Il popolo cinese e il popolo turco hanno una significativa differenza che dovrà trovare un terreno comune sufficientemente ampio per poter interagire in un’ottica di successo e prosperità pacifica a lungo termine.
Il gioco delle parti
Per lungo tempo, Ankara e Pechino hanno mantenuto un rapporto limitato a tematiche ristrette, inquadrate in un’agenda bilaterale tradizionale. La percezione reciproca era ancora condizionata da una mentalità da Guerra Fredda, fondata su logiche di blocco contrapposto. In questo quadro, la questione uigura non ha favorito la cooperazione, ma è rimasta un punto di tensione tra i due Paesi. La Cina ha considerato la Turchia principalmente come un forte alleato della NATO e degli Stati Uniti, mentre l’Asia orientale è rimasta fuori dal raggio d’interesse politico ed economico turco.
Tuttavia, negli ultimi anni lo scenario è mutato. Le relazioni turco-cinesi si sono arricchite di nuove dimensioni, diventando più complesse e multilivello. I due Paesi oggi collaborano su questioni globali cruciali, come i conflitti in Ucraina e Palestina; inoltre, partecipano insieme a forum multilaterali come BRICS, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e l’ASEAN.
L’ascesa della Cina, unita all’aumento del peso internazionale della Turchia, spinge entrambe le parti a ricercare nuovi approcci reciproci. In questo nuovo contesto, ci si chiede quali benefici potrebbe portare l’approfondimento multidimensionale della cooperazione tra Turchia e Cina, tanto per le popolazioni dei due Paesi quanto per il sistema internazionale.
Un anno fa
Facciamo un riassunto dell’ultimo anno. Cina e Turchia hanno rinsaldato i loro rapporti, proseguendo una proficua collaborazione, per ambedue le parti in gioco.
A giugno 2024, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan si era recato a Pechino su invito del suo omologo cinese Wang Yi. Molti gli incontri con alti funzionari cinesi le dichiarazioni che avevano avuto risonanza non solo nei rapporti bilaterali, ma anche sulla scena internazionale. In quell’occasione, Fidan aveva annunciato l’intenzione di accedere ai BRICS+, una prospettiva raggiunta al forum di Kazan nell’autunno dello stesso anno.
Da un lato, le questioni economiche e politiche bilaterali hanno avuto un ruolo centrale per entrambi i Paesi; dall’altro, sono emersi anche temi globali come la questione palestinese e la guerra in Ucraina, temi che sono andati sviluppandosi in maniera singolare: la Turchia condivideva con la Cina una visione simile che prevedeva il cessate il fuoco immediato e a creazione di uno Stato palestinese nei confini pre-1967, con capitale Gerusalemme Est, ma ad oggi ha sostenuto Israele – come ha fatto anche in Siria – e si è posta come zona franca di mediazione per Ucraina e Russia, ma nel tentativo di mantenere un equilibrio tra Est e Ovest, continua a vendere armi a Kiev, pur non aderendo formalmente alle sanzioni contro Mosca. La Cina, al contrario, mantiene una “amicizia senza limiti” con la Russia.
Quando in Turchia si parla di relazioni con la Cina, uno dei primi aspetti che emergono è il grande disavanzo commerciale. Negli ultimi vent’anni, il volume degli scambi commerciali tra i due paesi è aumentato di 40 volte, raggiungendo nel 2023 quasi 48 miliardi di dollari, ma il deficit commerciale turco ammonta a circa 40 miliardi. Anche la Cina, ovviamente, è chiamata a fare la sua parte. Fidan aveva proposto soluzioni come la rimozione delle restrizioni sui prodotti agricoli turchi, l’aumento del flusso turistico dalla Cina e maggiori investimenti cinesi, soprattutto in ambito nucleare e tecnologico. Queste misure, pur positive, non sono sufficienti a colmare lo squilibrio. Il vero interrogativo per Ankara è: come colmare questo deficit strutturale senza rafforzare la capacità produttiva nazionale, in un contesto in cui la politica economica di Mehmet Şimşek, improntata al neoliberismo, risulta soggetta agli interessi delle élite finanziarie occidentali? La domanda è ancora aperta.
