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Giulio Chinappi
January 1, 2025
© Photo: Public domain

Taiwan si conferma il principale terreno di scontro tra Cina e Stati Uniti, con Pechino decisa a difendere la propria sovranità e Washington impegnata a contenere l’ascesa cinese per mezzo di provocazioni politiche e sostegno militare all’isola, aumentando le tensioni nella regione Asia-Pacifico.

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Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno aumentato la propria pressione sulla Cina utilizzando la questione di Taiwan come mezzo per effettuare ingerenze nelle questioni interne della politica cinese e limitare lo sviluppo economico-commerciale di Pechino. Tale schema dovrebbe proseguire anche dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, visto che i repubblicani attribuiscono una particolare importanza alla visione della Cina come rivale sistemico degli Stati Uniti e principale ostacolo alla realizzazione del progetto egemonico di Washington.

Gli imperialisti statunitensi stanno sfruttando in particolare la posizione del nuovo leader taiwanese, Lai Ching-te, membro del Partito Progressista Democratico (PPD), in carica dallo scorso maggio, che ha assunto una posizione di completa genuflessione nei confronti delle politiche di Washington. L’atteggiamento di Lai, che ha pubblicamente parlato di “indipendenza di Taiwan”, è considerato come una vera e propria provocazione de parte della leadership cinese, che infatti sta prendendo tutte le misure necessarie per respingere ogni tipo di ingerenza da parte degli Stati Uniti.

Come si legge nel documento La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella Nuova Era, pubblicato nell’agosto del 2022 dall’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, “risolvere la questione di Taiwan e realizzare la completa riunificazione della Cina è un’aspirazione condivisa da tutti i figli e le figlie della nazione cinese. […] È anche una missione storica del Partito Comunista Cinese”. La posizione di Pechino su Taiwan, del resto, è sempre stata molto chiara ed in linea con il diritto internazionale, affondando le proprie radici nella Dichiarazione del Cairo emessa da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 1° dicembre 1943, la quale affermava che era scopo dei tre alleati che tutti i territori che il Giappone aveva sottratto alla Cina, come la Cina nordorientale, Taiwan e le isole Penghu, dovessero essere restituiti alla Cina al termine della Seconda Guerra Mondiale. Tali propositi vennero poi confermati nella Proclamazione di Potsdam, firmata da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 26 luglio 1945, e successivamente riconosciuta dall’Unione Sovietica.

Un altro documento fondamentale per comprendere la questione di Taiwan da un punto di vista giuridico è la Risoluzione 2758, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nell’ottobre del 1971 per “ripristinare tutti i diritti della Repubblica Popolare Cinese e a riconoscere i rappresentanti del suo governo come gli unici legittimi rappresentanti della Cina presso le Nazioni Unite”. Secondo Pechino, infatti, la Risoluzione 2758 è un documento politico che racchiude il principio di “una sola Cina”, la cui autorità legale non lascia spazio a dubbi ed è stata riconosciuta in tutto il mondo. Tale posizione è stata confermata anche da diversi pareri legali ufficiali dell’Office of Legal Affairs del Segretariato delle Nazioni Unite, dove viene chiaramente affermato che “le Nazioni Unite considerano ‘Taiwan’ una provincia della Cina senza uno status separato” e “alle ‘autorità’ di ‘Taipei’ non è consentito godere di alcuna forma di status di governo”. Non a caso, la denominazione ufficiale di Taiwan presso le Nazioni Unite è “Taiwan, Provincia della Cina”.

Alla luce di questa breve ricostruzione storica, appare chiaro come qualsiasi intromissione esterna sulla questione di Taiwan rappresenti un’ingerenza nella politica interna cinese, in flagrante violazione dei principi del diritto internazionale. Del resto, gli stessi USA si sono impegnati, nel dicembre del 1978, a riconoscere il principio di “una sola Cina”, come si legge nel testo del comunicato congiunto Cina-Usa sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche: “Il governo degli Stati Uniti d’America riconosce la posizione cinese secondo cui la Cina è una sola e Taiwan fa parte della Cina”. Lo stesso documento afferma inoltre: “Gli Stati Uniti d’America riconoscono il governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legale della Cina. In questo contesto, il popolo degli Stati Uniti manterrà relazioni culturali, commerciali e altre relazioni non ufficiali con il popolo di Taiwan”.

