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Lorenzo Maria Pacini
May 20, 2025
© Photo: Public domain

La guerra o la si vince, o la si perde. Arrivare ai negoziati non significa un pareggio.

Segue nostro Telegram.

Una proposta allettante

A poche ore dalla grandiosa parata del 9 maggio – dimostrazione lampante della forza della Russia – con numerosi Capi di Stato presenti, Vladimir Vladimirovič Putin ha proposto di tenere i negoziati con gli Stati Uniti d’America, per parlare dell’Ucraina, a Istanbul, in Turchia. Non è la prima volta che la Turchia viene proposta come “spazio neutrale” per i trattati, e c’è una ragione che oggi risulta molto più strategica del passato.

Andiamo per ordine.

Putin ha lanciato la proposta proprio nelle ore in cui a Kiev, sabato 10 maggio, si riunivano i leader europei fedelissimi alla linea del pagliaccio dell’Ucraina. In quel contesto, Zelensky ha risposto domenica 11 mattina che l’avanzamento della proposta è un segno positivo, ma prima dei negoziati pretende un cessate-il-fuoco, che vuole a partire dal 12 maggio, per almeno 30 giorni continuati, come anche sostenuto da Stramer e Macron. Putin, dal canto suo, ha sottolineato che un cessate-il-fuoco è argomento di negoziazione, dunque dovrebbe essere discusso a Istanbul, non in anticipo e unilateralmente.

La Russia aveva già proposto vari cessate-il-fuoco, come quello di Pasqua, o quello per la parata del 9 maggio, ma l’Ucraina ha sempre risposto “no” e proseguito gli attacchi.

Nella vicenda interverrà Trump, chiamato in causa per partecipare ai negoziati. D’altronde, il Presidente americano ha più volte detto che vuole essere ricordato come un pacificatore, quindi ogni possibile proposta di pace fra Russia e Ucraina rappresenta un’opportunità per guadagnare punti.

Trump dovrebbe essere in Medio Oriente da martedì 13 a venerdì 16, visitando l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Quali sono le possibilità che faccia un volo veloce per la Turchia mentre Putin e Zelensky sono lì?

Sul social Truth ha scritto:

«Il presidente russo Putin non vuole un accordo di cessate il fuoco con l’Ucraina, ma preferisce, invece, incontrarsi giovedì, in Turchia, per negoziare una possibile fine al bagno di sangue. L’Ucraina dovrebbe accettare questa proposta, IMMEDIATAMENTE. Almeno sarà in grado di determinare se un accordo è possibile o meno, e se non lo è, i leader europei, e gli Stati Uniti sapranno a che punto siamo e potranno procedere di conseguenza! Comincio a dubitare che l’Ucraina farà un accordo con Putin, che è troppo impegnato a celebrare la vittoria della seconda guerra mondiale, che non avrebbe potuto essere vinta (nemmeno lontanamente!) senza gli Stati Uniti d’America. TENETE L’INCONTRO, ORA!!».

Dunque si prospetta una incontro a tre: Putin, Trump, Zelensky, tutti insieme in Turchia.

Tattica e strategia

Dal punto di vista della Russia, si tratta di una grande opportunità. Il Cremlino potrebbe muoversi tenendo presente alcuni criteri.

Anzitutto, la Turchia è membro della NATO dal 1952 e, per la sua posizione strategica, rappresenta per eccellenza il Paese da far uscire prima degli altri, perché apre e chiude il passaggio fra oriente e occidente, fra Mar Mediterraneo e Mar Nero, fra Europa e Medioriente. Togliere la Turchia alla NATO è una ambizione conclamata e un tentativo in corso da anni.

Aver scelto la Turchia come luogo di incontro, pone il Paese in una condizione di alto rischio: il già traballante governo di Erdogan si ritroverà coinvolto in una trattativa nella quale potrebbe essere chiamato in causa come “prezzo da pagare”: se i negoziati falliscono, Erdogan potrebbe ritrovarsi addossata una parte di colpa, rischiando così di essere compromesso totalmente.

Putin potrebbe infatti proporre come condizione il fatto di sganciare la Turchia dall’Alleanza dell’Atlantico, indebolendo molto l’esercito NATO e la presa americana nel Mediterraneo e in Medioriente. Con in vista le trattative fra Israele e Palestina e tutta la controversia internazionale, la Turchia rappresenta un vantaggio per Israele, perché si sono sempre sostenuti a vicenda. In questo Modo, Putin riuscirebbe ad escludere una buona parte della influenza di Trump. L’Americano opera in tranquillità in Medioriente perché sa di avere le spalle coperta dalla Turchia, quindi senza quella si troverebbe ad alto rischio di compromissione della missione.

