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Davide Rossi
March 27, 2025
© Photo: Public domain

Il multipolarismo proposto da cinesi e russi sta diventando sempre più convincente e guadagna ogni giorno nuovi alleati nel mondo. Tuttavia, l’India si sta gradualmente trasformando in un oppositore di questi piani.

Segue nostro Telegram.

L’India, prima nazione sul globo terracqueo per popolazione, al momento quinta potenza economica planetaria, a breve terza, appena Giappone e Germania certificheranno l’ulteriore ufficiale loro declino, ambisce a essere la guida politica del pianeta, tanto che il primo ministro Modi non lo nasconde, tutto questo rientra nella sua ideologia induista. Certo, appare uno poco forzato per una nazione al momento con un prodotto interno lordo pro capite più di dieci volte inferiore a quello cinese, la quale, come afferma lo stesso Modi, a fronte di mezzo miliardo di poveri, pur essendo lui stesso il propugnatore dell’edificazione di nuovi templi induisti, spesso sciaguratamente dopo l’abbattimento di moschee, necessita più di cessi che di templi. L’India infatti si dibatte ancora tra problemi igienico – sanitari e ritardi infrastrutturali, come dimostra ad esempio la del tutto deficitaria rete ferroviaria, tuttavia è la sola nazione della terra ad avere un progetto imperialistico alternativo a quello statunitense e seppure per il momento ancora in buoni rapporti con la Russia, almeno per lo storico acquisto di materiale bellico che data in modo considerevole dai tempi di Indira Gandhi mezzo secolo fa, il progetto politico portato avanti dall’India è chiarissimo, un’alleanza tattica con l’imperialismo statunitense e occidentale, con l’auspicio di prendere poi il sopravvento instaurando nuove relazioni di subalternità, dopo aver congiuntamente sconfitto quella che la rivista Limes (agosto 2024) nelle parole degli esperti indiani è ripetutamente chiamata “la minaccia sino – russa”, ovvero quella del mondo multipolare e di pace che Xi Jinping e Vladimir Putin con uno strepitoso e crescente consenso tra le nazioni del sud globale stanno portando avanti.

Il camuffamento di Modi dietro un dichiarato multi-allineamento che ha ufficialmente seguito la stagione novecentesca del Non Allineamento, è solo una facciata per chi non voglia studiare approfonditamente la realtà, l’India, che ora non si chiama neppure più così, visto che il primo ministro, il quale come tutti i nazionalisti induisti venera l’assassino di Gandhi e non il Mahatma, le ha restituito l’antico nome di Bharat.

I rapporti con cinesi e russi sono sempre più tesi,  Bharat – India resta al momento nelle organizzazioni volute da Mosca e Pechino per promuovere il mondo multipolare, come i BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, lo fa per sperare di attrarre nazioni del sud globale dalla sua parte, ma risulta poco credibile, da un lato perché è risaputa l’adesione indiana al fronte militare statunitense nell’Indo – Pacifico, dall’altra perché una proposta come la “Via del Cotone”, ufficialmente alternativa alla Nuova Via della Seta cinese, è agli occhi di Africa, Asia e America Latina totalmente inconsistente, senza fondi, senza progetti, ricca solo di tanta retorica, un gioco della propaganda induista e nulla più, presa per buona da qualche politico europeo per costruirci sopra un po’ di visibilità mediatica volta a fingere di contrastare il declino del vecchio continente.

Interessante che Modi abbia disertato nell’estate 2024 l’ultima riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, svoltasi a luglio nella capitale kazaka Astana, i presenti, prendendo atto della sua assenza e della sua crescente ostilità, hanno deciso di non tenere la programmata riunione dell’Organizzazione nel 2025 in India, ma di spostarla in Cina, la successiva presenza ottobrina di Modi a Kazan, poco ha cambiato il generale deterioramento delle relazioni tra indiani e sino-russi, per quanto Putin, come Xi Jinping, abbiano cercato di trovare punti di contatto, massimamente i cinesi capaci di risolvere i problemi di confine tra le vette himalayane.

Sul fronte degli armamenti, è interessante constatare come la Russia sia rimasta la fornitrice principale dell’esercito di terra indiano, ma per quanto concerne l’Aviazione e la Marina, al pari dello sviluppo delle tecnologie di sicurezza, gli acquisti indiani si siano orientati da tempo verso Washington e i suoi alleati, Israele compreso, nazione con cui Modi intrattiene ottimi rapporti.