Nonostante la posizione ufficiale degli Stati Uniti resti quella espressa nel comunicato congiunto, negli ultimi anni Washington ha dimostrato di voler interferire nel processo di riunificazione di Taiwan con la madrepatria, fomentando le voci di una possibile “indipendenza di Taiwan” e sostenendo il partito PDP, che ha una posizione di scarsa apertura al dialogo con Pechino. Inoltre, come noto, gli Stati Uniti hanno recentemente intensificato il proprio sostegno militare al governo di Taipei, fornendo armamenti all’isola in violazione di tutti i documenti precedentemente citati.

L’interesse degli Stati Uniti per Taiwan è dimostrato anche dalla recente pubblicazione di un rapporto del Pentagono dal titolo Military and Security Developments Involving the PRC, nel quale si parla di una possibile riunificazione di Taiwan con la Cina e di come evitarla. Tale documento è stato naturalmente respinto dalle autorità della Repubblica Popolare, secondo le quali il rapporto del Pentagono “alimenta deliberatamente ostilità e confronto nello Stretto di Taiwan, incita Taiwan ad acquistare armi e prepararsi alla guerra, e costituisce una grave interferenza negli affari interni della Cina”, come affermato da Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato.

Pechino ha fortemente criticato anche il National Defense Authorization Act (NDAA) per l’anno fiscale 2025, la legge federale statunitense che determina le spese militari per il prossimo anno, e che questa volta presenta contenuti negativi relativi alla Cina, mettendo ancora una volta in risalto l’importanza di Taiwan per i piani imperialisti nella regione Asia-Pacifico. “Esortiamo gli Stati Uniti a rispettare seriamente gli impegni politici solenni presi con la Cina sulla questione di Taiwan, a tradurre in azioni concrete la loro dichiarazione di non sostenere l’“indipendenza di Taiwan” e a interrompere immediatamente la fornitura di armi a Taiwan”, è stato il monito lanciato da Chen Binhua nei confronti di Washington. “Mettiamo in guardia le autorità del Partito Progressista Democratico: non importa quanto collaborino con forze esterne o acquistino altre armi dagli Stati Uniti, non potranno fermare la tendenza storica alla riunificazione della Cina. Se oseranno correre rischi, andranno incontro alla loro autodistruzione”, ha aggiunto il portavoce.

In risposta al NDAA, lo scorso 27 dicembre la Cina ha deciso di adottare delle contromisure nei confronti di sette aziende (Insitu, Inc., Hudson Technologies Co., Saronic Technologies, Inc., Raytheon Canada, Raytheon Australia, Aerkomm Inc. e Oceaneering International, Inc.), congelando i loro beni immobili in Cina e vietando a tutte le organizzazioni e agli individui all’interno della Cina di intraprendere transazioni, collaborazioni e altre attività con esse. Secondo Pechino, tali misure sono necessarie per garantire la sovranità e l’integrità territoriale del Paese a fronte delle interferenze degli Stati Uniti negli affari interni della Cina.

Nel contesto geopolitico mondiale odierno, dunque, la questione di Taiwan continua a rappresentare uno dei principali punti di attrito nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti, evidenziando le profonde divergenze tra i due Paesi sulla gestione degli equilibri regionali e sul rispetto della sovranità nazionale. Mentre Washington sfrutta Taiwan come strumento strategico per contenere l’ascesa cinese e consolidare la propria egemonia nell’area Asia-Pacifico, Pechino ribadisce con fermezza la propria posizione di principio basata sul diritto internazionale e sulla storica appartenenza dell’isola alla Cina.

Le recenti misure adottate dal governo cinese nei confronti di aziende e dirigenti statunitensi sottolineano la determinazione di Pechino nel contrastare qualsiasi tentativo di interferenza esterna e nel preservare l’integrità territoriale del Paese. Al contempo, il crescente sostegno militare degli Stati Uniti a Taiwan rischia di acuire ulteriormente le tensioni nello Stretto, alimentando instabilità e incertezza nella regione dell’Asia-Pacifico, che potrebbe diventare il nuovo epicentro del conflitto tra grandi potenze qualora dovesse risolversi la questione ucraina.

