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Daniele Perra
May 4, 2025
© Photo: Public domain

Con la rielezione di Abdelmadjid Tebboune, nel settembre 2024, l’Algeria ha optato sia per la stabilità politica interna che per un maggiore attivismo diplomatico rivolto alla diversificazione commerciale e delle relazioni estere.

Segue nostro Telegram.

Il secondo mandato di Tebboune, eletto la prima volta nel 2019 dopo il ventennio al potere di Abdelaziz Bouteflika, è stato da subito caratterizzato dalla ricerca di un approccio multidimensionale alla politica estera per il Paese nordafricano. Di fatto, in un contesto di crescente instabilità a livello globale, l’Algeria sta cercando di muoversi in modo pragmatico (presentandosi addirittura come mediatore credibile tra Russia e Ucraina) e con estrema cautela per garantire sia la continuità politica interna – evitando il ripetersi degli eventi sanguinosi degli anni ’90 (prodotto anche di quel “gihadismo di ritorno” dall’Afghanistan che ha destabilizzato l’intera regione del Nord Africa e del Vicino Oriente) – sia per costruire relazioni diplomatiche su più livelli e con attori diversi, spesso anche in contrasto tra loro. L’esempio più evidente, in questo caso, è rappresentato dalle relazioni di Algeri sia con Mosca che con l’Unione Europea.

L’Algeria, infatti, è divenuta centrale per la politica energetica dell’UE a seguito dell’intervento diretto della Russia nel conflitto civile ucraino ed al seguente regime sanzionatorio imposto a Mosca. Questo evento ha rappresentato uno spartiacque nelle relazioni tra il Paese nordafricano ed il Moloch tecno-mercantilista di Bruxelles. Con l’UE, nello specifico, l’Algeria è arrivata ad intessere un volume di scambi che ha raggiunto il 50% delle relazioni commerciali con l’estero, di cui il 19% è rappresentato dalle esportazioni di gas (cresciute del 6% nel solo 2023). Gas e petrolio, come noto, rappresentano il 90% del valore delle esportazioni algerine ed il 60% delle entrate governative.

Allo stesso tempo, Algeri ha scelto di puntare anche sul suo enorme potenziale in termini di energia rinnovabile (solare, eolica, ad idrogeno ed a biomassa), con la sua Strategia Nazionale per l’Idrogeno (inaugurata nel 2023) che mira a garantire all’Europa il 10% del suo fabbisogno di idrogeno entro il 2040.

Ora, ad onor del vero, è bene sottolineare che Algeri ha storicamente (e continua a farlo) preferito rapportarsi direttamente con i singoli Paesi membri dell’UE piuttosto che con l’istituzione comunitaria in quanto tale. Anzi, i rapporti con la stessa rimangono piuttosto complessi per tutta una serie di motivi, tra cui: 1) la questione del Sahara occidentale, con Francia e Spagna che appoggiano il piano marocchino per la mera autonomia della regione; 2) il problema dell’immigrazione illegale verso l’Europa (con Algeri che ha rifiutato di aderire all’agenda UE sull’immigrazione); 3) diverse dispute sulle reciproche restrizioni al commercio ed al trasferimento di tecnologia; 4) le accuse algerine riguardo alle interferenze esterne nella sua politica interna (sostegno di alcuni Paesi europei alle rivolte berbere nella Qabilia, lamentele europee per la repressione delle opposizioni); 5) lo stretto legame con la Russia.

