Italiano
Lorenzo Maria Pacini
January 3, 2025
© Photo: SCF

Trump non si è ancora insediato alla Casa Bianca e già minaccia dazi al 25% su tutti i prodotti che entrano negli USA dall’estero. Il Canada gioca un ruolo decisivo per l’importazione di materie prime irrinunciabili. Ma veramente gli USA possono andare avanti senza questo commercio?

Segue nostro Telegram.

Prepotenza politica nel mercato

La voce grossa da parte di Donald Trump si era già alzata a fine Novembre, nel contesto di alcune dichiarazioni contro la Cina e contro l’immigrazione clandestina americana, in particolare dal Messico, ed ora torna a farsi sentire: Trump ha parlato di dazi al 25% sulle merci proveniente da Messico, Cina e Canada, mettendo il tutto in relazione non solo alla immigrazione ma anche al Fentanyl.

Quest’ultimo è un farmaco oppioide sintetico estremamente potente, impiega principalmente nel trattamento del dolore acuto, circa 100 volte più forte della morfina e 50 volte più dell’eroina, ma estremamente dannoso già in piccole dosi se mal gestito fuori da una cura specifica. Negli Stati Uniti, è diventato un problema sociale molto grave, perché è la prima causa di overdose e, seppur si tratti di un farmaco che è soggetto dalla Drug Enforcement Administration (DEA) ad un rilascio solo su prescrizione medica controllata, è però reperibile illegalmente sul mercato nero, spesso spacciato come droga tagliata con altre sostanze come la cocaina, o in pillole contraffatte sotto falso come, come l’ossicodone o il famoso Xanax.

Trump ne ha parlato sul social Truth, dove ha già preannunciato che il 20 gennaio, fra i suoi primi ordini esecutivi, firmerà il documento per i dazi doganali su tutti i prodotti importati dai confini aperti.

L’affondo del prossimo inquilino della casa Banca non poteva non provocare le reazioni dei Paesi colpiti dalla minacciata ondata protezionistica. «L’idea che la Cina consenta consapevolmente ai precursori del Fentanyl di entrare negli Stati Uniti è completamente contraria ai fatti e alla realtà», ha detto il portavoce dell’ambasciata cinese Liu Pengyu, aggiungendo che «per quanto riguarda la questione dei dazi statunitensi, la Cina ritiene che la cooperazione economica e commerciale tra Cina e Stati Uniti sia reciprocamente vantaggiosa. Nessuno vincerà una guerra commerciale o una guerra tariffaria».

Da parte sua, il governo del Canada ha ricordato che il suo Paese è essenziale per le forniture energetiche americane. «I nostri rapporti sono equilibrati e reciprocamente vantaggiosi, soprattutto per i lavoratori americani», ha spiegato la vicepremier canadese Chrystia Freeland, precisando che Ottawa «continuerà la discussione su questi temi con la nuova amministrazione».

Riguardo il Messico, i funzionari governativi avevano già segnalato di essere pronti a rispondere con tariffe di ritorsione. «Se mi imponi dazi del 25%, devo reagire con un innalzamento tariffe», ha assicurato nei giorni scorsi Marcelo Ebrard, ministro dell’economia del Messico.

Le minacce di Trump giungono mentre gli arresti per attraversamento illegale del confine dal Messico sono in calo. I dati mostrano che gli arresti rimangono vicini ai minimi di quattro anni, con la U.S. Border Patrol che ha effettuato 56.530 fermi a ottobre, meno di un terzo del conteggio di ottobre dell’anno scorso. Nel frattempo, gli arresti per attraversamento illegale del confine dal Canada sono aumentati negli ultimi due anni. La Border Patrol ha effettuato 23.721 arresti tra ottobre 2023 e settembre 2024, rispetto ai 10.021 dei 12 mesi precedenti. Oltre 14.000 degli arrestati al confine canadese erano indiani, più di 10 volte il numero di due anni fa.

