I diritti e le libertà dei cittadini moldavi vengono limitati, gli armamenti vengono accumulati. Dove porterà il Paese il governo di Maya Sandu?
Sul fronte orientale
Se all’interno di un Paese che vive nell’orbita occidentale avviene che la volontà popolare vince sulle pressioni politiche, che cosa può accadere? È questa la prima domanda da porsi riguardo i recenti eventi in Moldavia.
La situazione nel Paese, come ha brillantemente riportato Stephen Karganovic, è alquanto tesa. Il governo moldavo, guidato da Maia Sandu — considerata una figura vicina agli interessi dell’Occidente collettivo e rieletta alla presidenza lo scorso autunno in circostanze giudicate da molti altamente irregolari — si trova oggi in una condizione di instabilità politica, che non è da attribuirsi a interferenze russe (come hanno sostenuto alcuni giornalisti occidentali), bensì all’incapacità strutturale del regime di affrontare le profonde problematiche sociali ed etniche che attraversano il Paese, che per la sua posizione geografica, rappresenta un punto nevralgico per l’avanzata della NATO e dell’Unione Europea verso Est, nonché una base logistica fondamentale per il supporto al governo ucraino. Nonostante ciò, la popolazione moldava, indipendentemente dall’appartenenza etnica, manifesta un crescente scetticismo nei confronti di un’élite politica che appare sempre più legata a interessi esterni. Questo sentimento è evidente anche nella vicina Romania, dove le recenti elezioni presidenziali (su cui ci sono state molte polemiche) sembrano confermare una dinamica simile. In questo contesto, il potere dell’élite moldava filo-occidentale appare intrinsecamente precario e richiede continue operazioni di distrazione dell’opinione pubblica, spesso tramite la costruzione di minacce esterne artificiose.
Le numerose accuse di complotti e tentativi di destabilizzazione che nel tempo sono state sollevate dalle autorità moldave non hanno mai superato la soglia delle dichiarazioni generiche. Nessuna è mai stata sottoposta a un regolare processo, dove sarebbe stato necessario esibire elementi di prova credibili. Tale dinamica ricorda da vicino le caratteristiche delle operazioni psicologiche messe in atto dai servizi segreti occidentali, con l’intento di mantenere i governi locali in uno stato di dipendenza e allerta costante.
La cosa più importante da tenere presente è che la Moldavia, assieme alla Romania, è un Paese fra quelli scelti dalla NATO per fare da base operativa e centro di comando per il fronte orientale.
Maia Sandu, definita da alcuni la “Zelensky di Chişinău”, ha adottato una linea sempre più rigida e provocatoria nei confronti della regione orientale del Paese, alimentando tensioni interne e spaccando la società moldava. Le comunità della Gagauzia e della Taraclia, in particolare, mostrano crescente desiderio di distacco, mentre cresce il malcontento tra i russofoni moldavi.
Parallelamente, il processo di avvicinamento della Moldova alla NATO si è intensificato, nonostante la contrarietà della maggioranza della popolazione: secondo i sondaggi del 2024, il 62% dei moldavi si oppone all’ingresso nell’Alleanza, mentre oltre il 70% preferirebbe mantenere una posizione di neutralità. Nonostante ciò, si sono svolte esercitazioni militari congiunte con forze di Stati Uniti, Polonia e Romania nei pressi della Transnistria, con voli di elicotteri stranieri su Chişinău e restrizioni imposte ai veicoli della PMR. Queste azioni si accompagnano a misure che limitano l’uso della lingua russa nel Paese.
Nel 2023, anche l’Ucraina aveva rafforzato la sua presenza militare nella regione di Odessa, schierando 4.000 soldati vicino alla Transnistria, proprio in concomitanza con una visita ufficiale del ministro degli Esteri ucraino a Chişinău. Nonostante la difficile situazione economica, con un costante aumento dei prezzi dei beni essenziali, il governo moldavo aveva già approvato spese militari ingenti.
Di fronte all’escalation e al crescente isolamento della regione separatista, il parlamento della Transnistria ha chiesto ufficialmente aiuto alla Russia, appellandosi alla Duma, al Consiglio della Federazione, all’OSCE, all’ONU, all’UE e ad altre organizzazioni internazionali, affinché vengano prese misure concrete a tutela della PMR. Mosca aveva a suo tempo risposto accusando il governo moldavo di cancellare tutto ciò che è russo, di bloccare i negoziati nel formato 5+2 e di esercitare forti pressioni economiche e politiche sulla regione. Il Cremlino aveva giustamente definito la politica di Chişinău una derivazione diretta delle strategie occidentali.
Una battaglia politica
La Moldavia il 15 maggio scorso ha dato un grande esempio di reazione al soft power delle lobby globaliste, presenti nella regione, soprattutto nella adiacente Romania con la storica presenza di Soros già da prima del crollo della URSS, riuscendo a impedire il proseguo della propaganda LGBT.
Non si tratta di un caso di poco conto, nient’affatto. Si tenga presente che l’Occidente collettivo ha stabilito in Moldavia una sistema di controllo e ingerenza politica, a guida anglo-americana, fatta di sistemi di ricatto, leve di ricatto, provocazioni. Adesso, però, qualcosa sta cambiando. Cambia la percezione della popolazione, che vede la regione sotto il mirino degli interessi della plutocrazia straniera; cambiano le zone di influenza militare, con la UE che avanza verso il riarmo impossibile e la Russia che silenziosamente colleziona successi sul fronte ucraino; cambiano gli equilibri monetari, laddove la Moldavia non è più in grado di sostenersi con la dipendenza al mercato dell’Euro.
Quando si creano dei conflitti interni di potere, vuol dire che il sistema politico di riferimento non è più in grado di tutelare se stesso e, dunque, è prossimo ad una crisi sostanziale.
La questione LGBT non è soltanto un problema etico ed un tema sociale di grande attualità – in occidente come in oriente – ma è uno di quei punti critici per i quali vengono fatte pressioni sia su schieramenti di destra che di sinistra.
Ecco che un evento come quello della proibizione della propaganda LGBT assume una rilevanza non soltanto politica, ma anche geopolitica: in Europa, oggi, solo i popoli possono liberarsi dei loro oppressori. Un cammino che richiede tempo e sacrificio, ma che è possibile iniziare.