Non dimentichiamo poi l’importanza del ruolo della Siria nella caduta del governo siriano di Bashar Al-Assad, uno sgarbo che la Russia ricorda molto bene e che prima o poi dovrà essere ripagato.

È proprio in tal senso che vanno lette le dichiarazioni contrastanti che Trump ha fatto nelle scorse settimane a riguardo della Palestina e di Israele: si è trattato di bluff, in perfetto stile poker, in modo da provocare una reazione nell’avversario, cercando di scoprire le sue prossime mosse. Ma la Russia conosce bene questo stile americano ed è pronta a reagire.

Svolgere i colloqui a Istanbul, la Seconda Roma, è molto simbolico: per gli americani che hanno conquistato la Prima Roma, significa fare un passo in avanti; per i russi che hanno Mosca come Terza Roma, significa guardare indietro nel passato, lasciando indietro gli altri in quanto loro sono già più avanti. È un’estetica comunicativa finissima, ma molto efficace.

Mentre il presidente Vladimir Putin apre alla possibilità di riprendere i colloqui con l’Ucraina, non mancano voci critiche all’interno della società russa.

Il movimento Oplot, vicino a posizioni patriottiche radicali, ha diffuso un comunicato in cui si legge: «Se alla fine gli obiettivi dell’operazione militare speciale non verranno raggiunti, tutte le nostre perdite saranno state vane. Quante persone sono morte per niente. Abbiamo sopportato restrizioni per niente. Tutto sarà stato vano». Nel testo si mette in dubbio la legittimità del governo di Zelensky, si denuncia il rischio di un congelamento del conflitto e si critica il coinvolgimento della Turchia come potenziale mediatore. Secondo Oplot, le condizioni minime restano: denazificazione, smilitarizzazione, riconoscimento delle nuove regioni e piena responsabilità per i crimini commessi.

Effettivamente, sono le condizioni che Putin ha sempre sottolineato, ed è verosimile che verranno nuovamente ribadita nell’incontro che dovrebbe tenersi il 15 maggio con Zelensky e Trump. Il lavoro più impegnativo sarà quello di far capire a Zelensky che la sua posizione non è quella con cui è possibile fare la voce grossa e, dunque, dovrebbe cominciare a ragionare in maniera più razionale. L’intera Europa rischia di andare a sfracellarsi contro l’Orso dell’Est soltanto perché un cocainomane continua a provocare e dire cose senza senso, con la benedizione dei suoi datori di lavoro.

Oggettivamente, la Russia è in un vantaggio strategico e ciò sta costringendo i leader europei e quelli americani a esplorare soluzioni che mai avrebbero ritenuto necessarie. C’è molta più realpolitik in queste situazioni che in tante sessioni parlamentari, dichiarazioni stampa o fantomatiche programmazioni pluriennali.

La guerra o la si vince, o la si perde. Arrivare ai negoziati non significa un pareggio.

L’uso della Turchia come spazio di negoziazione fra Russia, USA e Ucraina

La guerra o la si vince, o la si perde. Arrivare ai negoziati non significa un pareggio.

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Una proposta allettante

A poche ore dalla grandiosa parata del 9 maggio – dimostrazione lampante della forza della Russia – con numerosi Capi di Stato presenti, Vladimir Vladimirovič Putin ha proposto di tenere i negoziati con gli Stati Uniti d’America, per parlare dell’Ucraina, a Istanbul, in Turchia. Non è la prima volta che la Turchia viene proposta come “spazio neutrale” per i trattati, e c’è una ragione che oggi risulta molto più strategica del passato.

Andiamo per ordine.

Putin ha lanciato la proposta proprio nelle ore in cui a Kiev, sabato 10 maggio, si riunivano i leader europei fedelissimi alla linea del pagliaccio dell’Ucraina. In quel contesto, Zelensky ha risposto domenica 11 mattina che l’avanzamento della proposta è un segno positivo, ma prima dei negoziati pretende un cessate-il-fuoco, che vuole a partire dal 12 maggio, per almeno 30 giorni continuati, come anche sostenuto da Stramer e Macron. Putin, dal canto suo, ha sottolineato che un cessate-il-fuoco è argomento di negoziazione, dunque dovrebbe essere discusso a Istanbul, non in anticipo e unilateralmente.

