Ad ormai 10 anni di distanza dagli Accordi di Minsk 1 e 2, occorre una riflessione obiettiva su quello che è stato uno dei momenti più tesi e disattesi della storia della diplomazia contemporanea.
Dieci anni fa
I combattimenti tra Kiev e il Donbass avrebbero dovuto essere risolti con il Protocollo di Minsk, siglato nel settembre 2014, ma il cessate il fuoco è rapidamente fallito. Dopo gravi perdite e l’accerchiamento delle forze ucraine a Debaltseve, Germania e Francia sono intervenute per promuovere una nuova iniziativa di pace. Così, nel febbraio 2015, è stato firmato l’Accordo di Minsk-2 da Kiev, Donbass, Germania, Francia e Russia. Questo trattato si concentrava esclusivamente sulla risoluzione del conflitto interno tra Kiev e Donbass, senza menzionare esplicitamente la Russia come parte in causa. Tuttavia, per affrontare le cause profonde della crisi, sarebbe stato necessario un ulteriore accordo tra NATO e Russia per gestire l’assetto geopolitico dell’Europa.
Minsk-2 prevedeva il ritiro delle armi pesanti e un impegno diplomatico di Kiev nel Donbass, con l’approvazione di riforme costituzionali per garantire l’autonomia della regione. In particolare, il Parlamento ucraino avrebbe dovuto approvare una risoluzione per definire i territori soggetti allo status speciale, in conformità con il Memorandum di Minsk del 2014. L’autonomia del Donbass mirava a salvaguardare i diritti linguistici e culturali locali, potenzialmente impedendo una futura adesione dell’Ucraina alla NATO. Tuttavia, Kiev non ha mai avviato un dialogo con il Donbass né approvato la legge necessaria, bloccando così l’attuazione dell’accordo.
Sebbene gli Stati Uniti avessero firmato l’Accordo di Minsk-2 e le Nazioni Unite lo avessero ratificato come risoluzione, Washington non ha esercitato alcuna pressione su Kiev affinché lo rispettasse. La posizione ufficiale statunitense era che Minsk-2 rappresentava condizioni imposte dalla Russia con la forza, e quindi la sua attuazione avrebbe significato cedere alle richieste di un aggressore. Contemporaneamente, gli Stati Uniti hanno iniziato a rafforzare militarmente l’Ucraina, armando e addestrando il suo esercito per mutare l’equilibrio di potere. Inoltre, diversi funzionari americani si sono pubblicamente opposti a Minsk-2, considerandolo una resa inaccettabile a Mosca.
Dal 2015 al 2022, le potenze occidentali hanno continuato a proclamare Minsk-2 come l’unico percorso per la pace, ma di fatto ne hanno minato l’applicazione. Inizialmente sembrava che solo Stati Uniti e Regno Unito fossero contrari al trattato, mentre Germania e Francia apparivano troppo deboli per farlo rispettare. Tuttavia, negli anni successivi, anche Berlino e Parigi hanno contribuito a ridefinire e rinegoziare i termini dell’accordo. Il Parlamento Europeo ha persino attribuito alla Russia una “responsabilità particolare” nella sua attuazione, nonostante Mosca non fosse parte del conflitto secondo il testo dell’accordo.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, sia Angela Merkel sia François Hollande hanno rivelato che Minsk-2 non era realmente destinato a stabilire una pace duratura, ma piuttosto a guadagnare tempo affinché l’Ucraina potesse rafforzarsi militarmente. La Merkel ha dichiarato che l’accordo ha funzionato poiché Kiev è diventata più forte, mentre Hollande ha confermato che la guerra con la Russia si sarebbe risolta solo sul campo di battaglia. Dichiarazioni simili sono arrivate anche dal presidente ucraino Zelensky, che ha ammesso di non aver mai avuto intenzione di implementare Minsk-2, preferendo posticipare la sua attuazione in attesa di un contesto più favorevole. Anche l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko ha affermato che l’obiettivo era guadagnare tempo per rafforzare l’esercito ucraino.