Secondo i dati dell’Ufficio del censimento degli Stati Uniti per il 2024, fino a ottobre, gli Stati Uniti hanno esportato beni per un valore di oltre 293 miliardi di dollari in Canada, mentre le importazioni dal vicino hanno totalizzato quasi 344 miliardi di dollari. Il Canada è così diventato il secondo partner commerciale degli Stati Uniti dopo il Messico, con il 14,4% del commercio totale.

Il problema va oltre l’immigrazione

La guerra contro il Canada è un fatto vecchio: Trump già nel 2017 e 2018 aveva imposto dazi e complicato le relazioni commerciali, rendendo le relazioni con Justin Trudeau piuttosto burrascose.

Il guaio contro cui Trump puntava il dito è l’accordo NAFTA, North American Free Trade Agreement, un trattato commerciali siglato fra Stati Uniti, Canada e Messico, entrato in vigore nel gennaio 1994 con l’obiettivo di creare un’area di libero scambio tra i Paesi, eliminando gradualmente le barriera tariffarie e non tariffarie, così da favorire il commercio e gli investimenti. L’eliminazione dei dazi doganali è una delle principali disposizioni dell’accordo.

Il NAFTA ha avuto un impatto significativo per quanto riguardo l’aumento del flusso commerciale e l’integrazione delle catene di approvvigionamento, ma ha anche favorito la delocalizzazione del lavoro e penalizzato alcune categorie professionali.

Nel 2020, l’accordo è stato sostituito dall’USMCA, United States-Mexico-Canada Agreement – in Canada chiamato CUSMA e in Messico chiamato T-MEC – che ha incluso i più moderni sistemi di e-commerce e imposto regole più stringenti per la tutela dei lavoratori.

Il guaio è che gli Stati Uniti non hanno più produzione interna e sono il più grande importatore al mondo.

Dal Canada, comprano soprattutto petrolio, automobili, macchine industriale, plastica, carta e legno.

Le importazioni del greggio hanno raggiunto il record di 4,3 miliardi di barili al giorno nel mese di luglio 2024, secondo la US Energy Information Administration. Stiamo parlando ci cifre davvero importanti, perché si tratta del 60% delle importazioni di petrolio, circa il doppio rispetto al 2022. Come scrive il New York Times, «Messico, Cina e Canada insieme rappresentano più di un terzo dei beni e servizi importati ed esportati dagli Stati Uniti, sostenendo decine di milioni di posti di lavoro americani. I tre Paesi insieme hanno acquistato più di un trilione di dollari di esportazioni statunitensi e hanno fornito quasi 1,5 trilioni di beni e servizi agli Stati Uniti nel 2023».

Su una cosa gli analisti dunque concordano: le tariffe altamente “punitive” potrebbero inceppare le catene di fornitura, finendo per colpire anche le industrie americane che dipendono dai beni dei partner commerciali più stretti. Le misure proposte potrebbero colpire duramente diversi settori industriali strategici degli Stati Uniti, aggiungere circa 272 miliardi di dollari all’anno agli oneri fiscali, aumentare i prezzi dei beni, alzare i tassi di interesse e indebolire le famiglie già fragili.

Un rapporto di ottobre del Business Data Lab della Camera di Commercio canadese ha rilevato che il Canada è il principale mercato di esportazione per 34 Stati americani, rendendoli “sorprendentemente dipendenti dal commercio canadese”.

Trevor Tombe, professore di economia all’Università di Calgary, ha osservato ad esempio che il commercio del Montana con il Canada rappresenta il 16% dell’economia dello Stato, mentre quello del Michigan è del 14%. Anche in Texas – la settima economia più forte al mondo –, il commercio con il Canada rappresenta il 4% dell’economia dello Stato.

Trudeau ha sottolineato la necessità di dialogo e cooperazione, l’avvertimento di Trump ha gettato la politica canadese nello scompiglio: la scorsa settimana, il ministro delle Finanze e vice primo ministro canadese Chrystia Freeland ha rassegnato le dimissioni a causa di un disaccordo con Trudeau su come gestire Trump. Lo stesso Primo Ministro canadese ha dialogato con Trump la sera stessa della minaccia dei dazi: “Questa è una relazione su cui sappiamo che bisogna lavorare, ed è quello che faremo”, ha detto, aggiungendo di aver sottolineato a Trump l’importanza di mantenere forti legami tra il Canada e gli Stati Uniti.

