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Giulio Chinappi
April 29, 2025
© Photo: Public domain

Di fronte alla guerra commerciale statunitense, la Cina rilancia la propria diplomazia nei confronti dei Paesi limitrofi, con visite strategiche in Vietnam, Malaysia e Cambogia, rafforza i legami con il Myanmar e inaugura con l’Indonesia il dialogo “2+2”, consolidando l’ASEAN come solido pilastro regionale.

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Nel contesto della guerra commerciale scatenata dall’amministrazione Trump con l’imposizione di dazi punitivi e minacce di ritorsioni, la politica estera della Cina nei confronti dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) si è contraddistinta per un marcato impulso all’integrazione economica, alla cooperazione strategica e al rafforzamento della sicurezza regionale. La visita del presidente Xi Jinping in Vietnam, Malaysia e Cambogia, le solide relazioni con il Myanmar e l’istituzione del meccanismo ministeriale “2+2” con l’Indonesia rappresentano i capisaldi di un approccio multilaterale volto a contrastare l’egemonia economico-politica degli Stati Uniti e a consolidare il ruolo dell’ASEAN nello scacchiere globale.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno intensificato l’uso dei dazi come strumento di pressione politica, imponendo tariffe su prodotti cinesi per un valore complessivo che ha superato i 360 miliardi di dollari nel biennio 2018-2019. Questa politica ha generato incertezze sui mercati internazionali, danneggiato le catene globali di approvvigionamento e spinto molti Paesi dell’ASEAN a cercare nuove partnership per diversificare i propri flussi commerciali e ridurre la dipendenza dal mercato statunitense.

Dopo l’ulteriore rilancio dei dazi nelle ultime settimane da parte di Donald Trump, la Cina ha colto l’occasione per rilanciare la sua diplomazia regionale, promuovendo una strategia basata su quattro pilastri: apertura economica, cooperazione infrastrutturale, dialogo strategico e tutela della sicurezza collettiva. Questi elementi si sono tradotti in una serie di iniziative concrete, illustrate durante il tour di Xi Jinping nel Sud-Est asiatico e rafforzate da meccanismi di coordinamento bilaterale.

La prima meta toccata dal presidente cinese è stato il Vietnam, in un’occasione storica che ha coinciso con il 75° anniversario delle relazioni diplomatiche bilaterali. Al termine della visita, il comunicato congiunto tra Pechino e Hà Nội ha tracciato una “roadmap” per la costruzione di una comunità Cina-Vietnam dal futuro condiviso, basata su sei misure chiave: elevare la fiducia strategica reciproca; rafforzare la barriera di sicurezza comune; ampliare una cooperazione mutuamente vantaggiosa; intensificare i legami nell’opinione pubblica; promuovere una cooperazione multilaterale più stretta; favorire interazioni marittime positive.

Queste misure si traducono in oltre quaranta progetti firmati – dal potenziamento dei corridoi ferroviari all’intelligenza artificiale, dal commercio agricolo sino al turismo e alla cultura – consolidando un partenariato che ha già superato i 260 miliardi di dollari di scambi annui. Le ultime infrastrutture realizzate, come i porti smart e il “viaggio in un giorno” tra i due Paesi, rappresentano un chiaro segnale di progresso tangibile. In un clima di protezionismo globale, la Cina e il Vietnam hanno scelto l’inclusione e la cooperazione come antidoti alla frammentazione internazionale.

La seconda tappa ha visto Xi recarsi in Malaysia, dove è stata annunciata la nascita di una comunità strategica di alto livello dal futuro condiviso. In quest’occasione, i governi di Pechino e di Kuala Lumpur si sono impegnati a: rafforzare coordinamento politico e sinergie di sviluppo; preservare la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale; collaborare su digital economy, green economy, blue economy e turismo; integrare le catene industriali, del valore, dei dati e dei talenti; sostenere piattaforme come la China International Import Expo e la China-ASEAN Expo.

