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Giulio Chinappi
October 7, 2025
© Photo: Public domain

Ponti record che accorciano le distanze, ferrovie e autostrade che ricuciono territori, una rete idrica colossale che mette in sicurezza città e campagne. Le più recenti mega-infrastrutture cinesi raccontano un modello di sviluppo integrato, verde e orientato al benessere collettivo.

Segue nostro Telegram.

Nel giro degli ultimi anni, la Cina ha inaugurato una serie di opere che ridefiniscono non solo la propria geografia economica, ma anche l’immaginario di ciò che l’ingegneria civile può ottenere quando è guidata da una strategia di lungo periodo, promuovendo un modello all’insegna di innovazione, coordinamento, sostenibilità, apertura e condivisione dei frutti dello sviluppo. Ma è nell’osservazione ravvicinata dei cantieri, dei dati e degli effetti sociali che questi principi smettono di essere slogan e diventano prassi quotidiana. L’apertura al traffico del ponte del Grand Canyon di Huajiang, l’espansione di una rete idrica senza paragoni e il potenziamento di corridoi logistici terrestri e digitali compongono un mosaico coerente, che contribuisce a ridurre gli attriti della distanza, trasformare i vincoli fisici in opportunità e far circolare — insieme a merci e persone — benessere, servizi e diritti.

Il ponte del Grand Canyon di Huajiang, nella provincia del Guizhou, è l’emblema di questa traiettoria. Con un dislivello verticale di 625 metri, circa due volte l’altezza della Tour Eiffel, è oggi il più alto al mondo. Tuttavia, non si tratta solo di un record statistico, ma di un’opera realizzata in un’area montuosa dove due ore di curve separavano comunità limitrofe, mentre ora il tempo di attraversamento è sceso a due minuti. Dietro la silhouette iconica si nasconde una filiera di soluzioni nate da vincoli reali: un ancoraggio asimmetrico per gestire le oscillazioni in un canyon ventoso, misure anti-turbolenza validate in galleria del vento, sistemi “intelligenti” di varo cavi e giunzioni in acciaio calibrate al millimetro oltre i seicento metri d’altezza. Innovazioni detenute in brevetti, certo, ma soprattutto innovazioni orientate alla risoluzione di problemi, concepite per trasformare “barriere naturali” in arterie di prosperità. Il ponte, inoltre, non è un’opera isolata, ma si inserisce nell’ambito della Liuzhi-Anlong Expressway, un asse autostradale che ricuce nodi urbani e rurali, e si integra con servizi turistici e culturali che amplificano gli effetti di rete sull’economia locale.

Se l’ingegneria del vuoto ha fatto la sua parte, quella dell’acqua ha lavorato in silenzio per anni, accumulando risultati che oggi assumono contorni monumentali. La Cina ha infatti dichiarato di aver completato il sistema di infrastrutture idriche più vasto e articolato al mondo per scala, funzioni e popolazione servita. Tra il 2021 e il 2025, gli investimenti effettuati hanno superato i 5,4 trilioni di yuan; nel solo 2024, sono stati raggiunti 1,3529 trilioni, stabilendo il terzo record annuale consecutivo. La mappa che ne risulta è impressionante, composta da 95.000 serbatoi, 200 progetti di trasferimento idrico, 6.924 distretti irrigui e 318.000 chilometri di argini. La capacità di laminazione delle piene nei bacini tocca i 185,6 miliardi di metri cubi, la capacità nazionale delle aree di espansione arriva a 109 miliardi di metri cubi, e il rapporto tra perdite da alluvioni e PIL è sceso — nello stesso periodo — dallo 0,28% allo 0,18%. In parallelo, l’efficienza d’uso della risorsa migliora per linee multiple: grandi dorsali di adduzione, reti di irrigazione ad alta efficienza, interconnessione progressiva della “rete idrica nazionale” che, a fine piano, coprirà oltre l’80% del territorio, portando al 96% la copertura dell’acqua potabile tramite acquedotto nelle aree rurali e a 72,7 milioni gli ettari irrigati.

