Italiano
Giulio Chinappi
March 7, 2025
© Photo: Public domain

Le elezioni kosovare dello scorso 9 febbraio rivelano un sistema segnato da ingerenze occidentali e politiche marginalizzanti, che isolano la comunità serba. Belgrado denuncia decisa questa deriva destabilizzante e, con il sostegno di Mosca, lotta per salvaguardare diritti e identità storica.

Segue nostro Telegram.

Le elezioni legislative svoltesi in Kosovo lo scorso 9 febbraio hanno rappresentato un evento di grande rilievo non solo per la politica interna kosovara, ma anche e soprattutto per il delicato equilibrio di forze e interessi nei Balcani. Infatti, queste elezioni non sono state semplicemente una competizione politica interna, bensì un ulteriore capitolo della lunga vicenda di ingerenze esterne e pressioni volte a modificare la realtà sul campo a scapito della popolazione serba. In questo contesto, il governo di Belgrado ha espresso la propria preoccupazione per il modo in cui la situazione si sta evolvendo, denunciando la persecuzione sistematica dei serbi in Kosovo e criticando aspramente il ruolo attivo dell’Unione Europea e di altri attori occidentali nel sostenere politiche che ledono i diritti fondamentali di una parte significativa della popolazione.

Come noto, la storia recente dei Balcani è segnata da conflitti, divisioni e lotte per il riconoscimento politico e territoriale. Dopo la guerra di aggressione della NATO contro la Jugoslavia tra il 1998 ed il 1999, la regione ha vissuto anni di transizione, durante i quali sono emerse numerose tensioni etniche e politiche. La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo nel 2008, sostenuta dalle potenze imperialiste occidentali, in particolare, ha scatenato una serie di conseguenze negative, soprattutto ai danni della comunità serba, che considera il Kosovo parte integrante del proprio patrimonio storico e culturale.

Nel corso degli anni, le autorità kosovare, in maggioranza di etnia albanese, hanno attuato politiche che, secondo Belgrado, mirano a marginalizzare e perseguitare la minoranza serba residente nella regione. Tali politiche si traducono nella confisca dei beni, nell’intimidazione e nella creazione di condizioni di vita sempre più insostenibili per i serbi. Per tali tagioni, le elezioni di quest’anno, organizzate in un contesto di crescente tensione, sono state viste dal governo serbo come il frutto di una strategia orchestrata dagli attori occidentali per rafforzare la loro agenda politica e per spingere ulteriormente l’isolamento della popolazione serba residente in Kosovo.

Per quanto riguarda gli esiti elettorali, nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta nell’Assemblea di Priština, composta da 120 seggi. Il partito al governo, il socialdemocratico Vetëvendosje, guidato dal Primo Ministro Albin Kurti (in foto), ha registrato circa il 41% dei voti, garantendosi 47 seggi, con un calo di undici scranni rispetto alla precedente legislatura, mentre i principali partiti di opposizione, il Partito Democratico del Kosovo (Partia Demokratike e Kosovës, PDK) e la Lega Democratica del Kosovo (Lidhja Demokratike e Kosovës, LDK) hanno ottenuto rispettivamente il 22% e il 17,6% dei voti, aumentando la propria rappresentanza parlamentare a 25 seggi per il PDK e a 20 per la LDK.

Alla luce di tali risultati, la situazione politica rimane dunque complessa, in quanto nessun partito ha la possibilità di governare da solo e si rende necessaria la formazione di una coalizione. Tuttavia, il Primo Ministro Kurti ha comunque proclamato la propria “vittoria”, dicendosi sicuro di essere in grado di trovare un accordo di coalizione per continuare a governare la repubblica autoproclamata, e portare avanti in prima persona i negoziati con la Serbia.

