Italiano
Giulio Chinappi
June 8, 2025
© Photo: Public domain

A seguito dei mortali scontri di fine maggio al confine thailandese-cambogiano, la crisi riaccende le antiche dispute territoriali. Il contesto delle recenti esercitazioni militari sino-cambogiane e il ricorso a L’Aia da parte di Phnom Penh complicano il quadro, mentre il Vietnam invoca il dialogo e la coesione interna dell’ASEAN.

Segue nostro Telegram.

Il confine tra Thailandia e Cambogia, esteso per oltre 800 km, rimane una delle linee di frizione più pericolose del Sud-Est asiatico. La disputa territoriale, radicata in secoli di storia e acuita da mappe coloniali controverse, ha vissuto una pericolosa recrudescenza alla fine di maggio 2025, offrendo un drammatico spaccato delle tensioni latenti, delle alleanze regionali e delle fragilità diplomatiche dell’ASEAN.

Nella nebbia dell’alba del 28 maggio, presso il villaggio di Morokot (Provincia di Preah Vihear, Cambogia) e l’adiacente area di Chong Bok (Provincia di Ubon Ratchathani, Thailandia), brevi ma intensi scambi di fuoco hanno infranto anni di relativa calma. Le versioni dei due eserciti, come riportato dall’agenzia AP e dai media locali, si sono rivelate immediatamente divergenti.

“Le nostre truppe erano in pattuglia di routine quando i thailandesi hanno aperto il fuoco senza preavviso”, ha dichiarato il Tenente Colonnello Mao Phalla, portavoce dell’esercito reale cambogiano. Il bilancio, da parte cambogiana, è stato tragico, con una vittima: il sergente Suwanna Rao, 48 anni, ucciso nella trincea dove era di stanza. Phnom Penh ha denunciato l’attacco a una postazione “tenuta a lungo” dalle sue forze.

“Abbiamo tentato di negoziare dopo aver visto soldati cambogiani scavare trincee in un’area contesa per la seconda volta. Loro hanno frainteso e aperto il fuoco. La nostra risposta è stata di legittima difesa”, ha controbattuto il portavoce militare thai Winthai Suvaree, sottolineando l’assenza di perdite tra le proprie fila.

Lo scontro, durato circa 10 minuti, è stato fermato solo dopo un tempestivo intervento telefonico tra i comandanti locali. La reazione dei vertici politici dei due regni ha visto la Premier thailandese Paetongtarn Shinawatra e il Primo Ministro cambogiano Hun Manet parlarsi direttamente poche ore dopo. “Abbiamo concordato che ciò non deve ripetersi. I nostri rapporti rimangono buoni”, ha dichiarato Shinawatra, cercando di smorzare la crisi. Allo stesso tempo, il Ministro della Difesa thailandese Phumtham Wechayachai ha ribadito la linea della “proporzionalità” e dell’autodifesa.

La rapidità della reazione diplomatica ha impedito un’escalation immediata. Giovedì 29 maggio, i capi di stato maggiore degli eserciti, il generale thailandese Phana Klaewplodthuk e il generale cambogiano Mao Sophan, si sono incontrati al valico di Chong Chom (Surin, Thailandia). L’accordo raggiunto è stato chiaro: ritiro immediato delle truppe dalle posizioni avanzate nell’area contesa di Chong Bok e affidamento del caso alla Commissione Congiunta di Confine (JBC) per risolvere la disputa tramite negoziati nelle settimane successive. Entrambe le parti hanno promesso “massima moderazione”.

Tuttavia, questa ritrovata calma apparente nasconde ferite profonde. In questo contesto, l’ombra dell’importante Tempio di Preah Vihear pesa come un macigno. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 1962. che assegnò il tempio alla Cambogia, e quella del 2013 che chiarì i confini nell’area circostante, rimangono una spina nel fianco per il nazionalismo thailandese e un motivo d’orgoglio per Phnom Penh. Le tensioni scoppiate nel 2008-2011, con decine di morti, sono un monito vivido. La recente incursione di soldati cambogiani e familiari in un antico tempio di confine a febbraio 2024, culminata nel canto dell’inno nazionale khmer davanti alle truppe thailandesi (il cui video è divenuto virale), dimostra come la questione identitaria e simbolica sia esplosiva.