Un altro tema sensibile ancora aperto è quello della minoranza uigura. Proprio come gli Stati Uniti sostengono il separatismo curdo contro l’integrità territoriale della Turchia, allo stesso modo promuovono il separatismo in Xinjiang per indebolire la Cina. La propaganda occidentale ha profondamente danneggiato i rapporti tra Ankara e Pechino, e la facilità con cui la questione viene strumentalizzata nella politica interna turca ne aumenta la vulnerabilità. La Turchia ha dunque sostenuto la Cina nella sua posizione, azione che ha suscitato grande simpatia e rappresentato un contrasto con le mire americane.
La questione BRICS e qualche idea per il futuro
Il grande interrogativo a Kazan 2024 era attorno alla dubbia posizione della Turchia, che richiedeva l’ingresso nel partenariato geoeconomico pur restando nella NATO. Al di là degli esiti, il quesito rimane immutato e rappresenta un doppio-gioco estremamente delicato. Di fatto, a distanza di un anno, la posizione della Turchia è ancora incerta e le azioni intraprese hanno marcato poco la linea dei BRICS.
È ovvio che la Turchia subisce da anni le pressioni del blocco occidentale, tra tentativi di golpe, sostegno al separatismo curdo, debiti crescenti e isolamento geopolitico nel Mediterraneo orientale.
Il mutamento dell’equilibrio mondiale, confermato anche dalle recenti elezioni europee, offre ad Ankara un’opportunità unica. Imbrigliata dal debito e dalla dipendenza dal dollaro, la Turchia ha bisogno di rafforzare i legami con il continente asiatico, non solo in termini di cooperazione economica, ma anche come alleata politica e militare. È in questa prospettiva che si gioca la vera evoluzione strategica del rapporto tra Ankara e Pechino.
Parallelamente, si attende da tempo la visita del presidente cinese Xi Jinping in Turchia, che potrebbe concretizzarsi nel corso di quest’anno. Un tale evento segnerebbe un momento significativo, segnalando una nuova percezione reciproca tra le due capitali. Sul piano globale, entrambi i Paesi potrebbero rafforzare la loro cooperazione all’interno di nuove piattaforme multilaterali alternative all’ordine mondiale centrato sull’Occidente.
Anche nella ricostruzione della Siria, Turchia e Cina potrebbero collaborare in progetti comuni volti a migliorare le condizioni di vita della popolazione, ove il governo di Pechino potrebbe richiedere garanzie alla Turchia in materia di sicurezza. L’influenza turca in Siria d’altronde rappresenta una realtà strategica che Pechino non può ignorare, e va ricordato che la Cina ha ringraziato Ankara per aver facilitato l’evacuazione in sicurezza dei suoi cittadini dalla Siria.
Se, tuttavia, da un lato l’autonomia strategica crescente della Turchia e il suo progressivo allontanamento dall’influenza occidentale sono accolti con favore, dall’altro lato la sua espansione politica, commerciale e culturale – dall’Asia centrale all’Africa orientale e al Sud-est asiatico – potrebbe rappresentare, sul lungo termine, una forma di competizione.
Negli ultimi 25 anni, la Cina ha investito costantemente nei Paesi del Sud globale, cercando di assumerne la leadership. La creazione del Forum di Cooperazione Cina-Africa (FOCAC) nel 2000, del Forum Cina-Stati Arabi (CASCF) nel 2004 e del Forum Cina-CELAC nel 2014 sono tappe fondamentali di questo percorso. Di recente, inquadrature che analizzano le relazioni tra Turchia e Cina attraverso il prisma del Sud globale stanno guadagnando terreno.
Una tale prospettiva potrebbe rafforzare il ruolo di Ankara e Pechino come portavoce dei Paesi in via di sviluppo, favorendo una maggiore sintonia nei consessi internazionali.
Come è noto, le relazioni internazionali non si costruiscono solo attraverso la diplomazia o il commercio. Alla base di legami duraturi tra Stati e popoli c’è l’interazione umana. Il popolo cinese e il popolo turco hanno una significativa differenza che dovrà trovare un terreno comune sufficientemente ampio per poter interagire in un’ottica di successo e prosperità pacifica a lungo termine.