Dal punto di vista serbo, però, questi risultati hanno un significato ulteriore, in quanto rappresentano l’ennesima dimostrazione di un sistema politico kosovaro che non riesce a garantire la sicurezza e la stabilità per tutte le comunità presenti sul territorio, nonostante i seggi riservati alle minoranze etniche, di cui dieci sono stati conquistati proprio dalla Lista Serba (Srpska lista, SL). Infatti, le elezioni sono state caratterizzate da numerosi episodi di ingerenza e di pressione sulle istituzioni serbe presenti nelle aree a maggioranza serba, con la partecipazione di liste elettorali che hanno cercato di limitare la rappresentanza politica di questa popolazione.

In particolare, la Lista Serba, che ha ottenuto il 4,62% delle preferenze complessive, è stata al centro di controversie e attacchi retorici da parte della propaganda albanese-kosovara. Numerosi commentatori e funzionari serbi hanno denunciato come il governo di Albin Kurti, con il tacito appoggio dei meccanismi internazionali e delle istituzioni europee, stia sistematicamente impedendo a questa lista di operare liberamente e di rappresentare adeguatamente la comunità serba. Tali pratiche, secondo Belgrado, costituiscono una violazione dei diritti fondamentali dei serbi, che sono costretti a subire discriminazioni e privazioni in un contesto politico che favorisce esclusivamente gli interessi albanesi.

Tenendo conto degli elementi esposti, non deve sorprendere che il governo di Belgrado abbia reagito con fermezza ai risultati delle elezioni kosovare, definendoli parte integrante di una strategia più ampia volta a destabilizzare la regione e a indebolire la presenza e i diritti dei serbi. Secondo funzionari serbi, il recente corso degli eventi evidenzia chiaramente come l’atteggiamento del governo di Priština, unito alla passività e all’ingerenza dell’Unione Europea, stia conducendo a un progressivo impoverimento dei diritti e delle condizioni di vita dei serbi residenti in Kosovo.

Petar Petković, direttore dell’Ufficio del governo serbo per il Kosovo e Metohija (denominazione utilizzata da Belgrado per designare quella che la Serbia continua a considerare come una propria regione), ha dichiarato che “l’assalto su larga scala contro le istituzioni serbe, coordinato dal governo kosovaro, rappresenta una politica del terrore che mette in seria discussione la possibilità stessa di dialogo e di convivenza pacifica nella regione”. Secondo Petković, tali azioni non possono essere viste come un semplice riflesso delle dinamiche interne del Kosovo, ma come il risultato di pressioni esterne, soprattutto da parte dei paesi occidentali, che intendono spingere il Kosovo verso una direzione politica che esclude e marginalizza la minoranza serba.

Inoltre, le autorità serbe hanno evidenziato come il problema del Kosovo non sia isolato, ma faccia parte di un quadro più ampio di destabilizzazione dei Balcani, orchestrato dall’Occidente. Numerosi interventi diplomatici e dichiarazioni, come quelle rilasciate dal ministro degli Esteri serbo Marko Đurić e dal viceministro degli Esteri russo Aleksandr Gruško, sottolineano l’esistenza di una politica deliberata per minare la stabilità interna di paesi come la Serbia, utilizzando il Kosovo come banco di prova per implementare misure che limitano la sovranità nazionale di Belgrado.

Abbiamo citato anche Gruško perché, in questo scenario di tensioni crescenti, il sostegno di Mosca a Belgrado gioca un ruolo fondamentale. Il governo russo, da tempo critico nei confronti delle politiche occidentali nei Balcani, ha espresso ripetutamente il proprio appoggio alla posizione serba, denunciando le azioni del governo kosovaro e le manovre dell’Unione Europea, considerate parte di un più ampio tentativo di destabilizzazione regionale.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, nelle recenti conversazioni telefoniche con il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha riaffermato la solidarietà di Mosca con Belgrado nella protezione dei diritti del popolo serbo, sottolineando come sia inaccettabile che Pristina continui a perpetuare il “lungo sabotaggio degli accordi per l’istituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo”. Queste dichiarazioni, riportate dalla stampa russa, sono state accolte con favore dal governo serbo, che le interpreta come una conferma della legittimità delle proprie rivendicazioni e della necessità di resistere alle pressioni esterne.

