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Stefano Vernole
June 2, 2025
© Photo: Public domain

Cosa sta succedendo in Libia e quali potrebbero essere le conseguenze – nell’articolo di Stefano Vernole.

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Il 12 maggio 2025 la violenza è nuovamente divampata in Libia con l’uccisione a Tripoli di Abdelghani al-Kikli, noto come “Ghnewa”, leader dell’Apparato di Supporto alla Stabilità (SSA), una delle milizie più potenti di Tripoli e un tempo fedele al Governo di Unità Nazionale (GNU). Abdulhamid Dabeiba, Primo Ministro del GNU, ha colto l’occasione per dichiarare la fine dei “sistemi di sicurezza paralleli” e ha ordinato la ristrutturazione delle forze di sicurezza, presentando l’uccisione di Gnewa come un segnale che lo Stato stava riprendendo il controllo su di esse; tuttavia, l’omicidio ha innescato una spirale di violenza tra milizie rivali in città, portando ad alcuni degli scontri più intensi che la capitale abbia visto negli ultimi anni. In risposta all’escalation di violenza e instabilità, sono scoppiate manifestazioni antigovernative, con i manifestanti che chiedono la caduta del Governo di Dabeiba. In effetti, il suo esecutivo non gode di un ampio sostegno popolare ed è stato accusato di aver rafforzato una cleptocrazia basata sulla corruzione. In questo scenario, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) nella Libia orientale si è astenuto finora dall’intervenire direttamente ma Khalifa Haftar ha spostato le proprie truppe nei pressi di Sirte (più vicina a Tripoli), sostenendo la richiesta di dimissioni del GNU. In mezzo alle turbolenze, il processo di pace guidato dalle Nazioni Unite rimane in una situazione di stallo, mentre potenze straniere come Turchia, Emirati Arabi Uniti, Russia ed Egitto mantengono ancora una forte influenza sul Paese.

L’eliminazione delle forze di Abdelghani “Ghnewa” al-Kikli ha rappresentato il primo grande cambiamento nel panorama della sicurezza di Tripoli dall’agosto 2022 e il successivo scontro con le Forze Speciali di Deterrenza ha rappresentato la più ampia escalation nella capitale dall’agosto 2023. Ma, pur essendo eccezionali, questi eventi riflettono anche tendenze costanti e di fondo. In primo luogo, dando potere ai leader delle milizie affinché rimanessero in carica, il Primo Ministro Abdelhamid Dabeiba ha alimentato le rivalità tra i comandanti chiave. Invece di creare una solida coalizione a sostegno del Governo, le sue politiche hanno portato a continui cambiamenti nelle alleanze a Tripoli. In secondo luogo, ha anche aiutato alcuni leader delle milizie a diventare abbastanza potenti da sfidarlo, come nel caso di Ghnewa. Le proteste in Libia sono un forte monito dell’illegittimità del suo sistema politico, della frustrazione della popolazione e della precarietà di uno status quo che gli attori internazionali occidentali vorrebbero sostenibile. Dovrebbe essere considerato un monito: se le Nazioni Unite lasciano che la transizione della Libia sia portata avanti dagli stessi organismi contro cui la gente protestava, allora si concluderà di nuovo con la violenza, soprattutto considerando come diverse fazioni politiche siano riuscite a cooptare le proteste per i propri fini venali.

Il Governo di Unità Nazionale (GNU) non ha mai goduto della piena legittimazione e del consenso che avrebbe dovuto avere, almeno secondo l’idea del suo principale proponente, la Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Stephanie Williams e degli Stati Uniti, principale sponsor di Tripoli. I dubbi sulle modalità di svolgimento delle elezioni a Ginevra hanno macchiato questo Governo fin dalla sua nascita e sono stati rafforzati dal modo in cui il GNU e il suo Primo Ministro Dabeiba hanno condotto le loro azioni quotidiane, dando potere alle stesse milizie che, sostenute dalla NATO, avevano contribuito all’uccisione di Muammar Gheddafi. I libici hanno iniziato a definire il Governo del GNU come una cleptocrazia, insinuando che Dabeiba fosse mantenuto al potere grazie alla sua lauta distribuzione di ricchezza e benefici a vari attori locali, alcuni di dubbia reputazione. Si è ora raggiunto un punto in cui è diventato evidente il fatto che il tempo del GNU e il ruolo di Dabeiba sono giunti alla fine. C’è un accordo su questo, non solo tra la popolazione in generale e la maggior parte dei politici libici, ma sempre più tra i principali attori stranieri. Ciò che impedisce a Dabeiba di cadere è ancora la divisione all’interno dell’opposizione, nonché la mancanza di un piano coordinato tra attori locali e internazionali su come cambiare Governo e con quali scopi e obiettivi nominarne uno nuovo.

