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Lorenzo Maria Pacini
May 7, 2025
© Photo: Public domain

“Morto un papa se ne fa un altro”, dice un antichissimo proverbio romano. La vita ha un inizio ed una fine per tutti, inesorabilmente. È così che ai funerali di Jorge Mario Bergoglio, in arte Papa Francesco, è sfilato il solito carrozzone di personaggi politici di tutte le provenienze.

Segue nostro Telegram.

Il carrozzone

C’erano proprio tutti: gli anglicani della corona britannica, i presbiteriani del governo americano, i sedicenti cattolici del governo italiano, i giudei dell’Europarlamento, i banchieri dell’alta finanza, i golpisti in magione verde dell’est Europa, i colletti bianchi del globalismo. Tutti contenti, in prima fila, a rendere omaggio al loro confratello. A giudicare dalla kermesse dei partecipanti, Bergoglio doveva essere proprio una persona per bene…

Se questo è il metro di giudizio, il pontificato di Jorge Mario Bergoglio lascia dietro di sé soprattutto rovine, completando in Occidente un processo di erosione della fede e della proposta cristiana che affonda le radici nel tempo, accelerato dal Concilio Vaticano II che ha ridotto la decadente Chiesa di Roma ad una palude marcescente. I più ingenui avevano spalancato cuori, porte e finestre; il regno di Francesco ha significato un ulteriore tracollo delle vocazioni religiose, della partecipazione ai riti — sempre più svuotati di significato spirituale — e dell’incisività del cristianesimo nella società. Un bilancio drammatico, aggravato dall’ateismo pratico di massa e dall’islamizzazione dell’Europa, fenomeni di fronte ai quali il cattolicesimo appare spettatore, se non complice.

L’orgia mediatica che accompagna la morte di Bergoglio — preparata da tempo — è una sinfonia pressoché unanime di encomi, ondate di retorica, applausi scroscianti in un clima mediatico-culturale-politico quasi senza voci dissonanti. Chiaramente, la sofferenza personale merita rispetto; ma di fronte alla storia e alla missione petrina, i quasi dodici anni di pontificato di Bergoglio appaiono come una dolorosa salita verso il Calvario. Non sorprende che i più entusiasti tra gli elogiatori siano spesso non credenti, laici e anticlericali. L’impatto è stato più sentito nel mondo civile e politiche che in quello religioso. Curioso? No, a dire il vero, perché lo “stile Bergoglio” ha contribuito snaturare ulteriormente il Cristianesimo occidentale, dandogli l’ennesimo colpo.

Non c’è nulla di strano: è venuto meno «uno di loro», una figura allineata al pensiero dominante. Curioso paradosso, visto che il mainstream occidentale è radicalmente anticristiano, materialista, ateo. Piacere agli avversari della fede dovrebbe destare inquietudine. Verrà certamente ricordato come il Papa che ha offerto protezione, accoglienza e sostegno ai movimenti LGBTQ+, all’abortismo, al liberalismo, ai vaccini di massa e al globalismo nelle sue forme più forti e spinte. Morto un papa se ne fa un altro, e la speranza è sempre quella che il successore sia meglio del precedessero.

 

Ognuno a casa sua… o forse no

Al di là delle disquisizioni teologiche e morali, su cui in molti hanno già scritto, è interessante sottolineare un evento per nulla marginale: durante le lunghe ore del rito funebre e della celebrazione mondiale per Bergoglio, il presidente americano Donald Trump, recatosi a Roma in visita funebre, ne ha approfittato col suo staff per incontrare ben 42 cardinali, alcuni politici e, più importanti fra tutti, Zelensky.

La scena è stata la seguente: Trump chiede al monsignore che lo accompagnava di predisporre un dialogo con Zelensky, nel bel mezzo della Basilica di San Pietro, davanti ad uno degli altari laterali. Si presenta anche Macron, puntualissimo, che fa aggiungere una terza sedia. I tre politici si scontrano verbalmente e Trump fa allontanare Macron, rimuovendo la sedia. Comincia quindi la “confessione” di Trump e Zelensky, sotto gli occhi della stampa internazionale e durante il momento meno opportuno della Storia.

Una immagine iconica, non c’è dubbio.

Una immagine che dice molto di come stanno le cose.