La Russia aveva già proposto vari cessate-il-fuoco, come quello di Pasqua, o quello per la parata del 9 maggio, ma l’Ucraina ha sempre risposto “no” e proseguito gli attacchi.

Nella vicenda interverrà Trump, chiamato in causa per partecipare ai negoziati. D’altronde, il Presidente americano ha più volte detto che vuole essere ricordato come un pacificatore, quindi ogni possibile proposta di pace fra Russia e Ucraina rappresenta un’opportunità per guadagnare punti.

Trump dovrebbe essere in Medio Oriente da martedì 13 a venerdì 16, visitando l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Quali sono le possibilità che faccia un volo veloce per la Turchia mentre Putin e Zelensky sono lì?

Sul social Truth ha scritto:

«Il presidente russo Putin non vuole un accordo di cessate il fuoco con l’Ucraina, ma preferisce, invece, incontrarsi giovedì, in Turchia, per negoziare una possibile fine al bagno di sangue. L’Ucraina dovrebbe accettare questa proposta, IMMEDIATAMENTE. Almeno sarà in grado di determinare se un accordo è possibile o meno, e se non lo è, i leader europei, e gli Stati Uniti sapranno a che punto siamo e potranno procedere di conseguenza! Comincio a dubitare che l’Ucraina farà un accordo con Putin, che è troppo impegnato a celebrare la vittoria della seconda guerra mondiale, che non avrebbe potuto essere vinta (nemmeno lontanamente!) senza gli Stati Uniti d’America. TENETE L’INCONTRO, ORA!!».

Dunque si prospetta una incontro a tre: Putin, Trump, Zelensky, tutti insieme in Turchia.

Tattica e strategia

Dal punto di vista della Russia, si tratta di una grande opportunità. Il Cremlino potrebbe muoversi tenendo presente alcuni criteri.

Anzitutto, la Turchia è membro della NATO dal 1952 e, per la sua posizione strategica, rappresenta per eccellenza il Paese da far uscire prima degli altri, perché apre e chiude il passaggio fra oriente e occidente, fra Mar Mediterraneo e Mar Nero, fra Europa e Medioriente. Togliere la Turchia alla NATO è una ambizione conclamata e un tentativo in corso da anni.

Aver scelto la Turchia come luogo di incontro, pone il Paese in una condizione di alto rischio: il già traballante governo di Erdogan si ritroverà coinvolto in una trattativa nella quale potrebbe essere chiamato in causa come “prezzo da pagare”: se i negoziati falliscono, Erdogan potrebbe ritrovarsi addossata una parte di colpa, rischiando così di essere compromesso totalmente.

Putin potrebbe infatti proporre come condizione il fatto di sganciare la Turchia dall’Alleanza dell’Atlantico, indebolendo molto l’esercito NATO e la presa americana nel Mediterraneo e in Medioriente. Con in vista le trattative fra Israele e Palestina e tutta la controversia internazionale, la Turchia rappresenta un vantaggio per Israele, perché si sono sempre sostenuti a vicenda. In questo Modo, Putin riuscirebbe ad escludere una buona parte della influenza di Trump. L’Americano opera in tranquillità in Medioriente perché sa di avere le spalle coperta dalla Turchia, quindi senza quella si troverebbe ad alto rischio di compromissione della missione.

Non dimentichiamo poi l’importanza del ruolo della Siria nella caduta del governo siriano di Bashar Al-Assad, uno sgarbo che la Russia ricorda molto bene e che prima o poi dovrà essere ripagato.

È proprio in tal senso che vanno lette le dichiarazioni contrastanti che Trump ha fatto nelle scorse settimane a riguardo della Palestina e di Israele: si è trattato di bluff, in perfetto stile poker, in modo da provocare una reazione nell’avversario, cercando di scoprire le sue prossime mosse. Ma la Russia conosce bene questo stile americano ed è pronta a reagire.

Svolgere i colloqui a Istanbul, la Seconda Roma, è molto simbolico: per gli americani che hanno conquistato la Prima Roma, significa fare un passo in avanti; per i russi che hanno Mosca come Terza Roma, significa guardare indietro nel passato, lasciando indietro gli altri in quanto loro sono già più avanti. È un’estetica comunicativa finissima, ma molto efficace.

Mentre il presidente Vladimir Putin apre alla possibilità di riprendere i colloqui con l’Ucraina, non mancano voci critiche all’interno della società russa.

