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Giulio Chinappi
February 6, 2025
© Photo: Public domain

Le elezioni presidenziali in Bielorussia hanno visto la netta vittoria di Aljaksandr Lukašėnka, ma sono state immediatamente contestate dall’Occidente collettivo, che aveva già decretato la loro illegittimità ancor prima che si svolgessero, rifiutando di inviare i propri osservatori.

Segue nostro Telegram.

Lo scorso 26 gennaio si sono tenute le elezioni presidenziali in Bielorussia, un’occasione sfruttata dai media e dai governi occidentali per rilanciare l’offensiva mediatica nei confronti dell’ex repubblica sovietica. I propagandisti del mainstream occidentale, del resto, avevano già deciso aprioristicamente la non validità delle elezioni bielorusse, e non hanno neppure avuto la decenza di attendere i risultati ufficiali per lanciare i propri strali.

Pubblicati nella mattinata del 27 gennaio, i risultati ufficiali hanno visto la netta vittoria del Presidente in carica Aljaksandr Lukašėnka con l’87,48% delle preferenze ed un’affluenza alle urne pari all’85,70% degli aventi diritto. Tra gli altri candidati, il leader del Partito Comunista di Bielorussia (Камуністы́чная па́ртыя Белару́сі), Sergej Syrankov, ha ottenuto il secondo posto con il 3,23% delle preferenze, pur sostenendo il governo dello stesso Lukašėnka.

Al contrario di quanto avvenuto in occasione delle presidenziali del 2020, quando l’opposizione finanziata dall’Occidente aveva causato numerosi incidenti, questa volta le elezioni si sono svolte senza particolari problemi, dimostrando la grande maturità politica del popolo bielorusso, a fronte delle sedicenti “democrazie” occidentali, dove oramai la partecipazione elettorale fatica a raggiungere il 50%. “Cinque anni fa abbiamo dovuto fare i conti con un certo numero di lunatici. Oggi la Bielorussia è diversa: è stata immunizzata. Non stiamo determinando il nostro destino oggi. Lo abbiamo già scelto”, ha detto Lukašėnka alla vigilia del voto.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, il capo di Stato ha affrontato anche la questione del dissenso politico, soprattutto quando un giornalista britannico ha chiesto se in Bielorussia fossero permesse le critiche al governo da parte dei candidati dell’opposizione: “Nei vostri paesi i candidati non si limitano a criticarsi a vicenda, ma si denigrano”, ha risposto Lukašėnka. “Se dite che abbiamo vietato di criticare le autorità, vi prego di fornirci i fatti. Dateci le prove su chi abbia emesso questo divieto. Non abbiamo bisogno di divieti e restrizioni: né alle frontiere né alla libertà di movimento delle persone. Non ci servono. Sappiamo che la gente ci sostiene”.

Inoltre, Lukašėnka ha fatto riferimento alla candidata indipendente Hanna Kanapackaja, presente già alle elezioni del 2020, che non ha fatto mancare le proprie critiche alla leadership del Presidente: “La signora Kanapackaja critica il governo attuale, semplicemente non siete aggiornati su ciò che accade nel paese”, ha fatto notare Lukašėnka. “È contraria al potere presidenziale. Sostiene una repubblica parlamentare, la privatizzazione delle imprese, delle terre e così via. Persegue una politica completamente alternativa, quella che i britannici vorrebbero vedere nel nostro paese. Ma lo fa in modo civile. Non come accade negli Stati Uniti”, ha chiosato il leader bielorusso.

