro ma presto potrebbe diventarlo.

Probabilmente, come  hanno osservato alcuni analisti, l’attacco alla Siria era stato programmato con largo anticipo e i concorrenti stavano aspettando solo il momento giusto, che è stato individuato con la presa al potere – graduale ma effettiva – di Donald Trump, proprio durante il suo tour nella colonia Europa, ove ha riscosso grande successo e confermato l’egemonia americana nel vecchio continente.

Garantirsi il controllo sul Mar Mediterraneo è troppo importante per gli USA.

Mantenere il dominio sull’Europa è un affare che non si può mettere in discussione.

Così, Trump raggiunge le capitali europee per il suo tour, incontrando anche Zelensky che è stato molto rassicurato, e sancisce l’apertura delle danze belliche del 2025 con un po’ di anticipo, giusto in tempo per vivere le festività natalizie nel migliore dei modi. Si è assicurato l’obbedienza di Francia, Italia e Germania, è passato a trovare i cugini d’Inghilterra e ha dato ordini all’attore di Kiev; ha riconfermato l’occupazione militare, ha ripetuto l’importanza del dollaro come sovrano padrone del mercato, ha messo al sicuro le rotte commerciali sotto il patronato americano – come la Via del Cotone che passa per Trieste e stabilisce il controllo di USA e Israele sul Mediterraneo fino all’oriente indiano – e si è pure spinto a fare qualche provocazione a Mosca e Pechino. Tutto pronto. Il contesto per far partire la prima fase del piano era perfetto.

Ecco che gli USA, di concerto con Israele e Turchia, hanno sferrato l’attacco, impiegando i burattini del terrorismo ISIS e nel giro di pochi giorni hanno cambiato letteralmente la mappa della Mezzaluna. Quello che ne sarà dopo è ancora da scoprire, ciò che conta adesso è che gli americani hanno dimostrato che con la giusta leadership e un po’ di indignazione, possono ancora muovere importanti mosse sulla scacchiera internazionale e infliggere danni significativi.

Conquistare la Siria ha significato non soltanto tagliare l’ingresso sul Mediterraneo per la Russia, non soltanto interrompere la collaborazione anti-sionista con Libano e Palestina da parte dell’Iran, bensì vuol dire soprattutto che da ora in poi tutta la regione avrà un aspetto diverso e che, potenzialmente, gli USA sono pronti a fare la stessa cosa anche altrove. Questo è ciò che fa la differenza. Adesso tutti devono fare nuovamente i conti con questa realtà variata.

Forse si tratta di un’analisi troppo ottimistica per il versante americano, ma è almeno verosimile.

La sfida ai BRICS+

C’è poi da considerare un dato di fatto che influisce molto sulla percezione finale dell’anno 2024, che è stato caratterizzato dal grande summit di Kazan dei BRICS+: quanto avvenuto in Siria dimostra che i BRICS non sono ancora sufficientemente forti da bloccare la forza americana nel mondo, o, meglio, non hanno ancora il peso politico e la capacità militare per farlo. Ciò si comprende se teniamo conto le numerose analisi riguardo la necessità, più volte paventata, di una unione fra BRICS ed SCO che avrebbe dato vita ad un grande partenariato geoeconomica e strategico/anti-terroristico. Questo accordo però non c’è ancora stato.

Kazan aveva ridisegnato le mappe commerciali del mondo intero e spinto fortemente la de-dollarizzazione nel mentre che gli USA erano in una fase di incertezza e rischio, ma ora che le cose sono cambiato – e anche molti Paesi BRICS hanno applaudito al nuovo Presidente – tutto muta nuovamente. Forse una minore percezione del rischio, forse un complesso pacchetto di interessi che sono cambiati all’improvviso, forse accordi segreti stipulati in precedenza o, forse, la semplice volontà di non emanciparsi veramente dall’America… fatto sta che gli USA hanno mostrato una debolezza dei BRICS e questo potrebbe metterne in crisi la struttura e l’evoluzione.