Si cercherà di affrontare in dettaglio ognuno di questi punti. Tuttavia, in primo luogo, pare necessario mettere in evidenza il fatto che il tentativo europeo di diversificare le proprie forniture di idrocarburi ricorrendo alla produzione algerina (per fare in qualche modo pressione alla Russia) si è scontrato con la realtà di una cooperazione strategico-energetica tra Mosca e Algeri solida e di lunga data. L’Algeria, di fatto, non ha condannato in sede ONU l’intervento russo in Ucraina; non si è unita alla vulgata sanzionatoria ed ha pure aumentato la sua collaborazione con la Russia sul piano economico/estrattivo e militare (l’Algeria importa da sola la metà delle armi che Mosca vende in Africa, una percentuale che si aggira intorno al 73% degli acquisti militari totali del Paese nordafricano). Algeri, inoltre, si è mostrata scaltra nell’utilizzare la diplomazia del gas ed il contesto internazionale venutosi a creare a seguito dell’inasprimento del conflitto ucraino per il raggiungimento dei propri obiettivi geopolitici. In particolare, ha minacciato a più riprese l’interruzione delle forniture alla Spagna attraverso il gasdotto Megdaz che unisce Orano e Almeria (capacità 8 miliardi di metri cubi l’anno) a seguito dell’appoggio di Madrid (ex potenza coloniale regionale) al suddetto piano di autonomia marocchino per il Sahara occidentale (la Spagna è stata accusata di deviare parte delle forniture di gas algerine verso Rabat); ed ha aumentato il volume di esportazioni di idrocarburi verso l’Italia, attraverso il gasdotto TransMed, mettendo i due Paesi UE l’uno contro l’altro. La Spagna ambisce attualmente a divenire terminale e centro di smistamento del gas naturale liquefatto nordamericano in Europa; mentre Roma, in virtù del suo “Piano Mattei” (che mantiene notevoli elementi critici, come i dubbi sulla disponibilità dei fondi per la sua attuazione o la totale subordinazione geopolitica dell’Italia agli interessi atlantisti che fa sembrare il Paese come un cavallo di Troia per la penetrazione di volontà espansive altrui, Stati Uniti in primis), ha riconfermato il suo ruolo privilegiato nelle relazioni con l’Algeria, dalla quale arrivano il 44,3% delle sue importazioni di gas (l’Italia rimane il principale partner europeo dell’Algeria).

Il rapporto con la Russia merita un breve approfondimento, visto che ad esso si ricollegano anche gli sforzi algerini a mantenere una postura del tutto autonoma all’interno del mondo arabo e, per certi versi, ancorata ad una visione “statalista” della politica interna (il governo algerino ha stanziato 16.7 trilioni di dinari per il 2025, pari 125 miliardi di euro, per incentivare lo sviluppo infrastrutturale, minerario e per un aumento della produzione di idrocarburi – che dovrebbe arrivare ai 200 miliardi di metri cubi entro i prossimi cinque anni – utile per sostenere la spesa sociale e gli incentivi all’imprenditoria). Il nuovo accordo di partenariato strategico tra Russia ed Algeria, siglato nel 2023, infatti, comprende una cooperazione in più ambiti (agricoltura, educazione, tecnologia spaziale, energia) e non solo limitata al lato militare (bisogna ricordare che il volume degli scambi bilaterali è aumentato del 70% nel solo 2022). Le relazioni tra Russia ed Algeria, inoltre, sono di lunga data e vanno indietro fino al XIX secolo, quando l’emiro Abd al-Qadir (considerato il “padre” della Nazione algerina ed il primo esponente della ribellione contro il colonialismo francese), cercò di stabilire contatti con diplomatici russi durante il suo esilio in Siria. Successivamente, l’Unione Sovietica sostenne la guerra di liberazione algerina nel corso degli anni ’50 del secolo scorso. Un sostegno che proseguì nel corso della cosiddetta “guerra delle sabbie” del settembre-ottobre 1963: primo confronto diretto tra Marocco e Algeria scoppiato a causa di un contenzioso territoriale e durante il quale Stati Uniti e Francia scelsero di sostenere Rabat; mentre l’Algeria poté usufruire di un ridotto ma significativo aiuto cubano e dell’invio di un contingente militare egiziano. Ancora, negli anni ’90, il dover affrontare entrambi quello che è stato definito nei termini di “gihadismo di ritorno” portò i due Paesi ad intensificare e stringere nuove e proficue relazioni, culminate con un accordo che, nel 2001, consentì alla Russia di rimettere piede nel Maghreb dopo il crollo dell’URSS e di ristabilire una presenza perduta nel Mediterraneo meridionale (va da sé che la possibilità di costruire una base navale russa in Libia fu uno dei motivi che portò all’aggressione NATO contro Tripoli del 2011).

Ad ogni modo, la cooperazione militare rimane la pietra angolare della relazione russo-algerina. L’Algeria, infatti, è il terzo compratore al mondo di tecnologia militare russa, dietro India e Cina. In questo contesto, anche il comune impegno allo sviluppo di un ordine globale multipolare (e non americanocentrico) contribuisce a tenere saldo il rapporto tra Mosca e Algeri. Tuttavia, permangono anche in questo caso alcune problematiche, legate soprattutto al ruolo che le compagnie militari private russe (si veda il Gruppo Wagner, considerato come fonte di instabilità da Algeri) stanno mantenendo nella regione del Sahel, dove hanno sostenuto quella che è stata definita come la “cintura dei colpi di Stato”: Mali nel 2020 e poi nel 2021, Ciad nel 2021, Burkina Faso nel 2022, Niger nel 2023. Se, da un lato, questi colpi di Stato militari hanno portato ad un progressivo abbandono della regione da parte di Francia e Stati Uniti e ad un impulso alla cooperazione che ha portato nel 2024 alla creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel tra Burkina Faso, Mali e Niger (vero e proprio progetto rivolto al contrasto alla presenza occidentale nella regione), dall’altro, come avviene quasi sempre in questi casi, è aumentata la presenza di milizie “ribelli” e/o gruppi gihadisti dagli obiettivi piuttosto oscuri che agiscono in modo transfrontaliero (commerciando in armi, risorse minerarie ed esseri umani), approfittando dell’impossibilità dei diversi Paesi di controllare appieno i rispettivi confini desertici, e favorendo la destabilizzazione regionale. E non mancano naturalmente le reciproche accuse. Il Mali, ad esempio, ha accusato Algeri di sostenere i ribelli Tuareg che agiscono lungo la linea di confine tra i due Paesi.

