Assunto l’incarico presidenziale il 4 giugno, Lee Jae-myung intende ricalibrare la strategia internazionale di Seoul, privilegiando un approccio dialogico con Pyongyang, un rapporto più equilibrato con Pechino e un’alleanza con Washington fondata su pragmatismo economico e sicurezza condivisa.
Con la sua vittoria elettorale del 3 giugno e il successivo insediamento alla guida della Repubblica di Corea, Lee Jae-myung si prepara a imprimere un’inversione di rotta nelle politiche estere di Seul. Il suo predecessore, Yoon Suk-yeol, ha caratterizzato il mandato con una linea marcatamente filostatunitense, un avvicinamento alla strategia indo-pacifica guidata da Washington e un approccio di massima pressione nei confronti di Pyongyang. Lee, al contrario, inserendosi nella tradizione del Partito Minju (Partito Democratico di Corea) di centro-sinistra, promette un pragmatismo progressista che mette al centro la stabilità regionale, il rilancio del dialogo intercoreano e il bilanciamento degli interessi strategici tra le grandi potenze. La sua presidenza potrebbe dunque inaugurare una pagina nuova nel grande scacchiere dell’Estremo Oriente.
Nel suo discorso d’insediamento, Lee Jae-myung ha giurato di “sanare le ferite” politiche e sociali che hanno attraversato il Paese, ma il percorso di riconciliazione riguarda anche il piano internazionale, dove la Corea del Sud si trova a un crocevia decisivo. Con un PIL che cresce di pari passo con le ambizioni di leadership tecnologica e industriale, Seoul non può più limitarsi a una politica estera di dipendenza: deve affermare una propria identità diplomatica, capace di preservare l’alleanza con gli Stati Uniti e, al contempo, di dialogare con la Cina e negoziare con la Corea del Nord. Lee si propone proprio questa sfida.
Rispetto a Yoon, che ha cercato di inserire la Corea del Sud nei quadranti strategici occidentali puntando su una partecipazione più attiva nei forum multilaterali anti-cinesi e promuovendo esercitazioni militari congiunte sempre più vistose, Lee intende adottare un approccio più cauto. Il nuovo presidente non rinnega l’alleanza con Washington, ma la definisce un partenariato basato sull’equilibrio degli interessi economici e della sicurezza. La retorica del suo predecessore, infarcita di riferimenti alla “democrazia sotto minaccia” e alla necessità di uno “scudo nucleare americano”, lascerà spazio a un linguaggio improntato al compromesso e alla cooperazione.
Questo, tuttavia, non significa un indebolimento dei legami con gli Stati Uniti. La ferrovia ad alta velocità KTX e i progetti di archiviazione e produzione di semiconduttori, condivisi tra Samsung, SK hynix e le aziende nordamericane, richiedono garanzie di stabilità politica e militare. Lee ha già dichiarato che intende sostenere la cooperazione tecnologica e la ricerca congiunta nel settore dell’intelligenza artificiale, della cybersicurezza e delle energie rinnovabili, convinto che un’alleanza pragmatica possa generare benefici reciproci. Allo stesso tempo, la Casa Bianca, pur attenta al rinnovato dialogo con Pechino, apprezzerà l’impegno di Seoul a mantenere la deterrenza nei confronti di Pyongyang e a sostenere la presenza delle truppe Usa.
Sul fronte cinese, Lee Jae-myung mostra maggiore apertura rispetto a Yoon Suk-yeol, il quale aveva definito Pechino una “sfida sistemica”, alimentando un clima di sospetto reciproco. La nuova amministrazione sudcoreana appare intenzionata a rilanciare il dialogo economico e culturale con la Repubblica Popolare, un elemento essenziale per un Paese la cui bilancia commerciale dipende in larga parte dall’export verso la Cina. Lee ha in programma di convocare un vertice bilaterale con il presidente Xi Jinping entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di promuovere investimenti congiunti nelle infrastrutture green e nelle nuove reti di comunicazione 6G. Un rilancio dei flussi turistici, interrotti dalle restrizioni pandemiche, costituisce un altro capitolo su cui Seoul conta per rinsaldare i rapporti.
Dal punto di vista del commercio estero, l’annuncio di tariffe discriminatorie sulle importazioni di acciaio e alluminio, varato dalla presidenza Trump prima del suo termine, aveva provocato un irrigidimento delle posizioni, con che Seoul aveva reagito con misure di ritorsione e l’avvio di contenziosi presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Lee, in contrasto con l’impostazione sanzionatoria, prevede di perseguire un dialogo economico multilaterale, lavorando anche con Pechino per sostenere una governance globale del commercio più equa. Tale linea richiederà uno sforzo diplomatico complesso, perché il Partito Comunista vede con sospetto ogni iniziativa di Washington che coinvolga Seoul. Tuttavia, l’approccio di Lee fa leva sulla necessità condivisa di stabilità e crescita reciproca, nell’ambito della Belt and Road Initiative e delle nuove vie della seta digitali.