La Malaysia ha inoltre ribadito il fermo sostegno alla politica di “una sola Cina”, mentre la Repubblica Popolare ha confermato la disponibilità di investimenti nella rete 5G e nella filiera dei semiconduttori. In un’epoca in cui gli Stati Uniti spingono verso il “de-risking” e la pressione su Huawei e ZTE, questo accordo dimostra come il governo della Malaysia preferisca un approccio pragmatico basato sui reali vantaggi economici.

La terza e ultima tappa del viaggio di Xi è stata in Cambogia, la cui relazione con Pechino è stata definita dallo stesso leader cinese come un modello di cooperazione per nazioni di dimensioni diverse. Nel corso degli incontri di Xi Jinping con il primo ministro Hun Manet, il leader del Partito Popolare Cambogiano Hun Sen e il Re Norodom Sihamoni, le due parti hanno preso accordi riguardo diversi punti salienti: supporto all’indipendenza strategica cambogiana, nel rispetto delle specificità nazionali; apertura cinese ai progetti infrastrutturali del BRI in Cambogia, in particolare nei settori di trasporti, energia, turismo e zone economiche speciali; conferma di Pechino come principale partner commerciale e investitore estero della Cambogia; appello congiunto a “unire le forze contro egemonismo e politiche di blocco”, promuovendo un mondo multipolare e un’economia globalmente inclusiva.

Come quelle in Vietnam e Malaysia, anche questa visita ha sottolineato come, in presenza di dazi e pressioni da parte degli Stati Uniti, le relazioni Sino-Cambogia continuino a prosperare, dimostrando che la cooperazione win-win supera le logiche di confronto volute dal blocco occidentale.

Per quanto riguarda il Myanmar, questo occupa una posizione strategica per la sicurezza cinese lungo i suoi confini sud-occidentali. Come abbiamo scritto in un nostro precedente articolo, le relazioni tra Pechino e Naypyidaw si basano sul concetto di “Pauk-Phaw”, rilanciato da Xi Jinping come pilastro di mediazione nei conflitti interni birmani, con la Cina che ha facilitato colloqui tra governo e gruppi armati. Inoltre, questo ha rappresentato un esempio di “tech for good” a seguito del terremoto del 28 marzo, per mezzo dell’invio di squadre di soccorso dallo Yunnan, dell’utilizzo di droni e satelliti, e del supporto sanitario e infrastrutturale offerto dalla Cina. Questa cooperazione umanitaria e diplomatica ha suggellato un nuovo paradigma di vicinato basato su solidarietà, rispetto e stabilità regionale, rafforzando il concetto di “comunità dal futuro condiviso”, espressa dal presidente Xi.

Infine, il Primo Incontro Ministeriale “2+2” Cina-Indonesia (Esteri + Difesa) ha istituzionalizzato un canale di dialogo strategico al vertice, il primo del suo genere con un partner asiatico. Secondo quanto riportato dalla stampa cinese, gli obiettivi di tale meccanismo sono rafforzare l’autonomia strategica dell’ASEAN di fronte alla “Strategia Indo-Pacifico” USA, elevare il livello della cooperazione tradizionale includendo la sicurezza regionale come tema centrale, offrire un’alternativa pragmatica alle coalizioni esclusive, preservando la centralità dell’ASEAN nella governance regionale, e rafforzare la fiducia strategica bilaterale e promuovere un ambiente di sicurezza stabile e cooperativo. Da questo punto di vista, l’Indonesia, in quanto leader demografico e prima economia dell’ASEAN, ha indicato la via per un modello di cooperazione basato su dialogo, autodeterminazione e multilateralismo.

A nostro modo di vedere, le iniziative illustrate dimostrano che l’ASEAN, grazie alla sua centralità geografica e politica, e la Cina, con enormi capacità economiche e diplomatiche, dispongono degli strumenti per rispondere efficacemente alla guerra commerciale voluta dagli USA. Questo processo passa per la diversificazione delle catene di approvvigionamento, realizzabile attraverso nuovi corridoi ferroviari, porti smart, integrazione digitale, e per la cooperazione in materia di nuove tecnologie, comprese quelle “green”, per mezzo di investimenti in energia rinnovabile, 5G, veicoli elettrici, etc. Invece di farsi trascinare nella logica del “disaccoppiamento” con la Cina, dunque, molti membri dell’ASEAN hanno scelto la via dell’interdipendenza e del multilateralismo, consapevoli che isolarsi avrebbe significato rinunciare alla crescita economica e alla sicurezza collettiva.