Un discorso a parte è quello concernente la questione del Sahara occidentale che ha portato ad una vera e propria corsa al riarmo tra Marocco e Algeria. Qui, la situazione è decisamente deteriorata dopo il fallimento dei tentativi negoziali portati avanti dall’inviato ONU Horst Köhler, già presidente della Repubblica Federale Tedesca, nel 2019. Dopo quella data, infatti, la prima amministrazione Trump ha ufficialmente riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale (l’ex colonia spagnola all’interno della quale il Fronte Polisario combatte una guerra per l’indipendenza contro il Marocco che, sebbene a fasi alternate, va avanti sin dal 1975) in cambio dell’adesione di Rabat ai cosiddetti “accordi di Abramo”. Fattore che ha portato proprio il Marocco a divenire recipiente di notevoli aiuti militari israeliani, anche alla luce del fatto che Rabat ha accusato a più riprese il suddetto Fronte Polisario (abbreviazione di Fronte Popolare di Liberazione di Sanguia el Hamra e del Rio de Oro) di ricevere aiuti militari e addestramento da parte di Iran ed Hezbollah. La tattica di ricercare/ottenere aiuti militari occidentali indicando infiltrazioni iraniane in movimenti ribelli è abbastanza comune in tutta l’area mediorientale, pur non corrispondendo sempre alla realtà. Ad esempio, non esistono prove reali di un sostegno iraniano agli Houthi dello Yemen prima del 2011. Eppure questi avevano già combattuto ben sei differenti “guerre” contro l’autorità centrale di Sana’a che adoperò a più riprese lo spauracchio dei Pasdaran per chiedere aiuti a monarchie del Golfo e Stati Uniti.

In ogni caso, l’Algeria è stata storicamente sostenitrice del Fronte Polisario e dell’autodeterminazione del popolo Saharawi e, nonostante l’attuale tendenza del mondo arabo, rimane amica della causa palestinese. Motivo per cui un’apertura verso una maggiore cooperazione con gli Stati Uniti in questo secondo mandato trumpista, pur essendo stata messa in evidenza e considerata come possibilità reale da alcuni analisti occidentali, sembra ancora lontana dal concretizzarsi.

L’indirizzo strategico dell’Algeria

Con la rielezione di Abdelmadjid Tebboune, nel settembre 2024, l’Algeria ha optato sia per la stabilità politica interna che per un maggiore attivismo diplomatico rivolto alla diversificazione commerciale e delle relazioni estere.

Segue nostro Telegram.

Il secondo mandato di Tebboune, eletto la prima volta nel 2019 dopo il ventennio al potere di Abdelaziz Bouteflika, è stato da subito caratterizzato dalla ricerca di un approccio multidimensionale alla politica estera per il Paese nordafricano. Di fatto, in un contesto di crescente instabilità a livello globale, l’Algeria sta cercando di muoversi in modo pragmatico (presentandosi addirittura come mediatore credibile tra Russia e Ucraina) e con estrema cautela per garantire sia la continuità politica interna – evitando il ripetersi degli eventi sanguinosi degli anni ’90 (prodotto anche di quel “gihadismo di ritorno” dall’Afghanistan che ha destabilizzato l’intera regione del Nord Africa e del Vicino Oriente) – sia per costruire relazioni diplomatiche su più livelli e con attori diversi, spesso anche in contrasto tra loro. L’esempio più evidente, in questo caso, è rappresentato dalle relazioni di Algeri sia con Mosca che con l’Unione Europea.

