Le tariffe americane colpiranno maggiormente l’Europa, e l’Europa, anche stavolta, si trova non soltanto impreparata, ma vittima della sua sudditanza all’imperialismo americano, dopo quello inglese.
Proprio nel momento sbagliato
Lo stato dell’arte degli equilibri geoeconomici in Occidente vedo i dazi americani giungere come un fulmine a ciel sereno. Un problema non di poco conto, se si considera che la situazione economica del continente europeo è già notoriamente pessima e in una fase di rapida inesorabile discesa verso il nulla assoluto. Ancor più problematica è se si pensa che i dazi arrivano proprio mentre la Commissione Europea vantava di voler investire 800 miliardi di euro per fare la guerra alla Russia. Insomma, decisamente un pessimo tempismo.
Facciamo il punto della situazione.
Il governo americano impone i dazi, il giorno dopo i mercati calano a picco, la Cina risponde, ancora un giorno e Trump li rimuove, poi tornano di nuovo. Nel frattempo le speculazioni sono volate alle stelle e chi doveva approfittarsene, lo ha fatto. Ovviamente nella lista dei fortunati vincitori della lotteria non c’era l’Europa.
Quello che succede è peggio di quanto ci si aspettasse, perché se è vero che i dazi sono utilizzati più o meno come le sanzioni, e dunque come strumento di deterrenza, è altrettanto vero che di solito si applicano contro gli avversari, i nemici o tutt’al più i competitors più sfacciati, ma non contro i propri “alleati” (=sudditi), ed è proprio questa logica a dover far riflettere gli Stati europei sula verità della relazione politica che intercorre fra gli USA e l’Europa.
Dunque, che fare?
I dazi introdotti da Donald Trump segnano un nuovo capitolo nelle relazioni economiche tra Europa e Stati Uniti, rompendo bruscamente con le politiche di libero scambio che hanno dominato negli ultimi trent’anni. Il 2 aprile 2025 è stato ribattezzato dal presidente americano “Giorno della Liberazione”, simbolo dell’abbandono da parte degli USA dell’approccio globalista al commercio e dell’adozione di un protezionismo finalizzato a correggere quelli che Washington considera squilibri strutturali a danno dell’economia americana. Non è la prima volta che succede in America, si sa, ma il colpo è arrivato proprio nel momento in cui per la UE si prospettavano le spese pazze per la guerra. Tutto questo sembra quasi un assist alla Russia.
Non è la prima volta che Trump ricorre ai dazi: già durante il suo primo mandato aveva dato inizio a un confronto commerciale con la Cina. Stavolta, però, l’attacco è più strutturato e su scala molto più ampia. Sono circa sessanta i Paesi presi di mira dagli Stati Uniti, con tariffe che variano: dal 20-25% per l’Europa fino a un 54% per la Cina. Le misure entreranno in vigore in due fasi: il 5 aprile con un dazio del 10% generalizzato e, successivamente, il 9 aprile con aliquote differenziate per singoli Paesi.
Con l’adozione di tariffe doganali tra il 20% e il 25% sui beni provenienti dall’Unione Europea, gli Stati Uniti riportano l’economia globale indietro di decenni, ai tempi del protezionismo e isolazionismo degli anni ’30.
L’Unione Europea potrebbe pagare un prezzo pesante per queste misure: si prevede un calo del PIL doppio rispetto a quello americano, rispettivamente dello 0,4% contro lo 0,2%. Ed è qui che si può osservare un dettaglio interessante: a patire questa scelta è proprio la Germania, proprio il Paese scelto per guidare la produzione del Rearm Europe. Ufficialmente è stato colpito il settore automobilistico, ma in generale a risentirne è tutta la catena produttiva e di approvvigionamento del settore metalmeccanico. Insomma, Rheinmetall avrà difficoltà a sfornare sia le utilitarie Volkswagen, sia i carri armati per conquistare Mosca.
Cosa farà l’UE?
L’Unione Europea si è detta pronta a rispondere, ma prima tenterà la via diplomatica, sperando che a Washington qualcuno abbia voglia di ascoltarli.
Bruxelles potrebbe introdurre dazi per un valore massimo di 26 miliardi di euro sui beni americani già dal 12 aprile. Ursula Von der Leyen ha affermato che l’Europa resta aperta al dialogo, ma ha messo in guardia sul fatto che l’aumento delle tariffe finisce per danneggiare tutti, facendo lievitare i prezzi globali.