A fine novembre, Trudeau si è recato a sorpresa a Mar-a-Lago, in Florida, per parlare con il presidente eletto degli Stati Uniti della strada da seguire e come risposta recente, il governo canadese ha presentato una serie di misure che, a suo dire, avrebbero rafforzato la sicurezza al confine tra Stati Uniti e Canada.

Il Canada sta quindi rischiando un arresto all’economia, un vero e proprio attacco politico di ritorsione che farebbe crollare le esportazioni e inciderebbe sul prodotto interno lordo nazionale, facendo impennare l’inflazione, con conseguenze disastrose per tutto il tessuto commerciale e lavorativo.

Nella logica di Trump e del suo MAGA, questa spinta porrà uno squilibrio nella negoziazione internazionale col Canada. Possiamo interpretare questo come un soft power anche nei confronti dell’Europa, presso cui Trudeau ha ottenuto ottimi consensi negli ultimi 4 anni durante la presidenza di Biden, ma anche per quello che riguarda l’estensione dei commerci canadesi verso l’America del Sud, costringendo il Canada a mediare con gli USA nuove rotte.

O forse c’è molto altro che ancora non sappiamo…

Prospettive e conseguenze della guerra commerciale fra USA e Canada

Trump non si è ancora insediato alla Casa Bianca e già minaccia dazi al 25% su tutti i prodotti che entrano negli USA dall’estero. Il Canada gioca un ruolo decisivo per l’importazione di materie prime irrinunciabili. Ma veramente gli USA possono andare avanti senza questo commercio?

Segue nostro Telegram.

Prepotenza politica nel mercato

La voce grossa da parte di Donald Trump si era già alzata a fine Novembre, nel contesto di alcune dichiarazioni contro la Cina e contro l’immigrazione clandestina americana, in particolare dal Messico, ed ora torna a farsi sentire: Trump ha parlato di dazi al 25% sulle merci proveniente da Messico, Cina e Canada, mettendo il tutto in relazione non solo alla immigrazione ma anche al Fentanyl.

Quest’ultimo è un farmaco oppioide sintetico estremamente potente, impiega principalmente nel trattamento del dolore acuto, circa 100 volte più forte della morfina e 50 volte più dell’eroina, ma estremamente dannoso già in piccole dosi se mal gestito fuori da una cura specifica. Negli Stati Uniti, è diventato un problema sociale molto grave, perché è la prima causa di overdose e, seppur si tratti di un farmaco che è soggetto dalla Drug Enforcement Administration (DEA) ad un rilascio solo su prescrizione medica controllata, è però reperibile illegalmente sul mercato nero, spesso spacciato come droga tagliata con altre sostanze come la cocaina, o in pillole contraffatte sotto falso come, come l’ossicodone o il famoso Xanax.

Trump ne ha parlato sul social Truth, dove ha già preannunciato che il 20 gennaio, fra i suoi primi ordini esecutivi, firmerà il documento per i dazi doganali su tutti i prodotti importati dai confini aperti.

L’affondo del prossimo inquilino della casa Banca non poteva non provocare le reazioni dei Paesi colpiti dalla minacciata ondata protezionistica. «L’idea che la Cina consenta consapevolmente ai precursori del Fentanyl di entrare negli Stati Uniti è completamente contraria ai fatti e alla realtà», ha detto il portavoce dell’ambasciata cinese Liu Pengyu, aggiungendo che «per quanto riguarda la questione dei dazi statunitensi, la Cina ritiene che la cooperazione economica e commerciale tra Cina e Stati Uniti sia reciprocamente vantaggiosa. Nessuno vincerà una guerra commerciale o una guerra tariffaria».

Da parte sua, il governo del Canada ha ricordato che il suo Paese è essenziale per le forniture energetiche americane. «I nostri rapporti sono equilibrati e reciprocamente vantaggiosi, soprattutto per i lavoratori americani», ha spiegato la vicepremier canadese Chrystia Freeland, precisando che Ottawa «continuerà la discussione su questi temi con la nuova amministrazione».