Per altro Modi non riesce neppure regionalmente a creare uno spazio se non di egemonia, almeno di amicizia, dalle Maldive allo Sri Lanka, le intese politiche e commerciali sono tutte con la Cina e quasi tutte le nazioni dell’area hanno aderito alla Nuova Via della Seta cinese, pessimi i rapporti con il Pakistan, storico alleato dei cinesi da quando gli statunitensi agli albori degli anni ‘70 hanno delegato loro (al tempo della scelta tattica dei marxisti cinesi di stringere un’alleanza temporanea con il potere a stelle e strisce) molte incombenze della complicata collaborazione con questa nazione guidata da burrascosi sunniti. La contrapposizione indo – pakistana va dalla disputa sui confini alla reciproca deterrenza atomica e non mostra nessun segnale di ammorbidimento. A complicare le relazioni con le nazioni della regione contribuisce anche la scelta novecentesca, compiuta dal Partito del Congresso, di non occuparsi del commercio internazionale e nemmeno di quello con le nazioni vicine, puntando piuttosto a una produzione volta al consumo interno e al massimo a un interscambio con il campo sovietico, il cui crollo negli anni ‘90 del secolo scorso ha costretto l’India, allora non ancora Bharat, ad aprirsi e ricollocarsi, mettendosi con entusiasmo al servizio della globalizzazione occidentale a matrice anglo – statunitense  e relegando a qualche polverosa aula universitaria i concetti di non allineamento e amicizia sino – sovietica, presto infilati nell’armadio dei ferri vecchi insieme all’asiatismo e al terzomondismo, crescendo di anno in anno la convinzione invece che l’India sia, o almeno stia diventando, a tutti gli effetti una potenza del nuovo mondo globalizzato, al proposito Modi ultimamente cerca anche di attrarre gli occidentali interessati ad abbandonare la cooperazione manifatturiera con la Cina, anche con la speranza di aumentare con l’aiuto straniero la produzione e il consumo interni, tuttavia proprio i problemi della rete logistico – infrastrutturale e l’altrettanto deficitario livello di  competenze e scolarizzazione della manodopera indiana sono un forte freno agli investimenti.

Alle ultime elezioni Modi non ha fortunatamente avuto la maggioranza dei due terzi a cui ambiva per realizzare pesanti e ancor più drastiche riforme costituzionali, la coalizione che lo ha contrastato, chiamata guarda caso “India”, in antitesi al nuovo nome voluto per la nazione dal primo ministro, è guidata dall’ultimo dei Gandhi e vanta anche il sostegno dei comunisti, i quali non solo in Kerala, godono di un discreto seguito. Il problema sarà vedere fino a che punto, quando si voterà nuovamente tra qualche anno, sia possibile interrompere la traiettoria imperialista che Modi sta imprimendo in ogni modo e a tutti i livelli, anche perché i poteri economici interni la sostengono e la propaganda mediatica ne cerca di costruire il consenso di massa.

Insomma  Bharat – India è una potenza demografica e per certi aspetti economica, ma non riesce ancora ad essere una potenza geopolitica e un attore determinante a livello internazionale, non producendo ad esempio sufficienti armi e quindi dipendendo dall’acquisto da altri, ha enormi ritardi come detto sociali e infrastrutturali, scarseggia di alleati regionali e planetari, tuttavia le sue ambizioni sono chiare, prendere la guida di quella parte del pianeta disposta a passare dal declinante imperialismo statunitense all’auspicato ascendente imperialismo indiano in nome della “democrazia liberale”, in ragione del contrasto della proposta fondata sulla mutua collaborazione tra stati, il nuovo ordine mondiale incarnato dal multipolarsimo promosso da Cina e Russia, le quali desiderano nuove Nazioni Unite capaci di decidere insieme il destino dell’umanità.

Il multipolarismo proposto da cinesi e russi è sempre più credibile e ha ogni giorno nuovi alleati nel mondo, tuttavia i media indiani, in particolare quelli più prossimi al primo ministro, al pari di quelli occidentali bollano falsamente questa proposta come un pericoloso rischio egemonico promosso da nazioni autoritarie.