L’Algeria, infatti, è divenuta centrale per la politica energetica dell’UE a seguito dell’intervento diretto della Russia nel conflitto civile ucraino ed al seguente regime sanzionatorio imposto a Mosca. Questo evento ha rappresentato uno spartiacque nelle relazioni tra il Paese nordafricano ed il Moloch tecno-mercantilista di Bruxelles. Con l’UE, nello specifico, l’Algeria è arrivata ad intessere un volume di scambi che ha raggiunto il 50% delle relazioni commerciali con l’estero, di cui il 19% è rappresentato dalle esportazioni di gas (cresciute del 6% nel solo 2023). Gas e petrolio, come noto, rappresentano il 90% del valore delle esportazioni algerine ed il 60% delle entrate governative.

Allo stesso tempo, Algeri ha scelto di puntare anche sul suo enorme potenziale in termini di energia rinnovabile (solare, eolica, ad idrogeno ed a biomassa), con la sua Strategia Nazionale per l’Idrogeno (inaugurata nel 2023) che mira a garantire all’Europa il 10% del suo fabbisogno di idrogeno entro il 2040.

Ora, ad onor del vero, è bene sottolineare che Algeri ha storicamente (e continua a farlo) preferito rapportarsi direttamente con i singoli Paesi membri dell’UE piuttosto che con l’istituzione comunitaria in quanto tale. Anzi, i rapporti con la stessa rimangono piuttosto complessi per tutta una serie di motivi, tra cui: 1) la questione del Sahara occidentale, con Francia e Spagna che appoggiano il piano marocchino per la mera autonomia della regione; 2) il problema dell’immigrazione illegale verso l’Europa (con Algeri che ha rifiutato di aderire all’agenda UE sull’immigrazione); 3) diverse dispute sulle reciproche restrizioni al commercio ed al trasferimento di tecnologia; 4) le accuse algerine riguardo alle interferenze esterne nella sua politica interna (sostegno di alcuni Paesi europei alle rivolte berbere nella Qabilia, lamentele europee per la repressione delle opposizioni); 5) lo stretto legame con la Russia.

Si cercherà di affrontare in dettaglio ognuno di questi punti. Tuttavia, in primo luogo, pare necessario mettere in evidenza il fatto che il tentativo europeo di diversificare le proprie forniture di idrocarburi ricorrendo alla produzione algerina (per fare in qualche modo pressione alla Russia) si è scontrato con la realtà di una cooperazione strategico-energetica tra Mosca e Algeri solida e di lunga data. L’Algeria, di fatto, non ha condannato in sede ONU l’intervento russo in Ucraina; non si è unita alla vulgata sanzionatoria ed ha pure aumentato la sua collaborazione con la Russia sul piano economico/estrattivo e militare (l’Algeria importa da sola la metà delle armi che Mosca vende in Africa, una percentuale che si aggira intorno al 73% degli acquisti militari totali del Paese nordafricano). Algeri, inoltre, si è mostrata scaltra nell’utilizzare la diplomazia del gas ed il contesto internazionale venutosi a creare a seguito dell’inasprimento del conflitto ucraino per il raggiungimento dei propri obiettivi geopolitici. In particolare, ha minacciato a più riprese l’interruzione delle forniture alla Spagna attraverso il gasdotto Megdaz che unisce Orano e Almeria (capacità 8 miliardi di metri cubi l’anno) a seguito dell’appoggio di Madrid (ex potenza coloniale regionale) al suddetto piano di autonomia marocchino per il Sahara occidentale (la Spagna è stata accusata di deviare parte delle forniture di gas algerine verso Rabat); ed ha aumentato il volume di esportazioni di idrocarburi verso l’Italia, attraverso il gasdotto TransMed, mettendo i due Paesi UE l’uno contro l’altro. La Spagna ambisce attualmente a divenire terminale e centro di smistamento del gas naturale liquefatto nordamericano in Europa; mentre Roma, in virtù del suo “Piano Mattei” (che mantiene notevoli elementi critici, come i dubbi sulla disponibilità dei fondi per la sua attuazione o la totale subordinazione geopolitica dell’Italia agli interessi atlantisti che fa sembrare il Paese come un cavallo di Troia per la penetrazione di volontà espansive altrui, Stati Uniti in primis), ha riconfermato il suo ruolo privilegiato nelle relazioni con l’Algeria, dalla quale arrivano il 44,3% delle sue importazioni di gas (l’Italia rimane il principale partner europeo dell’Algeria).