Oltre ai precedenti storici, il tempismo degli scontri di fine maggio solleva interrogativi geopolitici cruciali. Proprio il 28 maggio, mentre al confine avvenivano gli scontri, si concludeva a Kampong Chhnang, in Cambogia, la massiccia esercitazione militare congiunta “Golden Dragon-2025” tra l’Esercito Popolare di Liberazione cinese e le forze armate reali cambogiane. Le manovre, iniziate giorni prima, hanno incluso per la prima volta un’esercitazione aeromarittima con fuoco reale nel porto strategico di Sihanoukville, basata sul nuovo Centro Congiunto di Supporto e Addestramento Cambogia-Cina di Ream – una struttura la cui modernizzazione con supporto cinese ha preoccupato Washington. Inoltre, le parti hanno tenuto un’imponente esercitazione terrestre e aerea con fuoco reale incentrata sul controterrorismo urbano, con scenari complessi di salvataggio ostaggi e neutralizzazione di cellule nemiche, coinvolgendo oltre 2.000 soldati, elicotteri, blindati e droni.

Pechino ha enfatizzato che le esercitazioni “hanno ulteriormente approfondito cooperazione e fiducia reciproca” e “elevato il livello di integrazione e prontezza operativa”. L’esperto militare cinese Fu Qianshao, intervistato dal Global Times, ha aggiunto che la crescente capacità della marina cambogiana e le nuove infrastrutture “apriranno più opportunità per esercitazioni congiunte tri-dimensionali (terra, mare, aria) in futuro”, utili per “mantenere pace e stabilità nel Mar Cinese Meridionale”.

Sebbene non vi sia un nesso causale diretto dimostrabile tra le esercitazioni e lo scontro di confine, l’implicazione strategica è innegabile. La dimostrazione di forza e di strettissima cooperazione militare tra Pechino e Phnom Penh, culminata lo stesso giorno dell’incidente di Chong Bok, invia un messaggio chiaro a Bangkok e alla regione sulla profondità dell’alleanza sino-cambogiana. Fornisce a Hun Manet un significativo paracadute diplomatico e strategico nell’affrontare la crisi con la Thailandia, suggerendo che la Cambogia non è sola. Questo contesto rende ancora più significativa la successiva mossa di Phnom Penh: rivolgersi nuovamente al tribunale de L’Aia.

Martedì 2 giugno, infatti, in una mossa che ha riacceso ulteriormente la disputa, il governo cambogiano ha annunciato di voler chiedere un nuovo parere o sentenza alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU riguardo alle dispute di confine con la Thailandia, inclusa quella che ha portato alla morte del sergente Rao. L’Assemblea Nazionale cambogiana, dominata dal Partito Popolare del Primo Ministro Hun Manet e di suo padre, lo storico leader Hun Sen, ha votato per sostenere la decisione.

La Thailandia, attraverso il suo Ministro degli Esteri Maris Sangiampongsa, ha finora reagito con cautela, ribadendo che le sue azioni erano “proporzionate e legali” e che la situazione al confine era “calma”, ma non ha ancora formalmente risposto all’annuncio del governo cambogiano. Secondo gli analisti, la mossa rischia di congelare il dialogo appena ripreso e riaccendere il nazionalismo su entrambi i lati.

In questo quadro complesso, la posizione del Vietnam, altro vicino chiave di entrambi i contendenti e membro influente dell’ASEAN, è stata esemplare per equilibrio e richiamo ai principi fondamentali dell’organizzazione. A tal proposito, la portavoce del Ministero degli Esteri vietnamita, Phạm Thu Hằng, ha articolato una posizione chiara: “Abbiamo preso atto delle informazioni sull’incidente annunciate da entrambe le parti, Cambogia e Thailandia. Crediamo fermamente che tutti i disaccordi saranno risolti dalle parti coinvolte attraverso il dialogo e mezzi pacifici, in conformità con gli accordi bilaterali esistenti, nello spirito di solidarietà ASEAN e in linea con il diritto internazionale”.