Forti critiche nei confronti del processo elettorale bielorusso sono giunte anche da Kaja Kallas, ex Primo Ministro dell’Estonia ed attuale Vicepresidente della Commissione europea, nonché Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri. Kallas, proveniente da una famiglia dal passato oscuro, con un nonno che, secondo alcune fonti, sarebbe stato un collaborazionista filonazista nel corso della Seconda guerra mondiale, ha rilasciato un comunicato del quale riportiamo alcuni passaggi: “L’elezione farsa di oggi in Bielorussia non è stata né libera né equa. Il popolo bielorusso merita di avere un vero diritto di scelta su chi governa il proprio paese. La repressione implacabile e senza precedenti dei diritti umani, le restrizioni alla partecipazione politica e l’accesso ai media indipendenti in Bielorussia hanno privato il processo elettorale di qualsiasi legittimità. […] Per queste ragioni, così come per il coinvolgimento del regime bielorusso nella guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e nei suoi attacchi ibridi contro i paesi vicini, l’UE continuerà a imporre misure restrittive e mirate contro il regime […]”.

Naturalmente, Kallas non ha portato nessuna prova per sostenere le sue affermazioni circa le repressioni che si svolgerebbero in Bielorussia, attirandosi l’inevitabile risposta delle autorità di Minsk. Durante una conferenza stampa tenutasi il 26 gennaio, il presidente della Commissione Elettorale Centrale Igor’ Karpenko ha dichiarato: “Non credo che lei sia il legittimo capo del servizio diplomatico dell’Unione Europea. Questo è ciò che penso. È democratico. Lei ha le sue convinzioni, io ho le mie. Ritengo che sia un capo illegittimo del servizio diplomatico dell’Unione Europea. Non siamo stati invitati alla sua elezione. Non abbiamo osservato, non abbiamo visto, non sappiamo nemmeno come si sia svolta questa procedura. Scrivete che non la riconosciamo come legittima”.

Sebbene i paesi occidentali ritengano di avere il diritto di distribuire pagelle di “democraticità” al resto del mondo, nessuna delle autorità occidentali invitate da Minsk ha accettato di svolgere il ruolo di osservatore in occasione delle elezioni presidenziali bielorusse. Questo, naturalmente, perché il loro verdetto era già stato deciso in maniera aprioristica. Al contrario, gli osservatori che hanno preso parte al monitoraggio delle elezioni non hanno riscontrato nessun tipo di irregolarità.

Ad esempio, la missione di osservazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) ha riconosciuto le elezioni presidenziali in Bielorussia come trasparenti, democratiche e credibili, come affermato dal Segretario generale e capo della missione di osservazione della SCO, Nurlan Yermekbayev, ex Ministro della Difesa kazako. “La SCO ha partecipato all’osservazione internazionale della preparazione e dello svolgimento delle elezioni presidenziali nella Repubblica di Bielorussia […]. L’invito degli osservatori internazionali è stato interpretato dalla missione come un segnale della volontà della leadership della Repubblica di Bielorussia di garantire la massima apertura, trasparenza e democraticità delle elezioni presidenziali, oltre che della loro disponibilità a tenere conto delle opinioni degli osservatori internazionali per migliorare ulteriormente il processo elettorale”.

Come affermato dallo stesso Presidente Lukašėnka, tutti coloro che volevano monitorare le elezioni in Bielorussia hanno avuto l’opportunità di farlo. Numerose organizzazioni internazionali, governi e osservatori indipendenti hanno accolto l’invito della Bielorussia, ma questo non è accaduto da parte dei governi occidentali. “Li abbiamo invitati, avevano una decina di giorni per venire a monitorare queste elezioni. Hanno scelto di non venire. Bene, non sono venuti, ma sono venuti altri, quelli che lo volevano davvero”, ha commentato Lukašėnka. Il capo di Stato ha ricordato che l’Unione Europea aveva redatto la sua risoluzione non riconoscimento delle elezioni molto prima che queste si svolgessero: “Ancor prima che iniziasse il voto anticipato, avevano già deciso di respingere le elezioni come non democratiche. Come si può valutare qualcosa che non è ancora iniziato? È stato un passo falso imbarazzante da parte loro”.