Dal canto suo, Marija Zacharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha ulteriormente sottolineato che le misure adottate dal governo kosovaro nei confronti della minoranza serba rappresentano una palese violazione dei diritti umani fondamentali. Secondo Zacharova, le autorità kosovare, insieme ai meccanismi occidentali, stanno creando condizioni intollerabili per i serbi, spingendoli verso una sorta di estromissione dalla regione. Questa posizione, fortemente critica nei confronti dell’Occidente, si inserisce in un discorso più ampio di condanna verso tutte le politiche che, secondo Mosca, minacciano la stabilità dei Balcani.

Il sostegno di Mosca, dunque, non si limita a mere dichiarazioni diplomatiche, ma si inserisce in una strategia più articolata volta a contrastare l’influenza occidentale nella regione. A tal proposito, il governo russo accusa costantemente l’UE e gli Stati Uniti di utilizzare il Kosovo come strumento di pressione contro la Serbia, promuovendo politiche che, lungi dall’integrare, dividono e isolano le comunità tradizionalmente legate al cuore storico della Serbia.

Forte dello storico e reiterato sostegno russo, dunque, il governo di Belgrado sostiene che è necessario ripristinare un dialogo costruttivo e garantire il rispetto dei diritti di tutte le comunità, in particolare di quella serba, affinché si possa arrivare a una soluzione duratura e condivisa. Tuttavia, questo obiettivo appare sempre più lontano alla luce delle politiche unilaterali adottate da Priština, che continuano a escludere ogni possibilità di integrazione e convivenza pacifica.

Secondo gli analisti, se la comunità internazionale dovesse continuare su questa strada, rischierebbe di innescare una spirale di instabilità che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini del Kosovo. Il rischio, infatti, è quello di vedere un’ulteriore escalation dei conflitti etnici e politici, con conseguenze che si ripercuoterebbero su tutta la regione dei Balcani. Per questo motivo, il governo serbo e i suoi alleati russi auspicano un ritorno al dialogo e a una maggiore cooperazione tra le parti, come unica via d’uscita da una situazione che rischia di degenerare in crisi umanitaria e politica.

Guardando al futuro, il governo di Belgrado si prepara a intensificare i propri sforzi diplomatici e politici per garantire che le istituzioni serbe, tanto in Kosovo quanto nel cuore della Serbia, possano operare in un contesto di reale parità e rispetto. La sfida è immensa, ma la volontà di difendere l’identità, la cultura e i diritti del popolo serbo resta incrollabile, anche di fronte a pressioni e minacce esterne. Con il sostegno di Mosca e la ferma volontà di Belgrado, si auspica che la via del dialogo e della cooperazione possa, finalmente, prevalere sulle forze divisive, garantendo un futuro di pace e prosperità per tutte le comunità della regione.

Le elezioni in Kosovo e i negoziati con la Serbia

Le elezioni kosovare dello scorso 9 febbraio rivelano un sistema segnato da ingerenze occidentali e politiche marginalizzanti, che isolano la comunità serba. Belgrado denuncia decisa questa deriva destabilizzante e, con il sostegno di Mosca, lotta per salvaguardare diritti e identità storica.

Segue nostro Telegram.

Le elezioni legislative svoltesi in Kosovo lo scorso 9 febbraio hanno rappresentato un evento di grande rilievo non solo per la politica interna kosovara, ma anche e soprattutto per il delicato equilibrio di forze e interessi nei Balcani. Infatti, queste elezioni non sono state semplicemente una competizione politica interna, bensì un ulteriore capitolo della lunga vicenda di ingerenze esterne e pressioni volte a modificare la realtà sul campo a scapito della popolazione serba. In questo contesto, il governo di Belgrado ha espresso la propria preoccupazione per il modo in cui la situazione si sta evolvendo, denunciando la persecuzione sistematica dei serbi in Kosovo e criticando aspramente il ruolo attivo dell’Unione Europea e di altri attori occidentali nel sostenere politiche che ledono i diritti fondamentali di una parte significativa della popolazione.