Chiaramente la prospettiva attualmente prediletta dalla governance europea è quella del contrattacco – con la pia illusione di poter avere successo: dovranno valutare se lascia perdere e variare la politica monetaria, sfruttando l’introduzione dell’Euro digitale (che comunque sarà operativo da ottobre e sarà uno strumento di controllo sociale potentissimo); in alternativa Bruxelles potrebbe introdurre dazi per un valore massimo di 26 miliardi di euro sui beni americani già dal 12 aprile. Ursula Von der Leyen ha affermato che l’Europa resta aperta al dialogo, ma ha messo in guardia sul fatto che l’aumento delle tariffe finisce per danneggiare tutti, facendo lievitare i prezzi globali.
Come suggerito da Tagliamacco, per l’UE si potrebbe trattare di un’occasione storica per sganciarsi dall’influenza americana e aprirsi ad alternative, ma lo scenario europeo appare grigio. La crisi economica che affligge il continente, che rischia di aggravarsi, potrebbe essere affrontata in due modi se ci fosse una classe dirigente diversa. La prima via è il rafforzamento dei rapporti con la Cina. L’uscita dell’Italia dalla Via della Seta è stata una scelta miope: è invece cruciale mantenere relazioni solide con Pechino per stimolare gli scambi. Allo stesso modo, andrebbe ripristinato il legame con la Russia, da cui l’Europa riceveva gas a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli americani.
La seconda via è interna: rilanciare i consumi. Dalla fine degli anni ’90, i salari reali sono rimasti compressi, deprimendo la domanda interna. L’Italia ha bisogno di ricostruire il proprio mercato interno, aumentare i redditi e stimolare la spesa. Per fare ciò serve un forte blocco sociale capace di contrastare l’ordoliberismo, che ha portato a un impoverimento diffuso del Paese.
Per rilanciare i rapporti tra l’Unione Europea e la Cina, è fondamentale superare le forti divergenze legate all’ingente surplus commerciale cinese e agli ostacoli che limitano l’accesso al suo mercato interno. Secondo quanto riferito dal quotidiano, l’Europa è inoltre preoccupata per il sostegno che Pechino continua a fornire alla Russia nella guerra in Ucraina.
Negli ultimi tempi, la Cina ha inviato missioni commerciali in diverse capitali europee, mentre le sue industrie stanno prendendo in considerazione l’idea di indirizzare una parte delle esportazioni verso i mercati europei. Anche i vertici dell’UE hanno espresso pubblicamente l’intenzione di rafforzare la cooperazione bilaterale, in netta controtendenza rispetto ai precedenti appelli a “ridurre i rischi” legati alla dipendenza dalle catene di fornitura cinesi.
Molto soft, non troppo power
La cosa che dovrebbe far riflettere maggiormente è il significato politico di questa azione.
Gli USA stanno cercando di lanciare un chiaro messaggio all’Europa intera, sia alla leadership che ai cittadini. Ai primi, viene detto chiaramente, tramite un linguaggio sottointeso, che alcune scelte internazionali non fanno piacere.
Gli USA vogliono avere la predominanza nelle relazioni con la Russia e la Cina, pur essendo pronti a mandare in guerra gli europei senza pensarci due volte. Inoltre viene ricordato che l’Euro è una creazione fatta per mantenere il continente europeo sotto l’egemonia del dollaro, quindi qualsiasi tentativo di diversificare la struttura monetaria dei Paesi membri è da considerarsi “pericolosa” e “inopportuna”. Gli Stati Uniti hanno già perso abbastanza terreno commerciale, perdere anche l’Europa non è sicuramente una delle migliori vide da perseguire. La leadership europea non è onnipotente e, soprattutto, non comanda a casa propria.
Ai cittadini sembrano voler comunicare che ci sono in atto dei cambiamenti fra ordini di potere, pertanto una certa “collaborazione” sarà gradita e porterà ad una piacevole approvazione e premiazione da parte del padrone di oltreoceano. Di sicuro l’Europa non deve andare a braccetto con la Russia e tutti gli altri mostri super cattivi dell’Asia.
Insomma, l’Europa, anche stavolta, si trova non soltanto impreparata, ma vittima della sua sudditanza all’imperialismo americano, dopo quello inglese.
Chissà se quando la gente si troverà a dover lottare per un pezzo di pane, capirà che non saranno i politi a cambiare la condizione di questa schiavitù.