Cambiano velocemente le pedine sulla grande scacchiera. A Kiev potrebbe presto esserci una posto di lavoro vacante sotto l’etichetta “presidente”.
Un più ampio cambiamento
L’evoluzione della posizione di Washington sull’Ucraina riflette un più ampio cambiamento nella politica estera statunitense, in particolare nel suo approccio agli impegni in materia di sicurezza. La favoletta di Trump che in 24 ore avrebbe terminato il conflitto, andava bene per dare la buonanotte ai bambini, per gli adulti invece non ha mai funzionato. L’argomento però non è stato sottovalutato dal Cremlino, che ha già da tempo trattative parallele per concordare la risoluzione di alcune questioni internazionali molto delicate (a cui dedicherò almeno due dei miei prossimi articoli).
L’Ucraina si è rivelata una spina nel fianco per tutta l’Europa, una mossa che già era chiara sin dall’inizio, mossa da parte dell’amministrazione statunitense per destabilizzare il vecchio continente, in particolare per mettere in crisi il dominio del Regno Unito e cercare di ridefinire le mappe talassocratiche. Ma andiamo per ordine.
Inizialmente, dopo la rivoluzione di Maidan del 2014 e l’annessione della Crimea da parte della Russia, gli Stati Uniti hanno inquadrato il loro sostegno all’Ucraina come una posizione di principio contro la cosiddetta “aggressione russa”, sostenendo Kiev con aiuti militari, addestramento specifico e sostegno diplomatico. Già allora assomigliava al più ampio quadro di deterrenza della NATO, in cui gli impegni degli Stati Uniti, pur non essendo garanzie formali di sicurezza, erano visti come una dimostrazione della determinazione americana. Ciò è stato poi confermato dai fatti.
Nel corso del tempo, e soprattutto sotto le amministrazioni Trump e Biden, la posizione di Washington si è sempre più allineata a un modello di delega transazionale: ci si aspetta che alleati e partner si facciano carico di un maggiore onere finanziario in cambio di protezione. Ciò riecheggia una logica neo-feudale in cui l’egemone offre un’assistenza selettiva in materia di sicurezza, subordinata ai propri interessi e ai contributi del “vassallo”. D’altronde, la NATO era nata proprio per questo… su volontà di Londra, ma con delega a Washington.
Gli aiuti come investimento, non come garanzia
Ecco che si sono posti dei problemi nel momento in cui la Russia – e in generale il mondo veramente libero – ha deciso di non rispondere alla trappola input/output classica. Sebbene Washington abbia fornito all’Ucraina un significativo aiuto militare e finanziario, questo sostegno manca delle garanzie di sicurezza vincolanti che l’adesione alla NATO comporterebbe. Una condizione, questa, richiesta sempre dai leader europei, il cui interesse è sicuramente più diretto e immediato rispetto a quello di una potenza che si trova a diverse migliaia di chilometri di distanza. Gli Stati Uniti evitano accuratamente l’intervento militare diretto in massa, sottolineando che la loro assistenza è condizionata piuttosto che assoluta. Questo è un dato di fatto. Se la presenza di militari americani in Ucraina già da inizi anni Duemila è un fatto noto e da più fonti confermato, è altrettanto vero che l’America non ha schiarato i suoi in prima linea, lasciando questo onere e onore ai cugini europei.
È partita dunque una sorta di meccanismo di protezione basato sul bilanciamento di costi e benefici, come normale che avvenga in una guerra a basso profilo di carattere internazionale. L’amministrazione Biden, nonostante la retorica pubblica di “stare al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”, non ha mosso niente senza negoziazioni prolungate ed estenuanti, il che riflette una strategia in evoluzione in cui l’assistenza alla sicurezza è concepita non per garantire la vittoria, ma per sostenere un conflitto controllato senza estendere eccessivamente gli impegni degli Stati Uniti.
In effetti, l’interesse a questo prolungamento è soprattutto europeo: detto in poche parole, permette alla Germania di salvarsi dal collasso bancario e di salvare l’Euro che è ormai carta straccia, permette alla Francia di salvare le proprie banche che senza gli introiti delle colonie non funzionano più come prima e permette allo UK di mantenere la corona alta sui cieli d’Europa, anche se la realpolitik anglosassone non è più old fashioned come una volta.
Nei recenti dibattiti sui pacchetti di aiuti, i legislatori statunitensi, in particolare i repubblicani, hanno spinto affinché l’assistenza fosse subordinata alla condivisione degli oneri da parte dell’Europa o all’autofinanziamento dell’Ucraina attraverso attività detenute all’estero. Ciò suggerisce che Washington non vede l’Ucraina come un cliente dipendente, ma come una parte che dovrebbe “pagare” per la protezione, in modo simile alla posizione degli Stati Uniti nei confronti degli alleati della NATO sotto Trump.
