Italiano
Lorenzo Maria Pacini
March 2, 2025
© Photo: Public domain

Le parole di Maria Antonietta davanti alle proteste dei francesi sono facilmente rievocabili in questi giorni di magra e, questa volta, trovano l’amara consolazione in una delle iniziative più imbarazzanti della storia militare italiana.

Segue nostro Telegram.

Il bilancio della Difesa ancora in crisi

Premettendo che fintanto che verranno prodotte e commercializzate armi, nessuna guerra o conflitto potrà mai veramente finire, perché verrebbe meno il principio elementare del commercio, è purtuttavia vero che, in questo contesto storico ci dobbiamo confrontare con i sistemi militari e con il loro bilancio.

Il 14 febbraio, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’introduzione della clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa. Questa misura consentirà agli Stati membri dell’UE di aumentare la spesa militare senza che essa venga conteggiata ai fini del rispetto dei parametri fiscali stabiliti dal Patto di stabilità e crescita. Si tratta di una decisione significativa, destinata a modificare il quadro finanziario europeo e a permettere un incremento delle capacità di difesa dei singoli paesi. L’obiettivo è rispondere alle nuove crisi internazionali e ai mutati equilibri geopolitici, garantendo agli Stati la possibilità di potenziare le proprie forze armate senza compromettere la tenuta dei conti pubblici.

L’annuncio è stato accolto positivamente dal governo italiano. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, hanno sottolineato di aver sostenuto a lungo questa riforma e di considerarla un passo fondamentale verso la creazione di un sistema di difesa europeo più solido e coordinato. Tuttavia, non è scontato che l’Italia possa realmente beneficiare di questa novità per aumentare in modo significativo la spesa militare. Il nostro paese è infatti tra quelli che destinano meno risorse alla difesa, e le difficoltà economiche potrebbero rendere complesso un incremento degli investimenti nel settore.

L’elemento chiave della clausola di salvaguardia è l’esclusione delle spese militari dal calcolo del deficit e del debito pubblico nell’ambito del Patto di stabilità. Questo significa che gli Stati membri potranno incrementare i finanziamenti per la difesa senza rischiare di violare i vincoli fiscali imposti dall’UE. Tuttavia, queste spese continueranno comunque a incidere sui bilanci nazionali, influenzando la sostenibilità economica dei singoli paesi. Per l’Italia, già gravata da un elevato debito pubblico, questo potrebbe rappresentare un problema.

Un aspetto rilevante riguarda la possibilità di finanziare gli investimenti nella difesa attraverso l’emissione di debito comune, i cosiddetti “eurobond per la difesa”. Questa opzione è stata invocata da diverse figure politiche, tra cui l’ex commissario europeo Paolo Gentiloni, ma al momento non sembra trovare il sostegno necessario. I paesi del Nord Europa, con in testa la Germania, si oppongono fermamente a nuove emissioni di debito comune, temendo che possano trasformarsi in un onere finanziario sproporzionato per gli Stati con economie più solide.

Attualmente, la spesa militare media nei 27 paesi membri dell’UE si attesta tra l’1,9 e il 2% del PIL. Dal 2014, la NATO raccomanda agli Stati membri di destinare almeno il 2% del proprio PIL alla difesa, ma diversi paesi – tra cui l’Italia – non hanno ancora raggiunto questa soglia. Per il 2025, l’Italia prevede di destinare alla difesa solo l’1,57% del PIL, un valore inferiore alla media europea e ben lontano dagli obiettivi fissati dall’alleanza atlantica. Tra i paesi sotto il 2% figurano anche Spagna, Belgio, Croazia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Canada.

Negli ultimi anni, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e del conseguente deterioramento della sicurezza globale, la spesa militare dell’UE è aumentata considerevolmente. Tra il 2021 e il 2024, il budget europeo per la difesa è passato da 200 a 320 miliardi di euro, con un incremento del 60%. Tuttavia, l’Italia ha registrato un aumento più contenuto, passando da 28 miliardi di euro nel 2021 a 34,4 miliardi nel 2024, con una crescita del 23%. Ciò evidenzia un impegno inferiore rispetto ad altri Stati europei nel rafforzare le proprie capacità militari.

L’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha intensificato la pressione sugli alleati NATO affinché aumentino la propria spesa per la difesa. Trump ha dichiarato chiaramente che gli Stati Uniti non intendono più farsi carico della maggior parte delle spese dell’alleanza atlantica. Attualmente, su un budget totale della NATO di 1.474 miliardi di dollari, gli Stati Uniti ne coprono 968. Trump ha indicato come soglia minima un investimento del 5% del PIL per la difesa da parte degli alleati, un obiettivo irrealistico per molti paesi europei. Più realisticamente, von der Leyen ha proposto di portare la spesa militare dell’UE oltre il 3% del PIL, il che comporterebbe un aumento di centinaia di miliardi di euro all’anno.