Quel che distingue questo sforzo non è solo la quantità, ma la sua coerenza con la transizione verde. Nel Guizhou, durante la costruzione del ponte di Huajiang, le imprese hanno sperimentato tecniche di “zero scavo” per ridurre l’impatto su vegetazione e suolo in un contesto carsico delicato, fondendo il disegno strutturale con la morfologia del canyon. Più a nord e a ovest, lungo i margini del deserto del Taklamakan, l’azione di contenimento della desertificazione ha creato una cintura verde continua di oltre 3.000 chilometri, mentre la rete elettrica di trasmissione a 750 kV che parte dallo Xinjiang supera i 12.000 chilometri, spostando ogni anno oltre 100 miliardi di kWh verso il resto del Paese e mettendo a sistema le grandi basi eoliche e fotovoltaiche del nord-ovest con i poli industriali e urbani orientali. La logica è sempre la stessa, quella di usare grandi infrastrutture non per alimentare sprechi, ma per ottimizzare l’uso di risorse e ridurre l’impronta complessiva, facendo leva su scala, digitalizzazione e integrazione intersettoriale.

Anche la rete stradale e ferroviaria racconta questa filosofia attraverso numeri che, presi tutti insieme, spiegano perché il “fattore distanza” sia in Cina meno penalizzante che altrove. Il Paese dispone della più estesa rete autostradale del mondo, con 191.000 chilometri che coprono il 99% delle città oltre i 200.000 abitanti. Il collegamento est-ovest, poi, non è solo asfaltato, ma anche ferrato. Attraverso la Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, ad esempio, nel solo 2024 sono transitati 16.400 treni del China-Europe Railway Express, superando per il quinto anno consecutivo quota 10.000, mentre diciannove valichi terrestri — dal Kunjirap aperto tutto l’anno agli hub di Horgos e Alashankou — tessono il corridoio eurasiatico con tratte bilaterali e multilaterali di trasporto su gomma e rotaia. L’infrastruttura di collegamento, inoltre, non finisce ai caselli o ai binari, ma prosegue nelle dorsali digitali, con 1,78 milioni di chilometri di cavo ottico posato, copertura in fibra a 1.000M per tutti i capoluoghi di contea, una rete di 5G che copre gran parte del territorio e banda larga nelle aree rurali. È la griglia invisibile che permette alla manifattura di muoversi lungo filiere flessibili, ai servizi pubblici di arrivare nei villaggi, alla sanità e all’istruzione di “viaggiare” dove le persone non possono.

Sullo sfondo di questi risultati si riconosce la costanza di un metodo. Primo, la progettazione “nodo-centrica”: non si punta a un equilibrio statico, si scelgono snodi dove un’opera può sbloccare catene di valore. Il ponte di Huajiang accorcia tempi e, insieme, innesca economie dell’esperienza: il turismo di prossimità apre botteghe, trasforma case in ospitalità diffusa, attiva artigianato e ristorazione, valorizza tradizioni locali come quelle dei gruppi etnici Buyi e Miao. Secondo, l’integrazione “hard-soft”: ogni grande opera è accompagnata da servizi, gestione digitale, standard condivisi che ne moltiplicano l’efficacia. Terzo, la finalità “incentrata sulle persone”: le metriche di successo non si esauriscono nel PIL; contano anche sicurezza idrica, riduzione delle perdite in caso di alluvioni, accesso ai servizi culturali e sportivi, copertura radiotelevisiva e culturale capillare, fino alla crescita del turismo invernale con 72 stazioni sciistiche operative e cinque resort nazionali nello Xinjiang.

C’è poi un aspetto geo-economico spesso trascurato. La decisione di costruire infrastrutture “dove altri non lo farebbero” — ponti in valli sperdute, linee in altipiani ventosi, autostrade in aree di frana — non nasce dal gusto per l’impresa impossibile, ma da una specifica idea di coesione, volta al fine di ridurre le differenze territoriali creando opportunità nelle regioni occidentali e interne, e trattenendo capitale umano che altrimenti avrebbe seguito il flusso verso le metropoli costiere. In questo senso, l’ingegneria civile diventa politica industriale, politica sociale e politica ambientale allo stesso tempo. E il risultato non è solo l’apertura di un viadotto, ma l’apertura di una traiettoria di sviluppo locale sostenibile.