Riguardo il Messico, i funzionari governativi avevano già segnalato di essere pronti a rispondere con tariffe di ritorsione. «Se mi imponi dazi del 25%, devo reagire con un innalzamento tariffe», ha assicurato nei giorni scorsi Marcelo Ebrard, ministro dell’economia del Messico.

Le minacce di Trump giungono mentre gli arresti per attraversamento illegale del confine dal Messico sono in calo. I dati mostrano che gli arresti rimangono vicini ai minimi di quattro anni, con la U.S. Border Patrol che ha effettuato 56.530 fermi a ottobre, meno di un terzo del conteggio di ottobre dell’anno scorso. Nel frattempo, gli arresti per attraversamento illegale del confine dal Canada sono aumentati negli ultimi due anni. La Border Patrol ha effettuato 23.721 arresti tra ottobre 2023 e settembre 2024, rispetto ai 10.021 dei 12 mesi precedenti. Oltre 14.000 degli arrestati al confine canadese erano indiani, più di 10 volte il numero di due anni fa.

Secondo i dati dell’Ufficio del censimento degli Stati Uniti per il 2024, fino a ottobre, gli Stati Uniti hanno esportato beni per un valore di oltre 293 miliardi di dollari in Canada, mentre le importazioni dal vicino hanno totalizzato quasi 344 miliardi di dollari. Il Canada è così diventato il secondo partner commerciale degli Stati Uniti dopo il Messico, con il 14,4% del commercio totale.

Il problema va oltre l’immigrazione

La guerra contro il Canada è un fatto vecchio: Trump già nel 2017 e 2018 aveva imposto dazi e complicato le relazioni commerciali, rendendo le relazioni con Justin Trudeau piuttosto burrascose.

Il guaio contro cui Trump puntava il dito è l’accordo NAFTA, North American Free Trade Agreement, un trattato commerciali siglato fra Stati Uniti, Canada e Messico, entrato in vigore nel gennaio 1994 con l’obiettivo di creare un’area di libero scambio tra i Paesi, eliminando gradualmente le barriera tariffarie e non tariffarie, così da favorire il commercio e gli investimenti. L’eliminazione dei dazi doganali è una delle principali disposizioni dell’accordo.

Il NAFTA ha avuto un impatto significativo per quanto riguardo l’aumento del flusso commerciale e l’integrazione delle catene di approvvigionamento, ma ha anche favorito la delocalizzazione del lavoro e penalizzato alcune categorie professionali.

Nel 2020, l’accordo è stato sostituito dall’USMCA, United States-Mexico-Canada Agreement – in Canada chiamato CUSMA e in Messico chiamato T-MEC – che ha incluso i più moderni sistemi di e-commerce e imposto regole più stringenti per la tutela dei lavoratori.

Il guaio è che gli Stati Uniti non hanno più produzione interna e sono il più grande importatore al mondo.

Dal Canada, comprano soprattutto petrolio, automobili, macchine industriale, plastica, carta e legno.

Le importazioni del greggio hanno raggiunto il record di 4,3 miliardi di barili al giorno nel mese di luglio 2024, secondo la US Energy Information Administration. Stiamo parlando ci cifre davvero importanti, perché si tratta del 60% delle importazioni di petrolio, circa il doppio rispetto al 2022. Come scrive il New York Times, «Messico, Cina e Canada insieme rappresentano più di un terzo dei beni e servizi importati ed esportati dagli Stati Uniti, sostenendo decine di milioni di posti di lavoro americani. I tre Paesi insieme hanno acquistato più di un trilione di dollari di esportazioni statunitensi e hanno fornito quasi 1,5 trilioni di beni e servizi agli Stati Uniti nel 2023».