Il rapporto con la Russia merita un breve approfondimento, visto che ad esso si ricollegano anche gli sforzi algerini a mantenere una postura del tutto autonoma all’interno del mondo arabo e, per certi versi, ancorata ad una visione “statalista” della politica interna (il governo algerino ha stanziato 16.7 trilioni di dinari per il 2025, pari 125 miliardi di euro, per incentivare lo sviluppo infrastrutturale, minerario e per un aumento della produzione di idrocarburi – che dovrebbe arrivare ai 200 miliardi di metri cubi entro i prossimi cinque anni – utile per sostenere la spesa sociale e gli incentivi all’imprenditoria). Il nuovo accordo di partenariato strategico tra Russia ed Algeria, siglato nel 2023, infatti, comprende una cooperazione in più ambiti (agricoltura, educazione, tecnologia spaziale, energia) e non solo limitata al lato militare (bisogna ricordare che il volume degli scambi bilaterali è aumentato del 70% nel solo 2022). Le relazioni tra Russia ed Algeria, inoltre, sono di lunga data e vanno indietro fino al XIX secolo, quando l’emiro Abd al-Qadir (considerato il “padre” della Nazione algerina ed il primo esponente della ribellione contro il colonialismo francese), cercò di stabilire contatti con diplomatici russi durante il suo esilio in Siria. Successivamente, l’Unione Sovietica sostenne la guerra di liberazione algerina nel corso degli anni ’50 del secolo scorso. Un sostegno che proseguì nel corso della cosiddetta “guerra delle sabbie” del settembre-ottobre 1963: primo confronto diretto tra Marocco e Algeria scoppiato a causa di un contenzioso territoriale e durante il quale Stati Uniti e Francia scelsero di sostenere Rabat; mentre l’Algeria poté usufruire di un ridotto ma significativo aiuto cubano e dell’invio di un contingente militare egiziano. Ancora, negli anni ’90, il dover affrontare entrambi quello che è stato definito nei termini di “gihadismo di ritorno” portò i due Paesi ad intensificare e stringere nuove e proficue relazioni, culminate con un accordo che, nel 2001, consentì alla Russia di rimettere piede nel Maghreb dopo il crollo dell’URSS e di ristabilire una presenza perduta nel Mediterraneo meridionale (va da sé che la possibilità di costruire una base navale russa in Libia fu uno dei motivi che portò all’aggressione NATO contro Tripoli del 2011).

Ad ogni modo, la cooperazione militare rimane la pietra angolare della relazione russo-algerina. L’Algeria, infatti, è il terzo compratore al mondo di tecnologia militare russa, dietro India e Cina. In questo contesto, anche il comune impegno allo sviluppo di un ordine globale multipolare (e non americanocentrico) contribuisce a tenere saldo il rapporto tra Mosca e Algeri. Tuttavia, permangono anche in questo caso alcune problematiche, legate soprattutto al ruolo che le compagnie militari private russe (si veda il Gruppo Wagner, considerato come fonte di instabilità da Algeri) stanno mantenendo nella regione del Sahel, dove hanno sostenuto quella che è stata definita come la “cintura dei colpi di Stato”: Mali nel 2020 e poi nel 2021, Ciad nel 2021, Burkina Faso nel 2022, Niger nel 2023. Se, da un lato, questi colpi di Stato militari hanno portato ad un progressivo abbandono della regione da parte di Francia e Stati Uniti e ad un impulso alla cooperazione che ha portato nel 2024 alla creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel tra Burkina Faso, Mali e Niger (vero e proprio progetto rivolto al contrasto alla presenza occidentale nella regione), dall’altro, come avviene quasi sempre in questi casi, è aumentata la presenza di milizie “ribelli” e/o gruppi gihadisti dagli obiettivi piuttosto oscuri che agiscono in modo transfrontaliero (commerciando in armi, risorse minerarie ed esseri umani), approfittando dell’impossibilità dei diversi Paesi di controllare appieno i rispettivi confini desertici, e favorendo la destabilizzazione regionale. E non mancano naturalmente le reciproche accuse. Il Mali, ad esempio, ha accusato Algeri di sostenere i ribelli Tuareg che agiscono lungo la linea di confine tra i due Paesi.

