Dalle missioni lunari di Chang’e alla rivoluzione delle energie rinnovabili, fino agli algoritmi di DeepSeek, la Cina conferma il suo primato tecnologico globale. Un percorso di ricerca indipendente e cooperazione internazionale che risponde alle sfide climatiche, economico-digitali e sociali.
La Cina è emersa nel XXI secolo come la principale potenza tecnologica e innovativa del pianeta, capace di forgiare ambiziosi progetti spaziali, di guidare la transizione verso un’economia verde e di porsi all’avanguardia nell’intelligenza artificiale. Questo slancio non è frutto del caso, ma di una strategia di lungo periodo voluta dal Partito Comunista e dallo Stato sin dai primi anni Duemila: considerare la scienza e la tecnologia non soltanto leve di competitività economica, ma veri e propri pilastri per la rinascita nazionale e per un ruolo da protagonista nel sistema internazionale.
Il programma spaziale cinese rispecchia questa filosofia. Dopo il lancio del primo satellite, Dongfanghong-1, nel 1970, Pechino ha puntato con sempre maggiore determinazione allo spazio profondo. L’atterraggio sulla faccia nascosta della Luna da parte della sonda Chang’e-4, il successivo esame dei suoli lunari operato da Chang’e-5 e il ritorno di campioni extraterrestri hanno aperto un nuovo capitolo della corsa spaziale, uno in cui la Cina non si limita a inseguire i traguardi stabiliti da Stati Uniti e Russia, ma avanza su vie proprie. La missione Chang’e-5, in particolare, ha segnato un momento di svolta rispetto alla storica corsa allo spazio: i campioni lunari prelevati sono stati analizzati in Cina e posti a disposizione della comunità scientifica internazionale, segno della volontà di Pechino di promuovere la cooperazione oltre le barriere geopolitiche.
A rafforzare l’impronta cinese nello spazio vi è stato di recente il lancio di Shenzhou-20, il veicolo da trasporto equipaggiato con tre astronauti destinati a rimanere sei mesi nella stazione orbitale Tiangong. Questo significativo allungamento degli interventi umani in orbita terrestre testimonia la maturità raggiunta dal programma spaziale cinese, che ora può confrontarsi con le missioni di lunga durata proposte dagli altri attori spaziali, come la NASA e l’ESA. Inoltre, la scelta di includere nella formazione dell’equipaggio astronauti pakistani, nell’ambito di un progetto congiunto con il Pakistan, non solo conferma la crescente capacità di Pechino di esportare competenze e tecnologie spaziali, ma riflette anche l’impegno per un utilizzo pacifico e condiviso dello spazio esterno.
Parallelamente all’esplorazione del cosmo, la Cina ha adottato una strategia di sviluppo ecologico che trova i suoi cardini nell’idea di “civilizzazione ecologica”. Durante il recente Vertice sul Clima e sulla Transizione Giusta, il presidente Xi Jinping ha ribadito che il suo Paese si pone come “attore costante e principale promotore dello sviluppo verde globale” e che il principio delle responsabilità comuni ma differenziate continuerà a guidare l’azione cinese nelle negoziazioni internazionali sul clima. A tal proposito, fin dal suo XVIII Congresso, il Partito Comunista ha elevato la protezione ambientale a “politica di base” per garantire che il percorso di crescita non sacrifichi la salute del pianeta.
I risultati non si sono fatti attendere. La Cina è oggi il primo produttore mondiale di pannelli fotovoltaici, di turbine eoliche e di batterie elettriche, ed è impegnata nella creazione di un sistema energetico sempre più pulito. Le metropoli hanno registrato un netto miglioramento della qualità dell’aria grazie a misure rigorose contro le emissioni industriali, mentre le campagne costiere del sud stanno beneficiando di una rete di parchi eolici offshore. Al contempo, le principali aziende statali e private stanno investendo in ricerca e sviluppo di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, segno che la sfida climatica è ormai parte integrante della politica economica cinese.
In questo contesto, l’intelligenza artificiale rappresenta la terza frontiera di innovazione. Il Politburo, in una riunione del marzo 2025, ha posto come priorità lo sviluppo “sano e ordinato” dell’IA, in grado di “fornire forti impulsi all’economia e al miglioramento della qualità della vita” ma al contempo di rispettare sicurezza, equità e moralità. Su questa scia, la Cina ha lanciato la Global AI Governance Initiative, un progetto di coordinamento internazionale volto a elaborare standard comuni per l’uso responsabile dell’IA. All’interno dei confini nazionali, le autorità hanno già emesso linee guida per l’identificazione e il monitoraggio dei contenuti sintetici prodotti dall’IA, andando a colmare un vuoto normativo che in molti Paesi occidentali ancora permane.