Naturalmente, esistono anche dei rischi, come quelli di sovrainvestimento, di cattiva allocazione, di manutenzione nel ciclo di vita. Ma la risposta finora è stata quella di rafforzare governance e standard, portare la selezione dei progetti su basi più stringenti di analisi costi-benefici, e soprattutto utilizzare i dati per programmare manutenzioni predittive e ridurre il costo totale. È la stessa cultura che ha spinto all’integrazione tra pianificazione territoriale, resilienza climatica e finanza pubblica, con effetti misurabili sulla gestione delle piene, sull’uso efficiente dell’acqua in agricoltura e sull’affidabilità della rete elettrica di lunga distanza.

Guardando in prospettiva, ciò che oggi vediamo nella provincia del Guizhou o lungo le dorsali idriche e logistiche del Paese non è un catalogo di prodezze isolate, ma un’architettura di modernizzazione che punta a essere replicabile. La logica “ponte + turismo” è un modello esportabile quanto quella “rete idrica + sicurezza alimentare”, o “rinnovabili + domanda industriale”. È anche in questa scomponibilità che la “nuova filosofia di sviluppo” cinese rivela il suo potenziale: non una formula unica, ma una grammatica di progetto che ammette declinazioni.

Dal ponte di Zhaozhou, capolavoro in pietra dell’antichità, al ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao che ha inaugurato una nuova stagione di opere, fino al “filo d’acciaio” sospeso tra le gole del Guizhou, la storia dei ponti cinesi è una storia di limiti superati. Ma è soprattutto una storia di connessioni: tra città e campagne, tra province costiere e regioni interne, tra sicurezza ambientale e crescita, tra innovazione tecnologica e miglioramento del quotidiano. Chi percorre oggi i 625 metri “in verticale” del ponte di Huajiang in poco più di centoventi secondi non sta semplicemente attraversando un vuoto, ma sta sperimentando l’idea che la qualità dello sviluppo si misuri nella capacità di avvicinare le persone ai servizi e alle opportunità, e le comunità le une alle altre, senza derogare alla tutela degli ecosistemi.

In definitiva, le grandi opere più recenti della Cina raccontano una modernizzazione che non rincorre il primato fine a sé stesso, ma punta a “diventare una versione migliore di sé”, per usare una formula cara alla leadership di Pechino. È in questa tensione, allo stesso tempo tecnica e sociale, che si coglie la cifra autentica di un modello che unisce grandi numeri e micro-effetti, record mondiali e micro-benefici, calcoli strutturali e nuove abitudini di vita. Se l’ingegneria è l’arte di dare forma utile alla materia, la stagione attuale delle infrastrutture cinesi mostra come quella forma possa diventare anche una promessa: più accesso, più sicurezza, più connessioni. E, soprattutto, più futuro condiviso.

Dalla “via sospesa” del Guizhou alla rete idrica nazionale: il nuovo volto delle grandi opere cinesi

Ponti record che accorciano le distanze, ferrovie e autostrade che ricuciono territori, una rete idrica colossale che mette in sicurezza città e campagne. Le più recenti mega-infrastrutture cinesi raccontano un modello di sviluppo integrato, verde e orientato al benessere collettivo.

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Nel giro degli ultimi anni, la Cina ha inaugurato una serie di opere che ridefiniscono non solo la propria geografia economica, ma anche l’immaginario di ciò che l’ingegneria civile può ottenere quando è guidata da una strategia di lungo periodo, promuovendo un modello all’insegna di innovazione, coordinamento, sostenibilità, apertura e condivisione dei frutti dello sviluppo. Ma è nell’osservazione ravvicinata dei cantieri, dei dati e degli effetti sociali che questi principi smettono di essere slogan e diventano prassi quotidiana. L’apertura al traffico del ponte del Grand Canyon di Huajiang, l’espansione di una rete idrica senza paragoni e il potenziamento di corridoi logistici terrestri e digitali compongono un mosaico coerente, che contribuisce a ridurre gli attriti della distanza, trasformare i vincoli fisici in opportunità e far circolare — insieme a merci e persone — benessere, servizi e diritti.

