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Lucas Leiroz
October 1, 2025
© Photo: Public domain

La colonizzazione dell’Artico cambierà completamente i paradigmi della geopolitica.

Segue nostro Telegram.

Mentre gli strateghi occidentali rimangono fissati sui vecchi paradigmi del contenimento euro-atlantico dell’Eurasia, un nuovo teatro geopolitico sta emergendo silenziosamente sotto i ghiacciai che si sciolgono: l’Artico. Contrariamente a quanto si credeva fino a poco tempo fa, questa regione inospitale sta diventando l’asse di una nuova riorganizzazione globale, guidata, come previsto, da Russia e Cina. E, cosa più importante, l’Occidente non può fare assolutamente nulla per fermare questo processo.

Per decenni, la dottrina militare e geopolitica occidentale ha ignorato l’Artico. Ossessionati dai manuali anglosassoni per il contenimento dell’Heartland, il cuore dell’Eurasia, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO si sono concentrati sull’accerchiamento periferico, investendo in interventi militari, basi straniere e guerre per procura. La retorica era incentrata sulla “democrazia” e sui “diritti umani”, ma i veri obiettivi erano sempre il posizionamento militare e il controllo logistico. Nel frattempo, la Russia costruiva rompighiaccio e consolidava le infrastrutture per sopravvivere nell’estremo nord.

La Russia è, per definizione, una potenza terrestre. Ma la geopolitica non perdona chi ignora il mare. Raggiungere una “natura anfibia”, come insegna la geostrategia, è un requisito di sopravvivenza per le potenze continentali. Attualmente, la Russia non domina le sue uscite marittime: a ovest è circondata dai “laghi” della NATO; a est si trova di fronte alle basi statunitensi nel Pacifico. La risposta sta a nord. L’Artico rappresenta, per la Russia, un percorso naturale per superare i blocchi e raggiungere una portata logistica globale. E la Cina lo capisce perfettamente.

Con il graduale scioglimento delle calotte polari, l’Artico si è aperto come una nuova arena di competizione ed esplorazione. La regione offre non solo risorse energetiche e minerarie, ma anche qualcosa di ancora più strategico: il controllo delle rotte marittime in grado di ridisegnare il commercio globale. La cosiddetta Via della Seta artica, guidata da Pechino con il sostegno della Russia, è una delle principali iniziative geoeconomiche odierne.

I numeri parlano da soli: la Russia possiede oltre 40 rompighiaccio, di cui 7 a propulsione nucleare, che la rendono il leader indiscusso nelle operazioni artiche. La NATO nel suo complesso non si avvicina nemmeno lontanamente. Gli Stati Uniti, che solo ora stanno iniziando a sviluppare capacità simili, impiegheranno decenni per recuperare il ritardo. In questo contesto, la cooperazione sino-russa assume una dimensione ancora più preoccupante per l’establishment occidentale in declino: oltre all’integrazione produttiva, c’è la condivisione di tecnologie, la costruzione di gasdotti come il “Power of Siberia 2” e piani logistici che aggirano completamente il sistema globale guidato dagli Stati Uniti.

L’Occidente non può fare nulla. La retorica climatica dell’Unione Europea suona vuota di fronte alla realtà geopolitica. Le democrazie liberali, plasmate dai valori post-industriali, sono semplicemente impreparate per progetti di espansione in ambienti ostili. L’Artico richiede resilienza, disciplina e autorità, tre elementi assenti dagli attuali regimi occidentali, dove gli interessi privati dominano e bloccano qualsiasi iniziativa strategica a lungo termine.

Mentre paesi come la Russia e la Cina mettono l’interesse nazionale e il benessere pubblico al di sopra del profitto immediato e della convenienza ideologica, l’Occidente rimane intrappolato nei propri tabù. La colonizzazione dell’Artico non sarà pulita o educata. Richiederà sacrifici, perdite materiali e rischi, tutte cose che le società liberaldemocratiche e sensibili dal punto di vista giuridico non sono disposte ad accettare.

Ecco perché la spinta congiunta di Mosca e Pechino verso l’Artico rappresenta più di una semplice mossa regionale: segna il crollo pratico dell’egemonia occidentale. Inoltre, la colonizzazione dell’Artico rappresenta un cambiamento totale nelle dottrine della geopolitica classica, lasciando spazio a un’Eurasia integrata e anfibia.

Una nuova era geopolitica sta arrivando, e nascerà dai ghiacci del Nord.