La posizione vietnamita riflette la preoccupazione del governo vietnamita che tensioni bilaterali violente possano destabilizzare l’intera regione e minare la credibilità dell’ASEAN. Pur essendo storicamente vicina alla Cambogia, il Vietnam mantiene anche importanti relazioni economiche e politiche con la Thailandia, con le due parti che hanno recentemente stipulato un Partenariato Strategico Globale, rendendo un equilibrio prudente una necessità strategica.

Indubbiamente, la disputa di confine thailandese-cambogiana rimane una polveriera. Gli scontri di fine maggio hanno dimostrato con tragica concretezza quanto sia facile riaccendere il conflitto, alimentato da memorie storiche dolorose, percezioni di sovranità violate e attività militari percepite come provocatorie. La tenuta di questa pace precaria dipenderà non solo dalla capacità dei comandanti locali di evitare nuovi “incidenti”, ma soprattutto dalla volontà politica dei leader di Bangkok e Phnom Penh di privilegiare il dialogo prolungato e complesso sul contenzioso giuridico internazionale o sulle dimostrazioni di forza, e dalla capacità dell’ASEAN di offrire un quadro credibile per una soluzione duratura e condivisa.

La ferita aperta del confine tra Thailandia e Cambogia

A seguito dei mortali scontri di fine maggio al confine thailandese-cambogiano, la crisi riaccende le antiche dispute territoriali. Il contesto delle recenti esercitazioni militari sino-cambogiane e il ricorso a L’Aia da parte di Phnom Penh complicano il quadro, mentre il Vietnam invoca il dialogo e la coesione interna dell’ASEAN.

Segue nostro Telegram.

Il confine tra Thailandia e Cambogia, esteso per oltre 800 km, rimane una delle linee di frizione più pericolose del Sud-Est asiatico. La disputa territoriale, radicata in secoli di storia e acuita da mappe coloniali controverse, ha vissuto una pericolosa recrudescenza alla fine di maggio 2025, offrendo un drammatico spaccato delle tensioni latenti, delle alleanze regionali e delle fragilità diplomatiche dell’ASEAN.

Nella nebbia dell’alba del 28 maggio, presso il villaggio di Morokot (Provincia di Preah Vihear, Cambogia) e l’adiacente area di Chong Bok (Provincia di Ubon Ratchathani, Thailandia), brevi ma intensi scambi di fuoco hanno infranto anni di relativa calma. Le versioni dei due eserciti, come riportato dall’agenzia AP e dai media locali, si sono rivelate immediatamente divergenti.

“Le nostre truppe erano in pattuglia di routine quando i thailandesi hanno aperto il fuoco senza preavviso”, ha dichiarato il Tenente Colonnello Mao Phalla, portavoce dell’esercito reale cambogiano. Il bilancio, da parte cambogiana, è stato tragico, con una vittima: il sergente Suwanna Rao, 48 anni, ucciso nella trincea dove era di stanza. Phnom Penh ha denunciato l’attacco a una postazione “tenuta a lungo” dalle sue forze.

“Abbiamo tentato di negoziare dopo aver visto soldati cambogiani scavare trincee in un’area contesa per la seconda volta. Loro hanno frainteso e aperto il fuoco. La nostra risposta è stata di legittima difesa”, ha controbattuto il portavoce militare thai Winthai Suvaree, sottolineando l’assenza di perdite tra le proprie fila.

Lo scontro, durato circa 10 minuti, è stato fermato solo dopo un tempestivo intervento telefonico tra i comandanti locali. La reazione dei vertici politici dei due regni ha visto la Premier thailandese Paetongtarn Shinawatra e il Primo Ministro cambogiano Hun Manet parlarsi direttamente poche ore dopo. “Abbiamo concordato che ciò non deve ripetersi. I nostri rapporti rimangono buoni”, ha dichiarato Shinawatra, cercando di smorzare la crisi. Allo stesso tempo, il Ministro della Difesa thailandese Phumtham Wechayachai ha ribadito la linea della “proporzionalità” e dell’autodifesa.