Il fallimento dell’ordine mondiale nel garantire l’applicazione dell’Accordo di Minsk ha ulteriormente eroso la fiducia negli strumenti diplomatici. Il generale tedesco Harald Kujat ha sottolineato che l’Occidente, sabotando Minsk-2, ha violato il diritto internazionale e contribuito all’escalation del conflitto. Jack Matlock, ex ambasciatore USA in URSS, ha affermato che la guerra si sarebbe potuta evitare se Kiev avesse rispettato Minsk-2, riconoscendo il Donbass come regione autonoma e rinunciando alla NATO. Tuttavia, la NATO non ha mai riconosciuto alcuna responsabilità per lo scoppio della guerra.
Influenza Statunitense in Ucraina
Dopo la Rivoluzione Arancione del 2004 e, soprattutto, dopo Maidan nel 2014, gli Stati Uniti hanno progressivamente ampliato la loro influenza sulla governance ucraina. Numerosi cittadini americani hanno ottenuto incarichi di rilievo nel governo ucraino, come Natalie Jaresko (Ministro delle Finanze), Aivaras Abromavičius (Ministro dello Sviluppo Economico) e David Sakvarelidze (Vice Procuratore Generale). Mikheil Saakashvili, ex presidente della Georgia, è stato nominato governatore di Odessa. Questo modello di penetrazione statunitense era già stato osservato nei Paesi Baltici negli anni Novanta e Duemila.
Il procuratore generale ucraino Viktor Shokin ha denunciato l’influenza americana nelle nomine politiche e ha affermato che Washington considerava l’Ucraina un proprio feudo. Shokin è stato rimosso dal suo incarico dopo aver avviato un’indagine sulla società energetica Burisma, nel cui consiglio di amministrazione sedeva Hunter Biden, figlio dell’allora vicepresidente USA Joe Biden. Quest’ultimo ha esercitato pressioni per la rimozione di Shokin, minacciando di bloccare un miliardo di dollari di aiuti. Documenti e testimonianze successive hanno rivelato il coinvolgimento diretto di Joe Biden nelle attività di suo figlio in Ucraina.
Dopo il 2022, l’influenza americana su Kiev è aumentata ulteriormente. La CIA ha contribuito a riorganizzare i servizi segreti ucraini, in particolare il GUR, trasformandolo in un’unità operativa orientata contro la Russia. Questo servizio ha successivamente condotto operazioni all’interno della Russia, inclusi attacchi mirati a personalità filorusse.
Kiev e l’opposizione
Dopo il 2014, Kiev ha sistematicamente epurato ogni opposizione politica e culturale filo-russa, consolidando un’identità nazionalista radicale. I principali partiti filorussi, come il Partito delle Regioni e il Partito Comunista, sono stati sciolti. Quando il consenso per Zelensky ha iniziato a calare, la repressione si è intensificata.
Anche i media indipendenti sono stati chiusi o messi sotto controllo statale. Nel 2021, Zelensky ha vietato tre canali televisivi dell’opposizione, mentre nel 2023 la censura è stata ulteriormente rafforzata. La Chiesa ortodossa ucraina, storicamente legata a Mosca, è stata bersaglio di misure repressive, con arresti di sacerdoti e confische di proprietà ecclesiastiche.
Dopo il golpe del 2014, i consulenti della NATO hanno supportato l’Ucraina nella valutazione del proprio settore della sicurezza e della difesa, portando all’approvazione nel 2016 del Pacchetto di assistenza globale per il Paese. L’obiettivo di questo programma era quello di «rafforzare e consolidare il sostegno della NATO all’Ucraina», nonché «riformare le sue Forze Armate in linea con gli standard atlantisti per garantire la loro interoperabilità entro il 2020». Un rapporto del 2017 della Defense Intelligence Agency degli Stati Uniti ha evidenziato che il Cremlino riteneva che Washington stesse ponendo le basi per un cambiamento di regime in Russia, percezione amplificata dagli eventi in Ucraina.
