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Giacomo Gabellini
June 18, 2025
© Photo: Public domain

Chi negli Stati Uniti vuole continuare la guerra con la Russia: Trump o il cosiddetto “Stato profondo”?

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Il 9 giugno, in occasione del Future Forum di Mosca, il ministro degli Esteri russo Sergij Lavrov ha espresso valutazioni positive riguardo alle relazioni con gli Stati Uniti, che allo stato attuale si trovano «in una posizione migliore» rispetto al “minimo storico” toccato durante il mandato di Joe Biden, sotto la cui supervisione «erano stati bloccati tutti i canali di comunicazione». I rapporti tra i presidenti Putin e Trump, ha sottolineato Lavrov, «funzionano, non necessitano di preamboli. Nel corso dei loro regolari contatti telefonici, [i due] vanno subito al sodo. E mi sembra che questo sia il modo di lavorare. È meglio esprimere sempre la propria posizione in modo diretto, così non si alimenteranno illusioni e speranze disattese».

Il ministro degli Esteri russo ha inoltre richiamato l’attenzione sulla graduale ma inesorabile affermazione di nuovi centri di potere, in grado di coniugare influenza politica e crescita economica, in Eurasia, nella regione dell’Asia-Pacifico, in Africa, in Medio Oriente e in America Latina. Si tratta, nell’ottica di Lavrov, di una tendenza «sana, che riflette il desiderio dei Paesi di ogni regione di assumersi la responsabilità del proprio sviluppo […] e che ha acquisito nuovo slancio nel contesto dei cambiamenti che sono stati apportati alle relazioni economiche e di altro tipo dall’elezione di Donald Trump».

Il “Sud globale”, in particolare, «sta riducendo la propria dipendenza dai Paesi occidentali e formando meccanismi per garantire operazioni di commercio estero, nuove catene di trasporto e logistica e un’architettura indipendente per la cooperazione nei campi della cultura, dell’istruzione e dello sport». L’Africa risulta attivamente coinvolta in questo processo, impegnando risorse crescenti per sottrarsi ai «metodi neocoloniali ancora utilizzati molto attivamente dall’Occidente». La ristrutturazione dell’ordine globale attorno a un numero crescente di poli riceve tuttavia una determinante spinta propulsiva dalla «troijka Russia-India-Cina», che Lavrov ha menzionato esplicitamente in omaggio alla visione geopolitica tratteggiata a suo tempo da Evgenij Primakov.

Il punto più critico toccato da Lavrov nel corso del suo intervento è tuttavia un altro, e attiene al coinvolgimento diretto della Gran Bretagna nelle azioni militari e terroristiche condotte dalle forze ucraine in territorio russo. Nello specifico, Lavrov ha dichiarato che le operazioni «vengono realizzate dalla parte ucraina, la quale risulterebbe tuttavia impotente in assenza del sostegno dei britannici». In precedenza, queste attività erano sostenute «sia dagli Stati Uniti che dalla Gran Bretagna, ma ora abbiamo a che fare solo con gli inglesi». «Forse – ha puntualizzato Lavrov – anche i servizi statunitensi sono coinvolti per inerzia, ma i britannici sono presenti al 100%». I rilievi accusatori mossi da Lavrov ricalcano le dichiarazioni già formulate dall’ambasciatore russo a Londra Andreij Kelin, secondo cui gli attacchi sferrati dagli ucraini nell’ambito dell’Operazione Spiderweb «richiedono la disponibilità di dati geospaziali, che possono essere forniti solo da chi ne è in possesso. E questo porta a Londra e Washington». Kelin ha tuttavia precisato di poter escludere il coinvolgimento della Casa Bianca, ritenendo attendibili le assicurazioni fornite in proposito da Trump nel corso del recente colloquio telefonico tenuto con Putin.

In altri termini, il “sodalizio” anglo-statunitense che operava compattamente sotto l’amministrazione Biden, e nel cui ambito va con ogni probabilità ricondotta la genesi dell’Operazione Spiderweb, sarebbe stato pesantemente indebolito con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Ma non dissolto completamente.