La rapidità della reazione diplomatica ha impedito un’escalation immediata. Giovedì 29 maggio, i capi di stato maggiore degli eserciti, il generale thailandese Phana Klaewplodthuk e il generale cambogiano Mao Sophan, si sono incontrati al valico di Chong Chom (Surin, Thailandia). L’accordo raggiunto è stato chiaro: ritiro immediato delle truppe dalle posizioni avanzate nell’area contesa di Chong Bok e affidamento del caso alla Commissione Congiunta di Confine (JBC) per risolvere la disputa tramite negoziati nelle settimane successive. Entrambe le parti hanno promesso “massima moderazione”.

Tuttavia, questa ritrovata calma apparente nasconde ferite profonde. In questo contesto, l’ombra dell’importante Tempio di Preah Vihear pesa come un macigno. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 1962. che assegnò il tempio alla Cambogia, e quella del 2013 che chiarì i confini nell’area circostante, rimangono una spina nel fianco per il nazionalismo thailandese e un motivo d’orgoglio per Phnom Penh. Le tensioni scoppiate nel 2008-2011, con decine di morti, sono un monito vivido. La recente incursione di soldati cambogiani e familiari in un antico tempio di confine a febbraio 2024, culminata nel canto dell’inno nazionale khmer davanti alle truppe thailandesi (il cui video è divenuto virale), dimostra come la questione identitaria e simbolica sia esplosiva.

Oltre ai precedenti storici, il tempismo degli scontri di fine maggio solleva interrogativi geopolitici cruciali. Proprio il 28 maggio, mentre al confine avvenivano gli scontri, si concludeva a Kampong Chhnang, in Cambogia, la massiccia esercitazione militare congiunta “Golden Dragon-2025” tra l’Esercito Popolare di Liberazione cinese e le forze armate reali cambogiane. Le manovre, iniziate giorni prima, hanno incluso per la prima volta un’esercitazione aeromarittima con fuoco reale nel porto strategico di Sihanoukville, basata sul nuovo Centro Congiunto di Supporto e Addestramento Cambogia-Cina di Ream – una struttura la cui modernizzazione con supporto cinese ha preoccupato Washington. Inoltre, le parti hanno tenuto un’imponente esercitazione terrestre e aerea con fuoco reale incentrata sul controterrorismo urbano, con scenari complessi di salvataggio ostaggi e neutralizzazione di cellule nemiche, coinvolgendo oltre 2.000 soldati, elicotteri, blindati e droni.

Pechino ha enfatizzato che le esercitazioni “hanno ulteriormente approfondito cooperazione e fiducia reciproca” e “elevato il livello di integrazione e prontezza operativa”. L’esperto militare cinese Fu Qianshao, intervistato dal Global Times, ha aggiunto che la crescente capacità della marina cambogiana e le nuove infrastrutture “apriranno più opportunità per esercitazioni congiunte tri-dimensionali (terra, mare, aria) in futuro”, utili per “mantenere pace e stabilità nel Mar Cinese Meridionale”.

Sebbene non vi sia un nesso causale diretto dimostrabile tra le esercitazioni e lo scontro di confine, l’implicazione strategica è innegabile. La dimostrazione di forza e di strettissima cooperazione militare tra Pechino e Phnom Penh, culminata lo stesso giorno dell’incidente di Chong Bok, invia un messaggio chiaro a Bangkok e alla regione sulla profondità dell’alleanza sino-cambogiana. Fornisce a Hun Manet un significativo paracadute diplomatico e strategico nell’affrontare la crisi con la Thailandia, suggerendo che la Cambogia non è sola. Questo contesto rende ancora più significativa la successiva mossa di Phnom Penh: rivolgersi nuovamente al tribunale de L’Aia.

