Una panoramica storica delle diverse generazioni di ordine mondiale che hanno portato all’egemonia americana nel XX secolo.
I libri di storia sui quali tutti abbiamo studiato infilano una sfilza di nomi, fatti e avvenimenti che ci raccontano la Francia del 1789, di prima e di dopo, come se si fosse trattato di una avvincente sfida per il potere tra uomini baldanzosi e audaci. In realtà le grande idee, i grandi progetti e soprattutto i grandi interessi economici dei gruppi di riferimento, quelle che saranno chiamate da Karl Marx classi, decidono i destini della Francia allora e negli anni seguenti.
La monarchia assolutistica francese è la più economicamente brillante del ‘700, nonostante la costante ascesa britannica che farà degli inglesi i dominatori politici ed economici del grande secolo della borghesia (1815 – 1918), questi furbamente nel 1801 istituiscono la Camera dei Comuni, dando piena rappresentanza – in una sostanziale e consensuale spartizione del potere con la nobiltà rappresentata nella Camera dei Lords – a quella borghesia imprenditoriale che invece nella Francia assolutistica pre – 1789 non aveva spazi di potere e di parola.
Se a Londra sostanzialmente la costruzione imperiale di dominio del mondo vede un concorso tra vecchia aristocrazia e nuove forze produttive, a tutto danno di interi popoli e nazioni nel mondo, dall’America Latina ridotta in servile neocolonialismo, al più brutale dominio riservato ad Africa, Asia e Oceania, nonché dei proletari britannici costretti a vivere e morire, uomini, donne e bambini, dopo una vita breve e senza vecchiaia, fatta di stenti in putridi tuguri ai margini delle sbuffanti e inquinanti ciminiere delle fabbriche o in catapecchie nelle campagne, a Parigi tutto è più complesso.
Il decennio rivoluzionario 1789 – 1799 ha visto contrapporsi non solo la borghesia mercantile all’incartapecorita aristocrazia, ma ha anche assistito a un ruolo non secondario delle masse popolari, strattonate tra reazionari e innovatori e con brevi periodi di autonomia politica.
I giacobini, calunniati da due secoli di storiografia borghese, tentano più o meno in un anno tra il 1793 e il 1794 di compiere una rivoluzione non solo contro l’aristocrazia, ma anche contro la borghesia, dando un ruolo centrale e potere a quel proletariato, la cui universalità era solo la facciata parolaia dietro cui l’avidità e la perfidia borghese si nascondevano. I giacoboni aboliscono la schiavitù, stabiliscono il suffragio universale con voto anche per gli ex schiavi, gli analfabeti, i nullatenenti e le donne, troppo per i rabbiosi borghesi che in breve tempo eliminano i giacobini e cancellano tutte le loro conquiste, ripristinando il voto solo per pochi uomini facoltosi e “perbene”. I giacobini nel loro anno di potere hanno mandato al patibolo mille persone e diecimila sono i condannati di tutto il decennio, quindi non più e non meno di tutti gli altri nove anni della Rivoluzione dominata dalla borghesia, dire che i giacobini siano stati sanguinari o affermare che abbiano imposto un rosso Terrore è la più incredibile falsità storica, seppur ben radicata in quintali di carta non solo scolastica.
Il conflitto aristocrazia – borghesia – proletariato, segnerà tutta la storia di Francia negli anni successivi. Mentre in Gran Bretagna la solida alleanza tra le prime due classi schiaccia senza margine d’emancipazione la terza, in Francia la reciproca diffidenza tra aristocratici e borghesi porterà ad una costante instabilità.