Su una cosa gli analisti dunque concordano: le tariffe altamente “punitive” potrebbero inceppare le catene di fornitura, finendo per colpire anche le industrie americane che dipendono dai beni dei partner commerciali più stretti. Le misure proposte potrebbero colpire duramente diversi settori industriali strategici degli Stati Uniti, aggiungere circa 272 miliardi di dollari all’anno agli oneri fiscali, aumentare i prezzi dei beni, alzare i tassi di interesse e indebolire le famiglie già fragili.

Un rapporto di ottobre del Business Data Lab della Camera di Commercio canadese ha rilevato che il Canada è il principale mercato di esportazione per 34 Stati americani, rendendoli “sorprendentemente dipendenti dal commercio canadese”.

Trevor Tombe, professore di economia all’Università di Calgary, ha osservato ad esempio che il commercio del Montana con il Canada rappresenta il 16% dell’economia dello Stato, mentre quello del Michigan è del 14%. Anche in Texas – la settima economia più forte al mondo –, il commercio con il Canada rappresenta il 4% dell’economia dello Stato.

Trudeau ha sottolineato la necessità di dialogo e cooperazione, l’avvertimento di Trump ha gettato la politica canadese nello scompiglio: la scorsa settimana, il ministro delle Finanze e vice primo ministro canadese Chrystia Freeland ha rassegnato le dimissioni a causa di un disaccordo con Trudeau su come gestire Trump. Lo stesso Primo Ministro canadese ha dialogato con Trump la sera stessa della minaccia dei dazi: “Questa è una relazione su cui sappiamo che bisogna lavorare, ed è quello che faremo”, ha detto, aggiungendo di aver sottolineato a Trump l’importanza di mantenere forti legami tra il Canada e gli Stati Uniti.

A fine novembre, Trudeau si è recato a sorpresa a Mar-a-Lago, in Florida, per parlare con il presidente eletto degli Stati Uniti della strada da seguire e come risposta recente, il governo canadese ha presentato una serie di misure che, a suo dire, avrebbero rafforzato la sicurezza al confine tra Stati Uniti e Canada.

Il Canada sta quindi rischiando un arresto all’economia, un vero e proprio attacco politico di ritorsione che farebbe crollare le esportazioni e inciderebbe sul prodotto interno lordo nazionale, facendo impennare l’inflazione, con conseguenze disastrose per tutto il tessuto commerciale e lavorativo.

Nella logica di Trump e del suo MAGA, questa spinta porrà uno squilibrio nella negoziazione internazionale col Canada. Possiamo interpretare questo come un soft power anche nei confronti dell’Europa, presso cui Trudeau ha ottenuto ottimi consensi negli ultimi 4 anni durante la presidenza di Biden, ma anche per quello che riguarda l’estensione dei commerci canadesi verso l’America del Sud, costringendo il Canada a mediare con gli USA nuove rotte.

O forse c’è molto altro che ancora non sappiamo…

Trump non si è ancora insediato alla Casa Bianca e già minaccia dazi al 25% su tutti i prodotti che entrano negli USA dall’estero. Il Canada gioca un ruolo decisivo per l’importazione di materie prime irrinunciabili. Ma veramente gli USA possono andare avanti senza questo commercio?

Segue nostro Telegram.

Prepotenza politica nel mercato

La voce grossa da parte di Donald Trump si era già alzata a fine Novembre, nel contesto di alcune dichiarazioni contro la Cina e contro l’immigrazione clandestina americana, in particolare dal Messico, ed ora torna a farsi sentire: Trump ha parlato di dazi al 25% sulle merci proveniente da Messico, Cina e Canada, mettendo il tutto in relazione non solo alla immigrazione ma anche al Fentanyl.

Quest’ultimo è un farmaco oppioide sintetico estremamente potente, impiega principalmente nel trattamento del dolore acuto, circa 100 volte più forte della morfina e 50 volte più dell’eroina, ma estremamente dannoso già in piccole dosi se mal gestito fuori da una cura specifica. Negli Stati Uniti, è diventato un problema sociale molto grave, perché è la prima causa di overdose e, seppur si tratti di un farmaco che è soggetto dalla Drug Enforcement Administration (DEA) ad un rilascio solo su prescrizione medica controllata, è però reperibile illegalmente sul mercato nero, spesso spacciato come droga tagliata con altre sostanze come la cocaina, o in pillole contraffatte sotto falso come, come l’ossicodone o il famoso Xanax.

