Italiano
Davide Rossi
December 31, 2025
© Photo: Public domain

Come la Germania sta cercando di cancellare ogni traccia della propria cultura legata alla Russia. 

Segue nostro Telegram.

Il 22 dicembre 2025, centenario della nascita del grande pittore e muralista Walter Womacka, in Germania è ripresa la polemica non tanto rispetto alle sue opere, di inusitata bellezza, di toccante umanità, di strepitoso amore per i colori, sebbene vi sia tutt’oggi qualche ignorante che continua a bollarle come paccottiglia realsocialista, ma rispetto alla feroce e sistematica opera di cancellazione della sua memoria e di occultamento di molti dei suoi lavori. Tristissimo destino per un artista universalmente ricordato come epigono tedesco della grande scuola muralista messicana di José Clemente Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros.

I murales e le vetrate di Walter Womacka sono straordinari, sempre orientati ai valori dell’amicizia, del lavoro e della solidarietà, realizzati non solo a Berlino, si pensi alle tre celebri vetrate dell’edificio principale dell’Università Humboldt in Unter den Linden, ma in tante altre città della ex DDR, a partire da quelli per il nuovo centro abitato edificato negli anni ‘50 con il nome di Stalinstadt, poi ribattezzato Eisenhüttenstadt, così come le toccanti vetrate per il memoriale del campo di concentramento di Sachsenhausen.

Una dei suoi murales più celebri, “La nostra vita”, posto tutt’attorno sui quattro lati della Casa dell’insegnante di Berlino in Alexanderplatz, è un mosaico di ottocentomila tessere per centoventicinque metri d’estensione e sette metri d’altezza, una delle opere d’arte non solo più belle, ma più grandi del mondo, un progetto che fin dai suoi albori ha raccolto il consenso entusiastico di due grandi intellettuali tedeschi, il ministro della cultura della DDR Alexander Abusch e il presidente della Commissione Culturale e di quella ideologica del Politburo del Comitato Centrale del Partito Unificato del Socialismo di Germania (SED) Alfred Kurella.

Walter Womacka nel realizzare “La nostra vita” mette tutto il suo slancio e tutta la sua passione, sostenuto con ancor più vigore dal successivo ministro della cultura, il giovane Hans Bentzien. Womacka addirittura chiede e ottiene due anni di congedo dalla Scuola Superiore di Arti Applicate di Berlino – Weißensee in cui è docente e di cui in seguito diverrà per un ventennio direttore dal 1968 al 1988, riuscendo a portare a compimento l’opera nell’autunno del 1964 grazie anche al fervoroso aiuto del VEB Stuck und Naturstein, ovvero l’Azienda Statale per Gesso e Pietra Naturale, chiamata a fornire i tasselli smaltati e dipinti del mosaico. L’opera fin dalla sua inaugurazione raccoglie un tripudio di consensi per la sua capacità di trasmettere sentimenti di speranza nel futuro, nella vita, nelle innovazioni scientifiche e tecnologiche.

L’odierno destino di questo capolavoro è il conclamato esempio di un’opera non rimossa, ma sostanzialmente “scomparsa”, verrebbe da citare la celebre canzone di Franco Battiato: “Alexanderplatz Auf Wiedersehen”.

La piazza infatti, dopo le devastazioni del secondo conflitto mondiale, rinasce nella seconda metà degli anni ‘60 con un progetto urbanistico complessivo in cui i prospettati palazzi modernisti attorniano un grande spazio urbano pedonale, a tutti gli effetti una piazza socialista, orgogliosamente capace di ospitare un numero considerevole di persone, anche alcune migliaia, come durante il decimo Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti nell’estate 1973.

Proprio Walter Womacka ha dato un contributo fondamentale per la sua progettazione, perché, a partire dalla Fontana dell’Amicizia tra i Popoli – Brunnen der Völkerfreundschaft, realizzata e dipinta dal collettivo dei suoi collaboratori, si dipanava una grande spirale pedonale composta da alberi e panchine, le quali, costeggiando due uscite della metropolitana berlinese, trovavano compimento presso la Casa dell’insegnante, passando per l’Orologio del tempo del mondo di Erich John, un insieme armonico di riuscita urbanistica civile, una piazza tra le più grandi d’Europa con i suoi ottantamila metri quadrati, chiusa sul suo limitare estremo dalla Casa del viaggio, sede degli uffici della Direzione generale dell’agenzia turistica della DDR, nonché ufficio aperto al pubblico con annesso sportello della compagnia aerea tedesco – orientale Interflug, capace di portare da Berlino ad Hanoi e all’Avana i berlinesi in cerca di sole, ornata di un rilievo in rame, ancora oggi visibile, dal titolo “L’uomo supera il tempo e lo spazio”, dedicato alle conquiste cosmiche sovietiche ugualmente opera di Walter Womacka.