Martedì 2 giugno, infatti, in una mossa che ha riacceso ulteriormente la disputa, il governo cambogiano ha annunciato di voler chiedere un nuovo parere o sentenza alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU riguardo alle dispute di confine con la Thailandia, inclusa quella che ha portato alla morte del sergente Rao. L’Assemblea Nazionale cambogiana, dominata dal Partito Popolare del Primo Ministro Hun Manet e di suo padre, lo storico leader Hun Sen, ha votato per sostenere la decisione.

La Thailandia, attraverso il suo Ministro degli Esteri Maris Sangiampongsa, ha finora reagito con cautela, ribadendo che le sue azioni erano “proporzionate e legali” e che la situazione al confine era “calma”, ma non ha ancora formalmente risposto all’annuncio del governo cambogiano. Secondo gli analisti, la mossa rischia di congelare il dialogo appena ripreso e riaccendere il nazionalismo su entrambi i lati.

In questo quadro complesso, la posizione del Vietnam, altro vicino chiave di entrambi i contendenti e membro influente dell’ASEAN, è stata esemplare per equilibrio e richiamo ai principi fondamentali dell’organizzazione. A tal proposito, la portavoce del Ministero degli Esteri vietnamita, Phạm Thu Hằng, ha articolato una posizione chiara: “Abbiamo preso atto delle informazioni sull’incidente annunciate da entrambe le parti, Cambogia e Thailandia. Crediamo fermamente che tutti i disaccordi saranno risolti dalle parti coinvolte attraverso il dialogo e mezzi pacifici, in conformità con gli accordi bilaterali esistenti, nello spirito di solidarietà ASEAN e in linea con il diritto internazionale”.

La posizione vietnamita riflette la preoccupazione del governo vietnamita che tensioni bilaterali violente possano destabilizzare l’intera regione e minare la credibilità dell’ASEAN. Pur essendo storicamente vicina alla Cambogia, il Vietnam mantiene anche importanti relazioni economiche e politiche con la Thailandia, con le due parti che hanno recentemente stipulato un Partenariato Strategico Globale, rendendo un equilibrio prudente una necessità strategica.

Indubbiamente, la disputa di confine thailandese-cambogiana rimane una polveriera. Gli scontri di fine maggio hanno dimostrato con tragica concretezza quanto sia facile riaccendere il conflitto, alimentato da memorie storiche dolorose, percezioni di sovranità violate e attività militari percepite come provocatorie. La tenuta di questa pace precaria dipenderà non solo dalla capacità dei comandanti locali di evitare nuovi “incidenti”, ma soprattutto dalla volontà politica dei leader di Bangkok e Phnom Penh di privilegiare il dialogo prolungato e complesso sul contenzioso giuridico internazionale o sulle dimostrazioni di forza, e dalla capacità dell’ASEAN di offrire un quadro credibile per una soluzione duratura e condivisa.

A seguito dei mortali scontri di fine maggio al confine thailandese-cambogiano, la crisi riaccende le antiche dispute territoriali. Il contesto delle recenti esercitazioni militari sino-cambogiane e il ricorso a L’Aia da parte di Phnom Penh complicano il quadro, mentre il Vietnam invoca il dialogo e la coesione interna dell’ASEAN.

Segue nostro Telegram.

Il confine tra Thailandia e Cambogia, esteso per oltre 800 km, rimane una delle linee di frizione più pericolose del Sud-Est asiatico. La disputa territoriale, radicata in secoli di storia e acuita da mappe coloniali controverse, ha vissuto una pericolosa recrudescenza alla fine di maggio 2025, offrendo un drammatico spaccato delle tensioni latenti, delle alleanze regionali e delle fragilità diplomatiche dell’ASEAN.

Nella nebbia dell’alba del 28 maggio, presso il villaggio di Morokot (Provincia di Preah Vihear, Cambogia) e l’adiacente area di Chong Bok (Provincia di Ubon Ratchathani, Thailandia), brevi ma intensi scambi di fuoco hanno infranto anni di relativa calma. Le versioni dei due eserciti, come riportato dall’agenzia AP e dai media locali, si sono rivelate immediatamente divergenti.