Gli attori esterni continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel plasmare il panorama politico, militare ed economico della Libia, come dimostrano sia l’assassinio del leader della milizia Abdulghani al-Kikli il 12 maggio 2025 e la controversia sul mandato di arresto della Corte penale internazionale per Osama al-Masri. Gli stranieri si muovono sul territorio libico attraverso tre linee di influenza: politica, militare ed economica. A livello politico, la divisione iniziata con le elezioni del 2014 è in fase di mutazione: mentre la Missione ONU in Libia e gli U.S.A. continuano a sostenere il Governo di Tripoli, i turchi hanno da tempo sviluppato una diplomazia parallela a 360° con Haftar; egiziani e russi sostengono l’Amministrazione di Bengasi[1]. Questo sostegno politico e diplomatico assume anche una forma militare più esplicita sul terreno. Dalla terza guerra civile del 2019, Ankara ha mantenuto una presenza in Tripolitania attraverso gruppi mercenari e addestratori militari, mentre Mosca opera nelle sabbie della Cirenaica principalmente attraverso l’Africa Corps. Sul fronte economico, il colosso italiano ENI non ha mai lasciato la Libia, e i russi, dopo aver contribuito alla sconfitta dell’ISIS, sono riusciti ad aggirare le sanzioni internazionali imposte dal 2022.

La priorità assoluta dovrebbe essere quella di scongiurare una guerra civile potenzialmente più distruttiva di tutti gli episodi precedenti, così come le difficoltà economiche dovrebbero essere affrontate, poiché l’elevata inflazione e la corruzione hanno contribuito a scatenare la rapida rabbia popolare estesasi dopo le violenze del 13 maggio. Oltre a ciò, il declino dell’importanza di Dabeiba implica anche la necessità di proporre un solido processo di transizione, con un Governo unificato, chiari limiti di mandato e un impegno concreto per le elezioni. A questo proposito, alcune voci occidentali suggeriscono di tenere solo i sondaggi parlamentari, piuttosto che rischiare un nuovo fallimento elettorale come nel 2021: la democrazia per Washington e Bruxelles va bene solo quando vincono i loro proxies. L’Italia, in particolare, dopo aver imposto la consegna del silenzio su quanto sta avvenendo nel suo “cortile di casa”, rischia ora una disfatta totale.

Sarebbe prematuro affermare che tutti i segnali indicano una riduzione dell’autorità delle milizie. Abdelghani al-Kikli era tra i più potenti leader delle milizie a Tripoli, con i suoi amici infiltrati in diverse istituzioni statali, inclusi i servizi segreti libici. Il giorno dopo è stato ucciso in quella che sembra essere stata un’imboscata, spingendo i suoi stretti collaboratori a fuggire e la sua base a consegnare i loro presidi senza opporre resistenza. Tuttavia, ciò che è accaduto il giorno dopo l’uccisione di Gnewa, quando il Primo Ministro ha esagerato nel tentativo di colpire altri leader di gruppi armati, dimostra esattamente il contrario: le milizie rimangono resilienti e contrattaccheranno per mantenere il controllo del loro territorio anche a costo di innescare i peggiori scontri che la capitale abbia visto negli ultimi anni. Nelle prossime settimane, i loro interessi mafiosi continueranno quasi certamente a essere la caratteristica distintiva della vita quotidiana a Tripoli.

Il Parlamento di Bengasi si sta invece muovendo per un accordo su un nuovo premier unificato, accettato anche dalle Autorità di Tripoli, con l’obiettivo di portare il Paese verso elezioni riconosciute dai principali attori politici libici. Se quest’anno si tenessero le elezioni presidenziali, Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, sarebbe il candidato sostenuto dal Fronte Popolare per la Liberazione della Libia (FPLL) e in votazioni libere da interferenze esterne uscirebbe quasi sicuramente vincitore, segnando l’umiliazione delle politiche occidentali.

[1] Nella Libia orientale, a Bengasi, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) esercita la sua influenza, rafforzato dalla Camera dei Rappresentanti (HoR) e dall’Esercito Nazionale Libico (LNA) del feldmaresciallo Khalifa Haftar.