A nostro modo di vedere, le elezioni presidenziali in Bielorussia hanno rappresentato un banco di prova non solo per la politica interna del paese, ma anche per le dinamiche geopolitiche internazionali. Mentre il popolo bielorusso ha espresso la propria volontà in modo pacifico e con un’affluenza significativa, i governi e i media occidentali hanno preferito adottare una posizione pregiudiziale, rifiutandosi persino di inviare osservatori indipendenti.

Le dichiarazioni di figure come Kaja Kallas dimostrano come il giudizio sulle elezioni fosse stato formulato ben prima dello svolgimento del voto, rivelando una strategia ben consolidata di delegittimazione del governo di Minsk. Al contrario, la presenza di osservatori internazionali provenienti da organizzazioni come la SCO ha confermato la regolarità del processo elettorale, smentendo le accuse di irregolarità sollevate senza prove dalle istituzioni occidentali.

L’approccio selettivo dell’Occidente nella valutazione dei processi democratici solleva inevitabilmente dubbi sulla sua credibilità nel promuovere i valori della democrazia e della trasparenza. Mentre in molte “democrazie” occidentali l’affluenza alle urne continua a diminuire e la fiducia nelle istituzioni si erode, la Bielorussia ha dimostrato di saper gestire un’elezione ordinata e partecipata, indipendentemente dal giudizio di chi aveva già deciso di condannarla in anticipo.

Le elezioni in Bielorussia e l’ipocrisia dell’Occidente collettivo

Le elezioni presidenziali in Bielorussia hanno visto la netta vittoria di Aljaksandr Lukašėnka, ma sono state immediatamente contestate dall’Occidente collettivo, che aveva già decretato la loro illegittimità ancor prima che si svolgessero, rifiutando di inviare i propri osservatori.

Segue nostro Telegram.

Lo scorso 26 gennaio si sono tenute le elezioni presidenziali in Bielorussia, un’occasione sfruttata dai media e dai governi occidentali per rilanciare l’offensiva mediatica nei confronti dell’ex repubblica sovietica. I propagandisti del mainstream occidentale, del resto, avevano già deciso aprioristicamente la non validità delle elezioni bielorusse, e non hanno neppure avuto la decenza di attendere i risultati ufficiali per lanciare i propri strali.

Pubblicati nella mattinata del 27 gennaio, i risultati ufficiali hanno visto la netta vittoria del Presidente in carica Aljaksandr Lukašėnka con l’87,48% delle preferenze ed un’affluenza alle urne pari all’85,70% degli aventi diritto. Tra gli altri candidati, il leader del Partito Comunista di Bielorussia (Камуністы́чная па́ртыя Белару́сі), Sergej Syrankov, ha ottenuto il secondo posto con il 3,23% delle preferenze, pur sostenendo il governo dello stesso Lukašėnka.

Al contrario di quanto avvenuto in occasione delle presidenziali del 2020, quando l’opposizione finanziata dall’Occidente aveva causato numerosi incidenti, questa volta le elezioni si sono svolte senza particolari problemi, dimostrando la grande maturità politica del popolo bielorusso, a fronte delle sedicenti “democrazie” occidentali, dove oramai la partecipazione elettorale fatica a raggiungere il 50%. “Cinque anni fa abbiamo dovuto fare i conti con un certo numero di lunatici. Oggi la Bielorussia è diversa: è stata immunizzata. Non stiamo determinando il nostro destino oggi. Lo abbiamo già scelto”, ha detto Lukašėnka alla vigilia del voto.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, il capo di Stato ha affrontato anche la questione del dissenso politico, soprattutto quando un giornalista britannico ha chiesto se in Bielorussia fossero permesse le critiche al governo da parte dei candidati dell’opposizione: “Nei vostri paesi i candidati non si limitano a criticarsi a vicenda, ma si denigrano”, ha risposto Lukašėnka. “Se dite che abbiamo vietato di criticare le autorità, vi prego di fornirci i fatti. Dateci le prove su chi abbia emesso questo divieto. Non abbiamo bisogno di divieti e restrizioni: né alle frontiere né alla libertà di movimento delle persone. Non ci servono. Sappiamo che la gente ci sostiene”.