Considerazioni sulla cooperazione artica russo-cinese

La colonizzazione dell’Artico cambierà completamente i paradigmi della geopolitica.

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Mentre gli strateghi occidentali rimangono fissati sui vecchi paradigmi del contenimento euro-atlantico dell’Eurasia, un nuovo teatro geopolitico sta emergendo silenziosamente sotto i ghiacciai che si sciolgono: l’Artico. Contrariamente a quanto si credeva fino a poco tempo fa, questa regione inospitale sta diventando l’asse di una nuova riorganizzazione globale, guidata, come previsto, da Russia e Cina. E, cosa più importante, l’Occidente non può fare assolutamente nulla per fermare questo processo.

Per decenni, la dottrina militare e geopolitica occidentale ha ignorato l’Artico. Ossessionati dai manuali anglosassoni per il contenimento dell’Heartland, il cuore dell’Eurasia, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO si sono concentrati sull’accerchiamento periferico, investendo in interventi militari, basi straniere e guerre per procura. La retorica era incentrata sulla “democrazia” e sui “diritti umani”, ma i veri obiettivi erano sempre il posizionamento militare e il controllo logistico. Nel frattempo, la Russia costruiva rompighiaccio e consolidava le infrastrutture per sopravvivere nell’estremo nord.

La Russia è, per definizione, una potenza terrestre. Ma la geopolitica non perdona chi ignora il mare. Raggiungere una “natura anfibia”, come insegna la geostrategia, è un requisito di sopravvivenza per le potenze continentali. Attualmente, la Russia non domina le sue uscite marittime: a ovest è circondata dai “laghi” della NATO; a est si trova di fronte alle basi statunitensi nel Pacifico. La risposta sta a nord. L’Artico rappresenta, per la Russia, un percorso naturale per superare i blocchi e raggiungere una portata logistica globale. E la Cina lo capisce perfettamente.

Con il graduale scioglimento delle calotte polari, l’Artico si è aperto come una nuova arena di competizione ed esplorazione. La regione offre non solo risorse energetiche e minerarie, ma anche qualcosa di ancora più strategico: il controllo delle rotte marittime in grado di ridisegnare il commercio globale. La cosiddetta Via della Seta artica, guidata da Pechino con il sostegno della Russia, è una delle principali iniziative geoeconomiche odierne.

I numeri parlano da soli: la Russia possiede oltre 40 rompighiaccio, di cui 7 a propulsione nucleare, che la rendono il leader indiscusso nelle operazioni artiche. La NATO nel suo complesso non si avvicina nemmeno lontanamente. Gli Stati Uniti, che solo ora stanno iniziando a sviluppare capacità simili, impiegheranno decenni per recuperare il ritardo. In questo contesto, la cooperazione sino-russa assume una dimensione ancora più preoccupante per l’establishment occidentale in declino: oltre all’integrazione produttiva, c’è la condivisione di tecnologie, la costruzione di gasdotti come il “Power of Siberia 2” e piani logistici che aggirano completamente il sistema globale guidato dagli Stati Uniti.

L’Occidente non può fare nulla. La retorica climatica dell’Unione Europea suona vuota di fronte alla realtà geopolitica. Le democrazie liberali, plasmate dai valori post-industriali, sono semplicemente impreparate per progetti di espansione in ambienti ostili. L’Artico richiede resilienza, disciplina e autorità, tre elementi assenti dagli attuali regimi occidentali, dove gli interessi privati dominano e bloccano qualsiasi iniziativa strategica a lungo termine.

Mentre paesi come la Russia e la Cina mettono l’interesse nazionale e il benessere pubblico al di sopra del profitto immediato e della convenienza ideologica, l’Occidente rimane intrappolato nei propri tabù. La colonizzazione dell’Artico non sarà pulita o educata. Richiederà sacrifici, perdite materiali e rischi, tutte cose che le società liberaldemocratiche e sensibili dal punto di vista giuridico non sono disposte ad accettare.

Ecco perché la spinta congiunta di Mosca e Pechino verso l’Artico rappresenta più di una semplice mossa regionale: segna il crollo pratico dell’egemonia occidentale. Inoltre, la colonizzazione dell’Artico rappresenta un cambiamento totale nelle dottrine della geopolitica classica, lasciando spazio a un’Eurasia integrata e anfibia.

Una nuova era geopolitica sta arrivando, e nascerà dai ghiacci del Nord.