Con la riunificazione tedesca si è proceduto a distruggere la piazza, dapprima eliminando alberi e panchine, poi mettendo in mezzo alla piazza un orrendo e mastodontico palazzo commerciale di vetro e cemento con una superficie a terra di ben quattromila metri quadrati e altri svariati in altezza per i sei piani dello stabile, un immobile che, soffocando lo spazio urbano, oscura totalmente la Casa dell’insegnante, appunto scomparsa dalla vista.

La distruzione è continuata quindi lasciando senza acqua e in stato di abbandono, scrostata e senza manutenzione nelle parti pittoriche, la Fontana dell’Amicizia tra i Popoli, spesso resa invisibile da strutture commerciali temporanee, le quali con i loro spazi e i loro pannelli divisori in plastica o in compensato la occultano definitivamente, infine, per completare la distruzione del luogo, si è proceduto a far passare sullo spazio un tempo pedonale i binari dei tram con diverse linee e relativa fermata, nonché piazzare nei pochi metri quadrati rimasti liberi un’entrata orribilmente monumentale e volgarmente grossolana per i servizi igienici sotterranei, presenti da un secolo nella piazza, ma prima accessibili da entrate discrete e quasi invisibili, un accesso oggi posto con totale nequizia nel cuore di quanto rimane della piazza, così da lasciar trasparire tutto l’odio degli odierni amministratori verso il socialismo tedesco e la nazione amica di Mosca che lo ha rappresentato, ovvero la DDR, decisi tali inopinati e incompetenti eversori a distruggere e far scomparire la più importante e più bella piazza di quella nazione.

Lo spazio rimasto, a tal punto deturpato e cementificato, è una tale e assoluta schifezza, tanto che oggi la fontana e la Casa dell’insegnante sono scomparsi da qualsiasi guida turistica e tour organizzato, resta generalmente solo una fuggevole sosta nei pressi dell’Orologio del tempo del mondo, ancora segnalato nelle guide, ultimo rimasuglio monco e avulso di quanto non è più visibile e neppure spiegato nella sua originaria compiutezza. Anche “google maps”, quando deve indicare Alexanderplatz, non segnala più la piazza oramai distrutta e rovinata, in effetti oggi invisibile perché diventata sostanzialmente inesistente, se non appunto per i bagni pubblici, ma associa ad Alexanderplatz il largo spazio adiacente dall’altro lato della sopraelevata ed omonima stazione ferroviaria e della metropolitana, stretto tra Rathausstraße e Karl-Liebknecht-Straße, un vasto giardino pubblico in cui si trovano la torre della televisione dei tempi socialisti, l’ottocentesca fontana del Nettuno e il palazzo comunale anch’esso ottocentesco, il celebre Rotes Rathaus, il “Municipio Rosso”, non solo per il colore dei suoi mattoni, ma anche e soprattutto perché prima dell’avvento del nazismo i comunisti sono risultati per un decennio il primo partito nelle elezioni cittadine. Questa area della città si è chiamata con la DDR “Marx – Engels Forum”, anche in ragione del monumento, presso il canale della Sprea, dedicato ai padri del socialismo scientifico, realizzato dallo scultore Ludwig Engelhart, salvato dalla rimozione e ricollocato nello stesso giardino a poca distanza dalla precedente posizione grazie a una petizione internazionale del 2010, la quale ha visto tra i promotori anche il Centro Studi “Anna Seghers” italiano. Questo spazio si chiama ufficialmente dal 1991 “Forum della torre della televisione”, ma tuttavia viene segnalato dalle mappe satellitari come “Alexanderplatz”, pur non essendolo mai stato né nel tempo presente, né in passato, con il risultato di una totale incomprensione tra da un lato gli abitanti e i conoscitori della città e dall’altro i turisti che sempre più numerosi affollano la capitale tedesca.