Tutto questo dimostra come la risposta cinese alla politica dei dazi statunitensi sia stata non uno scontro diretto, ma un’intensificazione della cooperazione regionale e del dialogo strategico. Le visite di Xi in Vietnam, Malaysia e Cambogia, insieme alle iniziative in Myanmar e al nuovo meccanismo “2+2” con l’Indonesia, costituiscono una rete di sicurezza e sviluppo capace di tenere insieme un’area vulnerabile alle oscillazioni geopolitiche.

L’ASEAN, da parte sua, ha dimostrato capacità di equilibrare le relazioni con le grandi potenze, promuovendo una visione multipolare e inclusiva. Nel frammentato panorama globale, l’alleanza strategica Cina-ASEAN rappresenta un modello di cooperazione fondato sull’apertura, la fiducia reciproca e una risposta pragmatica alle sfide presenti e future.

In definitiva, la cooperazione Sino-ASEAN non è soltanto un rimedio alla guerra dei dazi, ma una pietra angolare di un ordine regionale più stabile, prospero e multilaterale — un vero e proprio contrappeso all’egemonia coercitiva, capace di garantire crescita condivisa e sicurezza collettiva.

La politica cinese verso l’ASEAN nell’era dei dazi di Trump: un’alleanza strategica tra sviluppo e sicurezza

Di fronte alla guerra commerciale statunitense, la Cina rilancia la propria diplomazia nei confronti dei Paesi limitrofi, con visite strategiche in Vietnam, Malaysia e Cambogia, rafforza i legami con il Myanmar e inaugura con l’Indonesia il dialogo “2+2”, consolidando l’ASEAN come solido pilastro regionale.

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Nel contesto della guerra commerciale scatenata dall’amministrazione Trump con l’imposizione di dazi punitivi e minacce di ritorsioni, la politica estera della Cina nei confronti dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) si è contraddistinta per un marcato impulso all’integrazione economica, alla cooperazione strategica e al rafforzamento della sicurezza regionale. La visita del presidente Xi Jinping in Vietnam, Malaysia e Cambogia, le solide relazioni con il Myanmar e l’istituzione del meccanismo ministeriale “2+2” con l’Indonesia rappresentano i capisaldi di un approccio multilaterale volto a contrastare l’egemonia economico-politica degli Stati Uniti e a consolidare il ruolo dell’ASEAN nello scacchiere globale.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno intensificato l’uso dei dazi come strumento di pressione politica, imponendo tariffe su prodotti cinesi per un valore complessivo che ha superato i 360 miliardi di dollari nel biennio 2018-2019. Questa politica ha generato incertezze sui mercati internazionali, danneggiato le catene globali di approvvigionamento e spinto molti Paesi dell’ASEAN a cercare nuove partnership per diversificare i propri flussi commerciali e ridurre la dipendenza dal mercato statunitense.

Dopo l’ulteriore rilancio dei dazi nelle ultime settimane da parte di Donald Trump, la Cina ha colto l’occasione per rilanciare la sua diplomazia regionale, promuovendo una strategia basata su quattro pilastri: apertura economica, cooperazione infrastrutturale, dialogo strategico e tutela della sicurezza collettiva. Questi elementi si sono tradotti in una serie di iniziative concrete, illustrate durante il tour di Xi Jinping nel Sud-Est asiatico e rafforzate da meccanismi di coordinamento bilaterale.

La prima meta toccata dal presidente cinese è stato il Vietnam, in un’occasione storica che ha coinciso con il 75° anniversario delle relazioni diplomatiche bilaterali. Al termine della visita, il comunicato congiunto tra Pechino e Hà Nội ha tracciato una “roadmap” per la costruzione di una comunità Cina-Vietnam dal futuro condiviso, basata su sei misure chiave: elevare la fiducia strategica reciproca; rafforzare la barriera di sicurezza comune; ampliare una cooperazione mutuamente vantaggiosa; intensificare i legami nell’opinione pubblica; promuovere una cooperazione multilaterale più stretta; favorire interazioni marittime positive.