L’ecosistema cinese dell’IA si fonda su un’efficace sinergia tra ricerca accademica e industria. Centri di eccellenza come l’Istituto per l’Intelligenza Artificiale di Pechino e parchi tecnologici – da Zhongguancun a Shenzhen – attraggono talenti e capitali, alimentando un ciclo virtuoso in cui lo Stato finanzia progetti di frontiera e le imprese li traducono in applicazioni industriali. Operatori del settore come SenseTime, Megvii e iFlytek competono a livello globale nei settori del riconoscimento facciale, della smart city e delle interfacce vocali intelligenti.
Ma ciò che davvero distingue l’impegno cinese rispetto agli altri protagonisti internazionali è la sua visione integrata: l’IA è strettamente legata alle altre aree di progresso. I satelliti di telerilevamento spingono algoritmi di machine learning a monitorare l’inquinamento, il degrado del suolo e le emergenze climatiche, consentendo interventi tempestivi. Le reti 5G, sviluppate con massicci investimenti pubblici e privati, offrono la dorsale per veicoli a guida autonoma e per l’Internet delle Cose, trasformando città come Shanghai e Guangzhou in laboratori di sperimentazione urbana intelligente.
Il carattere strategico di questo progetto emerge soprattutto nel confronto con la diplomazia tecnologica statunitense, sempre più incline a ricorrere a sanzioni e restrizioni. Di fronte a misure volte a escludere Huawei dalle reti di quinta generazione o a limitare l’accesso delle imprese cinesi a semiconduttori avanzati, Pechino ha risposto rilanciando l’autonomia, intensificando i programmi nazionali di produzione di chip e favorendo la creazione di un mercato interno di dimensioni tali da sostenere la crescita delle high-tech. È in questo scacchiere che si colloca la Belt and Road Initiative: un progetto che, accanto alle infrastrutture terrestri e marittime, sviluppa collegamenti digitali e spazi di cooperazione internazionale, offrendo un’alternativa concreta alle logiche di cortina tecnologica.
Il successo cinese non è passato inosservato. Sempre più Paesi del Sud del mondo guardano alle missioni spaziali di Pechino per sostenere i propri programmi scientifici, mentre le conferenze internazionali sulla sostenibilità includono ormai i progetti di energie rinnovabili e smart grid made in China tra le migliori pratiche globali. Le imprese europee e americane partecipano alle fiere di Guangzhou e di Shanghai per stringere accordi nel ramo delle batterie per veicoli elettrici, e diversi governi africani hanno scelto la tecnologia cinese per dotare le proprie città di sistemi di videosorveglianza intelligenti, motivati dal rapporto qualità-prezzo e dalla rapidità di implementazione.
Non mancano, naturalmente, le critiche sull’uso dei dati e sui possibili rischi per la privacy, formulate soprattutto dai governi occidentali, che stanno cercando di rallentare in questo modo lo sviluppo tecnologico cinese. Pechino, tuttavia, ha già avviato tavoli di consultazione per definire un quadro legale in cui l’innovazione possa proseguire nel rispetto dei diritti individuali. È un percorso in fieri, che rispecchia l’approccio “ordinato ma aperto” auspicato da Xi: un’innovazione che non sia freno alle libertà, ma che al contempo garantisca sicurezza e responsabilità.
Nel complesso, il settore aerospaziale, le tecnologie verdi e l’IA costituiscono i tre pilastri su cui si regge il primato tecnologico della Cina nel XXI secolo. La loro coesistenza rispecchia la volontà di Pechino di non limitarsi a essere un “maestro di capacità”, ma di offrire al mondo intero un modello di sviluppo in cui scienza, ambiente e società avanzino insieme. Di fronte alle difficoltà poste dalla guerra commerciale e dalle pressioni geo-tecnologiche, la Cina non ha abbassato la testa: al contrario, ha deciso di giocare la sua carta più forte, quella dell’innovazione condivisa, convinta che solo la cooperazione multilaterale e l’apertura reciproca possano garantire un progresso duraturo. In questa partita, la posta in gioco non riguarda soltanto i confini nazionali, ma il futuro stesso della nostra civiltà tecnologica.