Il movimento Oplot, vicino a posizioni patriottiche radicali, ha diffuso un comunicato in cui si legge: «Se alla fine gli obiettivi dell’operazione militare speciale non verranno raggiunti, tutte le nostre perdite saranno state vane. Quante persone sono morte per niente. Abbiamo sopportato restrizioni per niente. Tutto sarà stato vano». Nel testo si mette in dubbio la legittimità del governo di Zelensky, si denuncia il rischio di un congelamento del conflitto e si critica il coinvolgimento della Turchia come potenziale mediatore. Secondo Oplot, le condizioni minime restano: denazificazione, smilitarizzazione, riconoscimento delle nuove regioni e piena responsabilità per i crimini commessi.

Effettivamente, sono le condizioni che Putin ha sempre sottolineato, ed è verosimile che verranno nuovamente ribadita nell’incontro che dovrebbe tenersi il 15 maggio con Zelensky e Trump. Il lavoro più impegnativo sarà quello di far capire a Zelensky che la sua posizione non è quella con cui è possibile fare la voce grossa e, dunque, dovrebbe cominciare a ragionare in maniera più razionale. L’intera Europa rischia di andare a sfracellarsi contro l’Orso dell’Est soltanto perché un cocainomane continua a provocare e dire cose senza senso, con la benedizione dei suoi datori di lavoro.

Oggettivamente, la Russia è in un vantaggio strategico e ciò sta costringendo i leader europei e quelli americani a esplorare soluzioni che mai avrebbero ritenuto necessarie. C’è molta più realpolitik in queste situazioni che in tante sessioni parlamentari, dichiarazioni stampa o fantomatiche programmazioni pluriennali.

La guerra o la si vince, o la si perde. Arrivare ai negoziati non significa un pareggio.

La guerra o la si vince, o la si perde. Arrivare ai negoziati non significa un pareggio.

Segue nostro Telegram.

Una proposta allettante

A poche ore dalla grandiosa parata del 9 maggio – dimostrazione lampante della forza della Russia – con numerosi Capi di Stato presenti, Vladimir Vladimirovič Putin ha proposto di tenere i negoziati con gli Stati Uniti d’America, per parlare dell’Ucraina, a Istanbul, in Turchia. Non è la prima volta che la Turchia viene proposta come “spazio neutrale” per i trattati, e c’è una ragione che oggi risulta molto più strategica del passato.

Andiamo per ordine.

Putin ha lanciato la proposta proprio nelle ore in cui a Kiev, sabato 10 maggio, si riunivano i leader europei fedelissimi alla linea del pagliaccio dell’Ucraina. In quel contesto, Zelensky ha risposto domenica 11 mattina che l’avanzamento della proposta è un segno positivo, ma prima dei negoziati pretende un cessate-il-fuoco, che vuole a partire dal 12 maggio, per almeno 30 giorni continuati, come anche sostenuto da Stramer e Macron. Putin, dal canto suo, ha sottolineato che un cessate-il-fuoco è argomento di negoziazione, dunque dovrebbe essere discusso a Istanbul, non in anticipo e unilateralmente.

La Russia aveva già proposto vari cessate-il-fuoco, come quello di Pasqua, o quello per la parata del 9 maggio, ma l’Ucraina ha sempre risposto “no” e proseguito gli attacchi.

Nella vicenda interverrà Trump, chiamato in causa per partecipare ai negoziati. D’altronde, il Presidente americano ha più volte detto che vuole essere ricordato come un pacificatore, quindi ogni possibile proposta di pace fra Russia e Ucraina rappresenta un’opportunità per guadagnare punti.

Trump dovrebbe essere in Medio Oriente da martedì 13 a venerdì 16, visitando l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Quali sono le possibilità che faccia un volo veloce per la Turchia mentre Putin e Zelensky sono lì?

Sul social Truth ha scritto:

«Il presidente russo Putin non vuole un accordo di cessate il fuoco con l’Ucraina, ma preferisce, invece, incontrarsi giovedì, in Turchia, per negoziare una possibile fine al bagno di sangue. L’Ucraina dovrebbe accettare questa proposta, IMMEDIATAMENTE. Almeno sarà in grado di determinare se un accordo è possibile o meno, e se non lo è, i leader europei, e gli Stati Uniti sapranno a che punto siamo e potranno procedere di conseguenza! Comincio a dubitare che l’Ucraina farà un accordo con Putin, che è troppo impegnato a celebrare la vittoria della seconda guerra mondiale, che non avrebbe potuto essere vinta (nemmeno lontanamente!) senza gli Stati Uniti d’America. TENETE L’INCONTRO, ORA!!».

Dunque si prospetta una incontro a tre: Putin, Trump, Zelensky, tutti insieme in Turchia.

