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Lorenzo Maria Pacini
July 21, 2025
© Photo: Public domain

Per Mosca, i benefici economici e strategici superano nettamente i danni causati dal cambiamento climatico

Segue nostro Telegram.

Un chiodo fisso occidentale

Dunque, da dove iniziare? Fra i tanti temi che appestano la stampa occidentale, ce ne è uno che va di moda ormai da decenni e che periodicamente viene alzato nei trend comunicativi: il cambiamento climatico.

Non faremo una trattazione filosofico-politica sull’argomento, mentre ci interessa ragionare sulle ragioni dell’attacco occidentale nei confronti della Russia proprio su questo tema. Perché non si tratta solo di una questione di infowarfare – dove sicuramente l’Occidente collettivo ha interesse a tentare di squalificare la Russia nella sua credibilità internazionale -, ma è qualcosa di più, c’è un interesse occulto. Perché quello del cambiamento climatico è un business come tanti altri.

La Russia riconosce che il cambiamento climatico rappresenta una delle principali sfide globali odierne, andando ben oltre la sfera scientifica per configurarsi come una questione complessa e interdisciplinare che coinvolge aspetti ambientali, economici e sociali legati allo sviluppo sostenibile della Federazione Russa. Le evidenze fornite dalla scienza contemporanea rafforzano l’ipotesi secondo cui le attività economiche umane – in particolare le emissioni di gas serra prodotte dalla combustione dei combustibili fossili – influiscano in maniera significativa sul sistema climatico.

Il cambiamento climatico è un fenomeno articolato, che si manifesta attraverso l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi climatici anomali e condizioni meteorologiche estreme. Vi è un’elevata probabilità che tale processo acceleri nel corso del XXI secolo. Gli effetti previsti avranno conseguenze inevitabili per la vita umana, vegetale e animale su scala globale, e in alcune aree del mondo potrebbero costituire una minaccia concreta al benessere delle popolazioni e alla possibilità di uno sviluppo sostenibile. Questi elementi rendono necessario considerare il cambiamento climatico come una delle principali questioni strategiche a lungo termine per la sicurezza nazionale.

Andiamo in ordine. Nel 2015, la Russia ha firmato l’Accordo di Parigi sul clima, e nel 2019 vi ha aderito formalmente. Secondo quanto dichiarato dal Cremlino, l’obiettivo del Paese è quello di ridurre sensibilmente le emissioni entro il 2030, pur promuovendo uno sviluppo economico sostenibile. Da allora, Mosca ha diffuso diverse dottrine che ribadiscono ambiziosi intenti in materia ambientale. L’aggiornamento del 2023 della dottrina climatica del Cremlino punta alla neutralità carbonica entro il 2060, citando progetti di riduzione delle emissioni e collaborazioni scientifiche internazionali per implementare efficacemente tali misure.

Tuttavia, se da un lato la Russia dichiara di essere sensibile alle tematiche ambientali, le sue azioni sembrano suggerire il contrario. Nonostante firmi accordi e integri politiche climatiche nelle strategie nazionali, in realtà sembra trarre vantaggi concreti dal riscaldamento globale.

Secondo il G20 Climate Risk Atlas, se la Russia continuerà con l’attuale approccio, entro il 2100 la sua economia potrebbe subire perdite pari all’8,93% del PIL complessivo. Nonostante questo, il governo centrale non mostra reali intenzioni di affrontare la crisi: mancano investimenti e riconoscimenti ufficiali dell’emergenza da parte dei vertici istituzionali. Un modo come un altro per ribadire all’Occidente che i problemi scritti a tavolino e imposti al mondo intero, sono problemi occidentali e, come tali, sarebbe meglio che rimanessero in Occidente.

Non si gioca con gli interessi

È altrettanto vero che la Russia è una superpotenza che ha grossi interessi in settori giudicati come “dannosi” nella narrativa ambientalista.

