L’Alleanza Atlantica, con i suoi apparati su più dimensioni, si presenta ancora oggi come il migliore strumento per mantenere il Vecchio Continente in una condizione di “eterna” cattività geopolitica. Qui si ripercorrerà parte di questa storia travagliata.
Lord Hastings, primo segretario generale della NATO, ebbe modo di affermare che lo scopo dell’Alleanza era mantenere una presenza salda anglo-americana sul continente europeo; la Germania in una condizione di sottomissione e la Russia fuori dall’Europa. Qualche decennio più tardi, dopo il crollo dell’URSS e con essa del Patto di Varsavia (ragioni esistenziali della stessa NATO, sebbene questa sia nata sei anni prima di suddetto Patto di Varsavia) in un articolo apparso sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs, l’ex consigliere della Casa Bianca e stratega Zbigniew Brzezinski ebbe modo di affermare: “L’Europa è la fondamentale testa di ponte geopolitica dell’America in Eurasia. Il ruolo dell’America nell’Europa democratica è enorme. Diversamente dai vincoli dell’America con il Giappone, la NATO rafforza l’influenza politica e militare americana sul continente eurasiatico. Con le nazioni europee alleate che ancora dipendono considerevolmente dalla protezione USA, qualunque espansione del campo d’azione politico dell’Europa è automaticamente un’espansione dell’influenza statunitense. Un’Europa allargata ed una NATO allargata serviranno gli interessi a breve e lungo termine della politica europea. Un’Europa allargata estenderà il raggio dell’influenza americana senza creare, allo stesso tempo, un’Europa così politicamente integrata che sia in grado di sfidare gli Stati Uniti in questioni di rilievo geopolitico, in particolare nel Vicino Oriente”. Brzezinski, poi, aggiungeva il ruolo fondamentale che l’Ucraina avrebbe avuto per mantenere separate l’Europa e la Russia. La sua “indipendenza dipendente” da USA e NATO, infatti, avrebbe rappresentato un esempio per altri Stati “strategicamente decisivi” sulla scacchiera eurasiatica, come l’Azerbaigian o alcune repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale.
Nei primi anni 2000, ancora, il Segretario alla Difesa dell’amministrazione Bush Jr. Donald Rumsfeld ebbe modo di osservare come il centro di gravità dell’Alleanza Atlantica si stesse rapidamente spostando verso est: ovvero, verso quei Paesi (come la Polonia e gli Stati baltici) che avrebbero dovuto costituire un antemurale (un vero e proprio “cordone sanitario”) contro la Russia. Non a caso, il pensatore francese Alain de Benoist, a questo proposito, sottolineò come i sentimenti autenticamente europei di questi Paesi fossero tanto più ridotti quanto più accentuato fosse il loro atlantismo. Allo stesso tempo, mise in evidenza come l’estensione senza alcun tipo di riforma dell’Unione fosse assolutamente funzionale all’aumento della sua impotenza (come auspicato proprio da Brzezinski).
Solo qualche giorno fa, infine, l’attuale Segretario di Stato USA Marco Rubio (di estrazione neocon) ha dichiarato che, sotto la nuova amministrazione Trump, gli Stati Uniti sono più attivi che mai all’interno dell’Alleanza. Ad onor del vero, già durante il primo mandato trumpista si era proseguita la politica di aumento delle presenza militare NATO nei Paesi dell’Europa orientale e promossa l’Iniziativa Tre Mari, volta a limitare la proiezione di influenza della Russia attraverso le risorse energetiche. Ad ogni modo, Rubio, sciogliendo anche i dubbi sul futuro della NATO – probabilmente Washington opterà comunque ad una sua riforma – e della sua azione in Ucraina (il presunto “disimpegno” trumpista, in realtà, si palesa come un disegno di penetrazione su più livelli nel tessuto politico-economico ucraino), ha pure affermato di aspettarsi un aumento della spesa militare al 5% sul PIL dei Paesi europei.