Il ponte del Grand Canyon di Huajiang, nella provincia del Guizhou, è l’emblema di questa traiettoria. Con un dislivello verticale di 625 metri, circa due volte l’altezza della Tour Eiffel, è oggi il più alto al mondo. Tuttavia, non si tratta solo di un record statistico, ma di un’opera realizzata in un’area montuosa dove due ore di curve separavano comunità limitrofe, mentre ora il tempo di attraversamento è sceso a due minuti. Dietro la silhouette iconica si nasconde una filiera di soluzioni nate da vincoli reali: un ancoraggio asimmetrico per gestire le oscillazioni in un canyon ventoso, misure anti-turbolenza validate in galleria del vento, sistemi “intelligenti” di varo cavi e giunzioni in acciaio calibrate al millimetro oltre i seicento metri d’altezza. Innovazioni detenute in brevetti, certo, ma soprattutto innovazioni orientate alla risoluzione di problemi, concepite per trasformare “barriere naturali” in arterie di prosperità. Il ponte, inoltre, non è un’opera isolata, ma si inserisce nell’ambito della Liuzhi-Anlong Expressway, un asse autostradale che ricuce nodi urbani e rurali, e si integra con servizi turistici e culturali che amplificano gli effetti di rete sull’economia locale.

Se l’ingegneria del vuoto ha fatto la sua parte, quella dell’acqua ha lavorato in silenzio per anni, accumulando risultati che oggi assumono contorni monumentali. La Cina ha infatti dichiarato di aver completato il sistema di infrastrutture idriche più vasto e articolato al mondo per scala, funzioni e popolazione servita. Tra il 2021 e il 2025, gli investimenti effettuati hanno superato i 5,4 trilioni di yuan; nel solo 2024, sono stati raggiunti 1,3529 trilioni, stabilendo il terzo record annuale consecutivo. La mappa che ne risulta è impressionante, composta da 95.000 serbatoi, 200 progetti di trasferimento idrico, 6.924 distretti irrigui e 318.000 chilometri di argini. La capacità di laminazione delle piene nei bacini tocca i 185,6 miliardi di metri cubi, la capacità nazionale delle aree di espansione arriva a 109 miliardi di metri cubi, e il rapporto tra perdite da alluvioni e PIL è sceso — nello stesso periodo — dallo 0,28% allo 0,18%. In parallelo, l’efficienza d’uso della risorsa migliora per linee multiple: grandi dorsali di adduzione, reti di irrigazione ad alta efficienza, interconnessione progressiva della “rete idrica nazionale” che, a fine piano, coprirà oltre l’80% del territorio, portando al 96% la copertura dell’acqua potabile tramite acquedotto nelle aree rurali e a 72,7 milioni gli ettari irrigati.

Quel che distingue questo sforzo non è solo la quantità, ma la sua coerenza con la transizione verde. Nel Guizhou, durante la costruzione del ponte di Huajiang, le imprese hanno sperimentato tecniche di “zero scavo” per ridurre l’impatto su vegetazione e suolo in un contesto carsico delicato, fondendo il disegno strutturale con la morfologia del canyon. Più a nord e a ovest, lungo i margini del deserto del Taklamakan, l’azione di contenimento della desertificazione ha creato una cintura verde continua di oltre 3.000 chilometri, mentre la rete elettrica di trasmissione a 750 kV che parte dallo Xinjiang supera i 12.000 chilometri, spostando ogni anno oltre 100 miliardi di kWh verso il resto del Paese e mettendo a sistema le grandi basi eoliche e fotovoltaiche del nord-ovest con i poli industriali e urbani orientali. La logica è sempre la stessa, quella di usare grandi infrastrutture non per alimentare sprechi, ma per ottimizzare l’uso di risorse e ridurre l’impronta complessiva, facendo leva su scala, digitalizzazione e integrazione intersettoriale.

