A chi andrà il controllo di Pentalasia, probabilmente andrà il controllo dell’intero Rimland.
Fra i concetti geopolitici meno noti al grande pubblico, vi è quello di Pentalasia, che oggi potrebbe assumere un ruolo nuovamente significativo nella comprensione degli eventi mondiale in Medio Oriente e non solo.
Il concetto nella dottrina geopolitica
Dal punto di vista geopolitico, la Pentalasia rappresenta una configurazione regionale strategica costituita da cinque Stati o aree geografiche interconnesse riguardando l’Asia, come suggerisce il nome. Una sora di cooperazione multilaterale basata su interessi comuni, quali sicurezza, sviluppo economico, stabilità politica e sostenibilità ambientale.
La Pentalasia, in questa prospettiva, potrebbe emergere come un progetto di integrazione regionale in una zona del mondo particolarmente strategica. Gli Stati coinvolti potrebbero condividere confini territoriali o essere uniti da legami storici, culturali ed economici, creando un blocco capace di affrontare le sfide globali in modo concertato. La loro collaborazione potrebbe basarsi su un accordo istituzionale che promuova il dialogo politico, l’interscambio economico e la risoluzione pacifica dei conflitti.
Un esempio ipotetico potrebbe riguardare cinque Paesi situati in una regione nevralgica, non come il Medio Oriente, l’Asia centrale o il Sud-est asiatico, che decidono di unirsi per garantire la sicurezza energetica, promuovere l’infrastruttura regionale e rafforzare la loro influenza nelle dinamiche globali. In questo contesto, la Pentalasia potrebbe fungere da contrappeso a potenze globali più grandi o a organizzazioni internazionali dominanti.
Oltre agli aspetti economici e politici, è chiaro che un blocco di questo tipo avrebbe delle importanti implicazioni culturali, rappresentando una piattaforma per valorizzare la diversità e rafforzare un’identità comune ed anche affrontare questioni transnazionali promuovendo delle soluzioni collettive.
Dunque non solo un’entità geopolitica, ma anche un laboratorio per un nuovo approccio alla governance regionale, basato sull’equilibrio tra interdipendenza e sovranità.
L’Iran come centro della questione
Concentriamoci sul Medio Oriente, prima zona di identificazione della Pentalasia.
Vediamo il Paese più importante della regione: l’Iran.
Si tratta di una potenza regionale a sé stante e una potenza internazionale sullo stile di Paesi emergenti come il Brasile e il Sudafrica, a tal punto che il futuro del pianeta è inestricabilmente legato a ciò che accade in Iran. È lo Stato più adatto a dominare il Medio Oriente e, insieme alla Russia, il più adatto a monopolizzare le rotte tra il Grande Oriente e il Grande Occidente. Per molti versi, infatti, l’Iran è una Russia del Sud e le linee genetiche paterne R1a abbondano (le stesse associate al mondo slavo, agli Sciti, agli Indo-Ariani, alla cultura dell’ascia da battaglia del Volga e alla cultura dei Kurgan). Nell’antichità, l’Impero persiano – che corrisponde alla sfera d’influenza dell’Iran moderno – condivideva i confini con l’Impero romano a ovest e con l’India a est, e dominava anche le rotte verso la Cina. Questo semplice fatto la dice lunga sul destino storico e geopolitico di Teheran.
Durante l’era degli imperi coloniali, l’Iran è stato l’unico Paese dell’area, insieme alla mutilata Turchia, a non cadere in mani straniere, sebbene sia l’influenza britannica (nel Golfo Persico e Indiano) che quella russa (verso il Caucaso e il Caspio) fossero molto forti. Era l’epoca della Anglo-Persian Oil Company (il precursore dell’attuale British Petroleum) e della sua influenza nel Golfo Persico. Nel 1925, Reza Khan, primo ministro ed ex generale della Brigata cosacca persiana, organizzò un colpo di Stato e si impose come “scià” (una parola iraniana legata all’indù “ksatriya” e che significa qualcosa come “signore”) della Persia. A causa delle sue affinità con la Germania, Reza Shah fu costretto dagli inglesi e dai sovietici ad abdicare al figlio, Mohammad Reza Pahlavi. Gli Alleati temevano che i tedeschi, entrando dal Caucaso, potessero collegarsi all’Iran (e quindi all’India e al Tibet, dove la Germania aveva molti simpatizzanti) e causare seri problemi nei territori britannici, sovietici e francesi. Per di più, gli inglesi avevano già messo gli occhi sulla ferrovia trans-iraniana come via di rifornimento per l’URSS.
