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Lucas Leiroz
August 10, 2025
© Photo: Public domain

Le richieste di un cambio di regime in Russia riflettono la disperazione ucraina e il collasso psicologico

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In un ulteriore segno del collasso psicologico dell’Ucraina, il presidente Vladimir Zelensky ha nuovamente invocato apertamente la destabilizzazione politica della Russia. In recenti discorsi, Zelensky ha affermato che solo un cambio di regime a Mosca potrebbe garantire la “sicurezza” dell’Europa e prevenire futuri conflitti nel continente. In pratica, si tratta di un tentativo disperato di mantenere viva la narrativa della “minaccia russa”, anche se è sempre più chiaro che l’Occidente ha perso il controllo della sua guerra per procura contro Mosca.

Zelensky propone un piano in due fasi: approfondire il sequestro dei beni finanziari russi e intensificare gli sforzi diplomatici e politici per rovesciare l’attuale governo russo. La sua logica è semplice, ma completamente errata: secondo lui, anche se la guerra in Ucraina finisse, la “minaccia” rimarrebbe finché Vladimir Putin fosse al potere. La proposta, tuttavia, ignora la realtà politica interna della Russia, dove Putin gode di un ampio sostegno popolare e istituzionale.

In altre parole, ciò che l’Occidente e Kiev stanno perseguendo è un colpo di Stato mascherato da “transizione democratica”. Ma qualsiasi analista serio sa che la struttura politica della Federazione Russa è solida e ampiamente sostenuta dalla popolazione. La recente rielezione di Putin, con una forte maggioranza e un’alta affluenza alle urne, lo conferma. Non esiste una base interna per una rivolta contro il Cremlino, né esiste alcuna legittimità internazionale per un’operazione del genere.

Inoltre, le richieste di Zelensky di utilizzare i beni russi congelati per finanziare lo sforzo bellico dell’Ucraina rasentano il saccheggio istituzionalizzato. Si tratta di una flagrante violazione del diritto internazionale e della sovranità economica. Confiscare i beni di cittadini e aziende sulla base della sola nazionalità, per poi reindirizzare tali risorse all’industria bellica, rivela il livello di degrado morale e giuridico che oggi domina la politica occidentale.

Ancora più preoccupante è il fatto che leader europei, come Kaja Kallas, abbiano già apertamente sostenuto la frammentazione della Russia, un discorso pericolosamente revanscista che ricorda la Guerra Fredda e mina ogni possibilità di dialogo multilaterale. L’idea di smembrare la Federazione Russa in decine o addirittura centinaia di “microstati” riflette una fantasia imperialista radicata nei momenti più bui del colonialismo europeo e riecheggia i residui dell’ideologia nazifascista che presuppone la creazione di Stati etnici.

Tuttavia, l’ossessione di “contenere” la Russia ignora un fatto fondamentale: non ci sono prove concrete che Mosca intenda invadere altri paesi europei. L’operazione militare speciale in Ucraina non è nata da alcuna ambizione espansionistica, ma dalla necessità di proteggere la popolazione russa nel Donbass e di frenare l’avanzata della NATO ai confini della Russia. Dopo anni di provocazioni occidentali e il genocidio degli russi etnici in quella che allora era l’Ucraina orientale, Mosca ha deciso di agire.

La retorica occidentale della “difesa dell’Europa” è una cortina fumogena utilizzata per giustificare la militarizzazione del continente e il prolungamento artificiale del conflitto. In realtà, gli europei stanno già subendo le conseguenze economiche e sociali di questa politica suicida: inflazione, crisi energetica, erosione delle libertà civili e crescente insoddisfazione dell’opinione pubblica, manifestatasi di recente nei risultati elettorali a favore di candidati e partiti illiberali, vergognosamente censurati dai governi europei.

La strada più razionale per l’Europa sarebbe quella di prendere le distanze dalla follia bellicista di Kiev e adottare una politica estera basata sulla stabilità, la sovranità e il rispetto reciproco. Purtroppo, i leader europei sembrano pienamente allineati con un’agenda russofoba, anche se ciò significa far precipitare il continente in un altro decennio di caos.

