In Cina si manifesta la Maggioranza Globale decisa a promuovere un nuovo ordine mondiale solidale e multipolare
La Cina Popolare guida insieme alla Russia da un ventennio la costruzione del campo multipolare, raccogliendo vastissime adesioni tra le nazioni del Sud Globale, come ha spiegato lo stesso presidente Xi Jinping, con accenti ribaditi in Cina anche dagli interventi del presidente Vladimir Putin. È di fatto la Maggioranza Globale, capace di coinvolgere un numero sempre crescente di nazioni, spesso i tre quarti, cento cinquanta su duecento di quelle che siedono e votano alle Nazioni Unite, coinvolgendo un numero crescente di Stati in organismi di più stretta cooperazione e collaborazione, come i BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che già nella sua riunione fondativa del 2001 delineava il solco di un comune cammino di cooperazione e collaborazione rivolto non solo agli allora partecipanti, ma di più largo respiro, inteso a coinvolgere l’intera umanità.
Tutto questo allora nell’indifferenza e nell’incomprensione dell’Occidente Collettivo, oggi a tutti gli effetti Minoranza Globale, in costante declino e autoreferenzialmente costretto ad autoproclamarsi capace di una rappresentazione globale che al contrario non gli è più possibile, avendo ristretto il proprio campo di rilevanza alle nazioni NATO e a sparuti alleati negli altri continenti.
Il 1° settembre 2025 presso il Meijiang Convention and Exhibition Center di Tianjin, il presidente Xi Jinping ha presieduto la riunione plenaria della 25° riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e nel suo discorso ha pronunciato un importante discorso dedicato esplicitamente fin dal titolo alla governance globale.
Le parole di XI Jinping meritano di essere riportare ampiamente per chiarire la portata della riflessione che pone la Maggioranza Globale nella piena condizione di poter essere la guida in questo XXI secolo della costruzione di un nuovo ordine mondiale.
In primo luogo Xi Jinping ha sostenuto l’uguaglianza sovrana, insistendo affinché tutte le nazioni, indipendentemente da dimensioni, forza, povertà o ricchezza, abbiano pari partecipazione, pari potere decisionale e pari benefici nella governance globale, promuovendo la democratizzazione delle relazioni internazionali e rafforzando la rappresentanza e la voce dei paesi del Sud Globale.
In secondo luogo ha evidenziato la necessità di rispettare lo stato di diritto internazionale e le norme fondamentali universalmente riconosciute delle relazioni internazionali, come gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, garantendo l’applicazione equa e uniforme del diritto internazionale e delle norme internazionali, astenendosi, come avvenuto dal 1945 da ingerenze, come quelle statunitensi, a difesa di un dominio particolare e sostanzialmente unipolare, latore di “doppi standard” o peggio pensato per “esportare la democrazia”, ovvero mascherando dietro queste parole un progetto evidente di subordinazione di nazioni terze.
Quindi praticare il multipolarismo, aderendo al concetto di governance globale basata su ampie consultazioni, contributi congiunti e benefici condivisi, rafforzando la solidarietà e la cooperazione, opponendosi all’unilateralismo e de facto all’unipolarismo imperialista di matrice occidentale, salvaguardando fermamente lo status e l’autorità delle Nazioni Unite, che in ogni caso vanno riformate, rivedendo efficacemente il ruolo insostituibile e importante delle Nazioni Unite nella governance globale.
In quarto luogo ecco la promozione di un approccio incentrato sulle persone, riformando e migliorando il sistema di governance globale per garantire che le donne e gli uomini di tutta la terra partecipino alla governance globale e condividano i frutti della governance globale, rispondano meglio alle sfide comuni che la società umana si trova ad affrontare, colmino meglio il divario di sviluppo Nord-Sud e salvaguardino meglio gli interessi comuni di tutti i paesi del mondo, in un richiamo, chissà quanto volontario o involontario alle riflessioni novecentesche del Movimento dei Non Allineati, promosso da Josif Broz Tito, Gamal Abdel Nasser e Fidel Castro.
In ultima istanza agire per costruire una pianificazione sistematica volta al progresso complessivo, coordinando le azioni globali, mobilitando pienamente le risorse di tutte le parti, creando risultati più visibili ed evitando ritardi nella governance, insomma una cooperazione pragmatica e planetaria che prenda spunto dalla capacità tutta marxista dei cinesi di promuovere sviluppo e benessere con una attenta analisi dei bisogni sociali e delle possibilità di soddisfarli, non sarà un caso che vi sia nei media cinesi una forte enfasi da mesi rispetto all’elaborazione del nuovo Piano Quinquennale, termine che tra gli occidentali potrebbe forse suscitare qualche sorriso per riminiscenze legate al tempo sovietico, confondendo gli errori dell’ultima stagione cruscioviano – brezneviana, per non dire dell’ancor peggiore gorbacioviana, con la costante implementazione delle forze produttive e la conseguente ridistribuzione della ricchezza operata nella Cina Popolare grazie a Deng Xiaoping.