La Cina pronta a rispondere ad ogni tipo di ingerenza nella questione di Taiwan

Taiwan si conferma il principale terreno di scontro tra Cina e Stati Uniti, con Pechino decisa a difendere la propria sovranità e Washington impegnata a contenere l’ascesa cinese per mezzo di provocazioni politiche e sostegno militare all’isola, aumentando le tensioni nella regione Asia-Pacifico.

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Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno aumentato la propria pressione sulla Cina utilizzando la questione di Taiwan come mezzo per effettuare ingerenze nelle questioni interne della politica cinese e limitare lo sviluppo economico-commerciale di Pechino. Tale schema dovrebbe proseguire anche dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, visto che i repubblicani attribuiscono una particolare importanza alla visione della Cina come rivale sistemico degli Stati Uniti e principale ostacolo alla realizzazione del progetto egemonico di Washington.

Gli imperialisti statunitensi stanno sfruttando in particolare la posizione del nuovo leader taiwanese, Lai Ching-te, membro del Partito Progressista Democratico (PPD), in carica dallo scorso maggio, che ha assunto una posizione di completa genuflessione nei confronti delle politiche di Washington. L’atteggiamento di Lai, che ha pubblicamente parlato di “indipendenza di Taiwan”, è considerato come una vera e propria provocazione de parte della leadership cinese, che infatti sta prendendo tutte le misure necessarie per respingere ogni tipo di ingerenza da parte degli Stati Uniti.

Come si legge nel documento La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella Nuova Era, pubblicato nell’agosto del 2022 dall’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, “risolvere la questione di Taiwan e realizzare la completa riunificazione della Cina è un’aspirazione condivisa da tutti i figli e le figlie della nazione cinese. […] È anche una missione storica del Partito Comunista Cinese”. La posizione di Pechino su Taiwan, del resto, è sempre stata molto chiara ed in linea con il diritto internazionale, affondando le proprie radici nella Dichiarazione del Cairo emessa da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 1° dicembre 1943, la quale affermava che era scopo dei tre alleati che tutti i territori che il Giappone aveva sottratto alla Cina, come la Cina nordorientale, Taiwan e le isole Penghu, dovessero essere restituiti alla Cina al termine della Seconda Guerra Mondiale. Tali propositi vennero poi confermati nella Proclamazione di Potsdam, firmata da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 26 luglio 1945, e successivamente riconosciuta dall’Unione Sovietica.

Un altro documento fondamentale per comprendere la questione di Taiwan da un punto di vista giuridico è la Risoluzione 2758, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nell’ottobre del 1971 per “ripristinare tutti i diritti della Repubblica Popolare Cinese e a riconoscere i rappresentanti del suo governo come gli unici legittimi rappresentanti della Cina presso le Nazioni Unite”. Secondo Pechino, infatti, la Risoluzione 2758 è un documento politico che racchiude il principio di “una sola Cina”, la cui autorità legale non lascia spazio a dubbi ed è stata riconosciuta in tutto il mondo. Tale posizione è stata confermata anche da diversi pareri legali ufficiali dell’Office of Legal Affairs del Segretariato delle Nazioni Unite, dove viene chiaramente affermato che “le Nazioni Unite considerano ‘Taiwan’ una provincia della Cina senza uno status separato” e “alle ‘autorità’ di ‘Taipei’ non è consentito godere di alcuna forma di status di governo”. Non a caso, la denominazione ufficiale di Taiwan presso le Nazioni Unite è “Taiwan, Provincia della Cina”.

Alla luce di questa breve ricostruzione storica, appare chiaro come qualsiasi intromissione esterna sulla questione di Taiwan rappresenti un’ingerenza nella politica interna cinese, in flagrante violazione dei principi del diritto internazionale. Del resto, gli stessi USA si sono impegnati, nel dicembre del 1978, a riconoscere il principio di “una sola Cina”, come si legge nel testo del comunicato congiunto Cina-Usa sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche: “Il governo degli Stati Uniti d’America riconosce la posizione cinese secondo cui la Cina è una sola e Taiwan fa parte della Cina”. Lo stesso documento afferma inoltre: “Gli Stati Uniti d’America riconoscono il governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legale della Cina. In questo contesto, il popolo degli Stati Uniti manterrà relazioni culturali, commerciali e altre relazioni non ufficiali con il popolo di Taiwan”.

