Italiano
Lorenzo Maria Pacini
August 17, 2025
© Photo: Public domain

Ne avevamo già parlato tempo fa, qui su Strategic Culture, e ancora oggi dobbiamo parlarne, ma stavolta con sviluppi decisamente dal tono peggiorativo.

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Un iniquo disegno di legge

Da alcuni giorni, nella casella di posta dei tecnici di Palazzo Chigi è arrivata la bozza di un decreto destinato a suscitare dibattito, sia all’interno del governo che all’esterno, una volta terminata la pausa estiva. Il testo interviene sulla struttura del ministero della Difesa, modifica le procedure per la nomina dei vertici militari e, soprattutto, tocca un ambito politicamente sensibile su cui da tempo è aperta una competizione tra diversi apparati dello Stato: la cybersicurezza. Si tratta, in concreto, dell’accesso ai dati sensibili di centinaia di amministrazioni pubbliche, aziende partecipate e imprese private considerate strategiche per l’Italia.

Il tema è già molto, molto delicato e dibattuto: c’è un confine sottilissimo che intercorre fra libertà e controllo dispotico, fra sicurezza nazionale e privacy. Il tutto viene reso ancor più fosco con la pervasività delle IA e dei nuovi sistemi di connessione.

La stampa italiana in questi giorni sostiene che all’interno della bozza sia presente un articolo dall’apparenza tecnica, ma dal contenuto estremamente concreto: conferire al ministero guidato da Guido Crosetto la facoltà di consultare gli elenchi dei soggetti inclusi nel cosiddetto “perimetro di sicurezza cibernetica”, un insieme di centinaia di entità protette da un elenco riservato.

Queste realtà, tra cui figurano società partecipate operanti nei settori della difesa e dell’economia, godono di protezione speciale poiché esposte a rischi significativi. Sono obbligate a mantenere standard elevatissimi di sicurezza informatica, blindando l’accesso ai propri sistemi per impedire intrusioni informatiche che potrebbero provocare danni economici ingenti e la perdita di informazioni riservate appetibili a potenze straniere. La loro attività è coordinata con i servizi segreti italiani e con l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale; la mancata collaborazione comporta sanzioni severe.

Attualmente l’elenco è custodito da un numero ristretto di istituzioni: Palazzo Chigi, l’intelligence (Dis, Aise, Aisi) e il Viminale. La novità è che anche la Difesa rivendica ora la possibilità di monitorare direttamente il “perimetro cyber”. Per Crosetto e i vertici militari non è una pretesa formale, ma una “necessità”. Da mesi, infatti, l’Italia è coinvolta in una guerra informatica senza confini, intensificatasi in seguito al sostegno dichiarato dal governo Meloni all’Ucraina, che ha provocato un intensificarsi delle attività informatiche dall’estero.

In questo contesto, il ministro della Difesa rivendica un ruolo più incisivo del suo dicastero nella cybersicurezza, spiegando in Parlamento la necessità di presidiare e monitorare costantemente le minacce per contrastarle. L’ipotesi è inserire questa prerogativa nel nuovo decreto, una bozza che Palazzo Chigi precisa dovrà essere analizzata attentamente, anche dalla premier, trattandosi di materia sensibile che richiede un accordo politico. In poche parole, il ministro avrebbe il potere di decidere chi e come nominare, arrogandosi un potere che crea un disequilibrio fra i poteri dello Stato e persino con gli stessi vertici militari delle Forze Armate. Il decreto interviene anche sulla procedura di nomina dei vertici delle Forze Armate, prevedendo un accentramento decisionale: una commissione interforze composta da rappresentanti di Marina, Esercito e Aeronautica, integrata da un membro del gabinetto del ministro, sostituirebbe i singoli Stati Maggiori nelle scelte.

Non è la prima volta che il ministero della Difesa tenta questa mossa, già tentata in aprile ma non passata al vaglio parlamentare. È probabile che la questione torni calda in autunno, intrecciandosi con la rivalità tra Difesa e comparto Sicurezza, guidato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, e ampliandosi anche al campo dell’intelligenza artificiale.