Le esportazioni di petrolio e gas, che nel 2024 hanno rappresentato il 30% delle entrate del bilancio statale, sono un dato di fatto. In occasione del vertice climatico COP28, Mosca si è opposta all’abbandono dei combustibili fossili. Nella nuova dottrina climatica non viene nemmeno menzionato l’impatto delle fonti fossili sul riscaldamento globale, un elemento invece presente nella versione del 2009. Al vertice COP29 del 2024, la delegazione russa ha contato 900 partecipanti con l’intento di negoziare accordi bilaterali su idrocarburi.

C’è anche un dettaglio geoeconomico che va in direzione opposta ai promotori del cosiddetto cambiamento climatico: l’Artico. La Russia ha molto da guadagnare dallo scioglimento dei ghiacci e dall’innalzamento delle temperature. Con il 53% della costa artica sotto la sua giurisdizione, il Paese si trova in una posizione strategica per dominare la futura competizione geopolitica e commerciale nell’area. Man mano che il ghiaccio si ritira, si aprono opportunità economiche immense. Si stima che l’Artico custodisca il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas ancora inesplorate. Le attuali condizioni rendono l’estrazione molto complessa, ma la Russia ha già fissato l’obiettivo di estrarre e vendere 100 milioni di tonnellate di petrolio artico entro il 2030. L’aumento delle temperature renderà tali operazioni più agevoli, come riconosciuto apertamente nella dottrina climatica del 2023.

E questo è solo l’inizio. Nel 2020, Mosca ha approvato un piano di sviluppo da oltre 300 miliardi di dollari per espandere l’estrazione di risorse in vista del riscaldamento climatico. Il progetto Vostok Oil, realizzato con la collaborazione di Cina e Arabia Saudita, è considerato uno dei più grandi del settore petrolifero moderno, con l’obiettivo di estrarre 8 miliardi di barili da qui al 2060.

Ma non si tratta solo di risorse. Il cambiamento climatico favorisce anche l’apertura del Passaggio a Nord-Est, ovvero la Rotta del Mare del Nord (NSR), che finora è navigabile solo in estate. Quando sarà accessibile tutto l’anno, ridurrà i tempi di trasporto tra Cina ed Europa del 30-40%. La rotta attraversa una Zona Economica Speciale russa, e Mosca sta già investendo pesantemente per controllarne il traffico.

Sono in costruzione due grandi porti agli estremi della NSR, a Murmansk e Vladivostok, la cui apertura è prevista per il 2026. Altri due porti, a Sabetta e Tiksi, sono anch’essi in fase di realizzazione. L’obiettivo è trasformare la NSR in un “nuovo Canale di Suez”. Entro il 2035 si prevede che oltre 270 milioni di tonnellate di merci vi transiteranno, dieci volte più rispetto al 2022.

Che dovrebbe fare, secondo l’Occidente, la Russia? Suicidarsi economicamente per far contenti i climatologi di Washington?

Per Mosca, i benefici economici e strategici superano nettamente i danni causati dal cambiamento climatico.

La narrativa del cambiamento climatico e le reali opportunità della Russia

Per Mosca, i benefici economici e strategici superano nettamente i danni causati dal cambiamento climatico

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Un chiodo fisso occidentale

Dunque, da dove iniziare? Fra i tanti temi che appestano la stampa occidentale, ce ne è uno che va di moda ormai da decenni e che periodicamente viene alzato nei trend comunicativi: il cambiamento climatico.

Non faremo una trattazione filosofico-politica sull’argomento, mentre ci interessa ragionare sulle ragioni dell’attacco occidentale nei confronti della Russia proprio su questo tema. Perché non si tratta solo di una questione di infowarfare – dove sicuramente l’Occidente collettivo ha interesse a tentare di squalificare la Russia nella sua credibilità internazionale -, ma è qualcosa di più, c’è un interesse occulto. Perché quello del cambiamento climatico è un business come tanti altri.

La Russia riconosce che il cambiamento climatico rappresenta una delle principali sfide globali odierne, andando ben oltre la sfera scientifica per configurarsi come una questione complessa e interdisciplinare che coinvolge aspetti ambientali, economici e sociali legati allo sviluppo sostenibile della Federazione Russa. Le evidenze fornite dalla scienza contemporanea rafforzano l’ipotesi secondo cui le attività economiche umane – in particolare le emissioni di gas serra prodotte dalla combustione dei combustibili fossili – influiscano in maniera significativa sul sistema climatico.