Quello che appare all’orizzonte, in piena coerenza con questo XXI secolo che già oggi vede l’Asia prima per popolazione (oltre quattro miliardi e mezzo di abitanti) e per ricchezza (oltre il 60% del PIL mondiale), è che il destino del mondo sarà deciso in Oriente e non negli altri continenti, certo non dalla vecchia Europa e neppure dai decrepiti Stati Uniti.

Lo scontro all’orizzonte è quello tra un nuovo imperialismo a matrice indiana e la proposta multipolare cinese, che coinvolge in un legame monolitico, come direbbero i coreano – popolari alleati di entrambi, la Russia, latrice di una consolidata visione eurasiatica.

Tuttavia se questo è il futuro, ad esso si arriverà passando per il presente, le intenzioni trumpiane di imporre dazi del 100% a Cina e Russia se davvero adotteranno una moneta alternativa al dollaro, come con risolutezza discusso a Kazan lo scorso ottobre, con i passaggi operativi per nuovi codici internazionali, mediati da emiratini e tailandesi, porrà in serie difficoltà non solo il Brasile, il cui presidente Lula è stato tra i più strenui sostenitori di questa opzione da diversi anni, ma resta stretto dai vincoli del considerevole interscambio commerciale brasiliano – statunitense, così come obbligherà l’India di Modi a compiere una scelta molto concreta e conseguente.

Lo scontro tra l’imperialismo indiano e la proposta multipolare sino–russa

Il multipolarismo proposto da cinesi e russi sta diventando sempre più convincente e guadagna ogni giorno nuovi alleati nel mondo. Tuttavia, l’India si sta gradualmente trasformando in un oppositore di questi piani.

Segue nostro Telegram.

L’India, prima nazione sul globo terracqueo per popolazione, al momento quinta potenza economica planetaria, a breve terza, appena Giappone e Germania certificheranno l’ulteriore ufficiale loro declino, ambisce a essere la guida politica del pianeta, tanto che il primo ministro Modi non lo nasconde, tutto questo rientra nella sua ideologia induista. Certo, appare uno poco forzato per una nazione al momento con un prodotto interno lordo pro capite più di dieci volte inferiore a quello cinese, la quale, come afferma lo stesso Modi, a fronte di mezzo miliardo di poveri, pur essendo lui stesso il propugnatore dell’edificazione di nuovi templi induisti, spesso sciaguratamente dopo l’abbattimento di moschee, necessita più di cessi che di templi. L’India infatti si dibatte ancora tra problemi igienico – sanitari e ritardi infrastrutturali, come dimostra ad esempio la del tutto deficitaria rete ferroviaria, tuttavia è la sola nazione della terra ad avere un progetto imperialistico alternativo a quello statunitense e seppure per il momento ancora in buoni rapporti con la Russia, almeno per lo storico acquisto di materiale bellico che data in modo considerevole dai tempi di Indira Gandhi mezzo secolo fa, il progetto politico portato avanti dall’India è chiarissimo, un’alleanza tattica con l’imperialismo statunitense e occidentale, con l’auspicio di prendere poi il sopravvento instaurando nuove relazioni di subalternità, dopo aver congiuntamente sconfitto quella che la rivista Limes (agosto 2024) nelle parole degli esperti indiani è ripetutamente chiamata “la minaccia sino – russa”, ovvero quella del mondo multipolare e di pace che Xi Jinping e Vladimir Putin con uno strepitoso e crescente consenso tra le nazioni del sud globale stanno portando avanti.

Il camuffamento di Modi dietro un dichiarato multi-allineamento che ha ufficialmente seguito la stagione novecentesca del Non Allineamento, è solo una facciata per chi non voglia studiare approfonditamente la realtà, l’India, che ora non si chiama neppure più così, visto che il primo ministro, il quale come tutti i nazionalisti induisti venera l’assassino di Gandhi e non il Mahatma, le ha restituito l’antico nome di Bharat.