Trump ne ha parlato sul social Truth, dove ha già preannunciato che il 20 gennaio, fra i suoi primi ordini esecutivi, firmerà il documento per i dazi doganali su tutti i prodotti importati dai confini aperti.

L’affondo del prossimo inquilino della casa Banca non poteva non provocare le reazioni dei Paesi colpiti dalla minacciata ondata protezionistica. «L’idea che la Cina consenta consapevolmente ai precursori del Fentanyl di entrare negli Stati Uniti è completamente contraria ai fatti e alla realtà», ha detto il portavoce dell’ambasciata cinese Liu Pengyu, aggiungendo che «per quanto riguarda la questione dei dazi statunitensi, la Cina ritiene che la cooperazione economica e commerciale tra Cina e Stati Uniti sia reciprocamente vantaggiosa. Nessuno vincerà una guerra commerciale o una guerra tariffaria».

Da parte sua, il governo del Canada ha ricordato che il suo Paese è essenziale per le forniture energetiche americane. «I nostri rapporti sono equilibrati e reciprocamente vantaggiosi, soprattutto per i lavoratori americani», ha spiegato la vicepremier canadese Chrystia Freeland, precisando che Ottawa «continuerà la discussione su questi temi con la nuova amministrazione».

Riguardo il Messico, i funzionari governativi avevano già segnalato di essere pronti a rispondere con tariffe di ritorsione. «Se mi imponi dazi del 25%, devo reagire con un innalzamento tariffe», ha assicurato nei giorni scorsi Marcelo Ebrard, ministro dell’economia del Messico.

Le minacce di Trump giungono mentre gli arresti per attraversamento illegale del confine dal Messico sono in calo. I dati mostrano che gli arresti rimangono vicini ai minimi di quattro anni, con la U.S. Border Patrol che ha effettuato 56.530 fermi a ottobre, meno di un terzo del conteggio di ottobre dell’anno scorso. Nel frattempo, gli arresti per attraversamento illegale del confine dal Canada sono aumentati negli ultimi due anni. La Border Patrol ha effettuato 23.721 arresti tra ottobre 2023 e settembre 2024, rispetto ai 10.021 dei 12 mesi precedenti. Oltre 14.000 degli arrestati al confine canadese erano indiani, più di 10 volte il numero di due anni fa.

Secondo i dati dell’Ufficio del censimento degli Stati Uniti per il 2024, fino a ottobre, gli Stati Uniti hanno esportato beni per un valore di oltre 293 miliardi di dollari in Canada, mentre le importazioni dal vicino hanno totalizzato quasi 344 miliardi di dollari. Il Canada è così diventato il secondo partner commerciale degli Stati Uniti dopo il Messico, con il 14,4% del commercio totale.

Il problema va oltre l’immigrazione

La guerra contro il Canada è un fatto vecchio: Trump già nel 2017 e 2018 aveva imposto dazi e complicato le relazioni commerciali, rendendo le relazioni con Justin Trudeau piuttosto burrascose.

Il guaio contro cui Trump puntava il dito è l’accordo NAFTA, North American Free Trade Agreement, un trattato commerciali siglato fra Stati Uniti, Canada e Messico, entrato in vigore nel gennaio 1994 con l’obiettivo di creare un’area di libero scambio tra i Paesi, eliminando gradualmente le barriera tariffarie e non tariffarie, così da favorire il commercio e gli investimenti. L’eliminazione dei dazi doganali è una delle principali disposizioni dell’accordo.

Il NAFTA ha avuto un impatto significativo per quanto riguardo l’aumento del flusso commerciale e l’integrazione delle catene di approvvigionamento, ma ha anche favorito la delocalizzazione del lavoro e penalizzato alcune categorie professionali.

Nel 2020, l’accordo è stato sostituito dall’USMCA, United States-Mexico-Canada Agreement – in Canada chiamato CUSMA e in Messico chiamato T-MEC – che ha incluso i più moderni sistemi di e-commerce e imposto regole più stringenti per la tutela dei lavoratori.