Attraverso la Persia, Winston Churchill sostenne lo sforzo bellico sovietico con enormi spedizioni di hardware militare e materie prime. Anche la compagnia statunitense Occidental Petroleum (oggi Oxy) di Armand Hammer accettò di prelevare il petrolio sovietico dal Caspio attraverso questa rotta. Nel 1951, Mohammad Mossadegh fu eletto Primo Ministro dell’Iran e avviò un programma sovranista che nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana e le sue riserve di greggio, annientando il monopolio di Londra. Il governo britannico, guidato da Winston Churchill, rispose con il primo embargo navale sul petrolio iraniano, lanciò una campagna di sanzioni economiche per rovinare e isolare il Paese, congelò i beni iraniani e cospirò con il presidente statunitense Eisenhower per lanciare l’Operazione Ajax (nota in Iran come colpo di stato Mordad 1338) nel 1953, essenzialmente un colpo di stato sponsorizzato dai servizi segreti anglo-americani. Mossadegh, molto popolare in Iran, fu arrestato e il suo governo fu sostituito da uno sotto lo Scià, totalmente sotto il comando dello Scià, totalmente sotto il controllo di Londra e in buoni rapporti con Israele, Stati Uniti e Arabia Saudita. Il regime iraniano iniziò a riorganizzarsi sulla falsariga delle petrol-dittature arabe del Golfo e della Libia di Re Idris. Per decenni, il servizio di intelligence dello scià, il SAVAK, avrebbe terrorizzato gran parte della popolazione e sarebbe stato temuto e odiato per le sue tattiche brutali nel reprimere ogni opposizione al regime (essenzialmente religiosi sciiti e attivisti comunisti).
Il malcontento popolare culminò nella Rivoluzione islamica del 1979, guidata dall’ayatollah Khomeini, che istituì una sorta di teocrazia nazionalista sciita, ripristinò un programma politico sovrano, espulse la British Petroleum, formò la Guardia Rivoluzionaria e riformò il Paese. Poco dopo, l’Iran visse l’imposizione della guerra con l’Iraq di Saddam Hussein, sostenuto dagli anglo-americani, gli stessi che poco dopo lo tradirono. Questa guerra, in cui l’Iraq utilizzò armi chimiche con la piena consapevolezza dell’Occidente, rivelò l’enorme potere magnetico che la religione sciita esercitava sulle masse iraniane, dando loro la forza di compiere allegramente i più grandi sacrifici e di intraprendere azioni kamikaze che affossavano il morale del nemico.
Il ruolo di nesso dell’Iran non si ferma alla sua cerniera est-ovest. Di tutti i Paesi con una costa sull’Oceano Indiano, l’Iran è il più vicino al Mediterraneo, al Caspio, alla Russia, all’Heartland, a Israele e all’ex spazio sovietico. La sua posizione unica nel cuore della Pentalasia (vera e propria terra dei cinque mari) lo rende una cerniera che collega l’Oceano Indiano e il Golfo Persico con una delicata architettura geopolitica che si estende al Caucaso, alla Turchia, a Israele, all’Asia centrale, alla Russia e all’Europa. La Pentalasia è, pertanto, la regione cerniera per eccellenza, che collega cinque spazi marittimi totalmente diversi e di incommensurabile importanza.
In aggiunta, la regione è ricca di idrocarburi. Non esiste probabilmente un altro luogo al mondo come questo e non sorprende che sia l’ambiente più sensibile del pianeta. Si capisce perché l’atlantismo sia interessato a occuparla e destabilizzarla (Israele, Iraq, Siria, Libano, Kurdistan): se questo spazio si strutturasse e si stabilizzasse sotto una potenza sovrana, ciò toglierebbe enorme importanza alle rotte marittime, che sono la grande risorsa delle potenze talassocratiche.
L’Iran entra nella storia moderna come l’unico Stato al mondo che possiede mari nell’Oceano Indiano, nel Mar Caspio e nel Golfo Persico, oltre a terre nell’Heartland eurasiatico e nella Pentalasia.
Se osserviamo la mappa del’’Eurasia balcanizzata, vediamo che l’Iran si trova anche nei “Balcani eurasiatici”, nella “Zona centrale di instabilità” e nel “Nuovo perno globale”. Il ruolo geopolitico dell’Iran non è solo quello di essere un nesso, ma anche un potenziale muro di contenimento, grazie al suo territorio che per la maggiorana è un altopiano montuoso, una sorta di fortezza naturale, uno spazio facilmente difendibile, ben popolato (75 milioni di abitanti, all’incirca come la Turchia), con mezzi materiali ed economici migliori e più popolazione dell’Iraq di Saddam Hussein, ma con la complicata orografia dell’Afghanistan e ottimi sbocchi marittimi. Espandendo la propria influenza nel Mediterraneo, l’Iran può isolare il mondo petrol-arabo dal resto dell’Eurasia e sarebbe anche in grado di tagliare fuori la Turchia dalle risorse del Golfo.