Nonostante la posizione ufficiale degli Stati Uniti resti quella espressa nel comunicato congiunto, negli ultimi anni Washington ha dimostrato di voler interferire nel processo di riunificazione di Taiwan con la madrepatria, fomentando le voci di una possibile “indipendenza di Taiwan” e sostenendo il partito PDP, che ha una posizione di scarsa apertura al dialogo con Pechino. Inoltre, come noto, gli Stati Uniti hanno recentemente intensificato il proprio sostegno militare al governo di Taipei, fornendo armamenti all’isola in violazione di tutti i documenti precedentemente citati.

L’interesse degli Stati Uniti per Taiwan è dimostrato anche dalla recente pubblicazione di un rapporto del Pentagono dal titolo Military and Security Developments Involving the PRC, nel quale si parla di una possibile riunificazione di Taiwan con la Cina e di come evitarla. Tale documento è stato naturalmente respinto dalle autorità della Repubblica Popolare, secondo le quali il rapporto del Pentagono “alimenta deliberatamente ostilità e confronto nello Stretto di Taiwan, incita Taiwan ad acquistare armi e prepararsi alla guerra, e costituisce una grave interferenza negli affari interni della Cina”, come affermato da Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato.

Pechino ha fortemente criticato anche il National Defense Authorization Act (NDAA) per l’anno fiscale 2025, la legge federale statunitense che determina le spese militari per il prossimo anno, e che questa volta presenta contenuti negativi relativi alla Cina, mettendo ancora una volta in risalto l’importanza di Taiwan per i piani imperialisti nella regione Asia-Pacifico. “Esortiamo gli Stati Uniti a rispettare seriamente gli impegni politici solenni presi con la Cina sulla questione di Taiwan, a tradurre in azioni concrete la loro dichiarazione di non sostenere l’“indipendenza di Taiwan” e a interrompere immediatamente la fornitura di armi a Taiwan”, è stato il monito lanciato da Chen Binhua nei confronti di Washington. “Mettiamo in guardia le autorità del Partito Progressista Democratico: non importa quanto collaborino con forze esterne o acquistino altre armi dagli Stati Uniti, non potranno fermare la tendenza storica alla riunificazione della Cina. Se oseranno correre rischi, andranno incontro alla loro autodistruzione”, ha aggiunto il portavoce.

In risposta al NDAA, lo scorso 27 dicembre la Cina ha deciso di adottare delle contromisure nei confronti di sette aziende (Insitu, Inc., Hudson Technologies Co., Saronic Technologies, Inc., Raytheon Canada, Raytheon Australia, Aerkomm Inc. e Oceaneering International, Inc.), congelando i loro beni immobili in Cina e vietando a tutte le organizzazioni e agli individui all’interno della Cina di intraprendere transazioni, collaborazioni e altre attività con esse. Secondo Pechino, tali misure sono necessarie per garantire la sovranità e l’integrità territoriale del Paese a fronte delle interferenze degli Stati Uniti negli affari interni della Cina.

Nel contesto geopolitico mondiale odierno, dunque, la questione di Taiwan continua a rappresentare uno dei principali punti di attrito nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti, evidenziando le profonde divergenze tra i due Paesi sulla gestione degli equilibri regionali e sul rispetto della sovranità nazionale. Mentre Washington sfrutta Taiwan come strumento strategico per contenere l’ascesa cinese e consolidare la propria egemonia nell’area Asia-Pacifico, Pechino ribadisce con fermezza la propria posizione di principio basata sul diritto internazionale e sulla storica appartenenza dell’isola alla Cina.

Le recenti misure adottate dal governo cinese nei confronti di aziende e dirigenti statunitensi sottolineano la determinazione di Pechino nel contrastare qualsiasi tentativo di interferenza esterna e nel preservare l’integrità territoriale del Paese. Al contempo, il crescente sostegno militare degli Stati Uniti a Taiwan rischia di acuire ulteriormente le tensioni nello Stretto, alimentando instabilità e incertezza nella regione dell’Asia-Pacifico, che potrebbe diventare il nuovo epicentro del conflitto tra grandi potenze qualora dovesse risolversi la questione ucraina.