I rapporti con cinesi e russi sono sempre più tesi,  Bharat – India resta al momento nelle organizzazioni volute da Mosca e Pechino per promuovere il mondo multipolare, come i BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, lo fa per sperare di attrarre nazioni del sud globale dalla sua parte, ma risulta poco credibile, da un lato perché è risaputa l’adesione indiana al fronte militare statunitense nell’Indo – Pacifico, dall’altra perché una proposta come la “Via del Cotone”, ufficialmente alternativa alla Nuova Via della Seta cinese, è agli occhi di Africa, Asia e America Latina totalmente inconsistente, senza fondi, senza progetti, ricca solo di tanta retorica, un gioco della propaganda induista e nulla più, presa per buona da qualche politico europeo per costruirci sopra un po’ di visibilità mediatica volta a fingere di contrastare il declino del vecchio continente.

Interessante che Modi abbia disertato nell’estate 2024 l’ultima riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, svoltasi a luglio nella capitale kazaka Astana, i presenti, prendendo atto della sua assenza e della sua crescente ostilità, hanno deciso di non tenere la programmata riunione dell’Organizzazione nel 2025 in India, ma di spostarla in Cina, la successiva presenza ottobrina di Modi a Kazan, poco ha cambiato il generale deterioramento delle relazioni tra indiani e sino-russi, per quanto Putin, come Xi Jinping, abbiano cercato di trovare punti di contatto, massimamente i cinesi capaci di risolvere i problemi di confine tra le vette himalayane.

Sul fronte degli armamenti, è interessante constatare come la Russia sia rimasta la fornitrice principale dell’esercito di terra indiano, ma per quanto concerne l’Aviazione e la Marina, al pari dello sviluppo delle tecnologie di sicurezza, gli acquisti indiani si siano orientati da tempo verso Washington e i suoi alleati, Israele compreso, nazione con cui Modi intrattiene ottimi rapporti.

Per altro Modi non riesce neppure regionalmente a creare uno spazio se non di egemonia, almeno di amicizia, dalle Maldive allo Sri Lanka, le intese politiche e commerciali sono tutte con la Cina e quasi tutte le nazioni dell’area hanno aderito alla Nuova Via della Seta cinese, pessimi i rapporti con il Pakistan, storico alleato dei cinesi da quando gli statunitensi agli albori degli anni ‘70 hanno delegato loro (al tempo della scelta tattica dei marxisti cinesi di stringere un’alleanza temporanea con il potere a stelle e strisce) molte incombenze della complicata collaborazione con questa nazione guidata da burrascosi sunniti. La contrapposizione indo – pakistana va dalla disputa sui confini alla reciproca deterrenza atomica e non mostra nessun segnale di ammorbidimento. A complicare le relazioni con le nazioni della regione contribuisce anche la scelta novecentesca, compiuta dal Partito del Congresso, di non occuparsi del commercio internazionale e nemmeno di quello con le nazioni vicine, puntando piuttosto a una produzione volta al consumo interno e al massimo a un interscambio con il campo sovietico, il cui crollo negli anni ‘90 del secolo scorso ha costretto l’India, allora non ancora Bharat, ad aprirsi e ricollocarsi, mettendosi con entusiasmo al servizio della globalizzazione occidentale a matrice anglo – statunitense  e relegando a qualche polverosa aula universitaria i concetti di non allineamento e amicizia sino – sovietica, presto infilati nell’armadio dei ferri vecchi insieme all’asiatismo e al terzomondismo, crescendo di anno in anno la convinzione invece che l’India sia, o almeno stia diventando, a tutti gli effetti una potenza del nuovo mondo globalizzato, al proposito Modi ultimamente cerca anche di attrarre gli occidentali interessati ad abbandonare la cooperazione manifatturiera con la Cina, anche con la speranza di aumentare con l’aiuto straniero la produzione e il consumo interni, tuttavia proprio i problemi della rete logistico – infrastrutturale e l’altrettanto deficitario livello di  competenze e scolarizzazione della manodopera indiana sono un forte freno agli investimenti.

Alle ultime elezioni Modi non ha fortunatamente avuto la maggioranza dei due terzi a cui ambiva per realizzare pesanti e ancor più drastiche riforme costituzionali, la coalizione che lo ha contrastato, chiamata guarda caso “India”, in antitesi al nuovo nome voluto per la nazione dal primo ministro, è guidata dall’ultimo dei Gandhi e vanta anche il sostegno dei comunisti, i quali non solo in Kerala, godono di un discreto seguito. Il problema sarà vedere fino a che punto, quando si voterà nuovamente tra qualche anno, sia possibile interrompere la traiettoria imperialista che Modi sta imprimendo in ogni modo e a tutti i livelli, anche perché i poteri economici interni la sostengono e la propaganda mediatica ne cerca di costruire il consenso di massa.