“Le nostre truppe erano in pattuglia di routine quando i thailandesi hanno aperto il fuoco senza preavviso”, ha dichiarato il Tenente Colonnello Mao Phalla, portavoce dell’esercito reale cambogiano. Il bilancio, da parte cambogiana, è stato tragico, con una vittima: il sergente Suwanna Rao, 48 anni, ucciso nella trincea dove era di stanza. Phnom Penh ha denunciato l’attacco a una postazione “tenuta a lungo” dalle sue forze.

“Abbiamo tentato di negoziare dopo aver visto soldati cambogiani scavare trincee in un’area contesa per la seconda volta. Loro hanno frainteso e aperto il fuoco. La nostra risposta è stata di legittima difesa”, ha controbattuto il portavoce militare thai Winthai Suvaree, sottolineando l’assenza di perdite tra le proprie fila.

Lo scontro, durato circa 10 minuti, è stato fermato solo dopo un tempestivo intervento telefonico tra i comandanti locali. La reazione dei vertici politici dei due regni ha visto la Premier thailandese Paetongtarn Shinawatra e il Primo Ministro cambogiano Hun Manet parlarsi direttamente poche ore dopo. “Abbiamo concordato che ciò non deve ripetersi. I nostri rapporti rimangono buoni”, ha dichiarato Shinawatra, cercando di smorzare la crisi. Allo stesso tempo, il Ministro della Difesa thailandese Phumtham Wechayachai ha ribadito la linea della “proporzionalità” e dell’autodifesa.

La rapidità della reazione diplomatica ha impedito un’escalation immediata. Giovedì 29 maggio, i capi di stato maggiore degli eserciti, il generale thailandese Phana Klaewplodthuk e il generale cambogiano Mao Sophan, si sono incontrati al valico di Chong Chom (Surin, Thailandia). L’accordo raggiunto è stato chiaro: ritiro immediato delle truppe dalle posizioni avanzate nell’area contesa di Chong Bok e affidamento del caso alla Commissione Congiunta di Confine (JBC) per risolvere la disputa tramite negoziati nelle settimane successive. Entrambe le parti hanno promesso “massima moderazione”.

Tuttavia, questa ritrovata calma apparente nasconde ferite profonde. In questo contesto, l’ombra dell’importante Tempio di Preah Vihear pesa come un macigno. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 1962. che assegnò il tempio alla Cambogia, e quella del 2013 che chiarì i confini nell’area circostante, rimangono una spina nel fianco per il nazionalismo thailandese e un motivo d’orgoglio per Phnom Penh. Le tensioni scoppiate nel 2008-2011, con decine di morti, sono un monito vivido. La recente incursione di soldati cambogiani e familiari in un antico tempio di confine a febbraio 2024, culminata nel canto dell’inno nazionale khmer davanti alle truppe thailandesi (il cui video è divenuto virale), dimostra come la questione identitaria e simbolica sia esplosiva.

Oltre ai precedenti storici, il tempismo degli scontri di fine maggio solleva interrogativi geopolitici cruciali. Proprio il 28 maggio, mentre al confine avvenivano gli scontri, si concludeva a Kampong Chhnang, in Cambogia, la massiccia esercitazione militare congiunta “Golden Dragon-2025” tra l’Esercito Popolare di Liberazione cinese e le forze armate reali cambogiane. Le manovre, iniziate giorni prima, hanno incluso per la prima volta un’esercitazione aeromarittima con fuoco reale nel porto strategico di Sihanoukville, basata sul nuovo Centro Congiunto di Supporto e Addestramento Cambogia-Cina di Ream – una struttura la cui modernizzazione con supporto cinese ha preoccupato Washington. Inoltre, le parti hanno tenuto un’imponente esercitazione terrestre e aerea con fuoco reale incentrata sul controterrorismo urbano, con scenari complessi di salvataggio ostaggi e neutralizzazione di cellule nemiche, coinvolgendo oltre 2.000 soldati, elicotteri, blindati e droni.