Spetta ora al partenariato muovere dei passi in una direzione diversa, ma la imminente presidenza brasiliana fa tremare gli interessi eurasiatici. Il rischio è che i BRICS vengano “riformati” senza una riforma, lasciati in secondo piano e senza sviluppi significativi in modo da anestetizzarne la forza di cambiamento. Un intero anno di blocco potrebbe risultare addirittura fatale per molti Paesi.

Bisognerà dunque tenere d’occhio quali saranno le risposte che soprattutto Russia, Cina e Iran daranno alla questione siriana e alla provocazione arrogante degli USA.

È necessario tenere d’occhio quali risposte Russia, Cina e Iran in particolare daranno alla questione siriana e all’arrogante provocazione degli Stati Uniti.

Segue nostro Telegram.

I recenti eventi in Siria con la caduta del governo di Bashar al-Assad stanno spingendo a importanti cambiamenti in tutto lo scacchiere geopolitico. Cambiando le geometrie del Medio Oriente, cambiano le relazioni fra i molti partecipanti al gioco. E c’è una lezione molto importante da imparare…

Gli USA hanno ancora qualche asso da giocare

Andiamo dritti al punto: gli Stati Uniti hanno dimostrato che il potere militare e il controllo del terrorismo sono ancora oggi più forte dei partenariato geoeconomici. Ora cerchiamo di capire perché.

Gli Stati Uniti hanno vissuto la delicatissima fase di transizione elettorale, che ha comportato una turbolenza interna i cui effetti si sono ripercossi su molti altri Stati e sull’intero mercato globale. Ne sono usciti al suono del motto MAGA, ovvero fare di nuovo grande l’America: nessuno ha specificato in che modo, se attraverso un processo di riforma interna e di mutazione ideologica, oppure se attraverso la ripresa di un certo espansionismo imperialista aprendo nuovi teatri di guerra. La grandezza americana, d’altronde, è sempre stata militare ed economica, non certo storica o culturale, perciò nel motto citato si trovano già compendiate sufficienti ragioni per sollevare non poche perplessità sul prossimo futuro.

Con l’elezione di Trump sono variate rapidamente molte geometrie, portando, da un lato, ad un avvicinamento con le posizioni che aveva lasciato al termine del suo precedente mandato, mentre dall’altro ha lanciato una sfida al nuovo assetto multipolare emergente. Lo scopo è sempre lo stesso: ricordare al mondo intero – meglio ancora, dimostrarlo – che gli USA sono i più forti, sono il primo Paese, sono quelli che decidono da soli le sorti dell’intera umanità.

Coerentemente con questo implicito proposito, la lettura degli eventi in Siria assume una ruolo rilevante nella strategia complessiva attuata dagli americani: destabilizzare il Medio Oriente per tutelare i propri interessi, dimostrando a tutti che gli Stati Uniti non hanno posto fine al loro dominio, che possono ancora provocare cambiamenti repentini e significativi, che possono sconvolgere i piani dei concorrenti e stravolgerne le alleanze. Questo un dato di fatto.

Come ormai conclamato e rivendicato in più momenti, gli USA sono parte della strategia di attacco alla Siria baatista, ben coordinati con Israele, pilotando la Turchia (che è membro della NATO) e, cosa più importante, lo strumento del terrorismo jihadista.

Perché questo è un fondamentale: gli USA ancora controllano una buona parte del terrorismo internazionale, utilizzandolo come “gangster” per compiere il lavoro sporco, allorché le vie ordinarie e legali non sono più percorribili. E il terrorismo funziona incredibilmente bene, soprattutto in luoghi come la Siria che ne è stata lungamente vittima e che ha rappresentato la regione prediletta per un’ampia sperimentazione di tipologie ibride di conflitti e per la messa alla prova delle milizie jihadiste, il cui ruolo forse ancora a molti non è chiaro ma presto potrebbe diventarlo.

Probabilmente, come  hanno osservato alcuni analisti, l’attacco alla Siria era stato programmato con largo anticipo e i concorrenti stavano aspettando solo il momento giusto, che è stato individuato con la presa al potere – graduale ma effettiva – di Donald Trump, proprio durante il suo tour nella colonia Europa, ove ha riscosso grande successo e confermato l’egemonia americana nel vecchio continente.

