Una nuova corsa agli armamenti? Cosa porterà lo sviluppo di nuove armi e la possibile escalation tra Russia e Occidente?
Lo scorso 17 novembre, sul «New York Times» sono comparse indiscrezioni secondo cui l’amministrazione Biden aveva appena concesso al governo di Kiev l’autorizzazione a impiegare missili Atacms – di gittata compresa tra gli 80 e i 300 km – contro il territorio russo. Di lì a brevissimo, stando a quanto riportato da «Le Figaro», Londra e Parigi si sarebbero mosse nella stessa direzione, fornendo il placet per l’utilizzo di missili Scalp/Storm Shadow. La svolta statunitense, riconosciuta ufficialmente soltanto diversi giorni dopo per tramite del portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale John Kirby, veniva a determinarsi con appena due mesi di anticipo rispetto all’insediamento dell’amministrazione Trump, e sanciva un sostanziale rovesciamento della posizione che lo stesso governo democratico aveva assunto in proposito due mesi prima.
Da tempo Zelen’skyj e i suoi collaboratori esercitavano infatti forti pressioni su Washington per ottenere il nulla osta all’impiego degli Atacms, identificato come un punto cruciale nel cosiddetto “piano per la vittoria” presentato dal presidente ucraino alla Verkhovna Rada lo scorso ottobre. In quel frangente, all’interno dell’amministrazione statunitense si aprì una spaccatura verticale tra la fazione – guidata dal segretario di Stato Antony Blinken – favorevole all’accoglimento della richiesta del governo ucraino e la compagine collocata su posizione diametralmente opposte.
Quest’ultima, facente capo al segretario alla Difesa (ed ex generale) Lloyd Austin, sosteneva che i benefici derivanti dall’impiego degli Atacms contro la Russia risultassero incomparabilmente minoritari rispetto ai rischi. Non soltanto perché, anticipando le possibili mosse statunitensi, Mosca aveva nel frattempo proceduto al trasferimento delle risorse critiche a distanza di sicurezza dal confine ucraino, ma anche e soprattutto alla luce degli avvertimenti inequivocabili formulati al riguardo dal presidente Putin. Il leader del Cremlino aveva infatti sottolineato che l’utilizzo appropriato di sistemi d’arma come gli Atacms o gli Scalp/Storm Shadow richiede necessariamente l’intervento di tecnici statunitensi, francesi e britannici, chiamato ad attingere ai dati satellitari per guidare i missili contro gli obiettivi designati.
In passato, le forze armate ucraine si sono avvalse degli specialisti occidentali per lanciare vettori Storm Shadow contro obiettivi in Crimea (ponte sullo stretto di Kerč in primis), che le autorità di Mosca hanno sempre “tollerato” trattandosi di attacchi contro un territorio non internazionalmente riconosciuto come parte integrante della Federazione Russa. Il discorso cambia tuttavia radicalmente se ad essere bersagliate sono le regioni russe situate a ridosso del confine ucraino, sulle quali gli stessi Paesi membri della Nato riconoscono la sovranità del Cremlino. L’impiego di Atacms e Scalp/Storm Shadow contro obiettivi situati all’interno degli oblast’ di Kursk e Brjansk, puntualmente verificatosi a poche ore di distanza dalle rivelazioni del «New York Times» e de «Le Figaro», incrementa automaticamente il livello di coinvolgimento di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna nel conflitto. Lo ha sottolineato a chiare lettere l’ambasciatore russo a Londra Andreij Kelin, secondo cui la Gran Bretagna è ormai «direttamente coinvolta nel conflitto» al pari degli Stati Uniti, la cui posizione era stata definita da Mosca già nell’estate del 2022.