Insomma  Bharat – India è una potenza demografica e per certi aspetti economica, ma non riesce ancora ad essere una potenza geopolitica e un attore determinante a livello internazionale, non producendo ad esempio sufficienti armi e quindi dipendendo dall’acquisto da altri, ha enormi ritardi come detto sociali e infrastrutturali, scarseggia di alleati regionali e planetari, tuttavia le sue ambizioni sono chiare, prendere la guida di quella parte del pianeta disposta a passare dal declinante imperialismo statunitense all’auspicato ascendente imperialismo indiano in nome della “democrazia liberale”, in ragione del contrasto della proposta fondata sulla mutua collaborazione tra stati, il nuovo ordine mondiale incarnato dal multipolarsimo promosso da Cina e Russia, le quali desiderano nuove Nazioni Unite capaci di decidere insieme il destino dell’umanità.

Il multipolarismo proposto da cinesi e russi è sempre più credibile e ha ogni giorno nuovi alleati nel mondo, tuttavia i media indiani, in particolare quelli più prossimi al primo ministro, al pari di quelli occidentali bollano falsamente questa proposta come un pericoloso rischio egemonico promosso da nazioni autoritarie.

Quello che appare all’orizzonte, in piena coerenza con questo XXI secolo che già oggi vede l’Asia prima per popolazione (oltre quattro miliardi e mezzo di abitanti) e per ricchezza (oltre il 60% del PIL mondiale), è che il destino del mondo sarà deciso in Oriente e non negli altri continenti, certo non dalla vecchia Europa e neppure dai decrepiti Stati Uniti.

Lo scontro all’orizzonte è quello tra un nuovo imperialismo a matrice indiana e la proposta multipolare cinese, che coinvolge in un legame monolitico, come direbbero i coreano – popolari alleati di entrambi, la Russia, latrice di una consolidata visione eurasiatica.

Tuttavia se questo è il futuro, ad esso si arriverà passando per il presente, le intenzioni trumpiane di imporre dazi del 100% a Cina e Russia se davvero adotteranno una moneta alternativa al dollaro, come con risolutezza discusso a Kazan lo scorso ottobre, con i passaggi operativi per nuovi codici internazionali, mediati da emiratini e tailandesi, porrà in serie difficoltà non solo il Brasile, il cui presidente Lula è stato tra i più strenui sostenitori di questa opzione da diversi anni, ma resta stretto dai vincoli del considerevole interscambio commerciale brasiliano – statunitense, così come obbligherà l’India di Modi a compiere una scelta molto concreta e conseguente.

Il multipolarismo proposto da cinesi e russi sta diventando sempre più convincente e guadagna ogni giorno nuovi alleati nel mondo. Tuttavia, l’India si sta gradualmente trasformando in un oppositore di questi piani.

Segue nostro Telegram.

L’India, prima nazione sul globo terracqueo per popolazione, al momento quinta potenza economica planetaria, a breve terza, appena Giappone e Germania certificheranno l’ulteriore ufficiale loro declino, ambisce a essere la guida politica del pianeta, tanto che il primo ministro Modi non lo nasconde, tutto questo rientra nella sua ideologia induista. Certo, appare uno poco forzato per una nazione al momento con un prodotto interno lordo pro capite più di dieci volte inferiore a quello cinese, la quale, come afferma lo stesso Modi, a fronte di mezzo miliardo di poveri, pur essendo lui stesso il propugnatore dell’edificazione di nuovi templi induisti, spesso sciaguratamente dopo l’abbattimento di moschee, necessita più di cessi che di templi. L’India infatti si dibatte ancora tra problemi igienico – sanitari e ritardi infrastrutturali, come dimostra ad esempio la del tutto deficitaria rete ferroviaria, tuttavia è la sola nazione della terra ad avere un progetto imperialistico alternativo a quello statunitense e seppure per il momento ancora in buoni rapporti con la Russia, almeno per lo storico acquisto di materiale bellico che data in modo considerevole dai tempi di Indira Gandhi mezzo secolo fa, il progetto politico portato avanti dall’India è chiarissimo, un’alleanza tattica con l’imperialismo statunitense e occidentale, con l’auspicio di prendere poi il sopravvento instaurando nuove relazioni di subalternità, dopo aver congiuntamente sconfitto quella che la rivista Limes (agosto 2024) nelle parole degli esperti indiani è ripetutamente chiamata “la minaccia sino – russa”, ovvero quella del mondo multipolare e di pace che Xi Jinping e Vladimir Putin con uno strepitoso e crescente consenso tra le nazioni del sud globale stanno portando avanti.