Pechino ha enfatizzato che le esercitazioni “hanno ulteriormente approfondito cooperazione e fiducia reciproca” e “elevato il livello di integrazione e prontezza operativa”. L’esperto militare cinese Fu Qianshao, intervistato dal Global Times, ha aggiunto che la crescente capacità della marina cambogiana e le nuove infrastrutture “apriranno più opportunità per esercitazioni congiunte tri-dimensionali (terra, mare, aria) in futuro”, utili per “mantenere pace e stabilità nel Mar Cinese Meridionale”.

Sebbene non vi sia un nesso causale diretto dimostrabile tra le esercitazioni e lo scontro di confine, l’implicazione strategica è innegabile. La dimostrazione di forza e di strettissima cooperazione militare tra Pechino e Phnom Penh, culminata lo stesso giorno dell’incidente di Chong Bok, invia un messaggio chiaro a Bangkok e alla regione sulla profondità dell’alleanza sino-cambogiana. Fornisce a Hun Manet un significativo paracadute diplomatico e strategico nell’affrontare la crisi con la Thailandia, suggerendo che la Cambogia non è sola. Questo contesto rende ancora più significativa la successiva mossa di Phnom Penh: rivolgersi nuovamente al tribunale de L’Aia.

Martedì 2 giugno, infatti, in una mossa che ha riacceso ulteriormente la disputa, il governo cambogiano ha annunciato di voler chiedere un nuovo parere o sentenza alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU riguardo alle dispute di confine con la Thailandia, inclusa quella che ha portato alla morte del sergente Rao. L’Assemblea Nazionale cambogiana, dominata dal Partito Popolare del Primo Ministro Hun Manet e di suo padre, lo storico leader Hun Sen, ha votato per sostenere la decisione.

La Thailandia, attraverso il suo Ministro degli Esteri Maris Sangiampongsa, ha finora reagito con cautela, ribadendo che le sue azioni erano “proporzionate e legali” e che la situazione al confine era “calma”, ma non ha ancora formalmente risposto all’annuncio del governo cambogiano. Secondo gli analisti, la mossa rischia di congelare il dialogo appena ripreso e riaccendere il nazionalismo su entrambi i lati.

In questo quadro complesso, la posizione del Vietnam, altro vicino chiave di entrambi i contendenti e membro influente dell’ASEAN, è stata esemplare per equilibrio e richiamo ai principi fondamentali dell’organizzazione. A tal proposito, la portavoce del Ministero degli Esteri vietnamita, Phạm Thu Hằng, ha articolato una posizione chiara: “Abbiamo preso atto delle informazioni sull’incidente annunciate da entrambe le parti, Cambogia e Thailandia. Crediamo fermamente che tutti i disaccordi saranno risolti dalle parti coinvolte attraverso il dialogo e mezzi pacifici, in conformità con gli accordi bilaterali esistenti, nello spirito di solidarietà ASEAN e in linea con il diritto internazionale”.

La posizione vietnamita riflette la preoccupazione del governo vietnamita che tensioni bilaterali violente possano destabilizzare l’intera regione e minare la credibilità dell’ASEAN. Pur essendo storicamente vicina alla Cambogia, il Vietnam mantiene anche importanti relazioni economiche e politiche con la Thailandia, con le due parti che hanno recentemente stipulato un Partenariato Strategico Globale, rendendo un equilibrio prudente una necessità strategica.

Indubbiamente, la disputa di confine thailandese-cambogiana rimane una polveriera. Gli scontri di fine maggio hanno dimostrato con tragica concretezza quanto sia facile riaccendere il conflitto, alimentato da memorie storiche dolorose, percezioni di sovranità violate e attività militari percepite come provocatorie. La tenuta di questa pace precaria dipenderà non solo dalla capacità dei comandanti locali di evitare nuovi “incidenti”, ma soprattutto dalla volontà politica dei leader di Bangkok e Phnom Penh di privilegiare il dialogo prolungato e complesso sul contenzioso giuridico internazionale o sulle dimostrazioni di forza, e dalla capacità dell’ASEAN di offrire un quadro credibile per una soluzione duratura e condivisa.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.