Con il Direttorio nel 1799 pare giungersi a un compromesso che in qualche modo non sarà sconvolto dal bonapartismo, ma che tuttavia permetterà all’aristocrazia di pretendere con il Congresso di Vienna del 1815 una Restaurazione che per molti aspetti diventerà non solo anacronistica, ma e anche e soprattutto impossibile. L’Europa continentale vivrà lungo tutto il XIX secolo il costante aggiustamento di poteri e di spazi politici tra le declinanti aristocrazie nazionali, ad esempio tedesca e italiana, e sovranazionali, come la russa e l’austro – ungarica, e le rispettive borghesie, in una alleanza solida soprattutto nel cercare di contenere i rispettivi proletariati in cerca di affermazione, rappresentanza e diritti, dalla fine dello sfruttamento di donne e bambini nelle fabbriche e nelle campagne, alle otto ore di lavoro giornaliere per sei giorni la settimana. È vero che in Russia, ultima nazione autenticamente assolutistica e con una servitù della gleba che non cambierà sostanzialmente vita dopo il riscatto dal servaggio, la borghesia rappresenti più un’invenzione dello zarismo, imposta a quei pochi e riluttanti membri della nobiltà disponibili a far uscire l’impero da un ritardo industriale e tecnologico considerevole, tuttavia non diversamente dalle altre nazioni del continente l’astio e la volontà di repressione delle sterminate masse proletarie, principalmente contadine, porta la Russia a non distinguersi nella sostanza dalle altre nazioni europee, seppur certo con un’aristocrazia preponderante e una borghesia molto esile e fragile.
In Francia l’Ancien Régime borbonico si sbriciola in meno di tre lustri, lasciando il posto prima all’orleanismo, quindi dopo i fermenti non solo francesi del 1848 – 49, a una breve esperienza repubblicana e a un nuovo bonapartismo, quello di Napoleone III, sarà la sconfitta di quest’ultimo per mano dei prussiani a imporre definitivamente la repubblica della borghesia e questa nel 1889 a istituzionalizzare come festa nazionale il 14 luglio, ammantando di nazionalismo i meri interessi vincenti e dominanti della borghesia francese. Questa Terza Repubblica ha un mito fondativo truculento e per certi aspetti aberrante, sono i trentamila morti in un mese, il maggio 1871, ammazzati con brutalità a Parigi dal generale Mac Mahon, che guarda caso poi sarà presidente della Repubblica dal 1873 al 1879. Intanto un dato statistico, in trenta giorni Mac Mahon uccide il triplo dei francesi caduti in dieci anni di rivoluzione dal 1789 al 1799, dovrebbe essere dunque ricordato, sempre nei suddetti libri di storia, come un feroce sanguinario almeno peggiore dei poveri diffamati giacobini, invece è ricordato come il padre della Francia borghese e colui che ha riportato ordine a Parigi. Tuttavia occorre capirsi, questo truculento ordine quale “disordine” ha aggiustato? Il “disordine” tanto vituperato è stato il potere del popolo, dei lavoratori e del proletariato, la Comune di Parigi con le sue rosse bandiere. La sola idea, prima ancora della sua effimera realizzazione, che il proletariato potesse prendere il potere autorganizzandosi è quanto di più orribile possano immaginarsi i borghesi.
Dunque la rivoluzione francese del 1789 voluta dalla borghesia per sé stessa contro l’aristocrazia, ma anche contro il proletariato, giunge a effettivo compimento solo quasi un secolo dopo, con la nascita appunto della Terza Repubblica nel 1871.
Il resto del continente resta borghese nella sostanza del potere e istituzionalmente solidamente monarchico, con formule più o meno parlamentari e con suffragi più o meno universali o ristretti e comunque maschili, tanto che in tutto il continente si contano solo la Confederazione Elvetica, le repubbliche francese e quella sanmarinese, quella portoghese si aggiungerà nel 1910 per naturale collasso della struttura di potere coloniale, certificato da una borghesia tanto esile da appoggiarsi vigorosamente al fascismo salazarista per mettere i cerotti a un sistema in decomposizione, trascinandolo fino alla Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974.
Il primo conflitto mondiale spazza via il secolo borghese, tra i più terribili per le donne e gli uomini dell’intero pianeta, schiavi in tutti i continenti fuori dall’Europa, disgraziatamente sfruttati nel Vecchio Continente, in quel capolavoro stupendo che resta “La fame e l’abbondanza” lo storico Massimo Montanari spiega come l’avidità borghese abbia ridotto i proletari europei delle città e delle campagne a una vita miserabile, ben peggiore di quella dei secoli precedenti, l’aumento demografico è dovuto più ancora che alla scienza, alla tecnologia e alla medicina, alla diffusione dell’igiene che in qualche modo riduce la mortalità.