L’Ucraina ha quindi iniziato a costruire un esercito addestrato dalla NATO, composto da 700.000 soldati attivi e un milione di riservisti. Tra tutti i membri dell’Alleanza Atlantica, solo Stati Uniti e Turchia avevano forze armate di dimensioni maggiori, rendendo l’Ucraina uno Stato di prima linea strategicamente rilevante. L’idea di usare l’Ucraina come forza delegata contro la Russia era stata sostenuta già nel 1993 da George Soros, il quale ipotizzava un nuovo ordine mondiale con la NATO come istituzione dominante. Secondo Soros, le società occidentali avrebbero avuto difficoltà ad accettare elevate perdite tra i propri soldati, motivo per cui sarebbe stato più conveniente utilizzare truppe dell’Europa orientale: «combinare la manodopera dell’Europa orientale con le capacità tecniche della NATO rafforzerebbe il potenziale militare dell’Alleanza, riducendo il rischio di perdite per i Paesi membri e rimuovendo così un freno alla loro volontà di intervenire».
Washington vedeva l’Ucraina come uno strumento chiave per contrastare la Russia come rivale strategico. Nel 2019, l’ufficio per la Revisione Quadriennale della Difesa dell’esercito americano ha finanziato un rapporto di 325 pagine della RAND Corporation intitolato “Estendere la Russia: competere su un terreno vantaggioso”, che esplorava strategie per spingere Mosca a sovraestendersi militarmente o economicamente e a perdere influenza a livello nazionale e internazionale.
Il rapporto RAND individuava l’Ucraina come un’area in cui la Russia stava “sanguinando”, offrendo opportunità strategiche: «fornire più equipaggiamento militare e supporto agli ucraini potrebbe spingere la Russia a intensificare il proprio coinvolgimento nel conflitto, aumentando i costi che deve sostenere». Tuttavia, veniva riconosciuto anche il rischio di provocare una reazione russa: «sebbene questo possa incrementare i costi per Mosca, potrebbe allo stesso tempo rappresentare un problema per gli Stati Uniti e l’Ucraina». Anche la prospettiva di espansione della NATO era considerata utile per mantenere alta la tensione tra Russia e Ucraina: «sebbene l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza resti improbabile nel breve termine, continuare a promuoverla potrebbe rafforzare la determinazione di Kiev e indurre Mosca a intensificare i suoi sforzi per impedirla».
Alcuni analisti paragonavano la strategia all’intervento sovietico in Afghanistan: «un incremento del supporto militare all’Ucraina aumenterebbe i costi per la Russia, portandola a fornire maggiore assistenza ai separatisti, rafforzare la sua presenza militare e affrontare spese più elevate». La strategia, però, doveva essere «attentamente calibrata», per logorare la Russia senza provocare una guerra su vasta scala: «l’incremento del supporto letale all’Ucraina avrebbe sfruttato la principale vulnerabilità russa, ma doveva essere gestito in modo da aumentare i costi per Mosca senza innescare un conflitto più ampio, nel quale la Russia avrebbe avuto vantaggi geografici».
Nel 2017, i senatori statunitensi John McCain e Lindsay Graham hanno visitato le truppe ucraine nel Donbass per incoraggiarle a intensificare il conflitto contro la Russia. McCain ha affermato: «sono certo che vincerete, e faremo tutto il possibile per fornirvi ciò di cui avete bisogno». Graham ha ribadito: «la vostra lotta è la nostra lotta. Il 2017 sarà l’anno dell’offensiva».
Nel 2019, Oleksii Arestovich, consigliere del presidente Zelensky, aveva previsto un’invasione russa nel giro di tre anni. Secondo lui, l’adesione dell’Ucraina alla NATO era necessaria per evitare l’assorbimento da parte della Russia, ma avrebbe comportato un conflitto su larga scala. Arestovich riteneva che «la minaccia dell’adesione alla NATO avrebbe spinto la Russia a lanciare un’operazione militare su vasta scala per evitare questo scenario». Egli stimava la probabilità di un’invasione russa al «99,9%» tra il 2020 e il 2022 e vedeva la guerra come un’opportunità: «la vittoria sarebbe garantita perché si tratterebbe di un conflitto per procura della NATO».