Tattica e strategia

Dal punto di vista della Russia, si tratta di una grande opportunità. Il Cremlino potrebbe muoversi tenendo presente alcuni criteri.

Anzitutto, la Turchia è membro della NATO dal 1952 e, per la sua posizione strategica, rappresenta per eccellenza il Paese da far uscire prima degli altri, perché apre e chiude il passaggio fra oriente e occidente, fra Mar Mediterraneo e Mar Nero, fra Europa e Medioriente. Togliere la Turchia alla NATO è una ambizione conclamata e un tentativo in corso da anni.

Aver scelto la Turchia come luogo di incontro, pone il Paese in una condizione di alto rischio: il già traballante governo di Erdogan si ritroverà coinvolto in una trattativa nella quale potrebbe essere chiamato in causa come “prezzo da pagare”: se i negoziati falliscono, Erdogan potrebbe ritrovarsi addossata una parte di colpa, rischiando così di essere compromesso totalmente.

Putin potrebbe infatti proporre come condizione il fatto di sganciare la Turchia dall’Alleanza dell’Atlantico, indebolendo molto l’esercito NATO e la presa americana nel Mediterraneo e in Medioriente. Con in vista le trattative fra Israele e Palestina e tutta la controversia internazionale, la Turchia rappresenta un vantaggio per Israele, perché si sono sempre sostenuti a vicenda. In questo Modo, Putin riuscirebbe ad escludere una buona parte della influenza di Trump. L’Americano opera in tranquillità in Medioriente perché sa di avere le spalle coperta dalla Turchia, quindi senza quella si troverebbe ad alto rischio di compromissione della missione.

Non dimentichiamo poi l’importanza del ruolo della Siria nella caduta del governo siriano di Bashar Al-Assad, uno sgarbo che la Russia ricorda molto bene e che prima o poi dovrà essere ripagato.

È proprio in tal senso che vanno lette le dichiarazioni contrastanti che Trump ha fatto nelle scorse settimane a riguardo della Palestina e di Israele: si è trattato di bluff, in perfetto stile poker, in modo da provocare una reazione nell’avversario, cercando di scoprire le sue prossime mosse. Ma la Russia conosce bene questo stile americano ed è pronta a reagire.

Svolgere i colloqui a Istanbul, la Seconda Roma, è molto simbolico: per gli americani che hanno conquistato la Prima Roma, significa fare un passo in avanti; per i russi che hanno Mosca come Terza Roma, significa guardare indietro nel passato, lasciando indietro gli altri in quanto loro sono già più avanti. È un’estetica comunicativa finissima, ma molto efficace.

Mentre il presidente Vladimir Putin apre alla possibilità di riprendere i colloqui con l’Ucraina, non mancano voci critiche all’interno della società russa.

Il movimento Oplot, vicino a posizioni patriottiche radicali, ha diffuso un comunicato in cui si legge: «Se alla fine gli obiettivi dell’operazione militare speciale non verranno raggiunti, tutte le nostre perdite saranno state vane. Quante persone sono morte per niente. Abbiamo sopportato restrizioni per niente. Tutto sarà stato vano». Nel testo si mette in dubbio la legittimità del governo di Zelensky, si denuncia il rischio di un congelamento del conflitto e si critica il coinvolgimento della Turchia come potenziale mediatore. Secondo Oplot, le condizioni minime restano: denazificazione, smilitarizzazione, riconoscimento delle nuove regioni e piena responsabilità per i crimini commessi.

Effettivamente, sono le condizioni che Putin ha sempre sottolineato, ed è verosimile che verranno nuovamente ribadita nell’incontro che dovrebbe tenersi il 15 maggio con Zelensky e Trump. Il lavoro più impegnativo sarà quello di far capire a Zelensky che la sua posizione non è quella con cui è possibile fare la voce grossa e, dunque, dovrebbe cominciare a ragionare in maniera più razionale. L’intera Europa rischia di andare a sfracellarsi contro l’Orso dell’Est soltanto perché un cocainomane continua a provocare e dire cose senza senso, con la benedizione dei suoi datori di lavoro.

Oggettivamente, la Russia è in un vantaggio strategico e ciò sta costringendo i leader europei e quelli americani a esplorare soluzioni che mai avrebbero ritenuto necessarie. C’è molta più realpolitik in queste situazioni che in tante sessioni parlamentari, dichiarazioni stampa o fantomatiche programmazioni pluriennali.

La guerra o la si vince, o la si perde. Arrivare ai negoziati non significa un pareggio.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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