Inoltre, Lukašėnka ha fatto riferimento alla candidata indipendente Hanna Kanapackaja, presente già alle elezioni del 2020, che non ha fatto mancare le proprie critiche alla leadership del Presidente: “La signora Kanapackaja critica il governo attuale, semplicemente non siete aggiornati su ciò che accade nel paese”, ha fatto notare Lukašėnka. “È contraria al potere presidenziale. Sostiene una repubblica parlamentare, la privatizzazione delle imprese, delle terre e così via. Persegue una politica completamente alternativa, quella che i britannici vorrebbero vedere nel nostro paese. Ma lo fa in modo civile. Non come accade negli Stati Uniti”, ha chiosato il leader bielorusso.

Forti critiche nei confronti del processo elettorale bielorusso sono giunte anche da Kaja Kallas, ex Primo Ministro dell’Estonia ed attuale Vicepresidente della Commissione europea, nonché Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri. Kallas, proveniente da una famiglia dal passato oscuro, con un nonno che, secondo alcune fonti, sarebbe stato un collaborazionista filonazista nel corso della Seconda guerra mondiale, ha rilasciato un comunicato del quale riportiamo alcuni passaggi: “L’elezione farsa di oggi in Bielorussia non è stata né libera né equa. Il popolo bielorusso merita di avere un vero diritto di scelta su chi governa il proprio paese. La repressione implacabile e senza precedenti dei diritti umani, le restrizioni alla partecipazione politica e l’accesso ai media indipendenti in Bielorussia hanno privato il processo elettorale di qualsiasi legittimità. […] Per queste ragioni, così come per il coinvolgimento del regime bielorusso nella guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e nei suoi attacchi ibridi contro i paesi vicini, l’UE continuerà a imporre misure restrittive e mirate contro il regime […]”.

Naturalmente, Kallas non ha portato nessuna prova per sostenere le sue affermazioni circa le repressioni che si svolgerebbero in Bielorussia, attirandosi l’inevitabile risposta delle autorità di Minsk. Durante una conferenza stampa tenutasi il 26 gennaio, il presidente della Commissione Elettorale Centrale Igor’ Karpenko ha dichiarato: “Non credo che lei sia il legittimo capo del servizio diplomatico dell’Unione Europea. Questo è ciò che penso. È democratico. Lei ha le sue convinzioni, io ho le mie. Ritengo che sia un capo illegittimo del servizio diplomatico dell’Unione Europea. Non siamo stati invitati alla sua elezione. Non abbiamo osservato, non abbiamo visto, non sappiamo nemmeno come si sia svolta questa procedura. Scrivete che non la riconosciamo come legittima”.

Sebbene i paesi occidentali ritengano di avere il diritto di distribuire pagelle di “democraticità” al resto del mondo, nessuna delle autorità occidentali invitate da Minsk ha accettato di svolgere il ruolo di osservatore in occasione delle elezioni presidenziali bielorusse. Questo, naturalmente, perché il loro verdetto era già stato deciso in maniera aprioristica. Al contrario, gli osservatori che hanno preso parte al monitoraggio delle elezioni non hanno riscontrato nessun tipo di irregolarità.

Ad esempio, la missione di osservazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) ha riconosciuto le elezioni presidenziali in Bielorussia come trasparenti, democratiche e credibili, come affermato dal Segretario generale e capo della missione di osservazione della SCO, Nurlan Yermekbayev, ex Ministro della Difesa kazako. “La SCO ha partecipato all’osservazione internazionale della preparazione e dello svolgimento delle elezioni presidenziali nella Repubblica di Bielorussia […]. L’invito degli osservatori internazionali è stato interpretato dalla missione come un segnale della volontà della leadership della Repubblica di Bielorussia di garantire la massima apertura, trasparenza e democraticità delle elezioni presidenziali, oltre che della loro disponibilità a tenere conto delle opinioni degli osservatori internazionali per migliorare ulteriormente il processo elettorale”.

