I democratici statunitensi, aizzando le piazze contro l’attuale amministrazione, cercano di nascondere le loro responsabilità in colossale declino di economica reale e imputano ossessivamente all’attuale governo una postura fascista.
L’attività manifatturiera e il possesso di considerevoli risorse in terre rare e altri minerali è la premessa per un ruolo internazionale rilevante di una nazione. La presidenza Trump ha preso atto dell’enorme ritardo degli Stati Uniti nei confronti di Cina e Russia. Washington si è fatta ostaggio per un trentennio della finanza speculativa, la quale ha arricchito pochi e impoverito ed escluso dal lavoro molti. La rincorsa alle miniere del Canada o della Groenlandia non è dunque principalmente una delirante affermazione esclusivamente neo – imperialistica, ma la drammatica constatazione del divario che separa l’economia a stelle e strisce dal campo multipolare.
I democratici statunitensi, aizzando le piazze contro l’attuale amministrazione, cercano di nascondere le loro responsabilità in questo colossale declino e imputano ossessivamente all’attuale governo una postura fascista.
In realtà, per quanto gli stessi democratici abbiano rappresentato semplicemente e da anni Wall Street, portando lavoratori e sindacati a rivolgersi elettoralmente a Trump nella speranza di una ripresa economica comunque molto lontana, il cuore del pensiero trumpiano è sostanzialmente tecnocratico e per molti aspetti statalista, estraneo a qualsiasi tipo di dottrina filosofico – politica, per quanto molti suoi collaboratori provengano dai settori del conservatorismo di matrice religiosa. Anzi l’ambizione di una economia di stato, coniugata con una visione a tratti paranoica della sicurezza nazionale e la dimensione permanentemente conflittuale di Donald Trump sostanziano una nuova stagione della politica che difficilmente può essere incasellata in categorie pregresse.
Se vogliamo, la vera ossessione trumpiana è quella del “fare”, costruire, edificare, aprire fabbriche, la consapevolezza dell’arretratezza in cui son piombati gli Stati Uniti, spinge il presidente a un incitamento continuo alla produzione fuori da ogni regola, da ogni etica e da ogni ecologismo, con ordini esecutivi firmati di continuo.
La disconnessione tra innovazione tecnologica e complesso militare industriale è un altro ritardo rispetto alla Cina di cui il trumpismo è pienamente consapevole, il potere democratico statunitense ha coltivato rammolliti programmatori dediti a posizionare pubblicità sui social media e a disinteressati delle ricadute militari delle nuove scoperte, lo scontro, che Kamala Harris a nome della finanza speculativa voleva innescare subito a colpi di armi convenzionali e non convenzionali contro la Cina, Trump lo vede rimandato nel tempo, non solo perché ritene necessario prima rilanciare l’economia nazionale e la capacità estrattiva mineraria, senza dipendere da altri, massimamente i cinesi che oggi controllano la quota più rilevante del sistema delle terre rare e dei minerali ad esse connessi, dal germanio al gallio, dall’antimonio alla fluorite, ma anche e soprattutto perché un eventuale scontro non solo economico, ma anche militare, con il campo multipolare necessita di una società civile non incattivita contro sé stessa, dedita ad abbattere le statue dei padri fondatori perché schiavisti e a manifestare contro il patriarcato più o meno immaginario in nome dell’inclusione e dell’ideologia gender, ma di un nuovo proletariato orgogliosamente nazionalista e incattivito contro chi, silenziosamente e pacificamente, in questi anni ha surclassato gli Stati Uniti, declassandoli a seconda superpotenza planetaria.
In questo senso l’amministrazione Trump guarda al cielo, perché gli scambi commerciali e le navi da guerra su muovono sui mari e sugli oceani con il supporto imprescindibile della tecnologia satellitare.
Alla luce di tutto questo si capisce perché gli attuali governanti statunitensi nutrano tanto disprezzo per i veterocontinentali, sebbene la subalternità di questi verso Washington abbia rappresentato l’essenza di questa relazione sbilanciata, incongrua e impropria, imposta dai primi ai secondi a partire dal 1945, infatti la necessità degli europei di essere sostenuti, mantenuti e difesi dalla potenza egemone è un costo oramai non più sostenibile dalla Casa Bianca, la quale ogni giorno ha crescenti difficoltà nel sostenere sé stessa, ovvero è incapace di riuscire a imporsi al mondo come prima, depredandolo delle materie prime energetiche e alimentari.