Lo sostiene il generale Michael T. Flynn, ex direttore della Dia ed ex consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto la prima amministrazione Trump. A suo avviso, lo “Stato profondo” statunitense, composto da figure «animate da un odio profondo, viscerale e irrazionale per la Russia» e «insinuatesi nel processo decisionale del presidente Trump attraverso la montatura del Russiagate», sta «agendo al di fuori del controllo della leadership eletta della nostra nazione. Sono convinto che questi elementi siano impegnati in uno sforzo deliberato per provocare la Russia e trascinarla in un grande confronto con l’Occidente, Stati Uniti inclusi». Flynn ha quindi esortato il presidente Trump «a prendere le distanze dai guerrafondai del nostro stesso governo, primo fra tutti Lindsay Graham». Vale a dire il senatore repubblicano della South Carolina e artefice del Sanctioning Russia Act, un disegno di legge concepito per esercitare una pressione asfissiante su Mosca e costringere le autorità del Cremlino ad assumere un atteggiamento maggiormente conciliante nei negoziati con le controparti ucraine. Il provvedimento prevede l’imposizione di tariffe secondarie minime del 500% su tutti i beni e servizi importati negli Stati Uniti da qualsiasi Paese che «venda, fornisca, trasferisca o acquisti consapevolmente petrolio, uranio, gas naturale, prodotti petroliferi o prodotti petrolchimici originari della Federazione Russa». Nei giorni in cui le forze ucraine scatenavano l’Operazione Spiderweb, Graham si trovava a Kiev assieme al collega democratico Richard Blumenthal nell’ambito di una visita diplomatica organizzata per assicurare sostegno al presidente Zelensky. Stando a quanto dichiarato dall’ex agente della Cia Larry Johnson nel corso di una recente puntata della trasmissione «Stinchfield Tonight», il senatore repubblicano sarebbe il terminale di un complesso schema di riciclaggio degli stanziamenti statunitensi a favore dell’Ucraina. Secondo Johnson, i fondi verrebbero “ripuliti” attraverso alcuni istituti bancari lettoni e depositati sul conto bancario di Graham, come il Dipartimento di Giustizia starebbe appurando nell’ambito di un’inchiesta aperta da tempo sul caso.

La “guerra civile” interna all’establishment statunitense

Chi negli Stati Uniti vuole continuare la guerra con la Russia: Trump o il cosiddetto “Stato profondo”?

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Il 9 giugno, in occasione del Future Forum di Mosca, il ministro degli Esteri russo Sergij Lavrov ha espresso valutazioni positive riguardo alle relazioni con gli Stati Uniti, che allo stato attuale si trovano «in una posizione migliore» rispetto al “minimo storico” toccato durante il mandato di Joe Biden, sotto la cui supervisione «erano stati bloccati tutti i canali di comunicazione». I rapporti tra i presidenti Putin e Trump, ha sottolineato Lavrov, «funzionano, non necessitano di preamboli. Nel corso dei loro regolari contatti telefonici, [i due] vanno subito al sodo. E mi sembra che questo sia il modo di lavorare. È meglio esprimere sempre la propria posizione in modo diretto, così non si alimenteranno illusioni e speranze disattese».

Il ministro degli Esteri russo ha inoltre richiamato l’attenzione sulla graduale ma inesorabile affermazione di nuovi centri di potere, in grado di coniugare influenza politica e crescita economica, in Eurasia, nella regione dell’Asia-Pacifico, in Africa, in Medio Oriente e in America Latina. Si tratta, nell’ottica di Lavrov, di una tendenza «sana, che riflette il desiderio dei Paesi di ogni regione di assumersi la responsabilità del proprio sviluppo […] e che ha acquisito nuovo slancio nel contesto dei cambiamenti che sono stati apportati alle relazioni economiche e di altro tipo dall’elezione di Donald Trump».

Il “Sud globale”, in particolare, «sta riducendo la propria dipendenza dai Paesi occidentali e formando meccanismi per garantire operazioni di commercio estero, nuove catene di trasporto e logistica e un’architettura indipendente per la cooperazione nei campi della cultura, dell’istruzione e dello sport». L’Africa risulta attivamente coinvolta in questo processo, impegnando risorse crescenti per sottrarsi ai «metodi neocoloniali ancora utilizzati molto attivamente dall’Occidente». La ristrutturazione dell’ordine globale attorno a un numero crescente di poli riceve tuttavia una determinante spinta propulsiva dalla «troijka Russia-India-Cina», che Lavrov ha menzionato esplicitamente in omaggio alla visione geopolitica tratteggiata a suo tempo da Evgenij Primakov.

Il punto più critico toccato da Lavrov nel corso del suo intervento è tuttavia un altro, e attiene al coinvolgimento diretto della Gran Bretagna nelle azioni militari e terroristiche condotte dalle forze ucraine in territorio russo. Nello specifico, Lavrov ha dichiarato che le operazioni «vengono realizzate dalla parte ucraina, la quale risulterebbe tuttavia impotente in assenza del sostegno dei britannici». In precedenza, queste attività erano sostenute «sia dagli Stati Uniti che dalla Gran Bretagna, ma ora abbiamo a che fare solo con gli inglesi». «Forse – ha puntualizzato Lavrov – anche i servizi statunitensi sono coinvolti per inerzia, ma i britannici sono presenti al 100%». I rilievi accusatori mossi da Lavrov ricalcano le dichiarazioni già formulate dall’ambasciatore russo a Londra Andreij Kelin, secondo cui gli attacchi sferrati dagli ucraini nell’ambito dell’Operazione Spiderweb «richiedono la disponibilità di dati geospaziali, che possono essere forniti solo da chi ne è in possesso. E questo porta a Londra e Washington». Kelin ha tuttavia precisato di poter escludere il coinvolgimento della Casa Bianca, ritenendo attendibili le assicurazioni fornite in proposito da Trump nel corso del recente colloquio telefonico tenuto con Putin.