Un discorso a parte è quello concernente la questione del Sahara occidentale che ha portato ad una vera e propria corsa al riarmo tra Marocco e Algeria. Qui, la situazione è decisamente deteriorata dopo il fallimento dei tentativi negoziali portati avanti dall’inviato ONU Horst Köhler, già presidente della Repubblica Federale Tedesca, nel 2019. Dopo quella data, infatti, la prima amministrazione Trump ha ufficialmente riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale (l’ex colonia spagnola all’interno della quale il Fronte Polisario combatte una guerra per l’indipendenza contro il Marocco che, sebbene a fasi alternate, va avanti sin dal 1975) in cambio dell’adesione di Rabat ai cosiddetti “accordi di Abramo”. Fattore che ha portato proprio il Marocco a divenire recipiente di notevoli aiuti militari israeliani, anche alla luce del fatto che Rabat ha accusato a più riprese il suddetto Fronte Polisario (abbreviazione di Fronte Popolare di Liberazione di Sanguia el Hamra e del Rio de Oro) di ricevere aiuti militari e addestramento da parte di Iran ed Hezbollah. La tattica di ricercare/ottenere aiuti militari occidentali indicando infiltrazioni iraniane in movimenti ribelli è abbastanza comune in tutta l’area mediorientale, pur non corrispondendo sempre alla realtà. Ad esempio, non esistono prove reali di un sostegno iraniano agli Houthi dello Yemen prima del 2011. Eppure questi avevano già combattuto ben sei differenti “guerre” contro l’autorità centrale di Sana’a che adoperò a più riprese lo spauracchio dei Pasdaran per chiedere aiuti a monarchie del Golfo e Stati Uniti.

In ogni caso, l’Algeria è stata storicamente sostenitrice del Fronte Polisario e dell’autodeterminazione del popolo Saharawi e, nonostante l’attuale tendenza del mondo arabo, rimane amica della causa palestinese. Motivo per cui un’apertura verso una maggiore cooperazione con gli Stati Uniti in questo secondo mandato trumpista, pur essendo stata messa in evidenza e considerata come possibilità reale da alcuni analisti occidentali, sembra ancora lontana dal concretizzarsi.

Con la rielezione di Abdelmadjid Tebboune, nel settembre 2024, l’Algeria ha optato sia per la stabilità politica interna che per un maggiore attivismo diplomatico rivolto alla diversificazione commerciale e delle relazioni estere.

Segue nostro Telegram.

Il secondo mandato di Tebboune, eletto la prima volta nel 2019 dopo il ventennio al potere di Abdelaziz Bouteflika, è stato da subito caratterizzato dalla ricerca di un approccio multidimensionale alla politica estera per il Paese nordafricano. Di fatto, in un contesto di crescente instabilità a livello globale, l’Algeria sta cercando di muoversi in modo pragmatico (presentandosi addirittura come mediatore credibile tra Russia e Ucraina) e con estrema cautela per garantire sia la continuità politica interna – evitando il ripetersi degli eventi sanguinosi degli anni ’90 (prodotto anche di quel “gihadismo di ritorno” dall’Afghanistan che ha destabilizzato l’intera regione del Nord Africa e del Vicino Oriente) – sia per costruire relazioni diplomatiche su più livelli e con attori diversi, spesso anche in contrasto tra loro. L’esempio più evidente, in questo caso, è rappresentato dalle relazioni di Algeri sia con Mosca che con l’Unione Europea.

L’Algeria, infatti, è divenuta centrale per la politica energetica dell’UE a seguito dell’intervento diretto della Russia nel conflitto civile ucraino ed al seguente regime sanzionatorio imposto a Mosca. Questo evento ha rappresentato uno spartiacque nelle relazioni tra il Paese nordafricano ed il Moloch tecno-mercantilista di Bruxelles. Con l’UE, nello specifico, l’Algeria è arrivata ad intessere un volume di scambi che ha raggiunto il 50% delle relazioni commerciali con l’estero, di cui il 19% è rappresentato dalle esportazioni di gas (cresciute del 6% nel solo 2023). Gas e petrolio, come noto, rappresentano il 90% del valore delle esportazioni algerine ed il 60% delle entrate governative.

Allo stesso tempo, Algeri ha scelto di puntare anche sul suo enorme potenziale in termini di energia rinnovabile (solare, eolica, ad idrogeno ed a biomassa), con la sua Strategia Nazionale per l’Idrogeno (inaugurata nel 2023) che mira a garantire all’Europa il 10% del suo fabbisogno di idrogeno entro il 2040.

Ora, ad onor del vero, è bene sottolineare che Algeri ha storicamente (e continua a farlo) preferito rapportarsi direttamente con i singoli Paesi membri dell’UE piuttosto che con l’istituzione comunitaria in quanto tale. Anzi, i rapporti con la stessa rimangono piuttosto complessi per tutta una serie di motivi, tra cui: 1) la questione del Sahara occidentale, con Francia e Spagna che appoggiano il piano marocchino per la mera autonomia della regione; 2) il problema dell’immigrazione illegale verso l’Europa (con Algeri che ha rifiutato di aderire all’agenda UE sull’immigrazione); 3) diverse dispute sulle reciproche restrizioni al commercio ed al trasferimento di tecnologia; 4) le accuse algerine riguardo alle interferenze esterne nella sua politica interna (sostegno di alcuni Paesi europei alle rivolte berbere nella Qabilia, lamentele europee per la repressione delle opposizioni); 5) lo stretto legame con la Russia.