L’esempio di Alexanderplatz è paradigmatico dell’operazione di occultamento e di rimozione condotta negli ultimi trent’anni con feroce accanimento contro la DDR, la Germania socialista, dalle odierne autorità locali e nazionali, un’azione perseguita negli ultimi anni con più forza in ragione della crescente russofobia che si cerca di diffondere per aizzare i tedeschi di oggi ad una nuova guerra contro la Russia, ricercata e voluta tanto dall’allampanato cancelliere Friedrich Merz, quando dalla presidentessa della Commissione Europea, la baronessa Ursula Von der Leyen. Fortunatamente tali maldestri guerrafondai sono stati smentiti da migliaia di giovani che a novembre e dicembre hanno manifestato in varie città della Germania contro la reintroduzione del servizio militare, apparentemente in prima istanza volontario, ma sostanzialmente obbligatorio. I giovani, suscitando il rabbioso disappunto dei politici subalterni ai diktat bellicosi della NATO, hanno apertamente dichiarato intanto che l’intenzione della Russia di attaccare l’Europa è una pura falsità inventata dai politici europei, secondariamente che, anche fosse vero, preferirebbero vivere in una Germania governata da Vladimir Putin, piuttosto che andare in guerra.

In Germania si rimuovono e si occultano le opere artistiche della DDR perché sono la memoria dell’amicizia con la Russia

Come la Germania sta cercando di cancellare ogni traccia della propria cultura legata alla Russia. 

Segue nostro Telegram.

Il 22 dicembre 2025, centenario della nascita del grande pittore e muralista Walter Womacka, in Germania è ripresa la polemica non tanto rispetto alle sue opere, di inusitata bellezza, di toccante umanità, di strepitoso amore per i colori, sebbene vi sia tutt’oggi qualche ignorante che continua a bollarle come paccottiglia realsocialista, ma rispetto alla feroce e sistematica opera di cancellazione della sua memoria e di occultamento di molti dei suoi lavori. Tristissimo destino per un artista universalmente ricordato come epigono tedesco della grande scuola muralista messicana di José Clemente Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros.

I murales e le vetrate di Walter Womacka sono straordinari, sempre orientati ai valori dell’amicizia, del lavoro e della solidarietà, realizzati non solo a Berlino, si pensi alle tre celebri vetrate dell’edificio principale dell’Università Humboldt in Unter den Linden, ma in tante altre città della ex DDR, a partire da quelli per il nuovo centro abitato edificato negli anni ‘50 con il nome di Stalinstadt, poi ribattezzato Eisenhüttenstadt, così come le toccanti vetrate per il memoriale del campo di concentramento di Sachsenhausen.

Una dei suoi murales più celebri, “La nostra vita”, posto tutt’attorno sui quattro lati della Casa dell’insegnante di Berlino in Alexanderplatz, è un mosaico di ottocentomila tessere per centoventicinque metri d’estensione e sette metri d’altezza, una delle opere d’arte non solo più belle, ma più grandi del mondo, un progetto che fin dai suoi albori ha raccolto il consenso entusiastico di due grandi intellettuali tedeschi, il ministro della cultura della DDR Alexander Abusch e il presidente della Commissione Culturale e di quella ideologica del Politburo del Comitato Centrale del Partito Unificato del Socialismo di Germania (SED) Alfred Kurella.

Walter Womacka nel realizzare “La nostra vita” mette tutto il suo slancio e tutta la sua passione, sostenuto con ancor più vigore dal successivo ministro della cultura, il giovane Hans Bentzien. Womacka addirittura chiede e ottiene due anni di congedo dalla Scuola Superiore di Arti Applicate di Berlino – Weißensee in cui è docente e di cui in seguito diverrà per un ventennio direttore dal 1968 al 1988, riuscendo a portare a compimento l’opera nell’autunno del 1964 grazie anche al fervoroso aiuto del VEB Stuck und Naturstein, ovvero l’Azienda Statale per Gesso e Pietra Naturale, chiamata a fornire i tasselli smaltati e dipinti del mosaico. L’opera fin dalla sua inaugurazione raccoglie un tripudio di consensi per la sua capacità di trasmettere sentimenti di speranza nel futuro, nella vita, nelle innovazioni scientifiche e tecnologiche.