La reazione della Russia si è rivelata rapida e soprattutto devastante, quanto a impatto sul delicatissimo equilibrio strategico. Il primo passo è consistito nell’aggiornamento della dottrina nucleare russa, secondo cui Mosca prenderebbe in considerazione il ricorso all’arma atomica in caso di aggressione convenzionale contro la Federazione Russa e la Repubblica di Bielorussia, nell’eventualità che si venga a determinare una minaccia alle sovranità e/o integrità territoriali delle due nazioni. L’iniziativa del Cremlino, che abbassa considerevolmente la soglia nucleare, è stata seguita anzitutto da un’intensificazione degli attacchi missilistici contro l’Ucraina.
Parallelamente, dal cosmodromo di Kapustin Yar, situato nell’oblast’ russo di Astrakhan , è partito un Orešnik, un missile balistico ipersonico a raggio intermedio e testata multipla che ha colpito l’impianto produttivo della Pivdenmash (ex Yuzhnmash) di Dnipro, al termine di un tragitto pari a circa 800 km coperto in appena 15 minuti. Il missile, di cui nessuno in Occidente conosceva l’esistenza, ha viaggiato a una velocità compresa tra Mach 10 e Mach 11, e rilasciato al rientro nell’atmosfera un nugolo di submunizioni cinetiche (quasi 40) in grado di avvicinarsi all’obiettivo di 3-4 km (Mach 8,8) per secondo e colpirlo con enorme potenza. Nello specifico, si tratterebbe di penetratori capaci, come spiegato da Putin dinnanzi all’Assemblea Federale nel marzo del 2018, di resistere all’attrito che si viene a produrre dal contatto con l’atmosfera e mantenere la propria manovrabilità «volando verso il suo obiettivo come meteoriti, come palle di fuoco. La temperatura sulla loro superficie raggiunge i 1.600-2.000 gradi Celsius, ma il blocco di crociera è guidato in modo affidabile». Il presidente russo aggiunse quindi che «siamo ben consapevoli che un certo numero di Paesi sta sviluppando armi avanzate dotate di nuove proprietà fisiche. Abbiamo tutte le ragioni per ritenere di essere un passo avanti a tutti in ogni settore critico».
Sempre in quel discorso, Putin passò quindi all’illustrazione delle specifiche tecniche del missile da crociera alimentato ad energia nucleare Burevestnik, dotato di un raggio d’azione virtualmente illimitato e in grado di “bucare” qualsiasi difesa anti-missilistica; del missile balistico a velocità ipersonica Kinžal, dotato di 2.000 km di gittata; del missile balistico ipersonico Avangard, dotato di 10.000 km di gittata; del missile balistico Sarmat, dotato di 18.000 km di gittata e armabile con 10 testate nucleari in grado di manovrare a velocità supersonica per sfuggire ai sistemi intercettori. Preannunciò quindi la realizzazione del missile balistico intercontinentale imbarcato Bulava, dotato di una gittata di quasi 10.000 km e armabile con 6 testate nucleari, e di un drone sottomarino alimentato ad energia nucleare, capace di coprire distanze lunghissime viaggiando in profondità ad una velocità superiore a quella di un siluro, bersagliando strutture nemiche con una testata nucleare di grande potenza. Simultaneamente, Mosca procedette alla conversione di parte ragguardevole dei missili balistici intercontinentali terrestri, rimossi dai silos in cui erano stoccati e reinstallati su lanciatori mobili mantenuti costantemente in azione per sfuggire ai sistemi di rilevazione e ad eventuali attacchi del nemico. In particolare, decine di autocarri furono attrezzati con piattaforme mobili adatte al trasporto e al lancio dei missili Topol-M e Yars, mentre per i colossali Sarmat furono addirittura costruiti specifici treni Barguzin camuffati da normali mezzi di locomozione preposti al trasporto di merci o passeggeri, circolanti senza sosta per gli oltre 90.000 km di rete ferroviaria russa. Secondo l’ex ufficiale dell’esercito sovietico ed esperto di affari militari Andrei Martyanov, la Russia aveva in altri termini «avviato una vera e propria rivoluzione negli affari militari che, attraverso la messa a punto di sistemi d’arma avanzatissimi, preclude agli Stati Uniti la possibilità di condurre “guerre a buon mercato”. Attualmente, la dotazione di sistemi anti-aerei S-400, di missili a velocità supersonica, di caccia di ultima generazione come il Su-30, il Su-35 e il Su-57 pone qualsiasi nazione di media taglia nelle condizioni di difendersi efficacemente contro eventuali attacchi statunitensi rendendoli enormemente costosi per Washington».