Il cambiamento climatico è un fenomeno articolato, che si manifesta attraverso l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi climatici anomali e condizioni meteorologiche estreme. Vi è un’elevata probabilità che tale processo acceleri nel corso del XXI secolo. Gli effetti previsti avranno conseguenze inevitabili per la vita umana, vegetale e animale su scala globale, e in alcune aree del mondo potrebbero costituire una minaccia concreta al benessere delle popolazioni e alla possibilità di uno sviluppo sostenibile. Questi elementi rendono necessario considerare il cambiamento climatico come una delle principali questioni strategiche a lungo termine per la sicurezza nazionale.

Andiamo in ordine. Nel 2015, la Russia ha firmato l’Accordo di Parigi sul clima, e nel 2019 vi ha aderito formalmente. Secondo quanto dichiarato dal Cremlino, l’obiettivo del Paese è quello di ridurre sensibilmente le emissioni entro il 2030, pur promuovendo uno sviluppo economico sostenibile. Da allora, Mosca ha diffuso diverse dottrine che ribadiscono ambiziosi intenti in materia ambientale. L’aggiornamento del 2023 della dottrina climatica del Cremlino punta alla neutralità carbonica entro il 2060, citando progetti di riduzione delle emissioni e collaborazioni scientifiche internazionali per implementare efficacemente tali misure.

Tuttavia, se da un lato la Russia dichiara di essere sensibile alle tematiche ambientali, le sue azioni sembrano suggerire il contrario. Nonostante firmi accordi e integri politiche climatiche nelle strategie nazionali, in realtà sembra trarre vantaggi concreti dal riscaldamento globale.

Secondo il G20 Climate Risk Atlas, se la Russia continuerà con l’attuale approccio, entro il 2100 la sua economia potrebbe subire perdite pari all’8,93% del PIL complessivo. Nonostante questo, il governo centrale non mostra reali intenzioni di affrontare la crisi: mancano investimenti e riconoscimenti ufficiali dell’emergenza da parte dei vertici istituzionali. Un modo come un altro per ribadire all’Occidente che i problemi scritti a tavolino e imposti al mondo intero, sono problemi occidentali e, come tali, sarebbe meglio che rimanessero in Occidente.

Non si gioca con gli interessi

È altrettanto vero che la Russia è una superpotenza che ha grossi interessi in settori giudicati come “dannosi” nella narrativa ambientalista.

Le esportazioni di petrolio e gas, che nel 2024 hanno rappresentato il 30% delle entrate del bilancio statale, sono un dato di fatto. In occasione del vertice climatico COP28, Mosca si è opposta all’abbandono dei combustibili fossili. Nella nuova dottrina climatica non viene nemmeno menzionato l’impatto delle fonti fossili sul riscaldamento globale, un elemento invece presente nella versione del 2009. Al vertice COP29 del 2024, la delegazione russa ha contato 900 partecipanti con l’intento di negoziare accordi bilaterali su idrocarburi.

C’è anche un dettaglio geoeconomico che va in direzione opposta ai promotori del cosiddetto cambiamento climatico: l’Artico. La Russia ha molto da guadagnare dallo scioglimento dei ghiacci e dall’innalzamento delle temperature. Con il 53% della costa artica sotto la sua giurisdizione, il Paese si trova in una posizione strategica per dominare la futura competizione geopolitica e commerciale nell’area. Man mano che il ghiaccio si ritira, si aprono opportunità economiche immense. Si stima che l’Artico custodisca il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas ancora inesplorate. Le attuali condizioni rendono l’estrazione molto complessa, ma la Russia ha già fissato l’obiettivo di estrarre e vendere 100 milioni di tonnellate di petrolio artico entro il 2030. L’aumento delle temperature renderà tali operazioni più agevoli, come riconosciuto apertamente nella dottrina climatica del 2023.