Dal caos in Libia sorgerà un nuovo Governo per condurre il Paese alle elezioni?

Cosa sta succedendo in Libia e quali potrebbero essere le conseguenze – nell’articolo di Stefano Vernole.

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Il 12 maggio 2025 la violenza è nuovamente divampata in Libia con l’uccisione a Tripoli di Abdelghani al-Kikli, noto come “Ghnewa”, leader dell’Apparato di Supporto alla Stabilità (SSA), una delle milizie più potenti di Tripoli e un tempo fedele al Governo di Unità Nazionale (GNU). Abdulhamid Dabeiba, Primo Ministro del GNU, ha colto l’occasione per dichiarare la fine dei “sistemi di sicurezza paralleli” e ha ordinato la ristrutturazione delle forze di sicurezza, presentando l’uccisione di Gnewa come un segnale che lo Stato stava riprendendo il controllo su di esse; tuttavia, l’omicidio ha innescato una spirale di violenza tra milizie rivali in città, portando ad alcuni degli scontri più intensi che la capitale abbia visto negli ultimi anni. In risposta all’escalation di violenza e instabilità, sono scoppiate manifestazioni antigovernative, con i manifestanti che chiedono la caduta del Governo di Dabeiba. In effetti, il suo esecutivo non gode di un ampio sostegno popolare ed è stato accusato di aver rafforzato una cleptocrazia basata sulla corruzione. In questo scenario, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) nella Libia orientale si è astenuto finora dall’intervenire direttamente ma Khalifa Haftar ha spostato le proprie truppe nei pressi di Sirte (più vicina a Tripoli), sostenendo la richiesta di dimissioni del GNU. In mezzo alle turbolenze, il processo di pace guidato dalle Nazioni Unite rimane in una situazione di stallo, mentre potenze straniere come Turchia, Emirati Arabi Uniti, Russia ed Egitto mantengono ancora una forte influenza sul Paese.

L’eliminazione delle forze di Abdelghani “Ghnewa” al-Kikli ha rappresentato il primo grande cambiamento nel panorama della sicurezza di Tripoli dall’agosto 2022 e il successivo scontro con le Forze Speciali di Deterrenza ha rappresentato la più ampia escalation nella capitale dall’agosto 2023. Ma, pur essendo eccezionali, questi eventi riflettono anche tendenze costanti e di fondo. In primo luogo, dando potere ai leader delle milizie affinché rimanessero in carica, il Primo Ministro Abdelhamid Dabeiba ha alimentato le rivalità tra i comandanti chiave. Invece di creare una solida coalizione a sostegno del Governo, le sue politiche hanno portato a continui cambiamenti nelle alleanze a Tripoli. In secondo luogo, ha anche aiutato alcuni leader delle milizie a diventare abbastanza potenti da sfidarlo, come nel caso di Ghnewa. Le proteste in Libia sono un forte monito dell’illegittimità del suo sistema politico, della frustrazione della popolazione e della precarietà di uno status quo che gli attori internazionali occidentali vorrebbero sostenibile. Dovrebbe essere considerato un monito: se le Nazioni Unite lasciano che la transizione della Libia sia portata avanti dagli stessi organismi contro cui la gente protestava, allora si concluderà di nuovo con la violenza, soprattutto considerando come diverse fazioni politiche siano riuscite a cooptare le proteste per i propri fini venali.

Il Governo di Unità Nazionale (GNU) non ha mai goduto della piena legittimazione e del consenso che avrebbe dovuto avere, almeno secondo l’idea del suo principale proponente, la Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Stephanie Williams e degli Stati Uniti, principale sponsor di Tripoli. I dubbi sulle modalità di svolgimento delle elezioni a Ginevra hanno macchiato questo Governo fin dalla sua nascita e sono stati rafforzati dal modo in cui il GNU e il suo Primo Ministro Dabeiba hanno condotto le loro azioni quotidiane, dando potere alle stesse milizie che, sostenute dalla NATO, avevano contribuito all’uccisione di Muammar Gheddafi. I libici hanno iniziato a definire il Governo del GNU come una cleptocrazia, insinuando che Dabeiba fosse mantenuto al potere grazie alla sua lauta distribuzione di ricchezza e benefici a vari attori locali, alcuni di dubbia reputazione. Si è ora raggiunto un punto in cui è diventato evidente il fatto che il tempo del GNU e il ruolo di Dabeiba sono giunti alla fine. C’è un accordo su questo, non solo tra la popolazione in generale e la maggior parte dei politici libici, ma sempre più tra i principali attori stranieri. Ciò che impedisce a Dabeiba di cadere è ancora la divisione all’interno dell’opposizione, nonché la mancanza di un piano coordinato tra attori locali e internazionali su come cambiare Governo e con quali scopi e obiettivi nominarne uno nuovo.