L’Americano arriva a Roma e fa come se fosse a casa sua. Del Papa non gli interessa granché, sia perché non ha niente di moralmente vincolante con la Chiesa di Roma, sia perché l’Italia è ancora una sua colonia, dunque comanda lui e fa quello che gli pare. Ora, i più attenti potrebbero obiettare e sottolineare che il Vaticano non è Italia, è uno Stato a sé. Tutto vero. Anzi, dovremmo dire che è lo “Stato a sé” più “a sé” di tutti, perché è proprio grazie al Vaticano che in mezzo mondo vige ancora il diritto dell’ammiragliato, è grazie al Vaticano che il potere di Londra è garantito ed è ancora grazie al Vaticano che gli americani sono rimasti in Italia nel 1945, invece di tornarsene da dove erano venuti. Ma questo è un argomento che merita un altro articolo. Quel che è chiaro è che l’America, a quanto pare, ha una buona libertà di manovra anche fra le mura dei Sacri Palazzi.

Quanto è emerso con evidenza è che Trump dei protocolli se ne frega. La sua spavalderia, da vero business man americano, lo spinge ad un pragmatismo politico. Carpe diem, avrebbero detto i latini, e là dove il latino è ancora la lingua ufficiale, lui ha colto l’attimo ed ha applicato la regola.

Il presidente americano ha colloquiato col presidente ucraino, tracciando uno scarabocchio sulle geometrie politiche degli ultimi mesi. Macron, quale emissario di Londra e garante degli interessi della UE, non è stato ben accolto. Uno smacco davvero efficace. Ursula Von der Leyen, presente con suo marito alla cerimonia, poco prima aveva abbracciato Zelensky intrattenendosi con lui per qualche minuto. L’appassionato di benzoilmetilecgonina della CIA per l’occasione aveva persino dismesso la felpa verde militare, indossando una giacca nera, senza troppe pretese stilistiche.

Proviamo anche soltanto a pensare alla potenza mediatica di quella immagine. I leader del mondo hanno visto che Trump fa letteralmente quello che vuole, dovunque va, persino nel temutissimo Vaticano. Non ci sarà da stupirsi se la sua influenza in vista del conclave, considerando gli incontri che ha avuto con i porporati, sarà molto forte. Questa è una bomba atomica, in termini di infowarfare.

Tutto ciò a pochissimi giorni dal viaggio a Mosca per la parata del 9 maggio, mentre gli isterici della UE cercano di correre ai ripari per il rincaro dei prezzi dato dai dazi, che gli sta facendo affondare gli impianti di Rehinmetall.

No, quello che è successo non è un “esempio di pace”, come hanno scritto alcuni, tentando di dipingere il Vaticano come una sorta di spazio neutro in cui avvengono i miracoli; abbiamo visto una violenza politica in perfetto stile yankee, di quelle che “o spari tu, o sparo io”.

Il bullo di turno ha fatto il suo gioco ed è andato via prima che il funerale terminasse. Nemmeno il tempo di cantare un requiem.

The Vatican Tape, edizione 2025

“Morto un papa se ne fa un altro”, dice un antichissimo proverbio romano. La vita ha un inizio ed una fine per tutti, inesorabilmente. È così che ai funerali di Jorge Mario Bergoglio, in arte Papa Francesco, è sfilato il solito carrozzone di personaggi politici di tutte le provenienze.

Segue nostro Telegram.

Il carrozzone

C’erano proprio tutti: gli anglicani della corona britannica, i presbiteriani del governo americano, i sedicenti cattolici del governo italiano, i giudei dell’Europarlamento, i banchieri dell’alta finanza, i golpisti in magione verde dell’est Europa, i colletti bianchi del globalismo. Tutti contenti, in prima fila, a rendere omaggio al loro confratello. A giudicare dalla kermesse dei partecipanti, Bergoglio doveva essere proprio una persona per bene…

Se questo è il metro di giudizio, il pontificato di Jorge Mario Bergoglio lascia dietro di sé soprattutto rovine, completando in Occidente un processo di erosione della fede e della proposta cristiana che affonda le radici nel tempo, accelerato dal Concilio Vaticano II che ha ridotto la decadente Chiesa di Roma ad una palude marcescente. I più ingenui avevano spalancato cuori, porte e finestre; il regno di Francesco ha significato un ulteriore tracollo delle vocazioni religiose, della partecipazione ai riti — sempre più svuotati di significato spirituale — e dell’incisività del cristianesimo nella società. Un bilancio drammatico, aggravato dall’ateismo pratico di massa e dall’islamizzazione dell’Europa, fenomeni di fronte ai quali il cattolicesimo appare spettatore, se non complice.