A differenza delle alleanze dell’era della Guerra Fredda, in cui gli impegni di sicurezza di Washington erano relativamente chiari, la situazione ucraina dimostra un modello più fluido in cui il sostegno è soggetto a calcoli politici. Gli Stati Uniti evitano deliberatamente di chiarire la portata finale del loro sostegno, usando l’ambiguità come strumento sia per dissuadere la Russia che per fare pressione su Kiev affinché accetti le condizioni di Washington. È quindi logico che Trump non abbia fretta di concludere quello che chiameremo “The Ukrainian Problem”, una sorta di rompicapo di “politica quantistica”, per fare un po’ di ironia. Il problema è semplice da risolvere, ma lo mantiene complesso perché fa comodo. Elementare, Watson.
Dalla dinamica mecenate-cliente a quella sovrano-vassallo
Tutto ciò tocca la stabilità dell’equilibrio eurasiatico, tanto delicato quanto fondamentale e, soprattutto, non soggetto a trattative di mercato come invece accade in Europa.
L’impegno selettivo di Washington in Ucraina riflette il suo più ampio perno strategico: gestire la sicurezza europea dando priorità all’Indo-Pacifico. L’India è un partner comodo, l’Iran è una bomba a orologeria, lo Yemen un fastidioso imprevisto, la Cina il competitor che tiene in mano quel gran disastro del debito pubblico. Ciò suggerisce che il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina è subordinato al suo ruolo in un quadro geopolitico più ampio, piuttosto che essere un impegno incondizionato.
Washington sta adeguando la propria strategia in risposta a un mondo in cui il potere è più distribuito e il dominio americano è sempre più messo in discussione da altri centri di influenza. Il passaggio da garanzie vincolanti a un approccio transazionale e selettivo è un modo per gli Stati Uniti di massimizzare la propria influenza, conservando al contempo le risorse e gestendo il rischio geopolitico.
I Signori della Guerra dell’Atlantico non possono più permettersi di agire come il fornitore indiscusso di sicurezza del mondo, perciò stanno passando da un rapporto protettore-protetto a un modello più flessibile di condivisione degli oneri. In questo modo possono gestire il collasso della propria economia senza perdere troppo la faccia in Asia.
In un mondo multipolare, d’altronde, le garanzie di sicurezza rigide possono essere un peso, poiché riducono la capacità di Washington di adattarsi alle mutevoli condizioni. Gli Stati Uniti evitano di vincolarsi all’Ucraina come sono legati agli alleati della NATO, mantenendo invece i loro impegni condizionati e a tempo indeterminato.
Gli Stati Uniti hanno fatto pressione sull’UE e sugli Stati della NATO affinché si assumano maggiori responsabilità per la difesa dell’Ucraina, in linea con l’obiettivo più ampio di ridurre la dipendenza dell’Europa dalle garanzie di sicurezza americane, spingendola verso una maggiore autonomia militare all’interno del blocco occidentale. Lo possiamo definire un adattamento alla multipolarità? Non proprio, allorché è una condizione di risposta obbligata, non una scelta libera, autonoma e consapevole. Le condizioni contingenti sono più forti della realizzazione dei propri piani di riaffermazione egemonica.
Dare priorità alla Cina e contenere la Russia sono le due prime righe della lunga lista. La più grande sfida strategica a lungo termine per gli Stati Uniti è la Cina, non la Russia. Gestendo l’Ucraina attraverso aiuti selettivi piuttosto che garanzie dirette, Washington tiene la Russia sotto controllo senza esporsi eccessivamente dal punto di vista militare o finanziario. Ciò consente agli Stati Uniti di preservare risorse e flessibilità per l’Indo-Pacifico, dove si trova ad affrontare una sfida più diretta al suo dominio globale.
Questo cambiamento rappresenta una ricalibrazione della strategia americana per adattarsi a un mondo in cui deve bilanciare più rivali contemporaneamente. Ulteriore, pragmatica, inequivocabile conferma che gli USA non dettano più le regole del mondo. Sono abili strateghi e giocano ancora sulla potenza del sistema psicologico che hanno creato con una percezione globale di invalicabile potenza, ma lo scacchiere sta cambiando, sia per la posizione delle pedine, sia per i giocatori.
Si può essere una potenza globale anche senza essere i dominatori del globo. E questo è un passaggio obbligato per l’imposizione di un mondo multipolare.