Anche la rete stradale e ferroviaria racconta questa filosofia attraverso numeri che, presi tutti insieme, spiegano perché il “fattore distanza” sia in Cina meno penalizzante che altrove. Il Paese dispone della più estesa rete autostradale del mondo, con 191.000 chilometri che coprono il 99% delle città oltre i 200.000 abitanti. Il collegamento est-ovest, poi, non è solo asfaltato, ma anche ferrato. Attraverso la Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, ad esempio, nel solo 2024 sono transitati 16.400 treni del China-Europe Railway Express, superando per il quinto anno consecutivo quota 10.000, mentre diciannove valichi terrestri — dal Kunjirap aperto tutto l’anno agli hub di Horgos e Alashankou — tessono il corridoio eurasiatico con tratte bilaterali e multilaterali di trasporto su gomma e rotaia. L’infrastruttura di collegamento, inoltre, non finisce ai caselli o ai binari, ma prosegue nelle dorsali digitali, con 1,78 milioni di chilometri di cavo ottico posato, copertura in fibra a 1.000M per tutti i capoluoghi di contea, una rete di 5G che copre gran parte del territorio e banda larga nelle aree rurali. È la griglia invisibile che permette alla manifattura di muoversi lungo filiere flessibili, ai servizi pubblici di arrivare nei villaggi, alla sanità e all’istruzione di “viaggiare” dove le persone non possono.

Sullo sfondo di questi risultati si riconosce la costanza di un metodo. Primo, la progettazione “nodo-centrica”: non si punta a un equilibrio statico, si scelgono snodi dove un’opera può sbloccare catene di valore. Il ponte di Huajiang accorcia tempi e, insieme, innesca economie dell’esperienza: il turismo di prossimità apre botteghe, trasforma case in ospitalità diffusa, attiva artigianato e ristorazione, valorizza tradizioni locali come quelle dei gruppi etnici Buyi e Miao. Secondo, l’integrazione “hard-soft”: ogni grande opera è accompagnata da servizi, gestione digitale, standard condivisi che ne moltiplicano l’efficacia. Terzo, la finalità “incentrata sulle persone”: le metriche di successo non si esauriscono nel PIL; contano anche sicurezza idrica, riduzione delle perdite in caso di alluvioni, accesso ai servizi culturali e sportivi, copertura radiotelevisiva e culturale capillare, fino alla crescita del turismo invernale con 72 stazioni sciistiche operative e cinque resort nazionali nello Xinjiang.

C’è poi un aspetto geo-economico spesso trascurato. La decisione di costruire infrastrutture “dove altri non lo farebbero” — ponti in valli sperdute, linee in altipiani ventosi, autostrade in aree di frana — non nasce dal gusto per l’impresa impossibile, ma da una specifica idea di coesione, volta al fine di ridurre le differenze territoriali creando opportunità nelle regioni occidentali e interne, e trattenendo capitale umano che altrimenti avrebbe seguito il flusso verso le metropoli costiere. In questo senso, l’ingegneria civile diventa politica industriale, politica sociale e politica ambientale allo stesso tempo. E il risultato non è solo l’apertura di un viadotto, ma l’apertura di una traiettoria di sviluppo locale sostenibile.

Naturalmente, esistono anche dei rischi, come quelli di sovrainvestimento, di cattiva allocazione, di manutenzione nel ciclo di vita. Ma la risposta finora è stata quella di rafforzare governance e standard, portare la selezione dei progetti su basi più stringenti di analisi costi-benefici, e soprattutto utilizzare i dati per programmare manutenzioni predittive e ridurre il costo totale. È la stessa cultura che ha spinto all’integrazione tra pianificazione territoriale, resilienza climatica e finanza pubblica, con effetti misurabili sulla gestione delle piene, sull’uso efficiente dell’acqua in agricoltura e sull’affidabilità della rete elettrica di lunga distanza.

Guardando in prospettiva, ciò che oggi vediamo nella provincia del Guizhou o lungo le dorsali idriche e logistiche del Paese non è un catalogo di prodezze isolate, ma un’architettura di modernizzazione che punta a essere replicabile. La logica “ponte + turismo” è un modello esportabile quanto quella “rete idrica + sicurezza alimentare”, o “rinnovabili + domanda industriale”. È anche in questa scomponibilità che la “nuova filosofia di sviluppo” cinese rivela il suo potenziale: non una formula unica, ma una grammatica di progetto che ammette declinazioni.