L’orgia mediatica che accompagna la morte di Bergoglio — preparata da tempo — è una sinfonia pressoché unanime di encomi, ondate di retorica, applausi scroscianti in un clima mediatico-culturale-politico quasi senza voci dissonanti. Chiaramente, la sofferenza personale merita rispetto; ma di fronte alla storia e alla missione petrina, i quasi dodici anni di pontificato di Bergoglio appaiono come una dolorosa salita verso il Calvario. Non sorprende che i più entusiasti tra gli elogiatori siano spesso non credenti, laici e anticlericali. L’impatto è stato più sentito nel mondo civile e politiche che in quello religioso. Curioso? No, a dire il vero, perché lo “stile Bergoglio” ha contribuito snaturare ulteriormente il Cristianesimo occidentale, dandogli l’ennesimo colpo.

Non c’è nulla di strano: è venuto meno «uno di loro», una figura allineata al pensiero dominante. Curioso paradosso, visto che il mainstream occidentale è radicalmente anticristiano, materialista, ateo. Piacere agli avversari della fede dovrebbe destare inquietudine. Verrà certamente ricordato come il Papa che ha offerto protezione, accoglienza e sostegno ai movimenti LGBTQ+, all’abortismo, al liberalismo, ai vaccini di massa e al globalismo nelle sue forme più forti e spinte. Morto un papa se ne fa un altro, e la speranza è sempre quella che il successore sia meglio del precedessero.

 

Ognuno a casa sua… o forse no

Al di là delle disquisizioni teologiche e morali, su cui in molti hanno già scritto, è interessante sottolineare un evento per nulla marginale: durante le lunghe ore del rito funebre e della celebrazione mondiale per Bergoglio, il presidente americano Donald Trump, recatosi a Roma in visita funebre, ne ha approfittato col suo staff per incontrare ben 42 cardinali, alcuni politici e, più importanti fra tutti, Zelensky.

La scena è stata la seguente: Trump chiede al monsignore che lo accompagnava di predisporre un dialogo con Zelensky, nel bel mezzo della Basilica di San Pietro, davanti ad uno degli altari laterali. Si presenta anche Macron, puntualissimo, che fa aggiungere una terza sedia. I tre politici si scontrano verbalmente e Trump fa allontanare Macron, rimuovendo la sedia. Comincia quindi la “confessione” di Trump e Zelensky, sotto gli occhi della stampa internazionale e durante il momento meno opportuno della Storia.

Una immagine iconica, non c’è dubbio.

Una immagine che dice molto di come stanno le cose.

L’Americano arriva a Roma e fa come se fosse a casa sua. Del Papa non gli interessa granché, sia perché non ha niente di moralmente vincolante con la Chiesa di Roma, sia perché l’Italia è ancora una sua colonia, dunque comanda lui e fa quello che gli pare. Ora, i più attenti potrebbero obiettare e sottolineare che il Vaticano non è Italia, è uno Stato a sé. Tutto vero. Anzi, dovremmo dire che è lo “Stato a sé” più “a sé” di tutti, perché è proprio grazie al Vaticano che in mezzo mondo vige ancora il diritto dell’ammiragliato, è grazie al Vaticano che il potere di Londra è garantito ed è ancora grazie al Vaticano che gli americani sono rimasti in Italia nel 1945, invece di tornarsene da dove erano venuti. Ma questo è un argomento che merita un altro articolo. Quel che è chiaro è che l’America, a quanto pare, ha una buona libertà di manovra anche fra le mura dei Sacri Palazzi.

Quanto è emerso con evidenza è che Trump dei protocolli se ne frega. La sua spavalderia, da vero business man americano, lo spinge ad un pragmatismo politico. Carpe diem, avrebbero detto i latini, e là dove il latino è ancora la lingua ufficiale, lui ha colto l’attimo ed ha applicato la regola.