Gli attori esterni continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel plasmare il panorama politico, militare ed economico della Libia, come dimostrano sia l’assassinio del leader della milizia Abdulghani al-Kikli il 12 maggio 2025 e la controversia sul mandato di arresto della Corte penale internazionale per Osama al-Masri. Gli stranieri si muovono sul territorio libico attraverso tre linee di influenza: politica, militare ed economica. A livello politico, la divisione iniziata con le elezioni del 2014 è in fase di mutazione: mentre la Missione ONU in Libia e gli U.S.A. continuano a sostenere il Governo di Tripoli, i turchi hanno da tempo sviluppato una diplomazia parallela a 360° con Haftar; egiziani e russi sostengono l’Amministrazione di Bengasi[1]. Questo sostegno politico e diplomatico assume anche una forma militare più esplicita sul terreno. Dalla terza guerra civile del 2019, Ankara ha mantenuto una presenza in Tripolitania attraverso gruppi mercenari e addestratori militari, mentre Mosca opera nelle sabbie della Cirenaica principalmente attraverso l’Africa Corps. Sul fronte economico, il colosso italiano ENI non ha mai lasciato la Libia, e i russi, dopo aver contribuito alla sconfitta dell’ISIS, sono riusciti ad aggirare le sanzioni internazionali imposte dal 2022.

La priorità assoluta dovrebbe essere quella di scongiurare una guerra civile potenzialmente più distruttiva di tutti gli episodi precedenti, così come le difficoltà economiche dovrebbero essere affrontate, poiché l’elevata inflazione e la corruzione hanno contribuito a scatenare la rapida rabbia popolare estesasi dopo le violenze del 13 maggio. Oltre a ciò, il declino dell’importanza di Dabeiba implica anche la necessità di proporre un solido processo di transizione, con un Governo unificato, chiari limiti di mandato e un impegno concreto per le elezioni. A questo proposito, alcune voci occidentali suggeriscono di tenere solo i sondaggi parlamentari, piuttosto che rischiare un nuovo fallimento elettorale come nel 2021: la democrazia per Washington e Bruxelles va bene solo quando vincono i loro proxies. L’Italia, in particolare, dopo aver imposto la consegna del silenzio su quanto sta avvenendo nel suo “cortile di casa”, rischia ora una disfatta totale.

Sarebbe prematuro affermare che tutti i segnali indicano una riduzione dell’autorità delle milizie. Abdelghani al-Kikli era tra i più potenti leader delle milizie a Tripoli, con i suoi amici infiltrati in diverse istituzioni statali, inclusi i servizi segreti libici. Il giorno dopo è stato ucciso in quella che sembra essere stata un’imboscata, spingendo i suoi stretti collaboratori a fuggire e la sua base a consegnare i loro presidi senza opporre resistenza. Tuttavia, ciò che è accaduto il giorno dopo l’uccisione di Gnewa, quando il Primo Ministro ha esagerato nel tentativo di colpire altri leader di gruppi armati, dimostra esattamente il contrario: le milizie rimangono resilienti e contrattaccheranno per mantenere il controllo del loro territorio anche a costo di innescare i peggiori scontri che la capitale abbia visto negli ultimi anni. Nelle prossime settimane, i loro interessi mafiosi continueranno quasi certamente a essere la caratteristica distintiva della vita quotidiana a Tripoli.

Il Parlamento di Bengasi si sta invece muovendo per un accordo su un nuovo premier unificato, accettato anche dalle Autorità di Tripoli, con l’obiettivo di portare il Paese verso elezioni riconosciute dai principali attori politici libici. Se quest’anno si tenessero le elezioni presidenziali, Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, sarebbe il candidato sostenuto dal Fronte Popolare per la Liberazione della Libia (FPLL) e in votazioni libere da interferenze esterne uscirebbe quasi sicuramente vincitore, segnando l’umiliazione delle politiche occidentali.

[1] Nella Libia orientale, a Bengasi, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) esercita la sua influenza, rafforzato dalla Camera dei Rappresentanti (HoR) e dall’Esercito Nazionale Libico (LNA) del feldmaresciallo Khalifa Haftar.