Taiwan si conferma il principale terreno di scontro tra Cina e Stati Uniti, con Pechino decisa a difendere la propria sovranità e Washington impegnata a contenere l’ascesa cinese per mezzo di provocazioni politiche e sostegno militare all’isola, aumentando le tensioni nella regione Asia-Pacifico.

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Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno aumentato la propria pressione sulla Cina utilizzando la questione di Taiwan come mezzo per effettuare ingerenze nelle questioni interne della politica cinese e limitare lo sviluppo economico-commerciale di Pechino. Tale schema dovrebbe proseguire anche dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, visto che i repubblicani attribuiscono una particolare importanza alla visione della Cina come rivale sistemico degli Stati Uniti e principale ostacolo alla realizzazione del progetto egemonico di Washington.

Gli imperialisti statunitensi stanno sfruttando in particolare la posizione del nuovo leader taiwanese, Lai Ching-te, membro del Partito Progressista Democratico (PPD), in carica dallo scorso maggio, che ha assunto una posizione di completa genuflessione nei confronti delle politiche di Washington. L’atteggiamento di Lai, che ha pubblicamente parlato di “indipendenza di Taiwan”, è considerato come una vera e propria provocazione de parte della leadership cinese, che infatti sta prendendo tutte le misure necessarie per respingere ogni tipo di ingerenza da parte degli Stati Uniti.

Come si legge nel documento La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella Nuova Era, pubblicato nell’agosto del 2022 dall’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, “risolvere la questione di Taiwan e realizzare la completa riunificazione della Cina è un’aspirazione condivisa da tutti i figli e le figlie della nazione cinese. […] È anche una missione storica del Partito Comunista Cinese”. La posizione di Pechino su Taiwan, del resto, è sempre stata molto chiara ed in linea con il diritto internazionale, affondando le proprie radici nella Dichiarazione del Cairo emessa da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 1° dicembre 1943, la quale affermava che era scopo dei tre alleati che tutti i territori che il Giappone aveva sottratto alla Cina, come la Cina nordorientale, Taiwan e le isole Penghu, dovessero essere restituiti alla Cina al termine della Seconda Guerra Mondiale. Tali propositi vennero poi confermati nella Proclamazione di Potsdam, firmata da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 26 luglio 1945, e successivamente riconosciuta dall’Unione Sovietica.

Un altro documento fondamentale per comprendere la questione di Taiwan da un punto di vista giuridico è la Risoluzione 2758, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nell’ottobre del 1971 per “ripristinare tutti i diritti della Repubblica Popolare Cinese e a riconoscere i rappresentanti del suo governo come gli unici legittimi rappresentanti della Cina presso le Nazioni Unite”. Secondo Pechino, infatti, la Risoluzione 2758 è un documento politico che racchiude il principio di “una sola Cina”, la cui autorità legale non lascia spazio a dubbi ed è stata riconosciuta in tutto il mondo. Tale posizione è stata confermata anche da diversi pareri legali ufficiali dell’Office of Legal Affairs del Segretariato delle Nazioni Unite, dove viene chiaramente affermato che “le Nazioni Unite considerano ‘Taiwan’ una provincia della Cina senza uno status separato” e “alle ‘autorità’ di ‘Taipei’ non è consentito godere di alcuna forma di status di governo”. Non a caso, la denominazione ufficiale di Taiwan presso le Nazioni Unite è “Taiwan, Provincia della Cina”.

Alla luce di questa breve ricostruzione storica, appare chiaro come qualsiasi intromissione esterna sulla questione di Taiwan rappresenti un’ingerenza nella politica interna cinese, in flagrante violazione dei principi del diritto internazionale. Del resto, gli stessi USA si sono impegnati, nel dicembre del 1978, a riconoscere il principio di “una sola Cina”, come si legge nel testo del comunicato congiunto Cina-Usa sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche: “Il governo degli Stati Uniti d’America riconosce la posizione cinese secondo cui la Cina è una sola e Taiwan fa parte della Cina”. Lo stesso documento afferma inoltre: “Gli Stati Uniti d’America riconoscono il governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legale della Cina. In questo contesto, il popolo degli Stati Uniti manterrà relazioni culturali, commerciali e altre relazioni non ufficiali con il popolo di Taiwan”.