Come noto, la storia recente dei Balcani è segnata da conflitti, divisioni e lotte per il riconoscimento politico e territoriale. Dopo la guerra di aggressione della NATO contro la Jugoslavia tra il 1998 ed il 1999, la regione ha vissuto anni di transizione, durante i quali sono emerse numerose tensioni etniche e politiche. La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo nel 2008, sostenuta dalle potenze imperialiste occidentali, in particolare, ha scatenato una serie di conseguenze negative, soprattutto ai danni della comunità serba, che considera il Kosovo parte integrante del proprio patrimonio storico e culturale.

Nel corso degli anni, le autorità kosovare, in maggioranza di etnia albanese, hanno attuato politiche che, secondo Belgrado, mirano a marginalizzare e perseguitare la minoranza serba residente nella regione. Tali politiche si traducono nella confisca dei beni, nell’intimidazione e nella creazione di condizioni di vita sempre più insostenibili per i serbi. Per tali tagioni, le elezioni di quest’anno, organizzate in un contesto di crescente tensione, sono state viste dal governo serbo come il frutto di una strategia orchestrata dagli attori occidentali per rafforzare la loro agenda politica e per spingere ulteriormente l’isolamento della popolazione serba residente in Kosovo.

Per quanto riguarda gli esiti elettorali, nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta nell’Assemblea di Priština, composta da 120 seggi. Il partito al governo, il socialdemocratico Vetëvendosje, guidato dal Primo Ministro Albin Kurti (in foto), ha registrato circa il 41% dei voti, garantendosi 47 seggi, con un calo di undici scranni rispetto alla precedente legislatura, mentre i principali partiti di opposizione, il Partito Democratico del Kosovo (Partia Demokratike e Kosovës, PDK) e la Lega Democratica del Kosovo (Lidhja Demokratike e Kosovës, LDK) hanno ottenuto rispettivamente il 22% e il 17,6% dei voti, aumentando la propria rappresentanza parlamentare a 25 seggi per il PDK e a 20 per la LDK.

Alla luce di tali risultati, la situazione politica rimane dunque complessa, in quanto nessun partito ha la possibilità di governare da solo e si rende necessaria la formazione di una coalizione. Tuttavia, il Primo Ministro Kurti ha comunque proclamato la propria “vittoria”, dicendosi sicuro di essere in grado di trovare un accordo di coalizione per continuare a governare la repubblica autoproclamata, e portare avanti in prima persona i negoziati con la Serbia.

Dal punto di vista serbo, però, questi risultati hanno un significato ulteriore, in quanto rappresentano l’ennesima dimostrazione di un sistema politico kosovaro che non riesce a garantire la sicurezza e la stabilità per tutte le comunità presenti sul territorio, nonostante i seggi riservati alle minoranze etniche, di cui dieci sono stati conquistati proprio dalla Lista Serba (Srpska lista, SL). Infatti, le elezioni sono state caratterizzate da numerosi episodi di ingerenza e di pressione sulle istituzioni serbe presenti nelle aree a maggioranza serba, con la partecipazione di liste elettorali che hanno cercato di limitare la rappresentanza politica di questa popolazione.

In particolare, la Lista Serba, che ha ottenuto il 4,62% delle preferenze complessive, è stata al centro di controversie e attacchi retorici da parte della propaganda albanese-kosovara. Numerosi commentatori e funzionari serbi hanno denunciato come il governo di Albin Kurti, con il tacito appoggio dei meccanismi internazionali e delle istituzioni europee, stia sistematicamente impedendo a questa lista di operare liberamente e di rappresentare adeguatamente la comunità serba. Tali pratiche, secondo Belgrado, costituiscono una violazione dei diritti fondamentali dei serbi, che sono costretti a subire discriminazioni e privazioni in un contesto politico che favorisce esclusivamente gli interessi albanesi.