In altri termini, il “sodalizio” anglo-statunitense che operava compattamente sotto l’amministrazione Biden, e nel cui ambito va con ogni probabilità ricondotta la genesi dell’Operazione Spiderweb, sarebbe stato pesantemente indebolito con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Ma non dissolto completamente.

Lo sostiene il generale Michael T. Flynn, ex direttore della Dia ed ex consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto la prima amministrazione Trump. A suo avviso, lo “Stato profondo” statunitense, composto da figure «animate da un odio profondo, viscerale e irrazionale per la Russia» e «insinuatesi nel processo decisionale del presidente Trump attraverso la montatura del Russiagate», sta «agendo al di fuori del controllo della leadership eletta della nostra nazione. Sono convinto che questi elementi siano impegnati in uno sforzo deliberato per provocare la Russia e trascinarla in un grande confronto con l’Occidente, Stati Uniti inclusi». Flynn ha quindi esortato il presidente Trump «a prendere le distanze dai guerrafondai del nostro stesso governo, primo fra tutti Lindsay Graham». Vale a dire il senatore repubblicano della South Carolina e artefice del Sanctioning Russia Act, un disegno di legge concepito per esercitare una pressione asfissiante su Mosca e costringere le autorità del Cremlino ad assumere un atteggiamento maggiormente conciliante nei negoziati con le controparti ucraine. Il provvedimento prevede l’imposizione di tariffe secondarie minime del 500% su tutti i beni e servizi importati negli Stati Uniti da qualsiasi Paese che «venda, fornisca, trasferisca o acquisti consapevolmente petrolio, uranio, gas naturale, prodotti petroliferi o prodotti petrolchimici originari della Federazione Russa». Nei giorni in cui le forze ucraine scatenavano l’Operazione Spiderweb, Graham si trovava a Kiev assieme al collega democratico Richard Blumenthal nell’ambito di una visita diplomatica organizzata per assicurare sostegno al presidente Zelensky. Stando a quanto dichiarato dall’ex agente della Cia Larry Johnson nel corso di una recente puntata della trasmissione «Stinchfield Tonight», il senatore repubblicano sarebbe il terminale di un complesso schema di riciclaggio degli stanziamenti statunitensi a favore dell’Ucraina. Secondo Johnson, i fondi verrebbero “ripuliti” attraverso alcuni istituti bancari lettoni e depositati sul conto bancario di Graham, come il Dipartimento di Giustizia starebbe appurando nell’ambito di un’inchiesta aperta da tempo sul caso.

Chi negli Stati Uniti vuole continuare la guerra con la Russia: Trump o il cosiddetto “Stato profondo”?

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Il 9 giugno, in occasione del Future Forum di Mosca, il ministro degli Esteri russo Sergij Lavrov ha espresso valutazioni positive riguardo alle relazioni con gli Stati Uniti, che allo stato attuale si trovano «in una posizione migliore» rispetto al “minimo storico” toccato durante il mandato di Joe Biden, sotto la cui supervisione «erano stati bloccati tutti i canali di comunicazione». I rapporti tra i presidenti Putin e Trump, ha sottolineato Lavrov, «funzionano, non necessitano di preamboli. Nel corso dei loro regolari contatti telefonici, [i due] vanno subito al sodo. E mi sembra che questo sia il modo di lavorare. È meglio esprimere sempre la propria posizione in modo diretto, così non si alimenteranno illusioni e speranze disattese».

Il ministro degli Esteri russo ha inoltre richiamato l’attenzione sulla graduale ma inesorabile affermazione di nuovi centri di potere, in grado di coniugare influenza politica e crescita economica, in Eurasia, nella regione dell’Asia-Pacifico, in Africa, in Medio Oriente e in America Latina. Si tratta, nell’ottica di Lavrov, di una tendenza «sana, che riflette il desiderio dei Paesi di ogni regione di assumersi la responsabilità del proprio sviluppo […] e che ha acquisito nuovo slancio nel contesto dei cambiamenti che sono stati apportati alle relazioni economiche e di altro tipo dall’elezione di Donald Trump».