Il ritardo statunitense in campo minerario si accompagna a quello spaziale, perché il buio pieno di pozzi gravitazionali, onde elettromagnetiche e materia oscura è anche fondamentale per la navigazione sui mari e il controllo della terra, al proposito la rottura tra Elon Musk e Donald Trump pone anche un problema al riguardo, contando almeno fino a qualche tempo fa il governo statunitense di appoggiarsi sulla rete di SpaceX e Starlink, la quale ha in orbita settemila satelliti, più o meno i due terzi di quelli attualmente in movimento intorno alla terra, dovendo ora orientarsi probabilmente verso Blue Origin di Jeff Bezos e Virgin Galactic di Richard Branson, non avendo certo miliardi di denaro pubblico da investire nella NASA.
Anche in questo campo la risposta cinese è tambureggiante, il sistema BeiDou, letteralmente “Mestolo del Nord”, ovvero il nome cinese per l’insieme delle stelle che formano l’Orsa Maggiore, garantisce un sistema di posizionamento satellitare alternativo a quelli occidentali, con il supporto dei satelliti di “Guowang”, ovvero “Rete nazionale” e “Qianfan”, ovvero “Mille vele”, questi ultimi realizzati dalla Shanghai Spacecom Satellite Technology di Shanghai, le quali dovrebbero mettere in orbita in un decennio tredicimila satelliti il primo e quattordicimila il secondo.
Tutti i satelliti, senza distinzione di bandiera, sostengono le telecomunicazioni, ma allo stesso tempo raccolgono informazioni e immagini ad altissima definizione e possono avere un ruolo in caso di conflitto, non è un caso che il presidente Xi Jinping abbia chiesto all’Esercito Popolare di Liberazione della Repubblica Popolare Cinese di essere preparato per le eventuali guerre intelligenti, in cinese “zhineng hua” che potrebbero svolgersi nel cosmo e questo è uno dei motivi che hanno portato nel 2024 le Forze di Supporto Strategico a implementarsi e trasformarsi in Forze di Supporto all’Informazione, Forze di Supporto Cyberspaziale e Forze di Supporto Aerospaziale.
Il generale statunitense John William Raymond, sostituito nel novembre 2022 da Bradley Chance Saltzman a capo delle forze spaziali statunitensi, nel settembre 2020 ha ipotizzato la possibilità di una guerra spaziale, combattuta su grandi distanze, con velocità eccezionali e con missili terrestri antisatellitari ad ascesa diretta, segnalando come Washington abbia un ritardo rispetto ai sistemi missilistici russi e cinesi.
Lo spazio dovrebbe essere un luogo di pace, tuttavia nel cielo, più o meno dichiarate, ci sono già armi, il presidente francese Macron dal 2019 ha ad esempio caricato mitragliatrici sui satelliti transalpini e ha risposto ai critici che si tratta una “arsenalizzazione ragionata”, al proposito cinesi e russi propongono da tempo seppur poco ascoltati un trattato sul controllo delle armi spaziali e hanno rilevato, denunciato e smascherato decine di operazioni di sabotaggio spaziale e di spionaggio operate dagli statunitensi, tanto che hanno realizzato laser spaziali che disabilitano i sensori dei satelliti spia.
Tra l’altro il sistema statunitense è esclusivamente iperdigitale, mentre russi e cinesi, pur abbracciando la modernità tecnologica e informatica, ben sapendo che anche nel cosmo si può essere hackerati, hanno mantenuto nei loro satelliti sistemi di riserva di tipo analogico, insomma, se si spengono i computer, ci vogliono ancora le vecchie macchine con i bottoni dei comandi a distanza – quelle degli Sputnik e dei Vostok – e in questo campo quelle cinesi e russe di derivazione sovietica sono ancora le migliori dell’universo.
Tutto questo è risaputo dai rappresentati del tecnopotere trumpiano, i quali cercano di colmare gli innumerevoli ritardi e lo sgretolarsi delle solide certezze del passato, con l’ambizione forse eccessiva, di forgiare non solo una nuova economia, ma anche e soprattutto un uomo nuovo statunitense, una rincorsa contro il tempo che rischia di scontrarsi contro i consolidati poteri della finanza speculativa altrimenti orientati e con una società poco avvezza a un cambio epocale di così vaste dimensioni dei paradigmi culturali.