Per altro il 3 settembre Xi Jinping ha presieduto in piazza Tien An Men a Pechino la straordinaria parata per la celebrazione dell’’80° anniversario della Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, che i cinesi chiamano Guerra Mondiale Antifascista, anche in questo caso con una sottolineatura fondamentale di come l’antifascismo, da Mosca a Pechino, resti qualcosa di molto serio e rispettato, non un fenomeno da burletta, come tragicamente ridotto in larga parte dell’Occidente Collettivo.
In un secondo conflitto mondiale che non ha assolutamente avuto inizio nel 1939 a Danzica, ma che data il suo deflagrare almeno da un biennio prima, se non addirittura dagli albori degli anni ‘30 del Novecento, partendo dalle azioni aggressive in Asia contro in particolare Mongolia e Cina da parte dell’imperialismo nipponico alleato del nazifascismo, il contributo cinese è stato il secondo per rilevanza di tutta la guerra, se infatti ventisette milioni sono stati i caduti civili, partigiani e soldatesse e soldati dell’Armata Rossa sovietica, ben venti milioni sono stati i caduti cinesi. Le due nazioni insieme, Russia e Cina, hanno dato il maggiore contributo umano per la libertà del mondo, una realtà dimenticata o peggio spesso volutamente occultata in Occidente.
Il 3 settembre sul “Renmin Ribao”, ovvero il “Quotidiano del Popolo”, è campeggiata una foto che ritrae Vladimr Putin e Xi Jinping insieme al presidente mongolo Ukhnaagiin Khürelsükh, non un caso, la Mongolia, seconda nazione socialista della storia, essendo diventata una Repubblica Popolare nel 1924, con allora ottocento mila abitanti, ha offerto un contributo pari al 10% della sua popolazione, ottanta mila combattenti, schieratisi al fianco dell’Armata Rossa fino a Berlino, di più, il contributo logistico di viveri e vestiario offerto allora dalla Mongolia di Horloogijn Čojbalsan e Yumjaagiin Tsedenbal è stato, anche se in questo caso pochi lo ricordano, superiore a quello statunitense via Artico.
Proprio il tema della Guerra Mondiale Antifascista è stato l’occasione per il presidente XI Jinping per rinnovare l’impegno esplicito della Cina con tutte le nazioni interessate a promuovere la costruzione di un sistema di governance globale più giusto ed equo, procedendo congiuntamente verso una comunità con un futuro condiviso per l’umanità.
Moltissime le presenze di capi stato e di governo da tutto il mondo a Tianjin e a Pechino, tanto all’incontro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, quanto per l’evento celebrativo della capitolazione nipponica e la fine del secondo conflitto mondiale. Tra i partecipanti figurano il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian che ha tenuto un rilevante e applauditissimo intervento a difesa del popolo palestinese e al suo diritto di vivere in pace e scegliere in libere elezioni il suo destino politico, quindi i presidenti dell’Asia Centrale, il kazako Kassym-Jomart Tokayev, il kirghiso Sadyr Japarov, il tagiko Emomali Rahmon, l’uzbeko Shavkat Mirziyoyev, il turkmeno Serdar Berdimuhamedov, rilevantissima la presenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ogni giorno più chiaramente dimostra di orientarsi verso il multipolarismo, quindi il primo ministro cambogiano Hun Manet, il segretario generale del Comitato centrale del Partito Rivoluzionario Popolare Laotiano e presidente Thongloun Sisoulith, il presidente facente funzioni del Myanmar Min Aung Hlaing, il primo ministro nepalese Sharif Oli, il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly, il primo ministro della Malesia Anwar Ibrahim e il primo ministro del Vietnam Pham Minh Chinh, questi ultimi due onorati con tanto di fotografia in prima pagina sul “Quotidiano del Popolo”.
Fondamentale la presenza del primo ministro pakistano Mian Muhammad Shehbaz Sharif, in prima pagina sul “Quotidiano del Popolo” il 1° settembre e a pagina due il 3 settembre, a segno dell’importanza riconosciuta dalla Cina ai pakistani, molto più che agli indiani, pur presenti almeno a Tianjin per la riunione plenaria della 25° riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai con il primo ministro Nerendra Modi, tuttavia mai comparsi in prima pagina nei giorni interessati sul quotidiano del Partito Comunista Cinese. Di più, se al presidente russo Vladimir Putin è stata dedicata dal governo cinese quasi l’interezza della giornata del 2 settembre per un approfondito bilaterale, è stata un’immagine di fondamentale capacità comunicativa quella del quartetto che ha aperto le autorità mondiali presenti per la parata di Pechino, guidate da Xi Jinping, Vladimir Putin, dal presidente coreano – popolare Kim Jong Un e ancora una volta dal primo ministro pakistano, a segno di una scelta e di una alleanza che paiono decisamente espliciti, così come la presenza al fianco di questi del presidente indonesiano Prabowo Subianto.
L’appello per la pace emerso in Cina in questi giorni, la chiarezza della definizione della Maggioranza Globale, tutto induce ad auspicare per il cammino di questo secolo una strada diversa dal violento tentativo della NATO di mantenere un primato che appare già superato da quanto emerso in questi giorni di Tianjin e di Pechino.