Queste misure si traducono in oltre quaranta progetti firmati – dal potenziamento dei corridoi ferroviari all’intelligenza artificiale, dal commercio agricolo sino al turismo e alla cultura – consolidando un partenariato che ha già superato i 260 miliardi di dollari di scambi annui. Le ultime infrastrutture realizzate, come i porti smart e il “viaggio in un giorno” tra i due Paesi, rappresentano un chiaro segnale di progresso tangibile. In un clima di protezionismo globale, la Cina e il Vietnam hanno scelto l’inclusione e la cooperazione come antidoti alla frammentazione internazionale.

La seconda tappa ha visto Xi recarsi in Malaysia, dove è stata annunciata la nascita di una comunità strategica di alto livello dal futuro condiviso. In quest’occasione, i governi di Pechino e di Kuala Lumpur si sono impegnati a: rafforzare coordinamento politico e sinergie di sviluppo; preservare la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale; collaborare su digital economy, green economy, blue economy e turismo; integrare le catene industriali, del valore, dei dati e dei talenti; sostenere piattaforme come la China International Import Expo e la China-ASEAN Expo.

La Malaysia ha inoltre ribadito il fermo sostegno alla politica di “una sola Cina”, mentre la Repubblica Popolare ha confermato la disponibilità di investimenti nella rete 5G e nella filiera dei semiconduttori. In un’epoca in cui gli Stati Uniti spingono verso il “de-risking” e la pressione su Huawei e ZTE, questo accordo dimostra come il governo della Malaysia preferisca un approccio pragmatico basato sui reali vantaggi economici.

La terza e ultima tappa del viaggio di Xi è stata in Cambogia, la cui relazione con Pechino è stata definita dallo stesso leader cinese come un modello di cooperazione per nazioni di dimensioni diverse. Nel corso degli incontri di Xi Jinping con il primo ministro Hun Manet, il leader del Partito Popolare Cambogiano Hun Sen e il Re Norodom Sihamoni, le due parti hanno preso accordi riguardo diversi punti salienti: supporto all’indipendenza strategica cambogiana, nel rispetto delle specificità nazionali; apertura cinese ai progetti infrastrutturali del BRI in Cambogia, in particolare nei settori di trasporti, energia, turismo e zone economiche speciali; conferma di Pechino come principale partner commerciale e investitore estero della Cambogia; appello congiunto a “unire le forze contro egemonismo e politiche di blocco”, promuovendo un mondo multipolare e un’economia globalmente inclusiva.

Come quelle in Vietnam e Malaysia, anche questa visita ha sottolineato come, in presenza di dazi e pressioni da parte degli Stati Uniti, le relazioni Sino-Cambogia continuino a prosperare, dimostrando che la cooperazione win-win supera le logiche di confronto volute dal blocco occidentale.

Per quanto riguarda il Myanmar, questo occupa una posizione strategica per la sicurezza cinese lungo i suoi confini sud-occidentali. Come abbiamo scritto in un nostro precedente articolo, le relazioni tra Pechino e Naypyidaw si basano sul concetto di “Pauk-Phaw”, rilanciato da Xi Jinping come pilastro di mediazione nei conflitti interni birmani, con la Cina che ha facilitato colloqui tra governo e gruppi armati. Inoltre, questo ha rappresentato un esempio di “tech for good” a seguito del terremoto del 28 marzo, per mezzo dell’invio di squadre di soccorso dallo Yunnan, dell’utilizzo di droni e satelliti, e del supporto sanitario e infrastrutturale offerto dalla Cina. Questa cooperazione umanitaria e diplomatica ha suggellato un nuovo paradigma di vicinato basato su solidarietà, rispetto e stabilità regionale, rafforzando il concetto di “comunità dal futuro condiviso”, espressa dal presidente Xi.