L’odierno destino di questo capolavoro è il conclamato esempio di un’opera non rimossa, ma sostanzialmente “scomparsa”, verrebbe da citare la celebre canzone di Franco Battiato: “Alexanderplatz Auf Wiedersehen”.

La piazza infatti, dopo le devastazioni del secondo conflitto mondiale, rinasce nella seconda metà degli anni ‘60 con un progetto urbanistico complessivo in cui i prospettati palazzi modernisti attorniano un grande spazio urbano pedonale, a tutti gli effetti una piazza socialista, orgogliosamente capace di ospitare un numero considerevole di persone, anche alcune migliaia, come durante il decimo Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti nell’estate 1973.

Proprio Walter Womacka ha dato un contributo fondamentale per la sua progettazione, perché, a partire dalla Fontana dell’Amicizia tra i Popoli – Brunnen der Völkerfreundschaft, realizzata e dipinta dal collettivo dei suoi collaboratori, si dipanava una grande spirale pedonale composta da alberi e panchine, le quali, costeggiando due uscite della metropolitana berlinese, trovavano compimento presso la Casa dell’insegnante, passando per l’Orologio del tempo del mondo di Erich John, un insieme armonico di riuscita urbanistica civile, una piazza tra le più grandi d’Europa con i suoi ottantamila metri quadrati, chiusa sul suo limitare estremo dalla Casa del viaggio, sede degli uffici della Direzione generale dell’agenzia turistica della DDR, nonché ufficio aperto al pubblico con annesso sportello della compagnia aerea tedesco – orientale Interflug, capace di portare da Berlino ad Hanoi e all’Avana i berlinesi in cerca di sole, ornata di un rilievo in rame, ancora oggi visibile, dal titolo “L’uomo supera il tempo e lo spazio”, dedicato alle conquiste cosmiche sovietiche ugualmente opera di Walter Womacka.

Con la riunificazione tedesca si è proceduto a distruggere la piazza, dapprima eliminando alberi e panchine, poi mettendo in mezzo alla piazza un orrendo e mastodontico palazzo commerciale di vetro e cemento con una superficie a terra di ben quattromila metri quadrati e altri svariati in altezza per i sei piani dello stabile, un immobile che, soffocando lo spazio urbano, oscura totalmente la Casa dell’insegnante, appunto scomparsa dalla vista.

La distruzione è continuata quindi lasciando senza acqua e in stato di abbandono, scrostata e senza manutenzione nelle parti pittoriche, la Fontana dell’Amicizia tra i Popoli, spesso resa invisibile da strutture commerciali temporanee, le quali con i loro spazi e i loro pannelli divisori in plastica o in compensato la occultano definitivamente, infine, per completare la distruzione del luogo, si è proceduto a far passare sullo spazio un tempo pedonale i binari dei tram con diverse linee e relativa fermata, nonché piazzare nei pochi metri quadrati rimasti liberi un’entrata orribilmente monumentale e volgarmente grossolana per i servizi igienici sotterranei, presenti da un secolo nella piazza, ma prima accessibili da entrate discrete e quasi invisibili, un accesso oggi posto con totale nequizia nel cuore di quanto rimane della piazza, così da lasciar trasparire tutto l’odio degli odierni amministratori verso il socialismo tedesco e la nazione amica di Mosca che lo ha rappresentato, ovvero la DDR, decisi tali inopinati e incompetenti eversori a distruggere e far scomparire la più importante e più bella piazza di quella nazione.