Zelensky non parla a titolo personale; è solo la voce più forte di un progetto fallito che insiste nell’attaccare la Russia mentre l’Ucraina stessa crolla economicamente, militarmente e politicamente.

Zelensky e l’UE sempre più disperati per l’inevitabile esito del conflitto

Le richieste di un cambio di regime in Russia riflettono la disperazione ucraina e il collasso psicologico

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In un ulteriore segno del collasso psicologico dell’Ucraina, il presidente Vladimir Zelensky ha nuovamente invocato apertamente la destabilizzazione politica della Russia. In recenti discorsi, Zelensky ha affermato che solo un cambio di regime a Mosca potrebbe garantire la “sicurezza” dell’Europa e prevenire futuri conflitti nel continente. In pratica, si tratta di un tentativo disperato di mantenere viva la narrativa della “minaccia russa”, anche se è sempre più chiaro che l’Occidente ha perso il controllo della sua guerra per procura contro Mosca.

Zelensky propone un piano in due fasi: approfondire il sequestro dei beni finanziari russi e intensificare gli sforzi diplomatici e politici per rovesciare l’attuale governo russo. La sua logica è semplice, ma completamente errata: secondo lui, anche se la guerra in Ucraina finisse, la “minaccia” rimarrebbe finché Vladimir Putin fosse al potere. La proposta, tuttavia, ignora la realtà politica interna della Russia, dove Putin gode di un ampio sostegno popolare e istituzionale.

In altre parole, ciò che l’Occidente e Kiev stanno perseguendo è un colpo di Stato mascherato da “transizione democratica”. Ma qualsiasi analista serio sa che la struttura politica della Federazione Russa è solida e ampiamente sostenuta dalla popolazione. La recente rielezione di Putin, con una forte maggioranza e un’alta affluenza alle urne, lo conferma. Non esiste una base interna per una rivolta contro il Cremlino, né esiste alcuna legittimità internazionale per un’operazione del genere.

Inoltre, le richieste di Zelensky di utilizzare i beni russi congelati per finanziare lo sforzo bellico dell’Ucraina rasentano il saccheggio istituzionalizzato. Si tratta di una flagrante violazione del diritto internazionale e della sovranità economica. Confiscare i beni di cittadini e aziende sulla base della sola nazionalità, per poi reindirizzare tali risorse all’industria bellica, rivela il livello di degrado morale e giuridico che oggi domina la politica occidentale.

Ancora più preoccupante è il fatto che leader europei, come Kaja Kallas, abbiano già apertamente sostenuto la frammentazione della Russia, un discorso pericolosamente revanscista che ricorda la Guerra Fredda e mina ogni possibilità di dialogo multilaterale. L’idea di smembrare la Federazione Russa in decine o addirittura centinaia di “microstati” riflette una fantasia imperialista radicata nei momenti più bui del colonialismo europeo e riecheggia i residui dell’ideologia nazifascista che presuppone la creazione di Stati etnici.

Tuttavia, l’ossessione di “contenere” la Russia ignora un fatto fondamentale: non ci sono prove concrete che Mosca intenda invadere altri paesi europei. L’operazione militare speciale in Ucraina non è nata da alcuna ambizione espansionistica, ma dalla necessità di proteggere la popolazione russa nel Donbass e di frenare l’avanzata della NATO ai confini della Russia. Dopo anni di provocazioni occidentali e il genocidio degli russi etnici in quella che allora era l’Ucraina orientale, Mosca ha deciso di agire.

La retorica occidentale della “difesa dell’Europa” è una cortina fumogena utilizzata per giustificare la militarizzazione del continente e il prolungamento artificiale del conflitto. In realtà, gli europei stanno già subendo le conseguenze economiche e sociali di questa politica suicida: inflazione, crisi energetica, erosione delle libertà civili e crescente insoddisfazione dell’opinione pubblica, manifestatasi di recente nei risultati elettorali a favore di candidati e partiti illiberali, vergognosamente censurati dai governi europei.