Dal ponte di Zhaozhou, capolavoro in pietra dell’antichità, al ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao che ha inaugurato una nuova stagione di opere, fino al “filo d’acciaio” sospeso tra le gole del Guizhou, la storia dei ponti cinesi è una storia di limiti superati. Ma è soprattutto una storia di connessioni: tra città e campagne, tra province costiere e regioni interne, tra sicurezza ambientale e crescita, tra innovazione tecnologica e miglioramento del quotidiano. Chi percorre oggi i 625 metri “in verticale” del ponte di Huajiang in poco più di centoventi secondi non sta semplicemente attraversando un vuoto, ma sta sperimentando l’idea che la qualità dello sviluppo si misuri nella capacità di avvicinare le persone ai servizi e alle opportunità, e le comunità le une alle altre, senza derogare alla tutela degli ecosistemi.

In definitiva, le grandi opere più recenti della Cina raccontano una modernizzazione che non rincorre il primato fine a sé stesso, ma punta a “diventare una versione migliore di sé”, per usare una formula cara alla leadership di Pechino. È in questa tensione, allo stesso tempo tecnica e sociale, che si coglie la cifra autentica di un modello che unisce grandi numeri e micro-effetti, record mondiali e micro-benefici, calcoli strutturali e nuove abitudini di vita. Se l’ingegneria è l’arte di dare forma utile alla materia, la stagione attuale delle infrastrutture cinesi mostra come quella forma possa diventare anche una promessa: più accesso, più sicurezza, più connessioni. E, soprattutto, più futuro condiviso.

Ponti record che accorciano le distanze, ferrovie e autostrade che ricuciono territori, una rete idrica colossale che mette in sicurezza città e campagne. Le più recenti mega-infrastrutture cinesi raccontano un modello di sviluppo integrato, verde e orientato al benessere collettivo.

Segue nostro Telegram.

Nel giro degli ultimi anni, la Cina ha inaugurato una serie di opere che ridefiniscono non solo la propria geografia economica, ma anche l’immaginario di ciò che l’ingegneria civile può ottenere quando è guidata da una strategia di lungo periodo, promuovendo un modello all’insegna di innovazione, coordinamento, sostenibilità, apertura e condivisione dei frutti dello sviluppo. Ma è nell’osservazione ravvicinata dei cantieri, dei dati e degli effetti sociali che questi principi smettono di essere slogan e diventano prassi quotidiana. L’apertura al traffico del ponte del Grand Canyon di Huajiang, l’espansione di una rete idrica senza paragoni e il potenziamento di corridoi logistici terrestri e digitali compongono un mosaico coerente, che contribuisce a ridurre gli attriti della distanza, trasformare i vincoli fisici in opportunità e far circolare — insieme a merci e persone — benessere, servizi e diritti.

Il ponte del Grand Canyon di Huajiang, nella provincia del Guizhou, è l’emblema di questa traiettoria. Con un dislivello verticale di 625 metri, circa due volte l’altezza della Tour Eiffel, è oggi il più alto al mondo. Tuttavia, non si tratta solo di un record statistico, ma di un’opera realizzata in un’area montuosa dove due ore di curve separavano comunità limitrofe, mentre ora il tempo di attraversamento è sceso a due minuti. Dietro la silhouette iconica si nasconde una filiera di soluzioni nate da vincoli reali: un ancoraggio asimmetrico per gestire le oscillazioni in un canyon ventoso, misure anti-turbolenza validate in galleria del vento, sistemi “intelligenti” di varo cavi e giunzioni in acciaio calibrate al millimetro oltre i seicento metri d’altezza. Innovazioni detenute in brevetti, certo, ma soprattutto innovazioni orientate alla risoluzione di problemi, concepite per trasformare “barriere naturali” in arterie di prosperità. Il ponte, inoltre, non è un’opera isolata, ma si inserisce nell’ambito della Liuzhi-Anlong Expressway, un asse autostradale che ricuce nodi urbani e rurali, e si integra con servizi turistici e culturali che amplificano gli effetti di rete sull’economia locale.