Con la messa a punto dell’Orešnik, la Russia ha incrementato in maniera decisiva il margine di vantaggio sulle controparti inquadrate nella Nato, che allo stato attuale non hanno alcuna possibilità di produrre vettori paragonabili né tantomeno sistemi anti-aerei all’altezza. Il missile pone Mosca nelle condizioni di vanificare i benefici che gli Stati Uniti ritenevano di essersi assicurati attraverso il ritiro (formalizzato dall’amministrazione Trump nel 2019) dall’Intermediate Range Nuclear Force Treaty (Inf) e il successivo annuncio (diramato dall’amministrazione Biden nel 2024) relativo allo schieramento di missili a lungo raggio in territorio tedesco. «Gli Stati Uniti – ha spiegato la Casa Bianca nell’apposito comunicato ufficiale – inizieranno a dispiegare episodicamente missili a lungo raggio della loro Multi-Domain Task Force in Germania a partire dal 2026, come parte della pianificazione per il posizionamento duraturo di queste capacità in futuro. Una volta completamente sviluppate, questi vettori a lungo raggio includeranno Sm-6, Tomahawk e armi ipersoniche attualmente in fase di sviluppo, dotati di una gittata significativamente maggiore rispetto agli attuali missili terrestri presenti in Europa. L’esercizio di queste capacità avanzate dimostrerà l’impegno degli Stati Uniti nei confronti della Nato e il loro contributo alla deterrenza integrata europea».
Allo stesso tempo, l’Orešnik garantisce alla Russia la possibilità di sferrare attacchi paragonabili per potenza distruttiva a quelli nucleari evitando però tutti gli “spiacevoli” effetti collaterali derivanti dall’impiego di testate atomiche, che il nuovo missile è comunque in grado di trasportare. Sempre in un’ottica di minimizzazione dei contraccolpi indesiderati, Mosca può preavvisare le controparti dell’imminenza dell’attacco al fine di consentire l’evacuazione di civili (o anche di militari) dalle strutture designate come obiettivi da colpire, oltre che di evitare pericolosi fraintendimenti che possono ingenerarsi nel momento in cui i sistemi di rilevazione nemici individuano la partenza di vettori strategici. È stato questo, del resto, il modus operandi seguito nel caso del lancio dell’Orešnik; lo ha specificato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, secondo cui il Cremlino avrebbe inviato una notifica a Washington per tramite del Centro per la Riduzione del Rischio Nucleare circa 30 minuti che il missile partisse dal cosmodromo di Kapustin Yar.
Non esistono peraltro ostacoli significativi all’applicazione delle stesse caratteristiche proprie dell’Orešnik, che può colpire qualsiasi obiettivo situato in Europa, a missili intercontinentali (Icbm) in grado di raggiungere il territorio statunitense. Ne consegue che, attraverso l’acquisizione di capacità “simil-nucleari”, la Russia ha consolidato il proprio controllo dell’escalation sfuggendo per di più alla trappola della “rana bollita” tesa dallo schieramento occidentale. Una concezione in base alla quale i Paesi Nato a guida statunitense «hanno aumentato la temperatura incrementando lentamente la portata e la letalità delle armi fornite all’Ucraina. In ciascuna di queste fasi, la consegna di carri armati, di Himars, di Atacms, o il permesso all’Ucraina di usarli su territori russi, è stata dichiarata come mossa che violava le immaginarie “linee rosse” tracciate dalla Russia. Ciascuna di queste fasi è stata accompagnata da campagne di propaganda secondo cui Mosca stava valutando una risposta nucleare. L’obiettivo consisteva nello spingere la Russia in una situazione in cui avrebbe potuto o fare concessioni sull’Ucraina, o impiegare armi nucleari. Gli Stati Uniti erano sicuri che la Russia si sarebbe astenuta da quest’ultima opzione perché avrebbe significato lo stigma di paria internazionale. Avvalendosi dell’arma nucleare avrebbe perso il sostegno dei suoi alleati […] e rischiato una guerra nucleare totale. La strategia avrebbe potuto funzionare soltanto a condizione che la Russia non avesse trovato una valida risposta asimmetrica».