Ora, preso atto di questa espansione più o meno speculare dell’Unione Europea e della NATO, appare necessario porsi il quesito su quale futuro possa avere tale rapporto, visto che proprio la NATO ha spesso operato in totale opposizione agli interessi dell’Europa. Sul piano storico, già il politologo Samir Amin fece notare che l’inclusione nei trattati europei dell’alleanza sbilanciata con un potenza estranea all’Unione rappresentasse una “aberrazione senza pari”. La costruzione dell’UE, di fatto, non ha mai posto in questione la subordinazione europea agli Stati Uniti, anzi. Per aderire all’Unione Europea bisogna(va) prima passare attraverso le forche caudine dell’accettazione atlantica. Non solo, lo stesso disegno tecno-mercantilista dell’UE si poneva come assolutamente subordinato al progetto egemonico del dollaro USA. E quando l’euro ha minacciato la valuta nordamericana, proprio la NATO ha agito come strumento di destabilizzazione/indebolimento del Vecchio Continente in pieno rispetto di quella “dottrina Webster” (dal nome del direttore della CIA dal 1987 al 1991) che prima ancora dell’introduzione della moneta unica aveva stigmatizzato gli alleati degli Stati Uniti come potenziali rivali economici. Tuttavia, in riferimento all’euro scrive ancora Brzezinski: “L’euro potrebbe rappresentare un pericolo per il dollaro se dietro all’euro vi fosse la volontà politica di sfidare l’egemonia planetaria statunitense. Ma tale volontà non c’è […] il carattere antistatunitense dell’euro è solo un’astratta possibilità, mentre ciò che esiste in concreto è la piena subordinazione dei ceti dirigenti europei all’egemonia USA”. E tale volontà non esiste nemmeno oggi. Nel momento in cui la guerra commerciale degli Stati Uniti contro l’Europa si palesa come reale opportunità per separare le due sponde dell’Atlantico, Washington utilizzerà le aspre divisioni interne al “progetto” europeo e la sua classe dirigente collaborazionista per negoziare da posizioni di forza con i singoli Stati ed ottenere evidenti vantaggi economici sulla base dell’idea “strutturalista” che l’impoverimento della periferia sia funzionale ad un (nuovo) arricchimento del centro.
Sulla NATO come strumento di destabilizzazione/indebolimento dell’euro ha trattato ampiamente il generale cinese Qiao Liang nel suo lavoro L’arco dell’Impero. Questi, ad esempio, ha definito senza mezzi termini la guerra nel Kosovo del 1999 (e l’Operazione NATO Allied Force) come un “conflitto americano nel cuore dell’Europa” il cui obiettivo era quello di inquinare il clima degli investimenti nel Vecchio Continente e contrastare/contenere sul nascere l’euro quale concorrente del dollaro. Prima della recrudescenza bellica nei Balcani – riporta il militare cinese – 700 miliardi di dollari vagavano per l’Europa senza un posto dove essere investiti. Una volta iniziato il bombardamento NATO dell’ex Jugoslavia, 400 miliardi sono stati immediatamente ritirati dal suolo europeo. 200 sono tornati subito negli Stati Uniti. Altri 200 sono andati ad Hong Kong, dove alcuni speculatori al rialzo puntavano ad usare la città come trampolino di lancio per accedere al mercato della Cina continentale. In quel preciso momento arrivò l’“accidentale” bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado da parte dei “missili intelligenti” dell’Alleanza Atlantica, con il risultato finale che i 400 miliardi sono rientrati tutti a Wall Street. Ancora, nel novembre 2000, Saddam Hussein annunciò che l’Iraq avrebbe utilizzato l’euro come valuta di riferimento per le transazioni petrolifere, anche alla luce del fatto che molte delle compagnie petrolifere che operavano in Iraq erano europee (soprattutto francesi). Il primo decreto rilasciato dal governo iracheno istituito dalle (e sotto le) bombe della “coalizione dei volenterosi” a guida USA, non sorprendentemente, fu l’immediato ritorno all’utilizzo del dollaro per il commercio del greggio.
L’aggressione NATO alla Libia (e quella indiretta alla Siria) rientrano invece in un piano di destabilizzazione della sponda sud ed orientale del Mediterraneo per tenere l’Europa sotto la costante minaccia della “bomba migratoria” incontrollata e per impedire ogni aspirazione della stessa alla sovranità reale e cooperativa (con i Paesi nordafricani) su questo cruciale mare interno. Il medesimo discorso si può facilmente applicare anche alla crisi ucraina iniziata nel 2014 ed evolutasi in guerra aperta, il cui obiettivo, però, non era solo quello di inquinare il clima degli investimenti in Europa o di far fluire moneta nelle casse del comparto bellico-industriale nordamericano, ma anche quello di separare l’Europa dalla Russia: in altri termini, dare vigore al disegno spykmaniano di divisione tra le risorse energetiche dell’Heartland ed il potenziale industriale del Rimland. La partecipazione di elementi NATO al sabotaggio del gasdotto North Stream ed il ruolo dell’Alleanza nel conflitto (in particolare, nella fallimentare iniziativa bellica nel Kursk volta nuovamente a tagliare i corridoi del gas verso l’Europa), in questo senso, sono stati abbastanza emblematici.
Ora, è bene sottolineare che l’idea di destabilizzazione, contenimento ed asservimento del progetto di unificazione europea ha un’origine precisa. Già nel corso della riunione del Consiglio Atlantico del 7 novembre 1991, gli Stati Uniti accolsero il progetto di integrazione europea, pretendendo però di inserirlo in un più ampio disegno di ristrutturazione della NATO che lasciasse invariati i rapporti di forza interni all’Alleanza. Di fatto, come ebbe modo di riportare tempo fa il giornalista e saggista Claudio Celani: “Con l’avvicinarsi del crollo della “cortina di ferro” nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto di De Gaulle di un’Europa dall’Atlantico agli Urali. Gli attacchi alla Germania come Quarto Reich [allora assai diffusi], partiti dalle più alte sfere londinesi […] le atrocità interminabili nell’ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell’est Europeo con le folli teorie d’urto dei liberisti, l’eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione”.