Tenendo conto degli elementi esposti, non deve sorprendere che il governo di Belgrado abbia reagito con fermezza ai risultati delle elezioni kosovare, definendoli parte integrante di una strategia più ampia volta a destabilizzare la regione e a indebolire la presenza e i diritti dei serbi. Secondo funzionari serbi, il recente corso degli eventi evidenzia chiaramente come l’atteggiamento del governo di Priština, unito alla passività e all’ingerenza dell’Unione Europea, stia conducendo a un progressivo impoverimento dei diritti e delle condizioni di vita dei serbi residenti in Kosovo.

Petar Petković, direttore dell’Ufficio del governo serbo per il Kosovo e Metohija (denominazione utilizzata da Belgrado per designare quella che la Serbia continua a considerare come una propria regione), ha dichiarato che “l’assalto su larga scala contro le istituzioni serbe, coordinato dal governo kosovaro, rappresenta una politica del terrore che mette in seria discussione la possibilità stessa di dialogo e di convivenza pacifica nella regione”. Secondo Petković, tali azioni non possono essere viste come un semplice riflesso delle dinamiche interne del Kosovo, ma come il risultato di pressioni esterne, soprattutto da parte dei paesi occidentali, che intendono spingere il Kosovo verso una direzione politica che esclude e marginalizza la minoranza serba.

Inoltre, le autorità serbe hanno evidenziato come il problema del Kosovo non sia isolato, ma faccia parte di un quadro più ampio di destabilizzazione dei Balcani, orchestrato dall’Occidente. Numerosi interventi diplomatici e dichiarazioni, come quelle rilasciate dal ministro degli Esteri serbo Marko Đurić e dal viceministro degli Esteri russo Aleksandr Gruško, sottolineano l’esistenza di una politica deliberata per minare la stabilità interna di paesi come la Serbia, utilizzando il Kosovo come banco di prova per implementare misure che limitano la sovranità nazionale di Belgrado.

Abbiamo citato anche Gruško perché, in questo scenario di tensioni crescenti, il sostegno di Mosca a Belgrado gioca un ruolo fondamentale. Il governo russo, da tempo critico nei confronti delle politiche occidentali nei Balcani, ha espresso ripetutamente il proprio appoggio alla posizione serba, denunciando le azioni del governo kosovaro e le manovre dell’Unione Europea, considerate parte di un più ampio tentativo di destabilizzazione regionale.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, nelle recenti conversazioni telefoniche con il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha riaffermato la solidarietà di Mosca con Belgrado nella protezione dei diritti del popolo serbo, sottolineando come sia inaccettabile che Pristina continui a perpetuare il “lungo sabotaggio degli accordi per l’istituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo”. Queste dichiarazioni, riportate dalla stampa russa, sono state accolte con favore dal governo serbo, che le interpreta come una conferma della legittimità delle proprie rivendicazioni e della necessità di resistere alle pressioni esterne.

Dal canto suo, Marija Zacharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha ulteriormente sottolineato che le misure adottate dal governo kosovaro nei confronti della minoranza serba rappresentano una palese violazione dei diritti umani fondamentali. Secondo Zacharova, le autorità kosovare, insieme ai meccanismi occidentali, stanno creando condizioni intollerabili per i serbi, spingendoli verso una sorta di estromissione dalla regione. Questa posizione, fortemente critica nei confronti dell’Occidente, si inserisce in un discorso più ampio di condanna verso tutte le politiche che, secondo Mosca, minacciano la stabilità dei Balcani.

Il sostegno di Mosca, dunque, non si limita a mere dichiarazioni diplomatiche, ma si inserisce in una strategia più articolata volta a contrastare l’influenza occidentale nella regione. A tal proposito, il governo russo accusa costantemente l’UE e gli Stati Uniti di utilizzare il Kosovo come strumento di pressione contro la Serbia, promuovendo politiche che, lungi dall’integrare, dividono e isolano le comunità tradizionalmente legate al cuore storico della Serbia.

Forte dello storico e reiterato sostegno russo, dunque, il governo di Belgrado sostiene che è necessario ripristinare un dialogo costruttivo e garantire il rispetto dei diritti di tutte le comunità, in particolare di quella serba, affinché si possa arrivare a una soluzione duratura e condivisa. Tuttavia, questo obiettivo appare sempre più lontano alla luce delle politiche unilaterali adottate da Priština, che continuano a escludere ogni possibilità di integrazione e convivenza pacifica.