Il nuovo quadro strategico definito dall’irruzione sulla scena dell’Orešnik è stato tratteggiato dallo stesso Putin, secondo cui la Russia sta «testando in condizioni di combattimento in risposta alle azioni aggressive dei Paesi della Nato contro la Russia. La questione dell’ulteriore dispiegamento di missili a medio e corto raggio sarà decisa da noi a seconda delle azioni degli Stati Uniti e dei loro satelliti […]. Ci consideriamo autorizzati a usare le nostre armi contro le strutture militari di quei Paesi che permettono di usare le loro armi contro di noi, e in caso di escalation reagiremo in maniera decisa e speculare».
Con ogni probabilità, il messaggio non è ancora stato “digerito” dalle classi dirigenti occidentali, come si evince dai persistenti attacchi portati contro il territorio russo con missili Atacms denunciati dalle autorità moscovite il 26 novembre. Attacchi che sembrano seguire la logica sviscerata da Dan Crenshaw, rappresentante repubblicano ed ex capitano di corvetta (pluridecorato) dei Navy Seal, secondo cui l’amministrazione uscente intenderebbe assicurare a quella subentrante la necessaria “leva” negoziale necessaria proprio attraverso l’impiego degli Atacms (e degli Scalp/Storm Shadow) contro il territorio russo. Un concetto sotto alcuni aspetti analogo è stato espresso da Sebastian Gorka, appena designato da Trump come proprio assistente. «Negozierete ora – ha intimato Gorka alla classe dirigente russa – oppure gli aiuti militari che abbiamo concesso finora all’Ucraina sembreranno noccioline. Ecco come costringeremo quei signori a raggiungere un accordo che fermi lo spargimento di sangue». Uscite tanto massimaliste quanto prive di credibilità, alla luce della conclamata incapacità della base industriale statunitense (occidentale nel suo complesso, in realtà) a reggere non tanto i ritmi di produzione russi, ma persino i livelli di consumo dell’esercito ucraino.
Persistere con questa linea d’azione, concordata o meno tra Biden (o chi per lui, con ogni probabilità) e Trump, comporta in ogni caso lo scatenamento del tipo di ritorsione russa paventata da Putin e ribadita con dovizia di particolari dal portavoce del Ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova. «Dato il livello di minacce poste dalle strutture militari occidentali, la base missilistica in Polonia è stata da tempo inserita nel novero degli obiettivi prioritari per una potenziale neutralizzazione. Se necessario, l’obiettivo può essere conseguito attraverso l’utilizzo di un’ampia gamma di armamenti avanzati», ha dichiarato la Zakharova. Un Orešnik lanciato dal cosmodromo di Kapustin Yar centrerebbe la base di Redzikowo (a cui la diplomatica russa fa riferimento) in circa 11 minuti, quella di Ramstein in 15 minuti e il quartier generale della Nato di Bruxelles in 17 minuti. Nella graduatoria dell’escalation figura tuttavia un livello ancora che la Russia ha a propria disposizione, consistente nell’impiego di vettori come l’Orešnik contro i centri di comando ucraini situati presso Kiev.
In attesa che il Cremlino sciolga le riserve in proposito, la “patata bollente” passa nelle mani degli Stati Uniti e dei loro satelliti europei.