Secondo quanto riportato dal quotidiano belga Le Soir, due europarlamentari italiani risultano indagati per presunte irregolarità nelle spese dichiarate alla amministrazione europea.
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Un antico detto recita “Segui i soldi” per suggerire quale strada seguire per trovare i colpevoli che si nascondono dietro a crimini e scandali. Ed è proprio vero.
Questa volta, il luogo dei fatti è il Parlamento Europeo, con sede a Bruxelles. Secondo quanto riportato dal quotidiano belga Le Soir, due europarlamentari italiani risultano indagati per presunte irregolarità nelle spese dichiarate alla amministrazione europea. Si tratta di Fulvio Matrusciello, di Forza Italia, in carica dal 2014, e di Giuseppe Ferrandino, in carica per Azione dal 2018 al 2024. La Procura Pubblica Europea (EPPO), organo che si occupa principalmente di contrastare i reati fiscali della UE, ha registrato delle incongruenze nelle dichiarazioni di presenza dei due europarlamentari, nelle spese di trasporto dichiarate e nelle attività svolte all’interno degli uffici.
Ai parlamentari europei, oltre al loro stipendio, spetta una diaria di €350 per i rimborsi spese, più le spese di trasporto dichiarate che vengono rimborsate per eccesso. I due “amici” avrebbero fatto uno scambio di tesserini, timbrando l’uno per l’altro, così da non perdere i rimborsi promessi. Un vecchio gioco da ragazzi, in perfetto stile italiano.
L’indagine è stata avviata più di un anno fa. Ferrandino afferma di non essere a conoscenza delle indagini, Matrusciello dice che si tratta di una vecchia storia già risolta.
O forse no…
Proprio pochi giorni fa, l’assistente di Matrusciello, Lucia Simeone, è stata arrestata a Caserta sotto mandato europeo voluto dal Belgio. L’accusa contempla i reati di associazione a delinquere, riciclaggio e corruzione, tutte collegate ad un altro importante tassello del grande circolo degli scandali europei: Huawei.
Il precedente assistente di Matrusciello si chiamava Nuno Martins.
Ma andiamo per ordine.
Siamo all’inizio di Marzo, anno 2025. Compie due anni lo scoppio del Qatargate, scandalo di corruzione che ha coinvolto il Parlamento Europeo, laddove alcuni europarlamentari erano stati accusati di ricevere mazzette e regali in cambio di atteggiamenti favorevoli nei confronti di Qatar e Marocco in sede parlamentare, soprattutto su tematiche come i diritti umani, i rapporti commerciali e l’organizzazione dei mondiali di calcio nel 2022 in Qatar.
Le accuse vennero mosse, in ordine, ad Eva Kaili, dalla Grecia, allora vicepresidente del Parlamento europeo Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare, Francesco Giorgi assistente parlamentare e, casualità!, compagno della Kaili, Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, europarlamentari sospettati di coinvolgimento. Nel 2023 le inchieste sono proseguite e sono sorti di primi accordi di collaborazione. Pier Antonio Panzeri, ritenuto l’organizzatore della rete corruttiva, ha patteggiato con la procura belga: ha ammesso la sua responsabilità e si è impegnato a collaborare rivelando nomi, meccanismi e flussi di denaro. Questo ha dato una svolta alle indagini. Eva Kaili, dopo alcuni mesi di carcere preventivo, è stata messa agli arresti domiciliari e ha sempre negato di sapere dell’origine dei soldi trovati in casa sua. Politicamente è finita, niente più carriera. Tarabella e Cozzolino sono stati sospesi dai loro gruppi politici e arrestati, poi rilasciati con misure restrittive.
Nel 2024, i principali accusati hanno deciso di collaborare. Sono emersi altri nomi, mostrando come il Parlamento Europeo sia una cloaca di corruzione e intrighi di potere internazionali. Agli onori delle cronache giudiziarie sono salite due europarlamentari del Partito Democratico, Alessandra Moretti ed Elisabetta Gualmini, per le quali è stata richiesta all’Ufficio di presidente di Bruxelles la revoca dell’immunità. La Moretti aveva già avuto l’ufficio sotto perquisizione nel 2022, senza però essere formalmente indagata. A coinvolgerla, facendo il suo nome, sono stati proprio Giorgi e Kaili, allorché la Moretti era stata effettivamente coinvolta da Panzeri e Giorgi durante la visita del Ministro del Lavoro del Qatar, Ali Bin Samikh Al Marri, ed aveva visitato Doha per un convegno.
Circa la Gualmini, entrata a Bruxelles nel 2024, il suo nome compare nel dossier già dal 15 novembre 2022, il giorno dopo la visita del Ministro del Qatar. L’obiettivo del gruppo di politici era quello di bloccare la votazione plenaria di una risoluzione contro il Qatar.
Cosa c’entra Huawei?
Arriviamo dunque al coinvolgimento del colosso cinese della tecnologia, Huawei.
Dopo Moretti e Gualmini, le autorità hanno perquisito 21 indirizzi fra Bruxelles, Fiandre, Vallonia e Portogallo, fermando vari lobbisti, sette dei quali lavorano per Huawei. Quanto viene contestato è un maxi affare di corruzione, falsificazione e riciclaggio di denaro.