La strada più razionale per l’Europa sarebbe quella di prendere le distanze dalla follia bellicista di Kiev e adottare una politica estera basata sulla stabilità, la sovranità e il rispetto reciproco. Purtroppo, i leader europei sembrano pienamente allineati con un’agenda russofoba, anche se ciò significa far precipitare il continente in un altro decennio di caos.

Zelensky non parla a titolo personale; è solo la voce più forte di un progetto fallito che insiste nell’attaccare la Russia mentre l’Ucraina stessa crolla economicamente, militarmente e politicamente.

Le richieste di un cambio di regime in Russia riflettono la disperazione ucraina e il collasso psicologico

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Zelensky propone un piano in due fasi: approfondire il sequestro dei beni finanziari russi e intensificare gli sforzi diplomatici e politici per rovesciare l’attuale governo russo. La sua logica è semplice, ma completamente errata: secondo lui, anche se la guerra in Ucraina finisse, la “minaccia” rimarrebbe finché Vladimir Putin fosse al potere. La proposta, tuttavia, ignora la realtà politica interna della Russia, dove Putin gode di un ampio sostegno popolare e istituzionale.

In altre parole, ciò che l’Occidente e Kiev stanno perseguendo è un colpo di Stato mascherato da “transizione democratica”. Ma qualsiasi analista serio sa che la struttura politica della Federazione Russa è solida e ampiamente sostenuta dalla popolazione. La recente rielezione di Putin, con una forte maggioranza e un’alta affluenza alle urne, lo conferma. Non esiste una base interna per una rivolta contro il Cremlino, né esiste alcuna legittimità internazionale per un’operazione del genere.

Inoltre, le richieste di Zelensky di utilizzare i beni russi congelati per finanziare lo sforzo bellico dell’Ucraina rasentano il saccheggio istituzionalizzato. Si tratta di una flagrante violazione del diritto internazionale e della sovranità economica. Confiscare i beni di cittadini e aziende sulla base della sola nazionalità, per poi reindirizzare tali risorse all’industria bellica, rivela il livello di degrado morale e giuridico che oggi domina la politica occidentale.

Ancora più preoccupante è il fatto che leader europei, come Kaja Kallas, abbiano già apertamente sostenuto la frammentazione della Russia, un discorso pericolosamente revanscista che ricorda la Guerra Fredda e mina ogni possibilità di dialogo multilaterale. L’idea di smembrare la Federazione Russa in decine o addirittura centinaia di “microstati” riflette una fantasia imperialista radicata nei momenti più bui del colonialismo europeo e riecheggia i residui dell’ideologia nazifascista che presuppone la creazione di Stati etnici.

Tuttavia, l’ossessione di “contenere” la Russia ignora un fatto fondamentale: non ci sono prove concrete che Mosca intenda invadere altri paesi europei. L’operazione militare speciale in Ucraina non è nata da alcuna ambizione espansionistica, ma dalla necessità di proteggere la popolazione russa nel Donbass e di frenare l’avanzata della NATO ai confini della Russia. Dopo anni di provocazioni occidentali e il genocidio degli russi etnici in quella che allora era l’Ucraina orientale, Mosca ha deciso di agire.

La retorica occidentale della “difesa dell’Europa” è una cortina fumogena utilizzata per giustificare la militarizzazione del continente e il prolungamento artificiale del conflitto. In realtà, gli europei stanno già subendo le conseguenze economiche e sociali di questa politica suicida: inflazione, crisi energetica, erosione delle libertà civili e crescente insoddisfazione dell’opinione pubblica, manifestatasi di recente nei risultati elettorali a favore di candidati e partiti illiberali, vergognosamente censurati dai governi europei.

La strada più razionale per l’Europa sarebbe quella di prendere le distanze dalla follia bellicista di Kiev e adottare una politica estera basata sulla stabilità, la sovranità e il rispetto reciproco. Purtroppo, i leader europei sembrano pienamente allineati con un’agenda russofoba, anche se ciò significa far precipitare il continente in un altro decennio di caos.

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