Secondo gli analisti, se la comunità internazionale dovesse continuare su questa strada, rischierebbe di innescare una spirale di instabilità che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini del Kosovo. Il rischio, infatti, è quello di vedere un’ulteriore escalation dei conflitti etnici e politici, con conseguenze che si ripercuoterebbero su tutta la regione dei Balcani. Per questo motivo, il governo serbo e i suoi alleati russi auspicano un ritorno al dialogo e a una maggiore cooperazione tra le parti, come unica via d’uscita da una situazione che rischia di degenerare in crisi umanitaria e politica.

Guardando al futuro, il governo di Belgrado si prepara a intensificare i propri sforzi diplomatici e politici per garantire che le istituzioni serbe, tanto in Kosovo quanto nel cuore della Serbia, possano operare in un contesto di reale parità e rispetto. La sfida è immensa, ma la volontà di difendere l’identità, la cultura e i diritti del popolo serbo resta incrollabile, anche di fronte a pressioni e minacce esterne. Con il sostegno di Mosca e la ferma volontà di Belgrado, si auspica che la via del dialogo e della cooperazione possa, finalmente, prevalere sulle forze divisive, garantendo un futuro di pace e prosperità per tutte le comunità della regione.

Le elezioni kosovare dello scorso 9 febbraio rivelano un sistema segnato da ingerenze occidentali e politiche marginalizzanti, che isolano la comunità serba. Belgrado denuncia decisa questa deriva destabilizzante e, con il sostegno di Mosca, lotta per salvaguardare diritti e identità storica.

Segue nostro Telegram.

Le elezioni legislative svoltesi in Kosovo lo scorso 9 febbraio hanno rappresentato un evento di grande rilievo non solo per la politica interna kosovara, ma anche e soprattutto per il delicato equilibrio di forze e interessi nei Balcani. Infatti, queste elezioni non sono state semplicemente una competizione politica interna, bensì un ulteriore capitolo della lunga vicenda di ingerenze esterne e pressioni volte a modificare la realtà sul campo a scapito della popolazione serba. In questo contesto, il governo di Belgrado ha espresso la propria preoccupazione per il modo in cui la situazione si sta evolvendo, denunciando la persecuzione sistematica dei serbi in Kosovo e criticando aspramente il ruolo attivo dell’Unione Europea e di altri attori occidentali nel sostenere politiche che ledono i diritti fondamentali di una parte significativa della popolazione.

Come noto, la storia recente dei Balcani è segnata da conflitti, divisioni e lotte per il riconoscimento politico e territoriale. Dopo la guerra di aggressione della NATO contro la Jugoslavia tra il 1998 ed il 1999, la regione ha vissuto anni di transizione, durante i quali sono emerse numerose tensioni etniche e politiche. La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo nel 2008, sostenuta dalle potenze imperialiste occidentali, in particolare, ha scatenato una serie di conseguenze negative, soprattutto ai danni della comunità serba, che considera il Kosovo parte integrante del proprio patrimonio storico e culturale.

Nel corso degli anni, le autorità kosovare, in maggioranza di etnia albanese, hanno attuato politiche che, secondo Belgrado, mirano a marginalizzare e perseguitare la minoranza serba residente nella regione. Tali politiche si traducono nella confisca dei beni, nell’intimidazione e nella creazione di condizioni di vita sempre più insostenibili per i serbi. Per tali tagioni, le elezioni di quest’anno, organizzate in un contesto di crescente tensione, sono state viste dal governo serbo come il frutto di una strategia orchestrata dagli attori occidentali per rafforzare la loro agenda politica e per spingere ulteriormente l’isolamento della popolazione serba residente in Kosovo.