Nuovo nome coinvolto è quello di Marco Falcone, anch’egli di Forza Italia, membro delle commissioni per i problemi economici e monetari, per la crisi degli alloggi, per le relazioni col Maghreb e l’Unione del Maghreb, per la pesca e per le relazioni con l’India. Il suo partito ha dichiarato la sua estraneità ai fatti.
Un altro ufficio posto sotto sequestro è stato quello di Adam Mouchtar, assistente di Nikola Minchev, lui coinvolto nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, legato ad Eva Kaili per il suo trascorso politico.
Arriviamo quindi al direttore degli affari pubblici dell’ufficio Huawei all’Unione Europea dal 2019, Valerio Ottani, in precedenza assistente al Parlamento Europeo sia per Forza Italia, sotto Crescienzo Rivellini, che per il PD, per Nicola Caputo, un esperto delle relazioni fra UE e Cina.
L’attività imputata sarebbe “praticata regolarmente e in modo molto discreto sotto le mentite spoglie di attività di lobbying commerciale e assumendo varie forme, come la remunerazione per posizioni politiche o persino regali eccessivi, come spese di vitto e di viaggio, o persino inviti regolari a partite di calcio”, ha confermato la Procura federale, senza menzionare espressamente Huawei, come riporta Il Fatto Quotidiano.
In tutto questo, il già citato Nuno Martins entra in gioco. A lui è imputato di essere la liaison vivente che ha messo insieme e fatto da tramite ai circa 15 nomi coinvolti nello scandalo internazionale. Martins svolge attività di lobbying per il Milton Friedman Institute di Roma, una organizzazione che promuove il liberalismo, ed è stato direttore per gli affari dell’UE presso la European Plain Package Alliance e lo European Jewish Congress e il B’nai B’rith International. Ed ovviamente assistente di Martusciello.
Dunque, Huawei c’entra ben poco. E, se c’entra, di sicuro ha il merito di aver fatto emergere un bel giro di corruzione al Parlamento Europeo.
Lo zampino di USAID
Sappiamo tutti che USAID non è più in azione come prima, ma all’inizio del Qatargate era ben attivo. Il Qatar ha una lunga storia di amicizia con l’Agenzia, che ha proposto al Paese arabo vari progetti di sviluppo e varie iniziative internazionali. Così come è altrettanto noto che USAID ed Unione Europea siano a lungo andate a braccetto, come migliori amiche.
Ora la UE deve fare senza i soldi dei dem americani.
Oltre alla perdita economica, la natura improvvisa della sospensione, priva di misure di mitigazione, ha amplificato i danni. La rapidità della misura ha impedito alla rete di sostegno alla democrazia di prepararsi: i collaboratori di USAID non hanno potuto pianificare transizioni, trasferire competenze o coordinarsi con partner locali. Gli operatori sono stati costretti a chiudere i programmi invece di adottare piani d’emergenza.
USAID finanziava anche oltre 700 media indipendenti nel mondo. Secondo Reporters Without Borders, un giornale bielorusso in esilio ha annunciato l’impossibilità di continuare dopo gennaio. Un’organizzazione camerunese ha interrotto la copertura delle elezioni di ottobre. Un gruppo iraniano ha dovuto interrompere ogni collaborazione. In Ucraina, il 90% dei media dipendeva dai sussidi USAID. Tutto chiaro?
La portata del blocco è tale che anche progetti non direttamente finanziati dagli Stati Uniti ne risentono, in quanto coinvolgono partner con fondi USAID. Molte attività della società civile americana si sono fermate subito dopo il 27 gennaio, e ora prevale la cautela per timore di ulteriori restrizioni.
Gli Stati Uniti sono il maggior finanziatore singolo del cosiddetto “aiuto allo sviluppo”, rappresentando circa il 40% del totale globale. Nel 2024, il budget era di circa 72 miliardi di dollari, di cui solo l’1% del bilancio federale. Circa il 3% di questi fondi era destinato a programmi di supporto alla democrazia — ovvero circa 2 miliardi l’anno, con un picco di 2,9 miliardi approvati per il 2025, oltre a 315 milioni per il National Endowment for Democracy.
Sebbene gli Stati Uniti siano il singolo maggior donatore, l’insieme di istituzioni UE e Stati membri supera il totale americano, con circa 100 miliardi spesi nel 2023. Il supporto specifico alla democrazia resta limitato: circa 4 miliardi annui tra il 2014 e il 2020. Praticamente gli spiccioli per la beneficienza.
Germania, Svezia e Regno Unito sono stati leader europei nel settore, ma i recenti tagli minacciano questa posizione. Olanda e Regno Unito hanno annunciato riduzioni drastiche. Anche il fondo europeo CERV, pur essendo un passo avanti, è criticato per la sua burocrazia e lentezza. L’eliminazione dei fondi statunitensi sta già causando forti contraccolpi, specie in Europa centrale, dove si prevede che i fondi disponibili saranno solo il 10-30% rispetto al passato recente. Un vero dispiacere… ce ne faremo una ragione.
In conclusione, possiamo dire che è grazie a qualche europarlamentare italiano che adesso possiamo fidarci un po’ di più…ehm, no, un po’ di meno, del Parlamento Europeo.
Buona democrazia a tutti!