Lo spazio rimasto, a tal punto deturpato e cementificato, è una tale e assoluta schifezza, tanto che oggi la fontana e la Casa dell’insegnante sono scomparsi da qualsiasi guida turistica e tour organizzato, resta generalmente solo una fuggevole sosta nei pressi dell’Orologio del tempo del mondo, ancora segnalato nelle guide, ultimo rimasuglio monco e avulso di quanto non è più visibile e neppure spiegato nella sua originaria compiutezza. Anche “google maps”, quando deve indicare Alexanderplatz, non segnala più la piazza oramai distrutta e rovinata, in effetti oggi invisibile perché diventata sostanzialmente inesistente, se non appunto per i bagni pubblici, ma associa ad Alexanderplatz il largo spazio adiacente dall’altro lato della sopraelevata ed omonima stazione ferroviaria e della metropolitana, stretto tra Rathausstraße e Karl-Liebknecht-Straße, un vasto giardino pubblico in cui si trovano la torre della televisione dei tempi socialisti, l’ottocentesca fontana del Nettuno e il palazzo comunale anch’esso ottocentesco, il celebre Rotes Rathaus, il “Municipio Rosso”, non solo per il colore dei suoi mattoni, ma anche e soprattutto perché prima dell’avvento del nazismo i comunisti sono risultati per un decennio il primo partito nelle elezioni cittadine. Questa area della città si è chiamata con la DDR “Marx – Engels Forum”, anche in ragione del monumento, presso il canale della Sprea, dedicato ai padri del socialismo scientifico, realizzato dallo scultore Ludwig Engelhart, salvato dalla rimozione e ricollocato nello stesso giardino a poca distanza dalla precedente posizione grazie a una petizione internazionale del 2010, la quale ha visto tra i promotori anche il Centro Studi “Anna Seghers” italiano. Questo spazio si chiama ufficialmente dal 1991 “Forum della torre della televisione”, ma tuttavia viene segnalato dalle mappe satellitari come “Alexanderplatz”, pur non essendolo mai stato né nel tempo presente, né in passato, con il risultato di una totale incomprensione tra da un lato gli abitanti e i conoscitori della città e dall’altro i turisti che sempre più numerosi affollano la capitale tedesca.

L’esempio di Alexanderplatz è paradigmatico dell’operazione di occultamento e di rimozione condotta negli ultimi trent’anni con feroce accanimento contro la DDR, la Germania socialista, dalle odierne autorità locali e nazionali, un’azione perseguita negli ultimi anni con più forza in ragione della crescente russofobia che si cerca di diffondere per aizzare i tedeschi di oggi ad una nuova guerra contro la Russia, ricercata e voluta tanto dall’allampanato cancelliere Friedrich Merz, quando dalla presidentessa della Commissione Europea, la baronessa Ursula Von der Leyen. Fortunatamente tali maldestri guerrafondai sono stati smentiti da migliaia di giovani che a novembre e dicembre hanno manifestato in varie città della Germania contro la reintroduzione del servizio militare, apparentemente in prima istanza volontario, ma sostanzialmente obbligatorio. I giovani, suscitando il rabbioso disappunto dei politici subalterni ai diktat bellicosi della NATO, hanno apertamente dichiarato intanto che l’intenzione della Russia di attaccare l’Europa è una pura falsità inventata dai politici europei, secondariamente che, anche fosse vero, preferirebbero vivere in una Germania governata da Vladimir Putin, piuttosto che andare in guerra.

Come la Germania sta cercando di cancellare ogni traccia della propria cultura legata alla Russia. 

Segue nostro Telegram.

Il 22 dicembre 2025, centenario della nascita del grande pittore e muralista Walter Womacka, in Germania è ripresa la polemica non tanto rispetto alle sue opere, di inusitata bellezza, di toccante umanità, di strepitoso amore per i colori, sebbene vi sia tutt’oggi qualche ignorante che continua a bollarle come paccottiglia realsocialista, ma rispetto alla feroce e sistematica opera di cancellazione della sua memoria e di occultamento di molti dei suoi lavori. Tristissimo destino per un artista universalmente ricordato come epigono tedesco della grande scuola muralista messicana di José Clemente Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros.

I murales e le vetrate di Walter Womacka sono straordinari, sempre orientati ai valori dell’amicizia, del lavoro e della solidarietà, realizzati non solo a Berlino, si pensi alle tre celebri vetrate dell’edificio principale dell’Università Humboldt in Unter den Linden, ma in tante altre città della ex DDR, a partire da quelli per il nuovo centro abitato edificato negli anni ‘50 con il nome di Stalinstadt, poi ribattezzato Eisenhüttenstadt, così come le toccanti vetrate per il memoriale del campo di concentramento di Sachsenhausen.