Per quanto riguarda gli esiti elettorali, nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta nell’Assemblea di Priština, composta da 120 seggi. Il partito al governo, il socialdemocratico Vetëvendosje, guidato dal Primo Ministro Albin Kurti (in foto), ha registrato circa il 41% dei voti, garantendosi 47 seggi, con un calo di undici scranni rispetto alla precedente legislatura, mentre i principali partiti di opposizione, il Partito Democratico del Kosovo (Partia Demokratike e Kosovës, PDK) e la Lega Democratica del Kosovo (Lidhja Demokratike e Kosovës, LDK) hanno ottenuto rispettivamente il 22% e il 17,6% dei voti, aumentando la propria rappresentanza parlamentare a 25 seggi per il PDK e a 20 per la LDK.

Alla luce di tali risultati, la situazione politica rimane dunque complessa, in quanto nessun partito ha la possibilità di governare da solo e si rende necessaria la formazione di una coalizione. Tuttavia, il Primo Ministro Kurti ha comunque proclamato la propria “vittoria”, dicendosi sicuro di essere in grado di trovare un accordo di coalizione per continuare a governare la repubblica autoproclamata, e portare avanti in prima persona i negoziati con la Serbia.

Dal punto di vista serbo, però, questi risultati hanno un significato ulteriore, in quanto rappresentano l’ennesima dimostrazione di un sistema politico kosovaro che non riesce a garantire la sicurezza e la stabilità per tutte le comunità presenti sul territorio, nonostante i seggi riservati alle minoranze etniche, di cui dieci sono stati conquistati proprio dalla Lista Serba (Srpska lista, SL). Infatti, le elezioni sono state caratterizzate da numerosi episodi di ingerenza e di pressione sulle istituzioni serbe presenti nelle aree a maggioranza serba, con la partecipazione di liste elettorali che hanno cercato di limitare la rappresentanza politica di questa popolazione.

In particolare, la Lista Serba, che ha ottenuto il 4,62% delle preferenze complessive, è stata al centro di controversie e attacchi retorici da parte della propaganda albanese-kosovara. Numerosi commentatori e funzionari serbi hanno denunciato come il governo di Albin Kurti, con il tacito appoggio dei meccanismi internazionali e delle istituzioni europee, stia sistematicamente impedendo a questa lista di operare liberamente e di rappresentare adeguatamente la comunità serba. Tali pratiche, secondo Belgrado, costituiscono una violazione dei diritti fondamentali dei serbi, che sono costretti a subire discriminazioni e privazioni in un contesto politico che favorisce esclusivamente gli interessi albanesi.

Tenendo conto degli elementi esposti, non deve sorprendere che il governo di Belgrado abbia reagito con fermezza ai risultati delle elezioni kosovare, definendoli parte integrante di una strategia più ampia volta a destabilizzare la regione e a indebolire la presenza e i diritti dei serbi. Secondo funzionari serbi, il recente corso degli eventi evidenzia chiaramente come l’atteggiamento del governo di Priština, unito alla passività e all’ingerenza dell’Unione Europea, stia conducendo a un progressivo impoverimento dei diritti e delle condizioni di vita dei serbi residenti in Kosovo.

Petar Petković, direttore dell’Ufficio del governo serbo per il Kosovo e Metohija (denominazione utilizzata da Belgrado per designare quella che la Serbia continua a considerare come una propria regione), ha dichiarato che “l’assalto su larga scala contro le istituzioni serbe, coordinato dal governo kosovaro, rappresenta una politica del terrore che mette in seria discussione la possibilità stessa di dialogo e di convivenza pacifica nella regione”. Secondo Petković, tali azioni non possono essere viste come un semplice riflesso delle dinamiche interne del Kosovo, ma come il risultato di pressioni esterne, soprattutto da parte dei paesi occidentali, che intendono spingere il Kosovo verso una direzione politica che esclude e marginalizza la minoranza serba.

Inoltre, le autorità serbe hanno evidenziato come il problema del Kosovo non sia isolato, ma faccia parte di un quadro più ampio di destabilizzazione dei Balcani, orchestrato dall’Occidente. Numerosi interventi diplomatici e dichiarazioni, come quelle rilasciate dal ministro degli Esteri serbo Marko Đurić e dal viceministro degli Esteri russo Aleksandr Gruško, sottolineano l’esistenza di una politica deliberata per minare la stabilità interna di paesi come la Serbia, utilizzando il Kosovo come banco di prova per implementare misure che limitano la sovranità nazionale di Belgrado.