Infine, il Primo Incontro Ministeriale “2+2” Cina-Indonesia (Esteri + Difesa) ha istituzionalizzato un canale di dialogo strategico al vertice, il primo del suo genere con un partner asiatico. Secondo quanto riportato dalla stampa cinese, gli obiettivi di tale meccanismo sono rafforzare l’autonomia strategica dell’ASEAN di fronte alla “Strategia Indo-Pacifico” USA, elevare il livello della cooperazione tradizionale includendo la sicurezza regionale come tema centrale, offrire un’alternativa pragmatica alle coalizioni esclusive, preservando la centralità dell’ASEAN nella governance regionale, e rafforzare la fiducia strategica bilaterale e promuovere un ambiente di sicurezza stabile e cooperativo. Da questo punto di vista, l’Indonesia, in quanto leader demografico e prima economia dell’ASEAN, ha indicato la via per un modello di cooperazione basato su dialogo, autodeterminazione e multilateralismo.

A nostro modo di vedere, le iniziative illustrate dimostrano che l’ASEAN, grazie alla sua centralità geografica e politica, e la Cina, con enormi capacità economiche e diplomatiche, dispongono degli strumenti per rispondere efficacemente alla guerra commerciale voluta dagli USA. Questo processo passa per la diversificazione delle catene di approvvigionamento, realizzabile attraverso nuovi corridoi ferroviari, porti smart, integrazione digitale, e per la cooperazione in materia di nuove tecnologie, comprese quelle “green”, per mezzo di investimenti in energia rinnovabile, 5G, veicoli elettrici, etc. Invece di farsi trascinare nella logica del “disaccoppiamento” con la Cina, dunque, molti membri dell’ASEAN hanno scelto la via dell’interdipendenza e del multilateralismo, consapevoli che isolarsi avrebbe significato rinunciare alla crescita economica e alla sicurezza collettiva.

Tutto questo dimostra come la risposta cinese alla politica dei dazi statunitensi sia stata non uno scontro diretto, ma un’intensificazione della cooperazione regionale e del dialogo strategico. Le visite di Xi in Vietnam, Malaysia e Cambogia, insieme alle iniziative in Myanmar e al nuovo meccanismo “2+2” con l’Indonesia, costituiscono una rete di sicurezza e sviluppo capace di tenere insieme un’area vulnerabile alle oscillazioni geopolitiche.

L’ASEAN, da parte sua, ha dimostrato capacità di equilibrare le relazioni con le grandi potenze, promuovendo una visione multipolare e inclusiva. Nel frammentato panorama globale, l’alleanza strategica Cina-ASEAN rappresenta un modello di cooperazione fondato sull’apertura, la fiducia reciproca e una risposta pragmatica alle sfide presenti e future.

In definitiva, la cooperazione Sino-ASEAN non è soltanto un rimedio alla guerra dei dazi, ma una pietra angolare di un ordine regionale più stabile, prospero e multilaterale — un vero e proprio contrappeso all’egemonia coercitiva, capace di garantire crescita condivisa e sicurezza collettiva.

Di fronte alla guerra commerciale statunitense, la Cina rilancia la propria diplomazia nei confronti dei Paesi limitrofi, con visite strategiche in Vietnam, Malaysia e Cambogia, rafforza i legami con il Myanmar e inaugura con l’Indonesia il dialogo “2+2”, consolidando l’ASEAN come solido pilastro regionale.

Segue nostro Telegram.

Nel contesto della guerra commerciale scatenata dall’amministrazione Trump con l’imposizione di dazi punitivi e minacce di ritorsioni, la politica estera della Cina nei confronti dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) si è contraddistinta per un marcato impulso all’integrazione economica, alla cooperazione strategica e al rafforzamento della sicurezza regionale. La visita del presidente Xi Jinping in Vietnam, Malaysia e Cambogia, le solide relazioni con il Myanmar e l’istituzione del meccanismo ministeriale “2+2” con l’Indonesia rappresentano i capisaldi di un approccio multilaterale volto a contrastare l’egemonia economico-politica degli Stati Uniti e a consolidare il ruolo dell’ASEAN nello scacchiere globale.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno intensificato l’uso dei dazi come strumento di pressione politica, imponendo tariffe su prodotti cinesi per un valore complessivo che ha superato i 360 miliardi di dollari nel biennio 2018-2019. Questa politica ha generato incertezze sui mercati internazionali, danneggiato le catene globali di approvvigionamento e spinto molti Paesi dell’ASEAN a cercare nuove partnership per diversificare i propri flussi commerciali e ridurre la dipendenza dal mercato statunitense.