Una dei suoi murales più celebri, “La nostra vita”, posto tutt’attorno sui quattro lati della Casa dell’insegnante di Berlino in Alexanderplatz, è un mosaico di ottocentomila tessere per centoventicinque metri d’estensione e sette metri d’altezza, una delle opere d’arte non solo più belle, ma più grandi del mondo, un progetto che fin dai suoi albori ha raccolto il consenso entusiastico di due grandi intellettuali tedeschi, il ministro della cultura della DDR Alexander Abusch e il presidente della Commissione Culturale e di quella ideologica del Politburo del Comitato Centrale del Partito Unificato del Socialismo di Germania (SED) Alfred Kurella.

Walter Womacka nel realizzare “La nostra vita” mette tutto il suo slancio e tutta la sua passione, sostenuto con ancor più vigore dal successivo ministro della cultura, il giovane Hans Bentzien. Womacka addirittura chiede e ottiene due anni di congedo dalla Scuola Superiore di Arti Applicate di Berlino – Weißensee in cui è docente e di cui in seguito diverrà per un ventennio direttore dal 1968 al 1988, riuscendo a portare a compimento l’opera nell’autunno del 1964 grazie anche al fervoroso aiuto del VEB Stuck und Naturstein, ovvero l’Azienda Statale per Gesso e Pietra Naturale, chiamata a fornire i tasselli smaltati e dipinti del mosaico. L’opera fin dalla sua inaugurazione raccoglie un tripudio di consensi per la sua capacità di trasmettere sentimenti di speranza nel futuro, nella vita, nelle innovazioni scientifiche e tecnologiche.

L’odierno destino di questo capolavoro è il conclamato esempio di un’opera non rimossa, ma sostanzialmente “scomparsa”, verrebbe da citare la celebre canzone di Franco Battiato: “Alexanderplatz Auf Wiedersehen”.

La piazza infatti, dopo le devastazioni del secondo conflitto mondiale, rinasce nella seconda metà degli anni ‘60 con un progetto urbanistico complessivo in cui i prospettati palazzi modernisti attorniano un grande spazio urbano pedonale, a tutti gli effetti una piazza socialista, orgogliosamente capace di ospitare un numero considerevole di persone, anche alcune migliaia, come durante il decimo Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti nell’estate 1973.

Proprio Walter Womacka ha dato un contributo fondamentale per la sua progettazione, perché, a partire dalla Fontana dell’Amicizia tra i Popoli – Brunnen der Völkerfreundschaft, realizzata e dipinta dal collettivo dei suoi collaboratori, si dipanava una grande spirale pedonale composta da alberi e panchine, le quali, costeggiando due uscite della metropolitana berlinese, trovavano compimento presso la Casa dell’insegnante, passando per l’Orologio del tempo del mondo di Erich John, un insieme armonico di riuscita urbanistica civile, una piazza tra le più grandi d’Europa con i suoi ottantamila metri quadrati, chiusa sul suo limitare estremo dalla Casa del viaggio, sede degli uffici della Direzione generale dell’agenzia turistica della DDR, nonché ufficio aperto al pubblico con annesso sportello della compagnia aerea tedesco – orientale Interflug, capace di portare da Berlino ad Hanoi e all’Avana i berlinesi in cerca di sole, ornata di un rilievo in rame, ancora oggi visibile, dal titolo “L’uomo supera il tempo e lo spazio”, dedicato alle conquiste cosmiche sovietiche ugualmente opera di Walter Womacka.

Con la riunificazione tedesca si è proceduto a distruggere la piazza, dapprima eliminando alberi e panchine, poi mettendo in mezzo alla piazza un orrendo e mastodontico palazzo commerciale di vetro e cemento con una superficie a terra di ben quattromila metri quadrati e altri svariati in altezza per i sei piani dello stabile, un immobile che, soffocando lo spazio urbano, oscura totalmente la Casa dell’insegnante, appunto scomparsa dalla vista.