E questo è solo l’inizio. Nel 2020, Mosca ha approvato un piano di sviluppo da oltre 300 miliardi di dollari per espandere l’estrazione di risorse in vista del riscaldamento climatico. Il progetto Vostok Oil, realizzato con la collaborazione di Cina e Arabia Saudita, è considerato uno dei più grandi del settore petrolifero moderno, con l’obiettivo di estrarre 8 miliardi di barili da qui al 2060.

Ma non si tratta solo di risorse. Il cambiamento climatico favorisce anche l’apertura del Passaggio a Nord-Est, ovvero la Rotta del Mare del Nord (NSR), che finora è navigabile solo in estate. Quando sarà accessibile tutto l’anno, ridurrà i tempi di trasporto tra Cina ed Europa del 30-40%. La rotta attraversa una Zona Economica Speciale russa, e Mosca sta già investendo pesantemente per controllarne il traffico.

Sono in costruzione due grandi porti agli estremi della NSR, a Murmansk e Vladivostok, la cui apertura è prevista per il 2026. Altri due porti, a Sabetta e Tiksi, sono anch’essi in fase di realizzazione. L’obiettivo è trasformare la NSR in un “nuovo Canale di Suez”. Entro il 2035 si prevede che oltre 270 milioni di tonnellate di merci vi transiteranno, dieci volte più rispetto al 2022.

Che dovrebbe fare, secondo l’Occidente, la Russia? Suicidarsi economicamente per far contenti i climatologi di Washington?

Per Mosca, i benefici economici e strategici superano nettamente i danni causati dal cambiamento climatico.

Per Mosca, i benefici economici e strategici superano nettamente i danni causati dal cambiamento climatico

Segue nostro Telegram.

Un chiodo fisso occidentale

Dunque, da dove iniziare? Fra i tanti temi che appestano la stampa occidentale, ce ne è uno che va di moda ormai da decenni e che periodicamente viene alzato nei trend comunicativi: il cambiamento climatico.

Non faremo una trattazione filosofico-politica sull’argomento, mentre ci interessa ragionare sulle ragioni dell’attacco occidentale nei confronti della Russia proprio su questo tema. Perché non si tratta solo di una questione di infowarfare – dove sicuramente l’Occidente collettivo ha interesse a tentare di squalificare la Russia nella sua credibilità internazionale -, ma è qualcosa di più, c’è un interesse occulto. Perché quello del cambiamento climatico è un business come tanti altri.

La Russia riconosce che il cambiamento climatico rappresenta una delle principali sfide globali odierne, andando ben oltre la sfera scientifica per configurarsi come una questione complessa e interdisciplinare che coinvolge aspetti ambientali, economici e sociali legati allo sviluppo sostenibile della Federazione Russa. Le evidenze fornite dalla scienza contemporanea rafforzano l’ipotesi secondo cui le attività economiche umane – in particolare le emissioni di gas serra prodotte dalla combustione dei combustibili fossili – influiscano in maniera significativa sul sistema climatico.

Il cambiamento climatico è un fenomeno articolato, che si manifesta attraverso l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi climatici anomali e condizioni meteorologiche estreme. Vi è un’elevata probabilità che tale processo acceleri nel corso del XXI secolo. Gli effetti previsti avranno conseguenze inevitabili per la vita umana, vegetale e animale su scala globale, e in alcune aree del mondo potrebbero costituire una minaccia concreta al benessere delle popolazioni e alla possibilità di uno sviluppo sostenibile. Questi elementi rendono necessario considerare il cambiamento climatico come una delle principali questioni strategiche a lungo termine per la sicurezza nazionale.

Andiamo in ordine. Nel 2015, la Russia ha firmato l’Accordo di Parigi sul clima, e nel 2019 vi ha aderito formalmente. Secondo quanto dichiarato dal Cremlino, l’obiettivo del Paese è quello di ridurre sensibilmente le emissioni entro il 2030, pur promuovendo uno sviluppo economico sostenibile. Da allora, Mosca ha diffuso diverse dottrine che ribadiscono ambiziosi intenti in materia ambientale. L’aggiornamento del 2023 della dottrina climatica del Cremlino punta alla neutralità carbonica entro il 2060, citando progetti di riduzione delle emissioni e collaborazioni scientifiche internazionali per implementare efficacemente tali misure.