Garantirsi il controllo sul Mar Mediterraneo è troppo importante per gli USA.

Mantenere il dominio sull’Europa è un affare che non si può mettere in discussione.

Così, Trump raggiunge le capitali europee per il suo tour, incontrando anche Zelensky che è stato molto rassicurato, e sancisce l’apertura delle danze belliche del 2025 con un po’ di anticipo, giusto in tempo per vivere le festività natalizie nel migliore dei modi. Si è assicurato l’obbedienza di Francia, Italia e Germania, è passato a trovare i cugini d’Inghilterra e ha dato ordini all’attore di Kiev; ha riconfermato l’occupazione militare, ha ripetuto l’importanza del dollaro come sovrano padrone del mercato, ha messo al sicuro le rotte commerciali sotto il patronato americano – come la Via del Cotone che passa per Trieste e stabilisce il controllo di USA e Israele sul Mediterraneo fino all’oriente indiano – e si è pure spinto a fare qualche provocazione a Mosca e Pechino. Tutto pronto. Il contesto per far partire la prima fase del piano era perfetto.

Ecco che gli USA, di concerto con Israele e Turchia, hanno sferrato l’attacco, impiegando i burattini del terrorismo ISIS e nel giro di pochi giorni hanno cambiato letteralmente la mappa della Mezzaluna. Quello che ne sarà dopo è ancora da scoprire, ciò che conta adesso è che gli americani hanno dimostrato che con la giusta leadership e un po’ di indignazione, possono ancora muovere importanti mosse sulla scacchiera internazionale e infliggere danni significativi.

Conquistare la Siria ha significato non soltanto tagliare l’ingresso sul Mediterraneo per la Russia, non soltanto interrompere la collaborazione anti-sionista con Libano e Palestina da parte dell’Iran, bensì vuol dire soprattutto che da ora in poi tutta la regione avrà un aspetto diverso e che, potenzialmente, gli USA sono pronti a fare la stessa cosa anche altrove. Questo è ciò che fa la differenza. Adesso tutti devono fare nuovamente i conti con questa realtà variata.

Forse si tratta di un’analisi troppo ottimistica per il versante americano, ma è almeno verosimile.

La sfida ai BRICS+

C’è poi da considerare un dato di fatto che influisce molto sulla percezione finale dell’anno 2024, che è stato caratterizzato dal grande summit di Kazan dei BRICS+: quanto avvenuto in Siria dimostra che i BRICS non sono ancora sufficientemente forti da bloccare la forza americana nel mondo, o, meglio, non hanno ancora il peso politico e la capacità militare per farlo. Ciò si comprende se teniamo conto le numerose analisi riguardo la necessità, più volte paventata, di una unione fra BRICS ed SCO che avrebbe dato vita ad un grande partenariato geoeconomica e strategico/anti-terroristico. Questo accordo però non c’è ancora stato.

Kazan aveva ridisegnato le mappe commerciali del mondo intero e spinto fortemente la de-dollarizzazione nel mentre che gli USA erano in una fase di incertezza e rischio, ma ora che le cose sono cambiato – e anche molti Paesi BRICS hanno applaudito al nuovo Presidente – tutto muta nuovamente. Forse una minore percezione del rischio, forse un complesso pacchetto di interessi che sono cambiati all’improvviso, forse accordi segreti stipulati in precedenza o, forse, la semplice volontà di non emanciparsi veramente dall’America… fatto sta che gli USA hanno mostrato una debolezza dei BRICS e questo potrebbe metterne in crisi la struttura e l’evoluzione.

Spetta ora al partenariato muovere dei passi in una direzione diversa, ma la imminente presidenza brasiliana fa tremare gli interessi eurasiatici. Il rischio è che i BRICS vengano “riformati” senza una riforma, lasciati in secondo piano e senza sviluppi significativi in modo da anestetizzarne la forza di cambiamento. Un intero anno di blocco potrebbe risultare addirittura fatale per molti Paesi.

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The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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