Il presidente americano ha colloquiato col presidente ucraino, tracciando uno scarabocchio sulle geometrie politiche degli ultimi mesi. Macron, quale emissario di Londra e garante degli interessi della UE, non è stato ben accolto. Uno smacco davvero efficace. Ursula Von der Leyen, presente con suo marito alla cerimonia, poco prima aveva abbracciato Zelensky intrattenendosi con lui per qualche minuto. L’appassionato di benzoilmetilecgonina della CIA per l’occasione aveva persino dismesso la felpa verde militare, indossando una giacca nera, senza troppe pretese stilistiche.

Proviamo anche soltanto a pensare alla potenza mediatica di quella immagine. I leader del mondo hanno visto che Trump fa letteralmente quello che vuole, dovunque va, persino nel temutissimo Vaticano. Non ci sarà da stupirsi se la sua influenza in vista del conclave, considerando gli incontri che ha avuto con i porporati, sarà molto forte. Questa è una bomba atomica, in termini di infowarfare.

Tutto ciò a pochissimi giorni dal viaggio a Mosca per la parata del 9 maggio, mentre gli isterici della UE cercano di correre ai ripari per il rincaro dei prezzi dato dai dazi, che gli sta facendo affondare gli impianti di Rehinmetall.

No, quello che è successo non è un “esempio di pace”, come hanno scritto alcuni, tentando di dipingere il Vaticano come una sorta di spazio neutro in cui avvengono i miracoli; abbiamo visto una violenza politica in perfetto stile yankee, di quelle che “o spari tu, o sparo io”.

Il bullo di turno ha fatto il suo gioco ed è andato via prima che il funerale terminasse. Nemmeno il tempo di cantare un requiem.

“Morto un papa se ne fa un altro”, dice un antichissimo proverbio romano. La vita ha un inizio ed una fine per tutti, inesorabilmente. È così che ai funerali di Jorge Mario Bergoglio, in arte Papa Francesco, è sfilato il solito carrozzone di personaggi politici di tutte le provenienze.

Segue nostro Telegram.

Il carrozzone

C’erano proprio tutti: gli anglicani della corona britannica, i presbiteriani del governo americano, i sedicenti cattolici del governo italiano, i giudei dell’Europarlamento, i banchieri dell’alta finanza, i golpisti in magione verde dell’est Europa, i colletti bianchi del globalismo. Tutti contenti, in prima fila, a rendere omaggio al loro confratello. A giudicare dalla kermesse dei partecipanti, Bergoglio doveva essere proprio una persona per bene…

Se questo è il metro di giudizio, il pontificato di Jorge Mario Bergoglio lascia dietro di sé soprattutto rovine, completando in Occidente un processo di erosione della fede e della proposta cristiana che affonda le radici nel tempo, accelerato dal Concilio Vaticano II che ha ridotto la decadente Chiesa di Roma ad una palude marcescente. I più ingenui avevano spalancato cuori, porte e finestre; il regno di Francesco ha significato un ulteriore tracollo delle vocazioni religiose, della partecipazione ai riti — sempre più svuotati di significato spirituale — e dell’incisività del cristianesimo nella società. Un bilancio drammatico, aggravato dall’ateismo pratico di massa e dall’islamizzazione dell’Europa, fenomeni di fronte ai quali il cattolicesimo appare spettatore, se non complice.

L’orgia mediatica che accompagna la morte di Bergoglio — preparata da tempo — è una sinfonia pressoché unanime di encomi, ondate di retorica, applausi scroscianti in un clima mediatico-culturale-politico quasi senza voci dissonanti. Chiaramente, la sofferenza personale merita rispetto; ma di fronte alla storia e alla missione petrina, i quasi dodici anni di pontificato di Bergoglio appaiono come una dolorosa salita verso il Calvario. Non sorprende che i più entusiasti tra gli elogiatori siano spesso non credenti, laici e anticlericali. L’impatto è stato più sentito nel mondo civile e politiche che in quello religioso. Curioso? No, a dire il vero, perché lo “stile Bergoglio” ha contribuito snaturare ulteriormente il Cristianesimo occidentale, dandogli l’ennesimo colpo.

Non c’è nulla di strano: è venuto meno «uno di loro», una figura allineata al pensiero dominante. Curioso paradosso, visto che il mainstream occidentale è radicalmente anticristiano, materialista, ateo. Piacere agli avversari della fede dovrebbe destare inquietudine. Verrà certamente ricordato come il Papa che ha offerto protezione, accoglienza e sostegno ai movimenti LGBTQ+, all’abortismo, al liberalismo, ai vaccini di massa e al globalismo nelle sue forme più forti e spinte. Morto un papa se ne fa un altro, e la speranza è sempre quella che il successore sia meglio del precedessero.