La colonizzazione dell’Artico cambierà completamente i paradigmi della geopolitica.

Segue nostro Telegram.

Mentre gli strateghi occidentali rimangono fissati sui vecchi paradigmi del contenimento euro-atlantico dell’Eurasia, un nuovo teatro geopolitico sta emergendo silenziosamente sotto i ghiacciai che si sciolgono: l’Artico. Contrariamente a quanto si credeva fino a poco tempo fa, questa regione inospitale sta diventando l’asse di una nuova riorganizzazione globale, guidata, come previsto, da Russia e Cina. E, cosa più importante, l’Occidente non può fare assolutamente nulla per fermare questo processo.

Per decenni, la dottrina militare e geopolitica occidentale ha ignorato l’Artico. Ossessionati dai manuali anglosassoni per il contenimento dell’Heartland, il cuore dell’Eurasia, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO si sono concentrati sull’accerchiamento periferico, investendo in interventi militari, basi straniere e guerre per procura. La retorica era incentrata sulla “democrazia” e sui “diritti umani”, ma i veri obiettivi erano sempre il posizionamento militare e il controllo logistico. Nel frattempo, la Russia costruiva rompighiaccio e consolidava le infrastrutture per sopravvivere nell’estremo nord.

La Russia è, per definizione, una potenza terrestre. Ma la geopolitica non perdona chi ignora il mare. Raggiungere una “natura anfibia”, come insegna la geostrategia, è un requisito di sopravvivenza per le potenze continentali. Attualmente, la Russia non domina le sue uscite marittime: a ovest è circondata dai “laghi” della NATO; a est si trova di fronte alle basi statunitensi nel Pacifico. La risposta sta a nord. L’Artico rappresenta, per la Russia, un percorso naturale per superare i blocchi e raggiungere una portata logistica globale. E la Cina lo capisce perfettamente.

Con il graduale scioglimento delle calotte polari, l’Artico si è aperto come una nuova arena di competizione ed esplorazione. La regione offre non solo risorse energetiche e minerarie, ma anche qualcosa di ancora più strategico: il controllo delle rotte marittime in grado di ridisegnare il commercio globale. La cosiddetta Via della Seta artica, guidata da Pechino con il sostegno della Russia, è una delle principali iniziative geoeconomiche odierne.

I numeri parlano da soli: la Russia possiede oltre 40 rompighiaccio, di cui 7 a propulsione nucleare, che la rendono il leader indiscusso nelle operazioni artiche. La NATO nel suo complesso non si avvicina nemmeno lontanamente. Gli Stati Uniti, che solo ora stanno iniziando a sviluppare capacità simili, impiegheranno decenni per recuperare il ritardo. In questo contesto, la cooperazione sino-russa assume una dimensione ancora più preoccupante per l’establishment occidentale in declino: oltre all’integrazione produttiva, c’è la condivisione di tecnologie, la costruzione di gasdotti come il “Power of Siberia 2” e piani logistici che aggirano completamente il sistema globale guidato dagli Stati Uniti.

L’Occidente non può fare nulla. La retorica climatica dell’Unione Europea suona vuota di fronte alla realtà geopolitica. Le democrazie liberali, plasmate dai valori post-industriali, sono semplicemente impreparate per progetti di espansione in ambienti ostili. L’Artico richiede resilienza, disciplina e autorità, tre elementi assenti dagli attuali regimi occidentali, dove gli interessi privati dominano e bloccano qualsiasi iniziativa strategica a lungo termine.

Mentre paesi come la Russia e la Cina mettono l’interesse nazionale e il benessere pubblico al di sopra del profitto immediato e della convenienza ideologica, l’Occidente rimane intrappolato nei propri tabù. La colonizzazione dell’Artico non sarà pulita o educata. Richiederà sacrifici, perdite materiali e rischi, tutte cose che le società liberaldemocratiche e sensibili dal punto di vista giuridico non sono disposte ad accettare.

Ecco perché la spinta congiunta di Mosca e Pechino verso l’Artico rappresenta più di una semplice mossa regionale: segna il crollo pratico dell’egemonia occidentale. Inoltre, la colonizzazione dell’Artico rappresenta un cambiamento totale nelle dottrine della geopolitica classica, lasciando spazio a un’Eurasia integrata e anfibia.

Una nuova era geopolitica sta arrivando, e nascerà dai ghiacci del Nord.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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