Come affermato dallo stesso Presidente Lukašėnka, tutti coloro che volevano monitorare le elezioni in Bielorussia hanno avuto l’opportunità di farlo. Numerose organizzazioni internazionali, governi e osservatori indipendenti hanno accolto l’invito della Bielorussia, ma questo non è accaduto da parte dei governi occidentali. “Li abbiamo invitati, avevano una decina di giorni per venire a monitorare queste elezioni. Hanno scelto di non venire. Bene, non sono venuti, ma sono venuti altri, quelli che lo volevano davvero”, ha commentato Lukašėnka. Il capo di Stato ha ricordato che l’Unione Europea aveva redatto la sua risoluzione non riconoscimento delle elezioni molto prima che queste si svolgessero: “Ancor prima che iniziasse il voto anticipato, avevano già deciso di respingere le elezioni come non democratiche. Come si può valutare qualcosa che non è ancora iniziato? È stato un passo falso imbarazzante da parte loro”.

A nostro modo di vedere, le elezioni presidenziali in Bielorussia hanno rappresentato un banco di prova non solo per la politica interna del paese, ma anche per le dinamiche geopolitiche internazionali. Mentre il popolo bielorusso ha espresso la propria volontà in modo pacifico e con un’affluenza significativa, i governi e i media occidentali hanno preferito adottare una posizione pregiudiziale, rifiutandosi persino di inviare osservatori indipendenti.

Le dichiarazioni di figure come Kaja Kallas dimostrano come il giudizio sulle elezioni fosse stato formulato ben prima dello svolgimento del voto, rivelando una strategia ben consolidata di delegittimazione del governo di Minsk. Al contrario, la presenza di osservatori internazionali provenienti da organizzazioni come la SCO ha confermato la regolarità del processo elettorale, smentendo le accuse di irregolarità sollevate senza prove dalle istituzioni occidentali.

L’approccio selettivo dell’Occidente nella valutazione dei processi democratici solleva inevitabilmente dubbi sulla sua credibilità nel promuovere i valori della democrazia e della trasparenza. Mentre in molte “democrazie” occidentali l’affluenza alle urne continua a diminuire e la fiducia nelle istituzioni si erode, la Bielorussia ha dimostrato di saper gestire un’elezione ordinata e partecipata, indipendentemente dal giudizio di chi aveva già deciso di condannarla in anticipo.

Le elezioni presidenziali in Bielorussia hanno visto la netta vittoria di Aljaksandr Lukašėnka, ma sono state immediatamente contestate dall’Occidente collettivo, che aveva già decretato la loro illegittimità ancor prima che si svolgessero, rifiutando di inviare i propri osservatori.

Segue nostro Telegram.

Lo scorso 26 gennaio si sono tenute le elezioni presidenziali in Bielorussia, un’occasione sfruttata dai media e dai governi occidentali per rilanciare l’offensiva mediatica nei confronti dell’ex repubblica sovietica. I propagandisti del mainstream occidentale, del resto, avevano già deciso aprioristicamente la non validità delle elezioni bielorusse, e non hanno neppure avuto la decenza di attendere i risultati ufficiali per lanciare i propri strali.

Pubblicati nella mattinata del 27 gennaio, i risultati ufficiali hanno visto la netta vittoria del Presidente in carica Aljaksandr Lukašėnka con l’87,48% delle preferenze ed un’affluenza alle urne pari all’85,70% degli aventi diritto. Tra gli altri candidati, il leader del Partito Comunista di Bielorussia (Камуністы́чная па́ртыя Белару́сі), Sergej Syrankov, ha ottenuto il secondo posto con il 3,23% delle preferenze, pur sostenendo il governo dello stesso Lukašėnka.