Se l’ingegneria del vuoto ha fatto la sua parte, quella dell’acqua ha lavorato in silenzio per anni, accumulando risultati che oggi assumono contorni monumentali. La Cina ha infatti dichiarato di aver completato il sistema di infrastrutture idriche più vasto e articolato al mondo per scala, funzioni e popolazione servita. Tra il 2021 e il 2025, gli investimenti effettuati hanno superato i 5,4 trilioni di yuan; nel solo 2024, sono stati raggiunti 1,3529 trilioni, stabilendo il terzo record annuale consecutivo. La mappa che ne risulta è impressionante, composta da 95.000 serbatoi, 200 progetti di trasferimento idrico, 6.924 distretti irrigui e 318.000 chilometri di argini. La capacità di laminazione delle piene nei bacini tocca i 185,6 miliardi di metri cubi, la capacità nazionale delle aree di espansione arriva a 109 miliardi di metri cubi, e il rapporto tra perdite da alluvioni e PIL è sceso — nello stesso periodo — dallo 0,28% allo 0,18%. In parallelo, l’efficienza d’uso della risorsa migliora per linee multiple: grandi dorsali di adduzione, reti di irrigazione ad alta efficienza, interconnessione progressiva della “rete idrica nazionale” che, a fine piano, coprirà oltre l’80% del territorio, portando al 96% la copertura dell’acqua potabile tramite acquedotto nelle aree rurali e a 72,7 milioni gli ettari irrigati.

Quel che distingue questo sforzo non è solo la quantità, ma la sua coerenza con la transizione verde. Nel Guizhou, durante la costruzione del ponte di Huajiang, le imprese hanno sperimentato tecniche di “zero scavo” per ridurre l’impatto su vegetazione e suolo in un contesto carsico delicato, fondendo il disegno strutturale con la morfologia del canyon. Più a nord e a ovest, lungo i margini del deserto del Taklamakan, l’azione di contenimento della desertificazione ha creato una cintura verde continua di oltre 3.000 chilometri, mentre la rete elettrica di trasmissione a 750 kV che parte dallo Xinjiang supera i 12.000 chilometri, spostando ogni anno oltre 100 miliardi di kWh verso il resto del Paese e mettendo a sistema le grandi basi eoliche e fotovoltaiche del nord-ovest con i poli industriali e urbani orientali. La logica è sempre la stessa, quella di usare grandi infrastrutture non per alimentare sprechi, ma per ottimizzare l’uso di risorse e ridurre l’impronta complessiva, facendo leva su scala, digitalizzazione e integrazione intersettoriale.

Anche la rete stradale e ferroviaria racconta questa filosofia attraverso numeri che, presi tutti insieme, spiegano perché il “fattore distanza” sia in Cina meno penalizzante che altrove. Il Paese dispone della più estesa rete autostradale del mondo, con 191.000 chilometri che coprono il 99% delle città oltre i 200.000 abitanti. Il collegamento est-ovest, poi, non è solo asfaltato, ma anche ferrato. Attraverso la Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, ad esempio, nel solo 2024 sono transitati 16.400 treni del China-Europe Railway Express, superando per il quinto anno consecutivo quota 10.000, mentre diciannove valichi terrestri — dal Kunjirap aperto tutto l’anno agli hub di Horgos e Alashankou — tessono il corridoio eurasiatico con tratte bilaterali e multilaterali di trasporto su gomma e rotaia. L’infrastruttura di collegamento, inoltre, non finisce ai caselli o ai binari, ma prosegue nelle dorsali digitali, con 1,78 milioni di chilometri di cavo ottico posato, copertura in fibra a 1.000M per tutti i capoluoghi di contea, una rete di 5G che copre gran parte del territorio e banda larga nelle aree rurali. È la griglia invisibile che permette alla manifattura di muoversi lungo filiere flessibili, ai servizi pubblici di arrivare nei villaggi, alla sanità e all’istruzione di “viaggiare” dove le persone non possono.