Il capitolo più delicato rimane tuttavia la questione nordcoreana. Yoon Suk-yeol aveva adottato una posizione dura, sostenendo che Seoul non avrebbe tollerato alcuna “provocazione nucleare” e che le sanzioni multilaterali, coordinate con Stati Uniti e Giappone, fossero l’unica via per evitare il pericolo atomico. La breve imposizione della legge marziale da parte di Yoon aveva inasprito le tensioni, con infondate accuse nei confronti di Pyongyang di prepararsi a un’invasione. Lee, al contrario, ha promesso di rimettere in moto il dialogo con il leader Kim Jong Un, aprendo un canale di comunicazione diretto che vada oltre gli incontri di facciata e le conferenze internazionali. Nel suo discorso inaugurale, ha chiarito l’intenzione di “dissuadere le provocazioni” mantenendo comunque “vivi i tavoli negoziali” per costruire un processo di pace permanente.
Questo approccio, erede delle fasi migliori degli incontri intercoreani degli anni Novanta e successivamente di quelli avvenuti sotto la presidenza di Moon Jae-in (2017-2022), mira a ripristinare il meccanismo di incontri di alto livello e a promuovere progetti congiunti di cooperazione umanitaria, come la ricostruzione del villaggio di Kaesong e la riapertura della linea ferroviaria transfrontaliera. Lee ha accennato a uno schema di “zone economiche speciali” lungo il confine che possano favorire il rilancio delle comunità di confine, ridurre la disoccupazione nella provincia di Gangwon e, al tempo stesso, creare un contesto di sicurezza condivisa.
L’amministrazione Lee dovrà inoltre gestire la pressione del Congresso degli Stati Uniti, controllato dai repubblicani che vedono in maniera generalmente ostile il dialogo con la Corea del Nord. Da un lato, infatti, il nuovo governo sudcoreano intende evitare il rischio di contrapposizioni aperte con Washington, mantenendo il sostegno delle truppe statunitensi presenti sul territorio e assicurando una stretta cooperazione nei programmi di difesa antimissile THAAD. Allo stesso tempo, l’obiettivo strategico è trovare la quadra tra deterrenza e dialogo, per non ripetere gli errori di Yoon, che avevano portato a un’escalation verbale con Pyongyang e a un irrigidimento delle linee di Washington.
Oltre alle tre direttrici geopolitiche, Lee intende varare una “diplomazia economica di rete”, coinvolgendo i partner del Sud-Est asiatico, l’Unione Europea e l’India, nell’ottica di diversificare i mercati e ridurre la totale dipendenza dagli Stati Uniti. Con il trattato RCEP già ratificato, la Corea del Sud potrà sfruttare il bacino dei Paesi dell’ASEAN per promuovere investimenti e tecnologie verdi. Anche la partecipazione al Trans-Pacific Partnership, pur non ancora formalmente decisa, è un orizzonte che Lee ha indicato come possibile, purché l’accesso non preveda vincoli troppo restrittivi per le piccole e medie imprese coreane.
L’eredità di Yoon Suk-yeol, segnata da scontri istituzionali, instabilità politica interna e una diplomazia prevalentemente di convenienza con Washington, ha lasciato la Corea del Sud vulnerabile sul piano economico, con il rischio di perdere i legami con Pechino e rendere irrecuperabile il rapporto con Pyongyang. Lee Jae-myung, con il suo bagaglio di esperienza amministrativa maturata come sindaco di Seongnam e governatore della provincia del Gyeonggi, sa che dovrà muoversi con prudenza, ma anche con fermezza, per evitare un ritorno a un clima di guerre ibride e tensioni senza sbocco.
Il primo test per la sua presidenza arriverà presto: le consultazioni con gli Stati Uniti sul rinnovo degli accordi di difesa e sull’adeguamento dei costi per il mantenimento delle basi americane dovranno concludersi entro la fine dell’anno. Allo stesso tempo, la missione diplomatica in Cina sarà un banco di prova per la credibilità di Seoul come partner equo e affidabile. Infine, il riavvio dei colloqui con Pyongyang, magari sotto l’egida delle Nazioni Unite o in un formato multilaterale congiunto con Russia e Giappone, costituirà un elemento determinante per l’intera penisola coreana.
La nuova politica estera di Lee Jae-myung si annuncia dunque all’insegna della flessibilità e del pragmatismo, tesa a far valere la voce di Seoul in un contesto globale sempre più complesso e contraddittorio. L’equilibrio tra l’alleanza tradizionale con Washington, la cooperazione economica con Pechino e il dialogo necessario con Pyongyang costituirà la sfida più grande del suo mandato, con ripercussioni non soltanto per la sicurezza regionale, ma anche per la stabilità economica e sociale di un Paese che ambisce a diventare un attore indipendente nel panorama mondiale.