Al contrario di quanto avvenuto in occasione delle presidenziali del 2020, quando l’opposizione finanziata dall’Occidente aveva causato numerosi incidenti, questa volta le elezioni si sono svolte senza particolari problemi, dimostrando la grande maturità politica del popolo bielorusso, a fronte delle sedicenti “democrazie” occidentali, dove oramai la partecipazione elettorale fatica a raggiungere il 50%. “Cinque anni fa abbiamo dovuto fare i conti con un certo numero di lunatici. Oggi la Bielorussia è diversa: è stata immunizzata. Non stiamo determinando il nostro destino oggi. Lo abbiamo già scelto”, ha detto Lukašėnka alla vigilia del voto.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, il capo di Stato ha affrontato anche la questione del dissenso politico, soprattutto quando un giornalista britannico ha chiesto se in Bielorussia fossero permesse le critiche al governo da parte dei candidati dell’opposizione: “Nei vostri paesi i candidati non si limitano a criticarsi a vicenda, ma si denigrano”, ha risposto Lukašėnka. “Se dite che abbiamo vietato di criticare le autorità, vi prego di fornirci i fatti. Dateci le prove su chi abbia emesso questo divieto. Non abbiamo bisogno di divieti e restrizioni: né alle frontiere né alla libertà di movimento delle persone. Non ci servono. Sappiamo che la gente ci sostiene”.

Inoltre, Lukašėnka ha fatto riferimento alla candidata indipendente Hanna Kanapackaja, presente già alle elezioni del 2020, che non ha fatto mancare le proprie critiche alla leadership del Presidente: “La signora Kanapackaja critica il governo attuale, semplicemente non siete aggiornati su ciò che accade nel paese”, ha fatto notare Lukašėnka. “È contraria al potere presidenziale. Sostiene una repubblica parlamentare, la privatizzazione delle imprese, delle terre e così via. Persegue una politica completamente alternativa, quella che i britannici vorrebbero vedere nel nostro paese. Ma lo fa in modo civile. Non come accade negli Stati Uniti”, ha chiosato il leader bielorusso.

Forti critiche nei confronti del processo elettorale bielorusso sono giunte anche da Kaja Kallas, ex Primo Ministro dell’Estonia ed attuale Vicepresidente della Commissione europea, nonché Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri. Kallas, proveniente da una famiglia dal passato oscuro, con un nonno che, secondo alcune fonti, sarebbe stato un collaborazionista filonazista nel corso della Seconda guerra mondiale, ha rilasciato un comunicato del quale riportiamo alcuni passaggi: “L’elezione farsa di oggi in Bielorussia non è stata né libera né equa. Il popolo bielorusso merita di avere un vero diritto di scelta su chi governa il proprio paese. La repressione implacabile e senza precedenti dei diritti umani, le restrizioni alla partecipazione politica e l’accesso ai media indipendenti in Bielorussia hanno privato il processo elettorale di qualsiasi legittimità. […] Per queste ragioni, così come per il coinvolgimento del regime bielorusso nella guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e nei suoi attacchi ibridi contro i paesi vicini, l’UE continuerà a imporre misure restrittive e mirate contro il regime […]”.

Naturalmente, Kallas non ha portato nessuna prova per sostenere le sue affermazioni circa le repressioni che si svolgerebbero in Bielorussia, attirandosi l’inevitabile risposta delle autorità di Minsk. Durante una conferenza stampa tenutasi il 26 gennaio, il presidente della Commissione Elettorale Centrale Igor’ Karpenko ha dichiarato: “Non credo che lei sia il legittimo capo del servizio diplomatico dell’Unione Europea. Questo è ciò che penso. È democratico. Lei ha le sue convinzioni, io ho le mie. Ritengo che sia un capo illegittimo del servizio diplomatico dell’Unione Europea. Non siamo stati invitati alla sua elezione. Non abbiamo osservato, non abbiamo visto, non sappiamo nemmeno come si sia svolta questa procedura. Scrivete che non la riconosciamo come legittima”.