Tuttavia, se da un lato la Russia dichiara di essere sensibile alle tematiche ambientali, le sue azioni sembrano suggerire il contrario. Nonostante firmi accordi e integri politiche climatiche nelle strategie nazionali, in realtà sembra trarre vantaggi concreti dal riscaldamento globale.

Secondo il G20 Climate Risk Atlas, se la Russia continuerà con l’attuale approccio, entro il 2100 la sua economia potrebbe subire perdite pari all’8,93% del PIL complessivo. Nonostante questo, il governo centrale non mostra reali intenzioni di affrontare la crisi: mancano investimenti e riconoscimenti ufficiali dell’emergenza da parte dei vertici istituzionali. Un modo come un altro per ribadire all’Occidente che i problemi scritti a tavolino e imposti al mondo intero, sono problemi occidentali e, come tali, sarebbe meglio che rimanessero in Occidente.

Non si gioca con gli interessi

È altrettanto vero che la Russia è una superpotenza che ha grossi interessi in settori giudicati come “dannosi” nella narrativa ambientalista.

Le esportazioni di petrolio e gas, che nel 2024 hanno rappresentato il 30% delle entrate del bilancio statale, sono un dato di fatto. In occasione del vertice climatico COP28, Mosca si è opposta all’abbandono dei combustibili fossili. Nella nuova dottrina climatica non viene nemmeno menzionato l’impatto delle fonti fossili sul riscaldamento globale, un elemento invece presente nella versione del 2009. Al vertice COP29 del 2024, la delegazione russa ha contato 900 partecipanti con l’intento di negoziare accordi bilaterali su idrocarburi.

C’è anche un dettaglio geoeconomico che va in direzione opposta ai promotori del cosiddetto cambiamento climatico: l’Artico. La Russia ha molto da guadagnare dallo scioglimento dei ghiacci e dall’innalzamento delle temperature. Con il 53% della costa artica sotto la sua giurisdizione, il Paese si trova in una posizione strategica per dominare la futura competizione geopolitica e commerciale nell’area. Man mano che il ghiaccio si ritira, si aprono opportunità economiche immense. Si stima che l’Artico custodisca il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas ancora inesplorate. Le attuali condizioni rendono l’estrazione molto complessa, ma la Russia ha già fissato l’obiettivo di estrarre e vendere 100 milioni di tonnellate di petrolio artico entro il 2030. L’aumento delle temperature renderà tali operazioni più agevoli, come riconosciuto apertamente nella dottrina climatica del 2023.

E questo è solo l’inizio. Nel 2020, Mosca ha approvato un piano di sviluppo da oltre 300 miliardi di dollari per espandere l’estrazione di risorse in vista del riscaldamento climatico. Il progetto Vostok Oil, realizzato con la collaborazione di Cina e Arabia Saudita, è considerato uno dei più grandi del settore petrolifero moderno, con l’obiettivo di estrarre 8 miliardi di barili da qui al 2060.

Ma non si tratta solo di risorse. Il cambiamento climatico favorisce anche l’apertura del Passaggio a Nord-Est, ovvero la Rotta del Mare del Nord (NSR), che finora è navigabile solo in estate. Quando sarà accessibile tutto l’anno, ridurrà i tempi di trasporto tra Cina ed Europa del 30-40%. La rotta attraversa una Zona Economica Speciale russa, e Mosca sta già investendo pesantemente per controllarne il traffico.

Sono in costruzione due grandi porti agli estremi della NSR, a Murmansk e Vladivostok, la cui apertura è prevista per il 2026. Altri due porti, a Sabetta e Tiksi, sono anch’essi in fase di realizzazione. L’obiettivo è trasformare la NSR in un “nuovo Canale di Suez”. Entro il 2035 si prevede che oltre 270 milioni di tonnellate di merci vi transiteranno, dieci volte più rispetto al 2022.

Che dovrebbe fare, secondo l’Occidente, la Russia? Suicidarsi economicamente per far contenti i climatologi di Washington?

Per Mosca, i benefici economici e strategici superano nettamente i danni causati dal cambiamento climatico.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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