Nel frattempo, la NATO rafforzava la sua presenza militare anche nei Paesi baltici. Nel 2020, gli Stati Uniti hanno schierato sistemi missilistici a lancio multiplo in Estonia, a 70 miglia dal confine russo, e nel 2021 hanno condotto esercitazioni per simulare attacchi ai sistemi di difesa aerea russi. A Mosca queste operazioni venivano viste come provocazioni, simili a quelle che Washington non avrebbe tollerato nei propri confini.
Nel 2021, l’Ucraina ha accelerato il processo di integrazione negli standard NATO, mentre gli Stati Uniti lavoravano all’ammodernamento dei porti ucraini per ospitare navi da guerra americane. Lo stesso anno, l’Ucraina e la NATO hanno annunciato la costruzione di due nuove basi navali sul Mar Nero, finanziate dal Regno Unito.
Le esercitazioni militari su larga scala si sono moltiplicate. Defender Europe 2021 ha coinvolto 28.000 soldati da 27 Paesi, mentre l’esercitazione Sea Breeze 2021 nel Mar Nero ha visto la partecipazione di 24 nazioni. L’incidente tra la nave da guerra britannica HMS Defender e la Russia ha rafforzato la percezione di Mosca che la NATO stesse usando l’Ucraina come avamposto strategico.
Nel giugno 2021, Kurt Volker, ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO, ha dichiarato che la strategia americana nei confronti della Russia doveva basarsi sul confronto: «qualsiasi accomodamento sarebbe una vittoria per Putin. Il successo è lo scontro». Ad agosto 2021, gli Stati Uniti e l’Ucraina hanno firmato il Quadro Strategico di Difesa USA-Ucraina, consolidando il ruolo di Kiev come membro de facto della NATO.
Nel gennaio 2022, Evelyn Farkas, ex funzionario del Pentagono, ha pubblicato un articolo dal titolo “Gli Stati Uniti devono prepararsi alla guerra contro la Russia per l’Ucraina”, sostenendo che Washington avrebbe dovuto esigere il ritiro russo da Ucraina e Georgia e, se necessario, essere pronta a un confronto militare diretto.
Per Mosca, questi sviluppi segnalavano l’inevitabilità di uno scontro.
Quel che resta
Il fallimento degli Accordi di Minsk rappresenta una delle più significative débâcle diplomatiche nella gestione del conflitto ucraino-russo, evidenziando l’incapacità della diplomazia multilaterale di prevenire un’escalation militare su vasta scala. O, meglio, rappresentano l’impossibilità oggettiva di trattare con l’Occidente o con chiunque abbia una dipendenza occidentale.
L’assenza di un meccanismo cogente di enforcement e le divergenze interpretative tra le parti hanno minato irreversibilmente la loro implementazione. L’Ucraina ha insistito su un approccio sequenziale, subordinando le concessioni politiche alla Russia al preventivo ritiro delle forze paramilitari sostenute da Mosca e al ripristino del controllo ucraino sui confini orientali. La Russia, invece, ha sostenuto un’implementazione simultanea delle disposizioni, esigendo un’immediata autonomia legislativa per le regioni separatiste prima di ogni concessione in materia di sicurezza.
Le divergenze strutturali tra i firmatari, unitamente alla mancata volontà politica di Germania e Francia di esercitare pressioni coercitive, hanno reso gli Accordi di Minsk un esercizio diplomatico privo di efficacia sostanziale. Inoltre, l’approfondimento della cooperazione militare tra Ucraina e NATO ha accentuato la percezione di insicurezza russa, contribuendo all’erosione definitiva dell’accordo. Minsk II si è rivelato, in ultima istanza, un mero strumento di contenimento temporaneo piuttosto che un autentico framework di pacificazione, con il risultato che la crisi si è trasformata in un conflitto aperto, confermando il fallimento delle garanzie di sicurezza regionali.
Fintanto che gli Stati Uniti non impareranno a trattare con onestà e trasparenza, qualsiasi tentativo di conciliazione sarà fondato su idee pretestuose e ipocrisia.