Si cercherà di affrontare in dettaglio ognuno di questi punti. Tuttavia, in primo luogo, pare necessario mettere in evidenza il fatto che il tentativo europeo di diversificare le proprie forniture di idrocarburi ricorrendo alla produzione algerina (per fare in qualche modo pressione alla Russia) si è scontrato con la realtà di una cooperazione strategico-energetica tra Mosca e Algeri solida e di lunga data. L’Algeria, di fatto, non ha condannato in sede ONU l’intervento russo in Ucraina; non si è unita alla vulgata sanzionatoria ed ha pure aumentato la sua collaborazione con la Russia sul piano economico/estrattivo e militare (l’Algeria importa da sola la metà delle armi che Mosca vende in Africa, una percentuale che si aggira intorno al 73% degli acquisti militari totali del Paese nordafricano). Algeri, inoltre, si è mostrata scaltra nell’utilizzare la diplomazia del gas ed il contesto internazionale venutosi a creare a seguito dell’inasprimento del conflitto ucraino per il raggiungimento dei propri obiettivi geopolitici. In particolare, ha minacciato a più riprese l’interruzione delle forniture alla Spagna attraverso il gasdotto Megdaz che unisce Orano e Almeria (capacità 8 miliardi di metri cubi l’anno) a seguito dell’appoggio di Madrid (ex potenza coloniale regionale) al suddetto piano di autonomia marocchino per il Sahara occidentale (la Spagna è stata accusata di deviare parte delle forniture di gas algerine verso Rabat); ed ha aumentato il volume di esportazioni di idrocarburi verso l’Italia, attraverso il gasdotto TransMed, mettendo i due Paesi UE l’uno contro l’altro. La Spagna ambisce attualmente a divenire terminale e centro di smistamento del gas naturale liquefatto nordamericano in Europa; mentre Roma, in virtù del suo “Piano Mattei” (che mantiene notevoli elementi critici, come i dubbi sulla disponibilità dei fondi per la sua attuazione o la totale subordinazione geopolitica dell’Italia agli interessi atlantisti che fa sembrare il Paese come un cavallo di Troia per la penetrazione di volontà espansive altrui, Stati Uniti in primis), ha riconfermato il suo ruolo privilegiato nelle relazioni con l’Algeria, dalla quale arrivano il 44,3% delle sue importazioni di gas (l’Italia rimane il principale partner europeo dell’Algeria).

Il rapporto con la Russia merita un breve approfondimento, visto che ad esso si ricollegano anche gli sforzi algerini a mantenere una postura del tutto autonoma all’interno del mondo arabo e, per certi versi, ancorata ad una visione “statalista” della politica interna (il governo algerino ha stanziato 16.7 trilioni di dinari per il 2025, pari 125 miliardi di euro, per incentivare lo sviluppo infrastrutturale, minerario e per un aumento della produzione di idrocarburi – che dovrebbe arrivare ai 200 miliardi di metri cubi entro i prossimi cinque anni – utile per sostenere la spesa sociale e gli incentivi all’imprenditoria). Il nuovo accordo di partenariato strategico tra Russia ed Algeria, siglato nel 2023, infatti, comprende una cooperazione in più ambiti (agricoltura, educazione, tecnologia spaziale, energia) e non solo limitata al lato militare (bisogna ricordare che il volume degli scambi bilaterali è aumentato del 70% nel solo 2022). Le relazioni tra Russia ed Algeria, inoltre, sono di lunga data e vanno indietro fino al XIX secolo, quando l’emiro Abd al-Qadir (considerato il “padre” della Nazione algerina ed il primo esponente della ribellione contro il colonialismo francese), cercò di stabilire contatti con diplomatici russi durante il suo esilio in Siria. Successivamente, l’Unione Sovietica sostenne la guerra di liberazione algerina nel corso degli anni ’50 del secolo scorso. Un sostegno che proseguì nel corso della cosiddetta “guerra delle sabbie” del settembre-ottobre 1963: primo confronto diretto tra Marocco e Algeria scoppiato a causa di un contenzioso territoriale e durante il quale Stati Uniti e Francia scelsero di sostenere Rabat; mentre l’Algeria poté usufruire di un ridotto ma significativo aiuto cubano e dell’invio di un contingente militare egiziano. Ancora, negli anni ’90, il dover affrontare entrambi quello che è stato definito nei termini di “gihadismo di ritorno” portò i due Paesi ad intensificare e stringere nuove e proficue relazioni, culminate con un accordo che, nel 2001, consentì alla Russia di rimettere piede nel Maghreb dopo il crollo dell’URSS e di ristabilire una presenza perduta nel Mediterraneo meridionale (va da sé che la possibilità di costruire una base navale russa in Libia fu uno dei motivi che portò all’aggressione NATO contro Tripoli del 2011).