 

Ognuno a casa sua… o forse no

Al di là delle disquisizioni teologiche e morali, su cui in molti hanno già scritto, è interessante sottolineare un evento per nulla marginale: durante le lunghe ore del rito funebre e della celebrazione mondiale per Bergoglio, il presidente americano Donald Trump, recatosi a Roma in visita funebre, ne ha approfittato col suo staff per incontrare ben 42 cardinali, alcuni politici e, più importanti fra tutti, Zelensky.

La scena è stata la seguente: Trump chiede al monsignore che lo accompagnava di predisporre un dialogo con Zelensky, nel bel mezzo della Basilica di San Pietro, davanti ad uno degli altari laterali. Si presenta anche Macron, puntualissimo, che fa aggiungere una terza sedia. I tre politici si scontrano verbalmente e Trump fa allontanare Macron, rimuovendo la sedia. Comincia quindi la “confessione” di Trump e Zelensky, sotto gli occhi della stampa internazionale e durante il momento meno opportuno della Storia.

Una immagine iconica, non c’è dubbio.

Una immagine che dice molto di come stanno le cose.

L’Americano arriva a Roma e fa come se fosse a casa sua. Del Papa non gli interessa granché, sia perché non ha niente di moralmente vincolante con la Chiesa di Roma, sia perché l’Italia è ancora una sua colonia, dunque comanda lui e fa quello che gli pare. Ora, i più attenti potrebbero obiettare e sottolineare che il Vaticano non è Italia, è uno Stato a sé. Tutto vero. Anzi, dovremmo dire che è lo “Stato a sé” più “a sé” di tutti, perché è proprio grazie al Vaticano che in mezzo mondo vige ancora il diritto dell’ammiragliato, è grazie al Vaticano che il potere di Londra è garantito ed è ancora grazie al Vaticano che gli americani sono rimasti in Italia nel 1945, invece di tornarsene da dove erano venuti. Ma questo è un argomento che merita un altro articolo. Quel che è chiaro è che l’America, a quanto pare, ha una buona libertà di manovra anche fra le mura dei Sacri Palazzi.

Quanto è emerso con evidenza è che Trump dei protocolli se ne frega. La sua spavalderia, da vero business man americano, lo spinge ad un pragmatismo politico. Carpe diem, avrebbero detto i latini, e là dove il latino è ancora la lingua ufficiale, lui ha colto l’attimo ed ha applicato la regola.

Il presidente americano ha colloquiato col presidente ucraino, tracciando uno scarabocchio sulle geometrie politiche degli ultimi mesi. Macron, quale emissario di Londra e garante degli interessi della UE, non è stato ben accolto. Uno smacco davvero efficace. Ursula Von der Leyen, presente con suo marito alla cerimonia, poco prima aveva abbracciato Zelensky intrattenendosi con lui per qualche minuto. L’appassionato di benzoilmetilecgonina della CIA per l’occasione aveva persino dismesso la felpa verde militare, indossando una giacca nera, senza troppe pretese stilistiche.

Proviamo anche soltanto a pensare alla potenza mediatica di quella immagine. I leader del mondo hanno visto che Trump fa letteralmente quello che vuole, dovunque va, persino nel temutissimo Vaticano. Non ci sarà da stupirsi se la sua influenza in vista del conclave, considerando gli incontri che ha avuto con i porporati, sarà molto forte. Questa è una bomba atomica, in termini di infowarfare.

Tutto ciò a pochissimi giorni dal viaggio a Mosca per la parata del 9 maggio, mentre gli isterici della UE cercano di correre ai ripari per il rincaro dei prezzi dato dai dazi, che gli sta facendo affondare gli impianti di Rehinmetall.

No, quello che è successo non è un “esempio di pace”, come hanno scritto alcuni, tentando di dipingere il Vaticano come una sorta di spazio neutro in cui avvengono i miracoli; abbiamo visto una violenza politica in perfetto stile yankee, di quelle che “o spari tu, o sparo io”.

Il bullo di turno ha fatto il suo gioco ed è andato via prima che il funerale terminasse. Nemmeno il tempo di cantare un requiem.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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