Il camuffamento di Modi dietro un dichiarato multi-allineamento che ha ufficialmente seguito la stagione novecentesca del Non Allineamento, è solo una facciata per chi non voglia studiare approfonditamente la realtà, l’India, che ora non si chiama neppure più così, visto che il primo ministro, il quale come tutti i nazionalisti induisti venera l’assassino di Gandhi e non il Mahatma, le ha restituito l’antico nome di Bharat.

I rapporti con cinesi e russi sono sempre più tesi,  Bharat – India resta al momento nelle organizzazioni volute da Mosca e Pechino per promuovere il mondo multipolare, come i BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, lo fa per sperare di attrarre nazioni del sud globale dalla sua parte, ma risulta poco credibile, da un lato perché è risaputa l’adesione indiana al fronte militare statunitense nell’Indo – Pacifico, dall’altra perché una proposta come la “Via del Cotone”, ufficialmente alternativa alla Nuova Via della Seta cinese, è agli occhi di Africa, Asia e America Latina totalmente inconsistente, senza fondi, senza progetti, ricca solo di tanta retorica, un gioco della propaganda induista e nulla più, presa per buona da qualche politico europeo per costruirci sopra un po’ di visibilità mediatica volta a fingere di contrastare il declino del vecchio continente.

Interessante che Modi abbia disertato nell’estate 2024 l’ultima riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, svoltasi a luglio nella capitale kazaka Astana, i presenti, prendendo atto della sua assenza e della sua crescente ostilità, hanno deciso di non tenere la programmata riunione dell’Organizzazione nel 2025 in India, ma di spostarla in Cina, la successiva presenza ottobrina di Modi a Kazan, poco ha cambiato il generale deterioramento delle relazioni tra indiani e sino-russi, per quanto Putin, come Xi Jinping, abbiano cercato di trovare punti di contatto, massimamente i cinesi capaci di risolvere i problemi di confine tra le vette himalayane.

Sul fronte degli armamenti, è interessante constatare come la Russia sia rimasta la fornitrice principale dell’esercito di terra indiano, ma per quanto concerne l’Aviazione e la Marina, al pari dello sviluppo delle tecnologie di sicurezza, gli acquisti indiani si siano orientati da tempo verso Washington e i suoi alleati, Israele compreso, nazione con cui Modi intrattiene ottimi rapporti.

Per altro Modi non riesce neppure regionalmente a creare uno spazio se non di egemonia, almeno di amicizia, dalle Maldive allo Sri Lanka, le intese politiche e commerciali sono tutte con la Cina e quasi tutte le nazioni dell’area hanno aderito alla Nuova Via della Seta cinese, pessimi i rapporti con il Pakistan, storico alleato dei cinesi da quando gli statunitensi agli albori degli anni ‘70 hanno delegato loro (al tempo della scelta tattica dei marxisti cinesi di stringere un’alleanza temporanea con il potere a stelle e strisce) molte incombenze della complicata collaborazione con questa nazione guidata da burrascosi sunniti. La contrapposizione indo – pakistana va dalla disputa sui confini alla reciproca deterrenza atomica e non mostra nessun segnale di ammorbidimento. A complicare le relazioni con le nazioni della regione contribuisce anche la scelta novecentesca, compiuta dal Partito del Congresso, di non occuparsi del commercio internazionale e nemmeno di quello con le nazioni vicine, puntando piuttosto a una produzione volta al consumo interno e al massimo a un interscambio con il campo sovietico, il cui crollo negli anni ‘90 del secolo scorso ha costretto l’India, allora non ancora Bharat, ad aprirsi e ricollocarsi, mettendosi con entusiasmo al servizio della globalizzazione occidentale a matrice anglo – statunitense  e relegando a qualche polverosa aula universitaria i concetti di non allineamento e amicizia sino – sovietica, presto infilati nell’armadio dei ferri vecchi insieme all’asiatismo e al terzomondismo, crescendo di anno in anno la convinzione invece che l’India sia, o almeno stia diventando, a tutti gli effetti una potenza del nuovo mondo globalizzato, al proposito Modi ultimamente cerca anche di attrarre gli occidentali interessati ad abbandonare la cooperazione manifatturiera con la Cina, anche con la speranza di aumentare con l’aiuto straniero la produzione e il consumo interni, tuttavia proprio i problemi della rete logistico – infrastrutturale e l’altrettanto deficitario livello di  competenze e scolarizzazione della manodopera indiana sono un forte freno agli investimenti.