Un’altra novità riguarda due proposte di legge, firmate dal deputato di Forza Italia Giorgio Mulè e dalla parlamentare di FdI Chiesa, che puntano a estendere ai militari impegnati in operazioni cyber – in particolare al Comando operazioni in rete (Cor) – le stesse “garanzie funzionali” oggi riconosciute agli agenti dei servizi segreti. In pratica, la possibilità di compiere azioni penalmente rilevanti senza incorrere in indagini durante operazioni delicate.

Ciò non si discosta affatto da quanto già previsto dalla nuova Legge Sicurezza, che ha ridefinito le gerarchie del potere in Italia, creando una forte tensione sociale che ancora non ha raggiunto l’apice, ed è anche in linea con le richieste della Commissione Europea in merito alla censura e al “contrasto alla falsa informazione”, come dicono loro, che in realtà mira a colpire chiunque non la pensi come deciso dal Governo o dai suoi superiori.

Il punto è proprio questo: aumenta l’accentramento del potere nelle mani di pochi, causando un ulteriore allontanamento della classe politica dai cittadini, e creando fratture in zone sensibili della complessità sociale che porteranno a dissidi e problemi interni, la cui eco ancora non è percepita, ma che molto presto giungerà alle orecchie di tutti.

La riforma italiana della cybersecurity e lo squilibrio di potere

Ne avevamo già parlato tempo fa, qui su Strategic Culture, e ancora oggi dobbiamo parlarne, ma stavolta con sviluppi decisamente dal tono peggiorativo.

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Un iniquo disegno di legge

Da alcuni giorni, nella casella di posta dei tecnici di Palazzo Chigi è arrivata la bozza di un decreto destinato a suscitare dibattito, sia all’interno del governo che all’esterno, una volta terminata la pausa estiva. Il testo interviene sulla struttura del ministero della Difesa, modifica le procedure per la nomina dei vertici militari e, soprattutto, tocca un ambito politicamente sensibile su cui da tempo è aperta una competizione tra diversi apparati dello Stato: la cybersicurezza. Si tratta, in concreto, dell’accesso ai dati sensibili di centinaia di amministrazioni pubbliche, aziende partecipate e imprese private considerate strategiche per l’Italia.

Il tema è già molto, molto delicato e dibattuto: c’è un confine sottilissimo che intercorre fra libertà e controllo dispotico, fra sicurezza nazionale e privacy. Il tutto viene reso ancor più fosco con la pervasività delle IA e dei nuovi sistemi di connessione.

La stampa italiana in questi giorni sostiene che all’interno della bozza sia presente un articolo dall’apparenza tecnica, ma dal contenuto estremamente concreto: conferire al ministero guidato da Guido Crosetto la facoltà di consultare gli elenchi dei soggetti inclusi nel cosiddetto “perimetro di sicurezza cibernetica”, un insieme di centinaia di entità protette da un elenco riservato.

Queste realtà, tra cui figurano società partecipate operanti nei settori della difesa e dell’economia, godono di protezione speciale poiché esposte a rischi significativi. Sono obbligate a mantenere standard elevatissimi di sicurezza informatica, blindando l’accesso ai propri sistemi per impedire intrusioni informatiche che potrebbero provocare danni economici ingenti e la perdita di informazioni riservate appetibili a potenze straniere. La loro attività è coordinata con i servizi segreti italiani e con l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale; la mancata collaborazione comporta sanzioni severe.

Attualmente l’elenco è custodito da un numero ristretto di istituzioni: Palazzo Chigi, l’intelligence (Dis, Aise, Aisi) e il Viminale. La novità è che anche la Difesa rivendica ora la possibilità di monitorare direttamente il “perimetro cyber”. Per Crosetto e i vertici militari non è una pretesa formale, ma una “necessità”. Da mesi, infatti, l’Italia è coinvolta in una guerra informatica senza confini, intensificatasi in seguito al sostegno dichiarato dal governo Meloni all’Ucraina, che ha provocato un intensificarsi delle attività informatiche dall’estero.