Cosa sta succedendo in Libia e quali potrebbero essere le conseguenze – nell’articolo di Stefano Vernole.

Segue nostro Telegram.

Il 12 maggio 2025 la violenza è nuovamente divampata in Libia con l’uccisione a Tripoli di Abdelghani al-Kikli, noto come “Ghnewa”, leader dell’Apparato di Supporto alla Stabilità (SSA), una delle milizie più potenti di Tripoli e un tempo fedele al Governo di Unità Nazionale (GNU). Abdulhamid Dabeiba, Primo Ministro del GNU, ha colto l’occasione per dichiarare la fine dei “sistemi di sicurezza paralleli” e ha ordinato la ristrutturazione delle forze di sicurezza, presentando l’uccisione di Gnewa come un segnale che lo Stato stava riprendendo il controllo su di esse; tuttavia, l’omicidio ha innescato una spirale di violenza tra milizie rivali in città, portando ad alcuni degli scontri più intensi che la capitale abbia visto negli ultimi anni. In risposta all’escalation di violenza e instabilità, sono scoppiate manifestazioni antigovernative, con i manifestanti che chiedono la caduta del Governo di Dabeiba. In effetti, il suo esecutivo non gode di un ampio sostegno popolare ed è stato accusato di aver rafforzato una cleptocrazia basata sulla corruzione. In questo scenario, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) nella Libia orientale si è astenuto finora dall’intervenire direttamente ma Khalifa Haftar ha spostato le proprie truppe nei pressi di Sirte (più vicina a Tripoli), sostenendo la richiesta di dimissioni del GNU. In mezzo alle turbolenze, il processo di pace guidato dalle Nazioni Unite rimane in una situazione di stallo, mentre potenze straniere come Turchia, Emirati Arabi Uniti, Russia ed Egitto mantengono ancora una forte influenza sul Paese.

L’eliminazione delle forze di Abdelghani “Ghnewa” al-Kikli ha rappresentato il primo grande cambiamento nel panorama della sicurezza di Tripoli dall’agosto 2022 e il successivo scontro con le Forze Speciali di Deterrenza ha rappresentato la più ampia escalation nella capitale dall’agosto 2023. Ma, pur essendo eccezionali, questi eventi riflettono anche tendenze costanti e di fondo. In primo luogo, dando potere ai leader delle milizie affinché rimanessero in carica, il Primo Ministro Abdelhamid Dabeiba ha alimentato le rivalità tra i comandanti chiave. Invece di creare una solida coalizione a sostegno del Governo, le sue politiche hanno portato a continui cambiamenti nelle alleanze a Tripoli. In secondo luogo, ha anche aiutato alcuni leader delle milizie a diventare abbastanza potenti da sfidarlo, come nel caso di Ghnewa. Le proteste in Libia sono un forte monito dell’illegittimità del suo sistema politico, della frustrazione della popolazione e della precarietà di uno status quo che gli attori internazionali occidentali vorrebbero sostenibile. Dovrebbe essere considerato un monito: se le Nazioni Unite lasciano che la transizione della Libia sia portata avanti dagli stessi organismi contro cui la gente protestava, allora si concluderà di nuovo con la violenza, soprattutto considerando come diverse fazioni politiche siano riuscite a cooptare le proteste per i propri fini venali.

Il Governo di Unità Nazionale (GNU) non ha mai goduto della piena legittimazione e del consenso che avrebbe dovuto avere, almeno secondo l’idea del suo principale proponente, la Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Stephanie Williams e degli Stati Uniti, principale sponsor di Tripoli. I dubbi sulle modalità di svolgimento delle elezioni a Ginevra hanno macchiato questo Governo fin dalla sua nascita e sono stati rafforzati dal modo in cui il GNU e il suo Primo Ministro Dabeiba hanno condotto le loro azioni quotidiane, dando potere alle stesse milizie che, sostenute dalla NATO, avevano contribuito all’uccisione di Muammar Gheddafi. I libici hanno iniziato a definire il Governo del GNU come una cleptocrazia, insinuando che Dabeiba fosse mantenuto al potere grazie alla sua lauta distribuzione di ricchezza e benefici a vari attori locali, alcuni di dubbia reputazione. Si è ora raggiunto un punto in cui è diventato evidente il fatto che il tempo del GNU e il ruolo di Dabeiba sono giunti alla fine. C’è un accordo su questo, non solo tra la popolazione in generale e la maggior parte dei politici libici, ma sempre più tra i principali attori stranieri. Ciò che impedisce a Dabeiba di cadere è ancora la divisione all’interno dell’opposizione, nonché la mancanza di un piano coordinato tra attori locali e internazionali su come cambiare Governo e con quali scopi e obiettivi nominarne uno nuovo.