Dopo l’ulteriore rilancio dei dazi nelle ultime settimane da parte di Donald Trump, la Cina ha colto l’occasione per rilanciare la sua diplomazia regionale, promuovendo una strategia basata su quattro pilastri: apertura economica, cooperazione infrastrutturale, dialogo strategico e tutela della sicurezza collettiva. Questi elementi si sono tradotti in una serie di iniziative concrete, illustrate durante il tour di Xi Jinping nel Sud-Est asiatico e rafforzate da meccanismi di coordinamento bilaterale.

La prima meta toccata dal presidente cinese è stato il Vietnam, in un’occasione storica che ha coinciso con il 75° anniversario delle relazioni diplomatiche bilaterali. Al termine della visita, il comunicato congiunto tra Pechino e Hà Nội ha tracciato una “roadmap” per la costruzione di una comunità Cina-Vietnam dal futuro condiviso, basata su sei misure chiave: elevare la fiducia strategica reciproca; rafforzare la barriera di sicurezza comune; ampliare una cooperazione mutuamente vantaggiosa; intensificare i legami nell’opinione pubblica; promuovere una cooperazione multilaterale più stretta; favorire interazioni marittime positive.

Queste misure si traducono in oltre quaranta progetti firmati – dal potenziamento dei corridoi ferroviari all’intelligenza artificiale, dal commercio agricolo sino al turismo e alla cultura – consolidando un partenariato che ha già superato i 260 miliardi di dollari di scambi annui. Le ultime infrastrutture realizzate, come i porti smart e il “viaggio in un giorno” tra i due Paesi, rappresentano un chiaro segnale di progresso tangibile. In un clima di protezionismo globale, la Cina e il Vietnam hanno scelto l’inclusione e la cooperazione come antidoti alla frammentazione internazionale.

La seconda tappa ha visto Xi recarsi in Malaysia, dove è stata annunciata la nascita di una comunità strategica di alto livello dal futuro condiviso. In quest’occasione, i governi di Pechino e di Kuala Lumpur si sono impegnati a: rafforzare coordinamento politico e sinergie di sviluppo; preservare la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale; collaborare su digital economy, green economy, blue economy e turismo; integrare le catene industriali, del valore, dei dati e dei talenti; sostenere piattaforme come la China International Import Expo e la China-ASEAN Expo.

La Malaysia ha inoltre ribadito il fermo sostegno alla politica di “una sola Cina”, mentre la Repubblica Popolare ha confermato la disponibilità di investimenti nella rete 5G e nella filiera dei semiconduttori. In un’epoca in cui gli Stati Uniti spingono verso il “de-risking” e la pressione su Huawei e ZTE, questo accordo dimostra come il governo della Malaysia preferisca un approccio pragmatico basato sui reali vantaggi economici.

La terza e ultima tappa del viaggio di Xi è stata in Cambogia, la cui relazione con Pechino è stata definita dallo stesso leader cinese come un modello di cooperazione per nazioni di dimensioni diverse. Nel corso degli incontri di Xi Jinping con il primo ministro Hun Manet, il leader del Partito Popolare Cambogiano Hun Sen e il Re Norodom Sihamoni, le due parti hanno preso accordi riguardo diversi punti salienti: supporto all’indipendenza strategica cambogiana, nel rispetto delle specificità nazionali; apertura cinese ai progetti infrastrutturali del BRI in Cambogia, in particolare nei settori di trasporti, energia, turismo e zone economiche speciali; conferma di Pechino come principale partner commerciale e investitore estero della Cambogia; appello congiunto a “unire le forze contro egemonismo e politiche di blocco”, promuovendo un mondo multipolare e un’economia globalmente inclusiva.

Come quelle in Vietnam e Malaysia, anche questa visita ha sottolineato come, in presenza di dazi e pressioni da parte degli Stati Uniti, le relazioni Sino-Cambogia continuino a prosperare, dimostrando che la cooperazione win-win supera le logiche di confronto volute dal blocco occidentale.