La distruzione è continuata quindi lasciando senza acqua e in stato di abbandono, scrostata e senza manutenzione nelle parti pittoriche, la Fontana dell’Amicizia tra i Popoli, spesso resa invisibile da strutture commerciali temporanee, le quali con i loro spazi e i loro pannelli divisori in plastica o in compensato la occultano definitivamente, infine, per completare la distruzione del luogo, si è proceduto a far passare sullo spazio un tempo pedonale i binari dei tram con diverse linee e relativa fermata, nonché piazzare nei pochi metri quadrati rimasti liberi un’entrata orribilmente monumentale e volgarmente grossolana per i servizi igienici sotterranei, presenti da un secolo nella piazza, ma prima accessibili da entrate discrete e quasi invisibili, un accesso oggi posto con totale nequizia nel cuore di quanto rimane della piazza, così da lasciar trasparire tutto l’odio degli odierni amministratori verso il socialismo tedesco e la nazione amica di Mosca che lo ha rappresentato, ovvero la DDR, decisi tali inopinati e incompetenti eversori a distruggere e far scomparire la più importante e più bella piazza di quella nazione.

Lo spazio rimasto, a tal punto deturpato e cementificato, è una tale e assoluta schifezza, tanto che oggi la fontana e la Casa dell’insegnante sono scomparsi da qualsiasi guida turistica e tour organizzato, resta generalmente solo una fuggevole sosta nei pressi dell’Orologio del tempo del mondo, ancora segnalato nelle guide, ultimo rimasuglio monco e avulso di quanto non è più visibile e neppure spiegato nella sua originaria compiutezza. Anche “google maps”, quando deve indicare Alexanderplatz, non segnala più la piazza oramai distrutta e rovinata, in effetti oggi invisibile perché diventata sostanzialmente inesistente, se non appunto per i bagni pubblici, ma associa ad Alexanderplatz il largo spazio adiacente dall’altro lato della sopraelevata ed omonima stazione ferroviaria e della metropolitana, stretto tra Rathausstraße e Karl-Liebknecht-Straße, un vasto giardino pubblico in cui si trovano la torre della televisione dei tempi socialisti, l’ottocentesca fontana del Nettuno e il palazzo comunale anch’esso ottocentesco, il celebre Rotes Rathaus, il “Municipio Rosso”, non solo per il colore dei suoi mattoni, ma anche e soprattutto perché prima dell’avvento del nazismo i comunisti sono risultati per un decennio il primo partito nelle elezioni cittadine. Questa area della città si è chiamata con la DDR “Marx – Engels Forum”, anche in ragione del monumento, presso il canale della Sprea, dedicato ai padri del socialismo scientifico, realizzato dallo scultore Ludwig Engelhart, salvato dalla rimozione e ricollocato nello stesso giardino a poca distanza dalla precedente posizione grazie a una petizione internazionale del 2010, la quale ha visto tra i promotori anche il Centro Studi “Anna Seghers” italiano. Questo spazio si chiama ufficialmente dal 1991 “Forum della torre della televisione”, ma tuttavia viene segnalato dalle mappe satellitari come “Alexanderplatz”, pur non essendolo mai stato né nel tempo presente, né in passato, con il risultato di una totale incomprensione tra da un lato gli abitanti e i conoscitori della città e dall’altro i turisti che sempre più numerosi affollano la capitale tedesca.

L’esempio di Alexanderplatz è paradigmatico dell’operazione di occultamento e di rimozione condotta negli ultimi trent’anni con feroce accanimento contro la DDR, la Germania socialista, dalle odierne autorità locali e nazionali, un’azione perseguita negli ultimi anni con più forza in ragione della crescente russofobia che si cerca di diffondere per aizzare i tedeschi di oggi ad una nuova guerra contro la Russia, ricercata e voluta tanto dall’allampanato cancelliere Friedrich Merz, quando dalla presidentessa della Commissione Europea, la baronessa Ursula Von der Leyen. Fortunatamente tali maldestri guerrafondai sono stati smentiti da migliaia di giovani che a novembre e dicembre hanno manifestato in varie città della Germania contro la reintroduzione del servizio militare, apparentemente in prima istanza volontario, ma sostanzialmente obbligatorio. I giovani, suscitando il rabbioso disappunto dei politici subalterni ai diktat bellicosi della NATO, hanno apertamente dichiarato intanto che l’intenzione della Russia di attaccare l’Europa è una pura falsità inventata dai politici europei, secondariamente che, anche fosse vero, preferirebbero vivere in una Germania governata da Vladimir Putin, piuttosto che andare in guerra.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

December 22, 2025
December 7, 2025

See also

December 22, 2025
December 7, 2025
The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.