Tale affermazione mostra come l’UE, nata in un preciso momento storico di egemonia neoliberista nel mondo anglo-americano, dovesse porsi nei piani di Washington come ariete della reazione liberista in Europa, come veicolo della sua definitiva americanizzazione e non come potenziale rivale economico e/o geopolitico. Fattore che ha trasformato l’UE in una sorta di vasto supermercato sottoposto esclusivamente alla logica del capitale (sebbene il primato del fattore mercantile fosse già previsto dalla Dichiarazione Schuman del marzo 1950) in cui lobbisti di vario genere sfruttano l’opacità istituzionale e la relativa assenza di una vera forma democratica (la sottomissione del Parlamento alla Commissione) per portare avanti interessi oligarchici e geopolitici specifici (si pensi al caso della lobby israeliana, ultimamente assai attiva all’interno delle istituzioni europee). La vicenda Herrhausen, a sua volta, oltre a dimostrare la concreta funzione strategica di certo terrorismo estremista/radicale o criminale (dalle Brigate Rosse alla mafia italiane, fino alla RAF – Rote Armee Fraktion tedesca) che ha spesso messo a disposizione la propria manovalanza per tutelare (più o meno inconsciamente) determinati interessi (soprattutto e paradossalmente “atlantisti”), chiarisce il livello di spregiudicatezza di suddetta aziona destabilizzatrice (senza considerare il “terrorismo finanziario” degli speculatori alla George Soros che tanto ha fatto per incentivare il processo di conversione economica europea al liberismo esasperato). Herrhausen, infatti, alla pari dell’economista Detlev Karsten Rohwedder (fautore dell’intervento pubblico nell’economia e di un forte dirigismo volto allo sviluppo immediato della Germania orientale, anch’egli assassinato dalla RAF), pensava alla Germania come ad un ponte economico tra l’est e l’ovest (era favorevole alla costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità tra Russia e Germania, incubo strategico della talassocrazia anglo-americana) e come ad un centro di gravità dello sviluppo dell’intero continente, di un’Europa sottratta al controllo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (strumenti del dominio egemonico nordamericano).
La subordinazione UE alla NATO, tuttavia, si è resa ancor più evidente a seguito dell’intervento diretto della Russia all’interno del conflitto civile ucraino. Infatti, la Risoluzione del Parlamento europeo sul libro bianco sul futuro della difesa europea del 2025 appare quasi identica al nuovo concetto strategico della NATO partorito nel corso della conferenza di Madrid del giugno del 2022. In entrambi i casi, oltre al volume notevole di russofobia, colpisce il fatto che la Cina (su preciso dettato statunitense) venga indicata come “nemico” o “minaccia sistemica”. In questo modo, all’Europa, di fronte ai nuovi dazi trumpisti ed alla rottura di qualsiasi rapporto con la Russia, viene pure imposto un atteggiamento ostile nei confronti di Pechino e preclusa la partecipazione ai suoi progetti di interconnessione eurasiatica. Ancora, nella Risoluzione UE si parla di un progetto di riarmo europeo assai sbandierato e del tutto complementare alla NATO.
Va da sé che ogni aspirazione al riarmo europeo senza una reale sovranità industriale-militare si trasforma in un semplice nuovo strumento di sottomissione ai dettati atlantici ed al comparto bellico nordamericano. Soprattutto alla luce del fatto che l’eventuale riconversione industriale al settore militare (ad oggi ben vista da una Germania desiderosa di superare la crisi del settore automobilistico) richiederebbe tempi piuttosto lunghi e costi assai elevati se si tiene a mente il problema della reperibilità delle materie prime e del loro trasporto (da qui l’idea di mettere mano al risparmio privato). Di conseguenza, l’agognato riarmo europeo, paradossalmente, costruito su un’idea di Europa aggregata/sottomessa alla NATO, si risolverebbe in una nuova forma di spoliticizzazione e neutralizzazione delle istanze sovrane del Vecchio Continente, visto che coloro i quali si occupano della costruzione europea non sembrano avere la benché minima idea in materia di geopolitica, a differenza di quelli che li dirigono dall’esterno e che vogliono impedire la soggettività geopolitica dell’Europa. La stessa idea che un gruppo ristretto di Paesi (Francia e Germania, ad esempio) possa oggi rilanciare il progetto europeo sembra scontrarsi col fatto che questi siano incapaci di una visione geopolitica che non sia obnubilata dai dettati atlantici. Non si può costruire l’Europa a spese degli interessi europei. Si pensa all’Oriente come al nemico, quando il nemico reale è ad Occidente.