Per quanto riguarda il Myanmar, questo occupa una posizione strategica per la sicurezza cinese lungo i suoi confini sud-occidentali. Come abbiamo scritto in un nostro precedente articolo, le relazioni tra Pechino e Naypyidaw si basano sul concetto di “Pauk-Phaw”, rilanciato da Xi Jinping come pilastro di mediazione nei conflitti interni birmani, con la Cina che ha facilitato colloqui tra governo e gruppi armati. Inoltre, questo ha rappresentato un esempio di “tech for good” a seguito del terremoto del 28 marzo, per mezzo dell’invio di squadre di soccorso dallo Yunnan, dell’utilizzo di droni e satelliti, e del supporto sanitario e infrastrutturale offerto dalla Cina. Questa cooperazione umanitaria e diplomatica ha suggellato un nuovo paradigma di vicinato basato su solidarietà, rispetto e stabilità regionale, rafforzando il concetto di “comunità dal futuro condiviso”, espressa dal presidente Xi.

Infine, il Primo Incontro Ministeriale “2+2” Cina-Indonesia (Esteri + Difesa) ha istituzionalizzato un canale di dialogo strategico al vertice, il primo del suo genere con un partner asiatico. Secondo quanto riportato dalla stampa cinese, gli obiettivi di tale meccanismo sono rafforzare l’autonomia strategica dell’ASEAN di fronte alla “Strategia Indo-Pacifico” USA, elevare il livello della cooperazione tradizionale includendo la sicurezza regionale come tema centrale, offrire un’alternativa pragmatica alle coalizioni esclusive, preservando la centralità dell’ASEAN nella governance regionale, e rafforzare la fiducia strategica bilaterale e promuovere un ambiente di sicurezza stabile e cooperativo. Da questo punto di vista, l’Indonesia, in quanto leader demografico e prima economia dell’ASEAN, ha indicato la via per un modello di cooperazione basato su dialogo, autodeterminazione e multilateralismo.

A nostro modo di vedere, le iniziative illustrate dimostrano che l’ASEAN, grazie alla sua centralità geografica e politica, e la Cina, con enormi capacità economiche e diplomatiche, dispongono degli strumenti per rispondere efficacemente alla guerra commerciale voluta dagli USA. Questo processo passa per la diversificazione delle catene di approvvigionamento, realizzabile attraverso nuovi corridoi ferroviari, porti smart, integrazione digitale, e per la cooperazione in materia di nuove tecnologie, comprese quelle “green”, per mezzo di investimenti in energia rinnovabile, 5G, veicoli elettrici, etc. Invece di farsi trascinare nella logica del “disaccoppiamento” con la Cina, dunque, molti membri dell’ASEAN hanno scelto la via dell’interdipendenza e del multilateralismo, consapevoli che isolarsi avrebbe significato rinunciare alla crescita economica e alla sicurezza collettiva.

Tutto questo dimostra come la risposta cinese alla politica dei dazi statunitensi sia stata non uno scontro diretto, ma un’intensificazione della cooperazione regionale e del dialogo strategico. Le visite di Xi in Vietnam, Malaysia e Cambogia, insieme alle iniziative in Myanmar e al nuovo meccanismo “2+2” con l’Indonesia, costituiscono una rete di sicurezza e sviluppo capace di tenere insieme un’area vulnerabile alle oscillazioni geopolitiche.

L’ASEAN, da parte sua, ha dimostrato capacità di equilibrare le relazioni con le grandi potenze, promuovendo una visione multipolare e inclusiva. Nel frammentato panorama globale, l’alleanza strategica Cina-ASEAN rappresenta un modello di cooperazione fondato sull’apertura, la fiducia reciproca e una risposta pragmatica alle sfide presenti e future.

In definitiva, la cooperazione Sino-ASEAN non è soltanto un rimedio alla guerra dei dazi, ma una pietra angolare di un ordine regionale più stabile, prospero e multilaterale — un vero e proprio contrappeso all’egemonia coercitiva, capace di garantire crescita condivisa e sicurezza collettiva.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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