Le sfide regionali dell’Iran sono: lo Stato di Israele, le petrol-monarchie arabe e la presenza destabilizzante di Stati Uniti e Regno Unito nella regione. Turchia, Israele e le petrol-monarchie arabe aspirano a dominare la regione trasformandola in una “Pentalandia”. Eppure, che a loro piaccia o no, geopoliticamente parlando la potenza più adatta a fare una cosa del genere è l’Iran, che l’ha già governata in passato (Medi, Persiani, Achemenidi, Parti, Sassanidi, ecc.). Teheran, alleata con la Siria, l’Iraq, il Libano e le comunità sciite, alawite, cristiane, druse, ismailite, sufi, ecc. potrebbe svolgere un ruolo importante nella stabilizzazione di questo spazio e quindi nella pace mondiale. Per impedirlo, l’atlantismo finanzia il radicalismo sunnita (soprattutto le correnti salafite-wahhabite legate all’Arabia Saudita, alla Turchia, agli USA e a Israele) e fa il possibile per fomentare l’odio settario tra sciiti e sunniti, forse nella speranza di provocare una macro guerra civile religiosa nella regione.
L’Iran è anche, insieme agli Emirati Arabi Uniti e all’Oman, l’unico Paese del Golfo Persico che ha anche una costa nell’Oceano Indiano. L’atlantismo sostiene fortemente le petrol-dittature arabe (Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Bahrein), ma l’Iran si trova in una posizione migliore di qualsiasi altro Paese al mondo per dominare il Golfo Persico, poiché:
- domina lo Stretto di Hormuz, altamente strategico, attraverso il quale passa il 40% del traffico petrolifero mondiale (compreso il 40% del petrolio della Cina). Se l’Iran chiudesse questo stretto (il che sarebbe considerato un atto di guerra), le conseguenze internazionali sarebbero difficili da calcolare. Recentemente, gli Emirati Arabi Uniti hanno aperto un oleodotto che collega il Golfo Persico al Mar Arabico (parte dell’Oceano Indiano), aggirando il controllo iraniano dello Stretto di Hormuz.
- Ha più coste nel Golfo Persico di qualsiasi altro Paese. Lo scenario geopolitico “normale” prevede che le attività commerciali e finanziarie del Golfo Persico, che comportano ogni giorno un favoloso traffico di capitali, si svolgano in Iran e che il principale centro finanziario del Golfo Persico non sia Dubai, ma l’isola persiana di Kish (destinata a diventare la Dubai dell’Iran, anche grazie agli architetti tedeschi), dichiarata da Teheran “zona di libero scambio”, sullo stile delle analoghe zone cinesi. A Kish ha sede la Borsa petrolifera iraniana, un mercato per le scorte di petrolio in valute diverse dal dollaro (principalmente euro, rial, rubli, renminbi e yen), che è quasi una dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, attaccandoli dove fanno più male: il monopolio sul petrodollaro, creato dal nulla come moneta di scambio internazionale. Kish tende a distogliere l’attenzione dalla sontuosa città emiratina di Dubai, sede del Dubai Exchange – il trono supremo del petrodollaro, strettamente controllato dal NYMEX di New York (a sua volta controllato da Morgan Stanley, Goldman Sachs e altri capitali newyorkesi e londinesi), dall’ICE Futures (Inter Continental Exchange), dall’IPE (International Petroleum Exchange) di Londra e dal London International Commodity Exchange. Tutte queste entità svolgono la loro attività in dollari. La borsa di Kish è stata aperta nell’agosto 2011 e ha utilizzato l’euro e il dirham emiratino nelle sue prime transazioni.
- La maggioranza della popolazione della costa del Golfo Persico è sciita. Un detto dice che “l’Islam non ha conquistato la Persia, ma la Persia ha conquistato l’Islam”, cioè che in Iran c’è stata una indo-europeizzazione e una de-semitizzazione dell’Islam, che ha portato alla religiosità sciita, più gerarchica del sunnismo, con un clero completamente organizzato e con chiare reminiscenze mazdee, zoroastriane e manichee. In tutto il Medio Oriente, gli sciiti sono una potenziale quinta colonna per l’Iran: costituiscono il 66% della popolazione dell’Iraq e del Bahrein (un petrol-stato insulare dominato da una monarchia sunnita che ha duramente represso la maggioranza sciita senza che la “comunità internazionale” muovesse un dito), il 33% del Kuwait, il 20% dell’Arabia Saudita (concentrata nelle province del Golfo Persico ricche di petrolio) e il 10% degli Emirati e del Qatar. Vi sono inoltre significative popolazioni sciite in Azerbaigian (65%), Yemen (40%), Libano (33%) e Siria (15%), oltre che in Pakistan, Turchia, India, Afghanistan e altri Paesi. Queste comunità sono essenziali per la spina dorsale del “nuovo impero persiano” – la sfera di influenza dell’Iran – e rendono molto nervosi i regimi petrol-arabi.