In questo contesto, il ministro della Difesa rivendica un ruolo più incisivo del suo dicastero nella cybersicurezza, spiegando in Parlamento la necessità di presidiare e monitorare costantemente le minacce per contrastarle. L’ipotesi è inserire questa prerogativa nel nuovo decreto, una bozza che Palazzo Chigi precisa dovrà essere analizzata attentamente, anche dalla premier, trattandosi di materia sensibile che richiede un accordo politico. In poche parole, il ministro avrebbe il potere di decidere chi e come nominare, arrogandosi un potere che crea un disequilibrio fra i poteri dello Stato e persino con gli stessi vertici militari delle Forze Armate. Il decreto interviene anche sulla procedura di nomina dei vertici delle Forze Armate, prevedendo un accentramento decisionale: una commissione interforze composta da rappresentanti di Marina, Esercito e Aeronautica, integrata da un membro del gabinetto del ministro, sostituirebbe i singoli Stati Maggiori nelle scelte.

Non è la prima volta che il ministero della Difesa tenta questa mossa, già tentata in aprile ma non passata al vaglio parlamentare. È probabile che la questione torni calda in autunno, intrecciandosi con la rivalità tra Difesa e comparto Sicurezza, guidato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, e ampliandosi anche al campo dell’intelligenza artificiale.

Un’altra novità riguarda due proposte di legge, firmate dal deputato di Forza Italia Giorgio Mulè e dalla parlamentare di FdI Chiesa, che puntano a estendere ai militari impegnati in operazioni cyber – in particolare al Comando operazioni in rete (Cor) – le stesse “garanzie funzionali” oggi riconosciute agli agenti dei servizi segreti. In pratica, la possibilità di compiere azioni penalmente rilevanti senza incorrere in indagini durante operazioni delicate.

Ciò non si discosta affatto da quanto già previsto dalla nuova Legge Sicurezza, che ha ridefinito le gerarchie del potere in Italia, creando una forte tensione sociale che ancora non ha raggiunto l’apice, ed è anche in linea con le richieste della Commissione Europea in merito alla censura e al “contrasto alla falsa informazione”, come dicono loro, che in realtà mira a colpire chiunque non la pensi come deciso dal Governo o dai suoi superiori.

Il punto è proprio questo: aumenta l’accentramento del potere nelle mani di pochi, causando un ulteriore allontanamento della classe politica dai cittadini, e creando fratture in zone sensibili della complessità sociale che porteranno a dissidi e problemi interni, la cui eco ancora non è percepita, ma che molto presto giungerà alle orecchie di tutti.

Ne avevamo già parlato tempo fa, qui su Strategic Culture, e ancora oggi dobbiamo parlarne, ma stavolta con sviluppi decisamente dal tono peggiorativo.

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Un iniquo disegno di legge

Da alcuni giorni, nella casella di posta dei tecnici di Palazzo Chigi è arrivata la bozza di un decreto destinato a suscitare dibattito, sia all’interno del governo che all’esterno, una volta terminata la pausa estiva. Il testo interviene sulla struttura del ministero della Difesa, modifica le procedure per la nomina dei vertici militari e, soprattutto, tocca un ambito politicamente sensibile su cui da tempo è aperta una competizione tra diversi apparati dello Stato: la cybersicurezza. Si tratta, in concreto, dell’accesso ai dati sensibili di centinaia di amministrazioni pubbliche, aziende partecipate e imprese private considerate strategiche per l’Italia.

Il tema è già molto, molto delicato e dibattuto: c’è un confine sottilissimo che intercorre fra libertà e controllo dispotico, fra sicurezza nazionale e privacy. Il tutto viene reso ancor più fosco con la pervasività delle IA e dei nuovi sistemi di connessione.