Alle ultime elezioni Modi non ha fortunatamente avuto la maggioranza dei due terzi a cui ambiva per realizzare pesanti e ancor più drastiche riforme costituzionali, la coalizione che lo ha contrastato, chiamata guarda caso “India”, in antitesi al nuovo nome voluto per la nazione dal primo ministro, è guidata dall’ultimo dei Gandhi e vanta anche il sostegno dei comunisti, i quali non solo in Kerala, godono di un discreto seguito. Il problema sarà vedere fino a che punto, quando si voterà nuovamente tra qualche anno, sia possibile interrompere la traiettoria imperialista che Modi sta imprimendo in ogni modo e a tutti i livelli, anche perché i poteri economici interni la sostengono e la propaganda mediatica ne cerca di costruire il consenso di massa.

Insomma  Bharat – India è una potenza demografica e per certi aspetti economica, ma non riesce ancora ad essere una potenza geopolitica e un attore determinante a livello internazionale, non producendo ad esempio sufficienti armi e quindi dipendendo dall’acquisto da altri, ha enormi ritardi come detto sociali e infrastrutturali, scarseggia di alleati regionali e planetari, tuttavia le sue ambizioni sono chiare, prendere la guida di quella parte del pianeta disposta a passare dal declinante imperialismo statunitense all’auspicato ascendente imperialismo indiano in nome della “democrazia liberale”, in ragione del contrasto della proposta fondata sulla mutua collaborazione tra stati, il nuovo ordine mondiale incarnato dal multipolarsimo promosso da Cina e Russia, le quali desiderano nuove Nazioni Unite capaci di decidere insieme il destino dell’umanità.

Il multipolarismo proposto da cinesi e russi è sempre più credibile e ha ogni giorno nuovi alleati nel mondo, tuttavia i media indiani, in particolare quelli più prossimi al primo ministro, al pari di quelli occidentali bollano falsamente questa proposta come un pericoloso rischio egemonico promosso da nazioni autoritarie.

Quello che appare all’orizzonte, in piena coerenza con questo XXI secolo che già oggi vede l’Asia prima per popolazione (oltre quattro miliardi e mezzo di abitanti) e per ricchezza (oltre il 60% del PIL mondiale), è che il destino del mondo sarà deciso in Oriente e non negli altri continenti, certo non dalla vecchia Europa e neppure dai decrepiti Stati Uniti.

Lo scontro all’orizzonte è quello tra un nuovo imperialismo a matrice indiana e la proposta multipolare cinese, che coinvolge in un legame monolitico, come direbbero i coreano – popolari alleati di entrambi, la Russia, latrice di una consolidata visione eurasiatica.

Tuttavia se questo è il futuro, ad esso si arriverà passando per il presente, le intenzioni trumpiane di imporre dazi del 100% a Cina e Russia se davvero adotteranno una moneta alternativa al dollaro, come con risolutezza discusso a Kazan lo scorso ottobre, con i passaggi operativi per nuovi codici internazionali, mediati da emiratini e tailandesi, porrà in serie difficoltà non solo il Brasile, il cui presidente Lula è stato tra i più strenui sostenitori di questa opzione da diversi anni, ma resta stretto dai vincoli del considerevole interscambio commerciale brasiliano – statunitense, così come obbligherà l’India di Modi a compiere una scelta molto concreta e conseguente.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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