Il guaio è che gli Stati Uniti non hanno più produzione interna e sono il più grande importatore al mondo.

Dal Canada, comprano soprattutto petrolio, automobili, macchine industriale, plastica, carta e legno.

Le importazioni del greggio hanno raggiunto il record di 4,3 miliardi di barili al giorno nel mese di luglio 2024, secondo la US Energy Information Administration. Stiamo parlando ci cifre davvero importanti, perché si tratta del 60% delle importazioni di petrolio, circa il doppio rispetto al 2022. Come scrive il New York Times, «Messico, Cina e Canada insieme rappresentano più di un terzo dei beni e servizi importati ed esportati dagli Stati Uniti, sostenendo decine di milioni di posti di lavoro americani. I tre Paesi insieme hanno acquistato più di un trilione di dollari di esportazioni statunitensi e hanno fornito quasi 1,5 trilioni di beni e servizi agli Stati Uniti nel 2023».

Su una cosa gli analisti dunque concordano: le tariffe altamente “punitive” potrebbero inceppare le catene di fornitura, finendo per colpire anche le industrie americane che dipendono dai beni dei partner commerciali più stretti. Le misure proposte potrebbero colpire duramente diversi settori industriali strategici degli Stati Uniti, aggiungere circa 272 miliardi di dollari all’anno agli oneri fiscali, aumentare i prezzi dei beni, alzare i tassi di interesse e indebolire le famiglie già fragili.

Un rapporto di ottobre del Business Data Lab della Camera di Commercio canadese ha rilevato che il Canada è il principale mercato di esportazione per 34 Stati americani, rendendoli “sorprendentemente dipendenti dal commercio canadese”.

Trevor Tombe, professore di economia all’Università di Calgary, ha osservato ad esempio che il commercio del Montana con il Canada rappresenta il 16% dell’economia dello Stato, mentre quello del Michigan è del 14%. Anche in Texas – la settima economia più forte al mondo –, il commercio con il Canada rappresenta il 4% dell’economia dello Stato.

Trudeau ha sottolineato la necessità di dialogo e cooperazione, l’avvertimento di Trump ha gettato la politica canadese nello scompiglio: la scorsa settimana, il ministro delle Finanze e vice primo ministro canadese Chrystia Freeland ha rassegnato le dimissioni a causa di un disaccordo con Trudeau su come gestire Trump. Lo stesso Primo Ministro canadese ha dialogato con Trump la sera stessa della minaccia dei dazi: “Questa è una relazione su cui sappiamo che bisogna lavorare, ed è quello che faremo”, ha detto, aggiungendo di aver sottolineato a Trump l’importanza di mantenere forti legami tra il Canada e gli Stati Uniti.

A fine novembre, Trudeau si è recato a sorpresa a Mar-a-Lago, in Florida, per parlare con il presidente eletto degli Stati Uniti della strada da seguire e come risposta recente, il governo canadese ha presentato una serie di misure che, a suo dire, avrebbero rafforzato la sicurezza al confine tra Stati Uniti e Canada.

Il Canada sta quindi rischiando un arresto all’economia, un vero e proprio attacco politico di ritorsione che farebbe crollare le esportazioni e inciderebbe sul prodotto interno lordo nazionale, facendo impennare l’inflazione, con conseguenze disastrose per tutto il tessuto commerciale e lavorativo.

Nella logica di Trump e del suo MAGA, questa spinta porrà uno squilibrio nella negoziazione internazionale col Canada. Possiamo interpretare questo come un soft power anche nei confronti dell’Europa, presso cui Trudeau ha ottenuto ottimi consensi negli ultimi 4 anni durante la presidenza di Biden, ma anche per quello che riguarda l’estensione dei commerci canadesi verso l’America del Sud, costringendo il Canada a mediare con gli USA nuove rotte.

O forse c’è molto altro che ancora non sappiamo…

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

December 18, 2024

See also

December 18, 2024
The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.