Ad ogni modo, la cooperazione militare rimane la pietra angolare della relazione russo-algerina. L’Algeria, infatti, è il terzo compratore al mondo di tecnologia militare russa, dietro India e Cina. In questo contesto, anche il comune impegno allo sviluppo di un ordine globale multipolare (e non americanocentrico) contribuisce a tenere saldo il rapporto tra Mosca e Algeri. Tuttavia, permangono anche in questo caso alcune problematiche, legate soprattutto al ruolo che le compagnie militari private russe (si veda il Gruppo Wagner, considerato come fonte di instabilità da Algeri) stanno mantenendo nella regione del Sahel, dove hanno sostenuto quella che è stata definita come la “cintura dei colpi di Stato”: Mali nel 2020 e poi nel 2021, Ciad nel 2021, Burkina Faso nel 2022, Niger nel 2023. Se, da un lato, questi colpi di Stato militari hanno portato ad un progressivo abbandono della regione da parte di Francia e Stati Uniti e ad un impulso alla cooperazione che ha portato nel 2024 alla creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel tra Burkina Faso, Mali e Niger (vero e proprio progetto rivolto al contrasto alla presenza occidentale nella regione), dall’altro, come avviene quasi sempre in questi casi, è aumentata la presenza di milizie “ribelli” e/o gruppi gihadisti dagli obiettivi piuttosto oscuri che agiscono in modo transfrontaliero (commerciando in armi, risorse minerarie ed esseri umani), approfittando dell’impossibilità dei diversi Paesi di controllare appieno i rispettivi confini desertici, e favorendo la destabilizzazione regionale. E non mancano naturalmente le reciproche accuse. Il Mali, ad esempio, ha accusato Algeri di sostenere i ribelli Tuareg che agiscono lungo la linea di confine tra i due Paesi.

Un discorso a parte è quello concernente la questione del Sahara occidentale che ha portato ad una vera e propria corsa al riarmo tra Marocco e Algeria. Qui, la situazione è decisamente deteriorata dopo il fallimento dei tentativi negoziali portati avanti dall’inviato ONU Horst Köhler, già presidente della Repubblica Federale Tedesca, nel 2019. Dopo quella data, infatti, la prima amministrazione Trump ha ufficialmente riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale (l’ex colonia spagnola all’interno della quale il Fronte Polisario combatte una guerra per l’indipendenza contro il Marocco che, sebbene a fasi alternate, va avanti sin dal 1975) in cambio dell’adesione di Rabat ai cosiddetti “accordi di Abramo”. Fattore che ha portato proprio il Marocco a divenire recipiente di notevoli aiuti militari israeliani, anche alla luce del fatto che Rabat ha accusato a più riprese il suddetto Fronte Polisario (abbreviazione di Fronte Popolare di Liberazione di Sanguia el Hamra e del Rio de Oro) di ricevere aiuti militari e addestramento da parte di Iran ed Hezbollah. La tattica di ricercare/ottenere aiuti militari occidentali indicando infiltrazioni iraniane in movimenti ribelli è abbastanza comune in tutta l’area mediorientale, pur non corrispondendo sempre alla realtà. Ad esempio, non esistono prove reali di un sostegno iraniano agli Houthi dello Yemen prima del 2011. Eppure questi avevano già combattuto ben sei differenti “guerre” contro l’autorità centrale di Sana’a che adoperò a più riprese lo spauracchio dei Pasdaran per chiedere aiuti a monarchie del Golfo e Stati Uniti.

In ogni caso, l’Algeria è stata storicamente sostenitrice del Fronte Polisario e dell’autodeterminazione del popolo Saharawi e, nonostante l’attuale tendenza del mondo arabo, rimane amica della causa palestinese. Motivo per cui un’apertura verso una maggiore cooperazione con gli Stati Uniti in questo secondo mandato trumpista, pur essendo stata messa in evidenza e considerata come possibilità reale da alcuni analisti occidentali, sembra ancora lontana dal concretizzarsi.

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