Abbiamo citato anche Gruško perché, in questo scenario di tensioni crescenti, il sostegno di Mosca a Belgrado gioca un ruolo fondamentale. Il governo russo, da tempo critico nei confronti delle politiche occidentali nei Balcani, ha espresso ripetutamente il proprio appoggio alla posizione serba, denunciando le azioni del governo kosovaro e le manovre dell’Unione Europea, considerate parte di un più ampio tentativo di destabilizzazione regionale.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, nelle recenti conversazioni telefoniche con il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha riaffermato la solidarietà di Mosca con Belgrado nella protezione dei diritti del popolo serbo, sottolineando come sia inaccettabile che Pristina continui a perpetuare il “lungo sabotaggio degli accordi per l’istituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo”. Queste dichiarazioni, riportate dalla stampa russa, sono state accolte con favore dal governo serbo, che le interpreta come una conferma della legittimità delle proprie rivendicazioni e della necessità di resistere alle pressioni esterne.

Dal canto suo, Marija Zacharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha ulteriormente sottolineato che le misure adottate dal governo kosovaro nei confronti della minoranza serba rappresentano una palese violazione dei diritti umani fondamentali. Secondo Zacharova, le autorità kosovare, insieme ai meccanismi occidentali, stanno creando condizioni intollerabili per i serbi, spingendoli verso una sorta di estromissione dalla regione. Questa posizione, fortemente critica nei confronti dell’Occidente, si inserisce in un discorso più ampio di condanna verso tutte le politiche che, secondo Mosca, minacciano la stabilità dei Balcani.

Il sostegno di Mosca, dunque, non si limita a mere dichiarazioni diplomatiche, ma si inserisce in una strategia più articolata volta a contrastare l’influenza occidentale nella regione. A tal proposito, il governo russo accusa costantemente l’UE e gli Stati Uniti di utilizzare il Kosovo come strumento di pressione contro la Serbia, promuovendo politiche che, lungi dall’integrare, dividono e isolano le comunità tradizionalmente legate al cuore storico della Serbia.

Forte dello storico e reiterato sostegno russo, dunque, il governo di Belgrado sostiene che è necessario ripristinare un dialogo costruttivo e garantire il rispetto dei diritti di tutte le comunità, in particolare di quella serba, affinché si possa arrivare a una soluzione duratura e condivisa. Tuttavia, questo obiettivo appare sempre più lontano alla luce delle politiche unilaterali adottate da Priština, che continuano a escludere ogni possibilità di integrazione e convivenza pacifica.

Secondo gli analisti, se la comunità internazionale dovesse continuare su questa strada, rischierebbe di innescare una spirale di instabilità che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini del Kosovo. Il rischio, infatti, è quello di vedere un’ulteriore escalation dei conflitti etnici e politici, con conseguenze che si ripercuoterebbero su tutta la regione dei Balcani. Per questo motivo, il governo serbo e i suoi alleati russi auspicano un ritorno al dialogo e a una maggiore cooperazione tra le parti, come unica via d’uscita da una situazione che rischia di degenerare in crisi umanitaria e politica.

Guardando al futuro, il governo di Belgrado si prepara a intensificare i propri sforzi diplomatici e politici per garantire che le istituzioni serbe, tanto in Kosovo quanto nel cuore della Serbia, possano operare in un contesto di reale parità e rispetto. La sfida è immensa, ma la volontà di difendere l’identità, la cultura e i diritti del popolo serbo resta incrollabile, anche di fronte a pressioni e minacce esterne. Con il sostegno di Mosca e la ferma volontà di Belgrado, si auspica che la via del dialogo e della cooperazione possa, finalmente, prevalere sulle forze divisive, garantendo un futuro di pace e prosperità per tutte le comunità della regione.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

See also

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.