Gli attori esterni continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel plasmare il panorama politico, militare ed economico della Libia, come dimostrano sia l’assassinio del leader della milizia Abdulghani al-Kikli il 12 maggio 2025 e la controversia sul mandato di arresto della Corte penale internazionale per Osama al-Masri. Gli stranieri si muovono sul territorio libico attraverso tre linee di influenza: politica, militare ed economica. A livello politico, la divisione iniziata con le elezioni del 2014 è in fase di mutazione: mentre la Missione ONU in Libia e gli U.S.A. continuano a sostenere il Governo di Tripoli, i turchi hanno da tempo sviluppato una diplomazia parallela a 360° con Haftar; egiziani e russi sostengono l’Amministrazione di Bengasi[1]. Questo sostegno politico e diplomatico assume anche una forma militare più esplicita sul terreno. Dalla terza guerra civile del 2019, Ankara ha mantenuto una presenza in Tripolitania attraverso gruppi mercenari e addestratori militari, mentre Mosca opera nelle sabbie della Cirenaica principalmente attraverso l’Africa Corps. Sul fronte economico, il colosso italiano ENI non ha mai lasciato la Libia, e i russi, dopo aver contribuito alla sconfitta dell’ISIS, sono riusciti ad aggirare le sanzioni internazionali imposte dal 2022.

La priorità assoluta dovrebbe essere quella di scongiurare una guerra civile potenzialmente più distruttiva di tutti gli episodi precedenti, così come le difficoltà economiche dovrebbero essere affrontate, poiché l’elevata inflazione e la corruzione hanno contribuito a scatenare la rapida rabbia popolare estesasi dopo le violenze del 13 maggio. Oltre a ciò, il declino dell’importanza di Dabeiba implica anche la necessità di proporre un solido processo di transizione, con un Governo unificato, chiari limiti di mandato e un impegno concreto per le elezioni. A questo proposito, alcune voci occidentali suggeriscono di tenere solo i sondaggi parlamentari, piuttosto che rischiare un nuovo fallimento elettorale come nel 2021: la democrazia per Washington e Bruxelles va bene solo quando vincono i loro proxies. L’Italia, in particolare, dopo aver imposto la consegna del silenzio su quanto sta avvenendo nel suo “cortile di casa”, rischia ora una disfatta totale.

Sarebbe prematuro affermare che tutti i segnali indicano una riduzione dell’autorità delle milizie. Abdelghani al-Kikli era tra i più potenti leader delle milizie a Tripoli, con i suoi amici infiltrati in diverse istituzioni statali, inclusi i servizi segreti libici. Il giorno dopo è stato ucciso in quella che sembra essere stata un’imboscata, spingendo i suoi stretti collaboratori a fuggire e la sua base a consegnare i loro presidi senza opporre resistenza. Tuttavia, ciò che è accaduto il giorno dopo l’uccisione di Gnewa, quando il Primo Ministro ha esagerato nel tentativo di colpire altri leader di gruppi armati, dimostra esattamente il contrario: le milizie rimangono resilienti e contrattaccheranno per mantenere il controllo del loro territorio anche a costo di innescare i peggiori scontri che la capitale abbia visto negli ultimi anni. Nelle prossime settimane, i loro interessi mafiosi continueranno quasi certamente a essere la caratteristica distintiva della vita quotidiana a Tripoli.

Il Parlamento di Bengasi si sta invece muovendo per un accordo su un nuovo premier unificato, accettato anche dalle Autorità di Tripoli, con l’obiettivo di portare il Paese verso elezioni riconosciute dai principali attori politici libici. Se quest’anno si tenessero le elezioni presidenziali, Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, sarebbe il candidato sostenuto dal Fronte Popolare per la Liberazione della Libia (FPLL) e in votazioni libere da interferenze esterne uscirebbe quasi sicuramente vincitore, segnando l’umiliazione delle politiche occidentali.

[1] Nella Libia orientale, a Bengasi, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) esercita la sua influenza, rafforzato dalla Camera dei Rappresentanti (HoR) e dall’Esercito Nazionale Libico (LNA) del feldmaresciallo Khalifa Haftar.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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