La stampa italiana in questi giorni sostiene che all’interno della bozza sia presente un articolo dall’apparenza tecnica, ma dal contenuto estremamente concreto: conferire al ministero guidato da Guido Crosetto la facoltà di consultare gli elenchi dei soggetti inclusi nel cosiddetto “perimetro di sicurezza cibernetica”, un insieme di centinaia di entità protette da un elenco riservato.

Queste realtà, tra cui figurano società partecipate operanti nei settori della difesa e dell’economia, godono di protezione speciale poiché esposte a rischi significativi. Sono obbligate a mantenere standard elevatissimi di sicurezza informatica, blindando l’accesso ai propri sistemi per impedire intrusioni informatiche che potrebbero provocare danni economici ingenti e la perdita di informazioni riservate appetibili a potenze straniere. La loro attività è coordinata con i servizi segreti italiani e con l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale; la mancata collaborazione comporta sanzioni severe.

Attualmente l’elenco è custodito da un numero ristretto di istituzioni: Palazzo Chigi, l’intelligence (Dis, Aise, Aisi) e il Viminale. La novità è che anche la Difesa rivendica ora la possibilità di monitorare direttamente il “perimetro cyber”. Per Crosetto e i vertici militari non è una pretesa formale, ma una “necessità”. Da mesi, infatti, l’Italia è coinvolta in una guerra informatica senza confini, intensificatasi in seguito al sostegno dichiarato dal governo Meloni all’Ucraina, che ha provocato un intensificarsi delle attività informatiche dall’estero.

In questo contesto, il ministro della Difesa rivendica un ruolo più incisivo del suo dicastero nella cybersicurezza, spiegando in Parlamento la necessità di presidiare e monitorare costantemente le minacce per contrastarle. L’ipotesi è inserire questa prerogativa nel nuovo decreto, una bozza che Palazzo Chigi precisa dovrà essere analizzata attentamente, anche dalla premier, trattandosi di materia sensibile che richiede un accordo politico. In poche parole, il ministro avrebbe il potere di decidere chi e come nominare, arrogandosi un potere che crea un disequilibrio fra i poteri dello Stato e persino con gli stessi vertici militari delle Forze Armate. Il decreto interviene anche sulla procedura di nomina dei vertici delle Forze Armate, prevedendo un accentramento decisionale: una commissione interforze composta da rappresentanti di Marina, Esercito e Aeronautica, integrata da un membro del gabinetto del ministro, sostituirebbe i singoli Stati Maggiori nelle scelte.

Non è la prima volta che il ministero della Difesa tenta questa mossa, già tentata in aprile ma non passata al vaglio parlamentare. È probabile che la questione torni calda in autunno, intrecciandosi con la rivalità tra Difesa e comparto Sicurezza, guidato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, e ampliandosi anche al campo dell’intelligenza artificiale.

Un’altra novità riguarda due proposte di legge, firmate dal deputato di Forza Italia Giorgio Mulè e dalla parlamentare di FdI Chiesa, che puntano a estendere ai militari impegnati in operazioni cyber – in particolare al Comando operazioni in rete (Cor) – le stesse “garanzie funzionali” oggi riconosciute agli agenti dei servizi segreti. In pratica, la possibilità di compiere azioni penalmente rilevanti senza incorrere in indagini durante operazioni delicate.

Ciò non si discosta affatto da quanto già previsto dalla nuova Legge Sicurezza, che ha ridefinito le gerarchie del potere in Italia, creando una forte tensione sociale che ancora non ha raggiunto l’apice, ed è anche in linea con le richieste della Commissione Europea in merito alla censura e al “contrasto alla falsa informazione”, come dicono loro, che in realtà mira a colpire chiunque non la pensi come deciso dal Governo o dai suoi superiori.

Il punto è proprio questo: aumenta l’accentramento del potere nelle mani di pochi, causando un ulteriore allontanamento della classe politica dai cittadini, e creando fratture in zone sensibili della complessità sociale che porteranno a dissidi e problemi interni, la cui eco ancora non è percepita, ma che molto presto giungerà alle orecchie di tutti.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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September 7, 2025

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