Il “Sud globale”, in particolare, «sta riducendo la propria dipendenza dai Paesi occidentali e formando meccanismi per garantire operazioni di commercio estero, nuove catene di trasporto e logistica e un’architettura indipendente per la cooperazione nei campi della cultura, dell’istruzione e dello sport». L’Africa risulta attivamente coinvolta in questo processo, impegnando risorse crescenti per sottrarsi ai «metodi neocoloniali ancora utilizzati molto attivamente dall’Occidente». La ristrutturazione dell’ordine globale attorno a un numero crescente di poli riceve tuttavia una determinante spinta propulsiva dalla «troijka Russia-India-Cina», che Lavrov ha menzionato esplicitamente in omaggio alla visione geopolitica tratteggiata a suo tempo da Evgenij Primakov.

Il punto più critico toccato da Lavrov nel corso del suo intervento è tuttavia un altro, e attiene al coinvolgimento diretto della Gran Bretagna nelle azioni militari e terroristiche condotte dalle forze ucraine in territorio russo. Nello specifico, Lavrov ha dichiarato che le operazioni «vengono realizzate dalla parte ucraina, la quale risulterebbe tuttavia impotente in assenza del sostegno dei britannici». In precedenza, queste attività erano sostenute «sia dagli Stati Uniti che dalla Gran Bretagna, ma ora abbiamo a che fare solo con gli inglesi». «Forse – ha puntualizzato Lavrov – anche i servizi statunitensi sono coinvolti per inerzia, ma i britannici sono presenti al 100%». I rilievi accusatori mossi da Lavrov ricalcano le dichiarazioni già formulate dall’ambasciatore russo a Londra Andreij Kelin, secondo cui gli attacchi sferrati dagli ucraini nell’ambito dell’Operazione Spiderweb «richiedono la disponibilità di dati geospaziali, che possono essere forniti solo da chi ne è in possesso. E questo porta a Londra e Washington». Kelin ha tuttavia precisato di poter escludere il coinvolgimento della Casa Bianca, ritenendo attendibili le assicurazioni fornite in proposito da Trump nel corso del recente colloquio telefonico tenuto con Putin.

In altri termini, il “sodalizio” anglo-statunitense che operava compattamente sotto l’amministrazione Biden, e nel cui ambito va con ogni probabilità ricondotta la genesi dell’Operazione Spiderweb, sarebbe stato pesantemente indebolito con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Ma non dissolto completamente.

Lo sostiene il generale Michael T. Flynn, ex direttore della Dia ed ex consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto la prima amministrazione Trump. A suo avviso, lo “Stato profondo” statunitense, composto da figure «animate da un odio profondo, viscerale e irrazionale per la Russia» e «insinuatesi nel processo decisionale del presidente Trump attraverso la montatura del Russiagate», sta «agendo al di fuori del controllo della leadership eletta della nostra nazione. Sono convinto che questi elementi siano impegnati in uno sforzo deliberato per provocare la Russia e trascinarla in un grande confronto con l’Occidente, Stati Uniti inclusi». Flynn ha quindi esortato il presidente Trump «a prendere le distanze dai guerrafondai del nostro stesso governo, primo fra tutti Lindsay Graham». Vale a dire il senatore repubblicano della South Carolina e artefice del Sanctioning Russia Act, un disegno di legge concepito per esercitare una pressione asfissiante su Mosca e costringere le autorità del Cremlino ad assumere un atteggiamento maggiormente conciliante nei negoziati con le controparti ucraine. Il provvedimento prevede l’imposizione di tariffe secondarie minime del 500% su tutti i beni e servizi importati negli Stati Uniti da qualsiasi Paese che «venda, fornisca, trasferisca o acquisti consapevolmente petrolio, uranio, gas naturale, prodotti petroliferi o prodotti petrolchimici originari della Federazione Russa». Nei giorni in cui le forze ucraine scatenavano l’Operazione Spiderweb, Graham si trovava a Kiev assieme al collega democratico Richard Blumenthal nell’ambito di una visita diplomatica organizzata per assicurare sostegno al presidente Zelensky. Stando a quanto dichiarato dall’ex agente della Cia Larry Johnson nel corso di una recente puntata della trasmissione «Stinchfield Tonight», il senatore repubblicano sarebbe il terminale di un complesso schema di riciclaggio degli stanziamenti statunitensi a favore dell’Ucraina. Secondo Johnson, i fondi verrebbero “ripuliti” attraverso alcuni istituti bancari lettoni e depositati sul conto bancario di Graham, come il Dipartimento di Giustizia starebbe appurando nell’ambito di un’inchiesta aperta da tempo sul caso.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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