Le monarchie restauratrici del 1815 vengono spazzate via dalle nuove istanze popolari che chiedono rappresentanza politica, diritti sociali e miglioramenti salariali, l’identità nazionale, linguistica e culturale diventa il volano delle nuove repubbliche che nascono in tutta Europa, talune provando a declinare la novità attraverso gli ideali del socialismo sul modello sovietico, anche se presto soffocato, come in Germania, in Austria e in Ungheria, nei primi due casi ripiegando poi su consolidati modelli socialdemocratici, prima di essere anch’esse, come altre, risucchiate dai fascismi, che saldano una svolta reazionaria in combutta con i precedenti gruppi dirigenti borghesi, manipolando le richieste popolari, seppur contrattando con i ceti borghesi alcuni miglioramenti per le masse, dando così stabilità e solidità al loro potere, non solo in Italia e in Germania, ma di fatto anche in buona parte del continente dal Portogallo alla Polonia, dall’Ungheria alle repubbliche baltiche.
Sarà il proletariato francese, pur non prendendo il potere come i sovietici, almeno a parteciparvi assieme agli altri partiti socialdemocratici, è il maggio 1936 quando i socialisti e i comunisti vincono le elezioni con il Fronte Popolare e danno vita a un governo capace di ridurre a quaranta le ore lavorative, rendendo il sabato libero, introducendo per la prima volta una settimana di ferie pagate per tutti i lavoratori dipendenti pubblici e privati e garantendo un maggiore accesso all’istruzione e alla sanità per le famiglie meno abbienti. L’esperienza durerà un paio d’anni, tra mille compromessi e difficoltà interne, data la resistenza della borghesia, e internazionali, a partire dalla guerra di Spagna, in cui un’esperienza simile a quella francese di Fronte Popolare dura pochi titubanti mesi, travolta nel luglio ‘36 dalla violenza di Francisco Franco, il quale imporrà una terribile dittatura fascista su tutta la Spagna a partire dal tragica vittoria militare da lui conseguita nel 1939.
Il secolo borghese con le sue feroci ingiustizie, con la sua violenza esplicita e implicita, non lascia rimpianti, se non nella borghesia stessa, il più borghese tra gli scrittori austro – ungarici Stefan Zweig in “Il mondo di ieri”, scritto dopo la catastrofe della Prima Guerra Mondiale, esemplifica alla perfezione tale autoreferenzialità: “Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il più conciso possibile dicendo: fu l’età d’oro della sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante supremo di tale continuità. I diritti da lui concessi ai cittadini erano garantiti dal parlamento, dalla rappresentanza del popolo liberamente eletta, ed ogni dovere aveva i suoi precisi limiti. La nostra moneta, la corona austriaca, circolava in pezzi d’oro e garantiva così la sua stabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi.” Limiti e norme ovviamente a tutto vantaggio della borghesia e a danno del proletariato, così che quella guerra, voluta dalla borghesia capace oramai di controllare le spente e tramontanti monarchie, cambierà, senza che la borghesia stessa l’avesse previsto o immaginato, la storia del XX secolo, ma anche del mondo, innescando una radicale novità, emersa con forza dopo la lunga turbolenza che attraversa il primo dopoguerra fino al termine del secondo terribile conflitto mondiale (1918 – 1945), ovvero l’affacciarsi di una nuova superpotenza, violenta e imperialista, che avrebbe imposto le sue regole e i suoi conseguenti privilegi in quello che un numero crescente di storici a ragione da qualche tempo definisce il secolo statunitense o meglio dell’imperialismo atlantista (1945 – 2012).
La data di termine il 2012, non è scelta a caso, con l’avvento di Xi Jinping alla guida della Cina Popolare e l’alleanza sempre più solida con la Russia di Vladimir Putin ecco che si sono stabilite le premesse per il pieno dispiegarsi di quel progetto multipolare e di pace, il quale determinerà i destini di questo XXI secolo e al contempo imporra finalmente un nuovo ordine mondiale più giusto e più equo, rispettoso di tutti i popoli e di tutte le nazioni.