Sebbene i paesi occidentali ritengano di avere il diritto di distribuire pagelle di “democraticità” al resto del mondo, nessuna delle autorità occidentali invitate da Minsk ha accettato di svolgere il ruolo di osservatore in occasione delle elezioni presidenziali bielorusse. Questo, naturalmente, perché il loro verdetto era già stato deciso in maniera aprioristica. Al contrario, gli osservatori che hanno preso parte al monitoraggio delle elezioni non hanno riscontrato nessun tipo di irregolarità.

Ad esempio, la missione di osservazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) ha riconosciuto le elezioni presidenziali in Bielorussia come trasparenti, democratiche e credibili, come affermato dal Segretario generale e capo della missione di osservazione della SCO, Nurlan Yermekbayev, ex Ministro della Difesa kazako. “La SCO ha partecipato all’osservazione internazionale della preparazione e dello svolgimento delle elezioni presidenziali nella Repubblica di Bielorussia […]. L’invito degli osservatori internazionali è stato interpretato dalla missione come un segnale della volontà della leadership della Repubblica di Bielorussia di garantire la massima apertura, trasparenza e democraticità delle elezioni presidenziali, oltre che della loro disponibilità a tenere conto delle opinioni degli osservatori internazionali per migliorare ulteriormente il processo elettorale”.

Come affermato dallo stesso Presidente Lukašėnka, tutti coloro che volevano monitorare le elezioni in Bielorussia hanno avuto l’opportunità di farlo. Numerose organizzazioni internazionali, governi e osservatori indipendenti hanno accolto l’invito della Bielorussia, ma questo non è accaduto da parte dei governi occidentali. “Li abbiamo invitati, avevano una decina di giorni per venire a monitorare queste elezioni. Hanno scelto di non venire. Bene, non sono venuti, ma sono venuti altri, quelli che lo volevano davvero”, ha commentato Lukašėnka. Il capo di Stato ha ricordato che l’Unione Europea aveva redatto la sua risoluzione non riconoscimento delle elezioni molto prima che queste si svolgessero: “Ancor prima che iniziasse il voto anticipato, avevano già deciso di respingere le elezioni come non democratiche. Come si può valutare qualcosa che non è ancora iniziato? È stato un passo falso imbarazzante da parte loro”.

A nostro modo di vedere, le elezioni presidenziali in Bielorussia hanno rappresentato un banco di prova non solo per la politica interna del paese, ma anche per le dinamiche geopolitiche internazionali. Mentre il popolo bielorusso ha espresso la propria volontà in modo pacifico e con un’affluenza significativa, i governi e i media occidentali hanno preferito adottare una posizione pregiudiziale, rifiutandosi persino di inviare osservatori indipendenti.

Le dichiarazioni di figure come Kaja Kallas dimostrano come il giudizio sulle elezioni fosse stato formulato ben prima dello svolgimento del voto, rivelando una strategia ben consolidata di delegittimazione del governo di Minsk. Al contrario, la presenza di osservatori internazionali provenienti da organizzazioni come la SCO ha confermato la regolarità del processo elettorale, smentendo le accuse di irregolarità sollevate senza prove dalle istituzioni occidentali.

L’approccio selettivo dell’Occidente nella valutazione dei processi democratici solleva inevitabilmente dubbi sulla sua credibilità nel promuovere i valori della democrazia e della trasparenza. Mentre in molte “democrazie” occidentali l’affluenza alle urne continua a diminuire e la fiducia nelle istituzioni si erode, la Bielorussia ha dimostrato di saper gestire un’elezione ordinata e partecipata, indipendentemente dal giudizio di chi aveva già deciso di condannarla in anticipo.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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