Sullo sfondo di questi risultati si riconosce la costanza di un metodo. Primo, la progettazione “nodo-centrica”: non si punta a un equilibrio statico, si scelgono snodi dove un’opera può sbloccare catene di valore. Il ponte di Huajiang accorcia tempi e, insieme, innesca economie dell’esperienza: il turismo di prossimità apre botteghe, trasforma case in ospitalità diffusa, attiva artigianato e ristorazione, valorizza tradizioni locali come quelle dei gruppi etnici Buyi e Miao. Secondo, l’integrazione “hard-soft”: ogni grande opera è accompagnata da servizi, gestione digitale, standard condivisi che ne moltiplicano l’efficacia. Terzo, la finalità “incentrata sulle persone”: le metriche di successo non si esauriscono nel PIL; contano anche sicurezza idrica, riduzione delle perdite in caso di alluvioni, accesso ai servizi culturali e sportivi, copertura radiotelevisiva e culturale capillare, fino alla crescita del turismo invernale con 72 stazioni sciistiche operative e cinque resort nazionali nello Xinjiang.

C’è poi un aspetto geo-economico spesso trascurato. La decisione di costruire infrastrutture “dove altri non lo farebbero” — ponti in valli sperdute, linee in altipiani ventosi, autostrade in aree di frana — non nasce dal gusto per l’impresa impossibile, ma da una specifica idea di coesione, volta al fine di ridurre le differenze territoriali creando opportunità nelle regioni occidentali e interne, e trattenendo capitale umano che altrimenti avrebbe seguito il flusso verso le metropoli costiere. In questo senso, l’ingegneria civile diventa politica industriale, politica sociale e politica ambientale allo stesso tempo. E il risultato non è solo l’apertura di un viadotto, ma l’apertura di una traiettoria di sviluppo locale sostenibile.

Naturalmente, esistono anche dei rischi, come quelli di sovrainvestimento, di cattiva allocazione, di manutenzione nel ciclo di vita. Ma la risposta finora è stata quella di rafforzare governance e standard, portare la selezione dei progetti su basi più stringenti di analisi costi-benefici, e soprattutto utilizzare i dati per programmare manutenzioni predittive e ridurre il costo totale. È la stessa cultura che ha spinto all’integrazione tra pianificazione territoriale, resilienza climatica e finanza pubblica, con effetti misurabili sulla gestione delle piene, sull’uso efficiente dell’acqua in agricoltura e sull’affidabilità della rete elettrica di lunga distanza.

Guardando in prospettiva, ciò che oggi vediamo nella provincia del Guizhou o lungo le dorsali idriche e logistiche del Paese non è un catalogo di prodezze isolate, ma un’architettura di modernizzazione che punta a essere replicabile. La logica “ponte + turismo” è un modello esportabile quanto quella “rete idrica + sicurezza alimentare”, o “rinnovabili + domanda industriale”. È anche in questa scomponibilità che la “nuova filosofia di sviluppo” cinese rivela il suo potenziale: non una formula unica, ma una grammatica di progetto che ammette declinazioni.

Dal ponte di Zhaozhou, capolavoro in pietra dell’antichità, al ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao che ha inaugurato una nuova stagione di opere, fino al “filo d’acciaio” sospeso tra le gole del Guizhou, la storia dei ponti cinesi è una storia di limiti superati. Ma è soprattutto una storia di connessioni: tra città e campagne, tra province costiere e regioni interne, tra sicurezza ambientale e crescita, tra innovazione tecnologica e miglioramento del quotidiano. Chi percorre oggi i 625 metri “in verticale” del ponte di Huajiang in poco più di centoventi secondi non sta semplicemente attraversando un vuoto, ma sta sperimentando l’idea che la qualità dello sviluppo si misuri nella capacità di avvicinare le persone ai servizi e alle opportunità, e le comunità le une alle altre, senza derogare alla tutela degli ecosistemi.

In definitiva, le grandi opere più recenti della Cina raccontano una modernizzazione che non rincorre il primato fine a sé stesso, ma punta a “diventare una versione migliore di sé”, per usare una formula cara alla leadership di Pechino. È in questa tensione, allo stesso tempo tecnica e sociale, che si coglie la cifra autentica di un modello che unisce grandi numeri e micro-effetti, record mondiali e micro-benefici, calcoli strutturali e nuove abitudini di vita. Se l’ingegneria è l’arte di dare forma utile alla materia, la stagione attuale delle infrastrutture cinesi mostra come quella forma possa diventare anche una promessa: più accesso, più sicurezza, più connessioni. E, soprattutto, più futuro condiviso.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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