Nonostante la posizione ufficiale degli Stati Uniti resti quella espressa nel comunicato congiunto, negli ultimi anni Washington ha dimostrato di voler interferire nel processo di riunificazione di Taiwan con la madrepatria, fomentando le voci di una possibile “indipendenza di Taiwan” e sostenendo il partito PDP, che ha una posizione di scarsa apertura al dialogo con Pechino. Inoltre, come noto, gli Stati Uniti hanno recentemente intensificato il proprio sostegno militare al governo di Taipei, fornendo armamenti all’isola in violazione di tutti i documenti precedentemente citati.

L’interesse degli Stati Uniti per Taiwan è dimostrato anche dalla recente pubblicazione di un rapporto del Pentagono dal titolo Military and Security Developments Involving the PRC, nel quale si parla di una possibile riunificazione di Taiwan con la Cina e di come evitarla. Tale documento è stato naturalmente respinto dalle autorità della Repubblica Popolare, secondo le quali il rapporto del Pentagono “alimenta deliberatamente ostilità e confronto nello Stretto di Taiwan, incita Taiwan ad acquistare armi e prepararsi alla guerra, e costituisce una grave interferenza negli affari interni della Cina”, come affermato da Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato.

Pechino ha fortemente criticato anche il National Defense Authorization Act (NDAA) per l’anno fiscale 2025, la legge federale statunitense che determina le spese militari per il prossimo anno, e che questa volta presenta contenuti negativi relativi alla Cina, mettendo ancora una volta in risalto l’importanza di Taiwan per i piani imperialisti nella regione Asia-Pacifico. “Esortiamo gli Stati Uniti a rispettare seriamente gli impegni politici solenni presi con la Cina sulla questione di Taiwan, a tradurre in azioni concrete la loro dichiarazione di non sostenere l’“indipendenza di Taiwan” e a interrompere immediatamente la fornitura di armi a Taiwan”, è stato il monito lanciato da Chen Binhua nei confronti di Washington. “Mettiamo in guardia le autorità del Partito Progressista Democratico: non importa quanto collaborino con forze esterne o acquistino altre armi dagli Stati Uniti, non potranno fermare la tendenza storica alla riunificazione della Cina. Se oseranno correre rischi, andranno incontro alla loro autodistruzione”, ha aggiunto il portavoce.

In risposta al NDAA, lo scorso 27 dicembre la Cina ha deciso di adottare delle contromisure nei confronti di sette aziende (Insitu, Inc., Hudson Technologies Co., Saronic Technologies, Inc., Raytheon Canada, Raytheon Australia, Aerkomm Inc. e Oceaneering International, Inc.), congelando i loro beni immobili in Cina e vietando a tutte le organizzazioni e agli individui all’interno della Cina di intraprendere transazioni, collaborazioni e altre attività con esse. Secondo Pechino, tali misure sono necessarie per garantire la sovranità e l’integrità territoriale del Paese a fronte delle interferenze degli Stati Uniti negli affari interni della Cina.

Nel contesto geopolitico mondiale odierno, dunque, la questione di Taiwan continua a rappresentare uno dei principali punti di attrito nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti, evidenziando le profonde divergenze tra i due Paesi sulla gestione degli equilibri regionali e sul rispetto della sovranità nazionale. Mentre Washington sfrutta Taiwan come strumento strategico per contenere l’ascesa cinese e consolidare la propria egemonia nell’area Asia-Pacifico, Pechino ribadisce con fermezza la propria posizione di principio basata sul diritto internazionale e sulla storica appartenenza dell’isola alla Cina.

Le recenti misure adottate dal governo cinese nei confronti di aziende e dirigenti statunitensi sottolineano la determinazione di Pechino nel contrastare qualsiasi tentativo di interferenza esterna e nel preservare l’integrità territoriale del Paese. Al contempo, il crescente sostegno militare degli Stati Uniti a Taiwan rischia di acuire ulteriormente le tensioni nello Stretto, alimentando instabilità e incertezza nella regione dell’Asia-Pacifico, che potrebbe diventare il nuovo epicentro del conflitto tra grandi potenze qualora dovesse risolversi la questione ucraina.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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December 17, 2024

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