Per l’Italia, arrivare al 3% significherebbe incrementare il budget per la difesa di circa 35 miliardi di euro all’anno rispetto alle risorse stanziate per il 2025. Questa cifra appare difficilmente sostenibile, considerando che l’intera manovra finanziaria del governo per il 2025 ammonta a circa 30 miliardi di euro. Anche se l’incremento della spesa militare dovesse avvenire in modo graduale, resterebbe una sfida economica considerevole.

Le possibilità di reperire tali fondi sono limitate. Un aumento della tassazione o una drastica riduzione della spesa pubblica in altri settori sarebbero soluzioni politicamente difficili da attuare. È più probabile che il finanziamento avvenga almeno in parte attraverso il deficit, con il rischio di compromettere ulteriormente la stabilità del bilancio dello Stato e di suscitare preoccupazioni nei mercati finanziari. Un peggioramento della situazione economica potrebbe ridurre la fiducia degli investitori e scoraggiare capitali stranieri.

In questo contesto, la clausola di salvaguardia potrebbe paradossalmente penalizzare l’Italia rispetto ad altri paesi europei. Gli Stati con conti pubblici più solidi avranno maggiore margine di manovra per incrementare la spesa militare, mentre l’Italia, con un debito pubblico tra i più alti d’Europa – pari al 136% del PIL e oltre i 3.000 miliardi di euro – rischia di trovarsi in difficoltà. Tra i membri del G7, solo il Giappone ha un debito più elevato.

Se l’UE non troverà una soluzione condivisa per finanziare gli investimenti militari, l’Italia potrebbe trovarsi costretta a scegliere tra il rispetto dei vincoli di bilancio e il rafforzamento delle proprie capacità di difesa. Il dibattito sulle future strategie economiche e militari europee è quindi destinato a rimanere aperto, con implicazioni rilevanti per la sicurezza e la stabilità dell’intero continente.

Una medaglia per tutti

In questo affascinante contesto, il Ministro della Difesa italiana, Guido Crosetto, ha pensato di strizzare l’occhiolino agli Stati Uniti ed istituire la Medaglia del Veterano. Probabilmente non aveva migliori idee su come passare alla storia – invece di passare nel dimenticatoio – e con questa mossa ha conquistato la vetta dell’assurdità.

Nessuno ne sentiva la necessità, ma tant’è.

Il 24 febbraio 2025, il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha firmato un decreto che introduce le qualifiche di “Veterano della Difesa” e “Veterano delle Missioni Internazionali”. Questo provvedimento riconosce ufficialmente lo status di veterano a coloro che hanno servito onorevolmente il Paese, sia in patria che all’estero, indipendentemente dalla presenza di menomazioni psico-fisiche legate a traumi.

Il decreto stabilisce inoltre l’11 novembre come giornata ufficiale per la celebrazione del “Veterano”. In questa data simbolica, già riconosciuta a livello internazionale per commemorare la fine della Prima Guerra Mondiale nel 1918, si onorerà il servizio e il sacrificio di chi ha dedicato la propria vita alla difesa della Nazione.

Per valorizzare ulteriormente il contributo dei militari, sono state istituite le Medaglie al merito di “Veterano della Difesa” e “Veterano delle Missioni Internazionali”. La progettazione di queste onorificenze avverrà attraverso un concorso di idee rivolto agli studenti delle scuole, con l’obiettivo di coinvolgere le nuove generazioni nella promozione della memoria e dei valori della Difesa.

La Medaglia al merito di “Veterano della Difesa” sarà destinata al personale che ha servito per almeno venticinque anni con onore e comportamento esemplare. La Medaglia al merito di “Veterano delle Missioni Internazionali” sarà riservata a coloro che, oltre a possedere i requisiti del “Veterano della Difesa”, hanno partecipato ad almeno una missione fuori dal territorio nazionale.

Questa iniziativa rappresenta un passo significativo nel riconoscimento del ruolo fondamentale dei veterani, estendendo l’onorificenza anche a coloro che, pur non avendo riportato traumi invalidanti, hanno servito con dedizione e onore. Come ha dichiarato il Ministro Crosetto: “È nostro dovere dare il giusto valore a questa figura che rappresenta una risorsa fondamentale per la nostra Nazione”.

Dunque, la soluzione rivoluzionaria è stata giocata nel momento migliore: l’Italia si prepara a mandare in guerra contro la Russia i propri ragazzi, che non hanno esattamente voglia di finire in un tritacarne, e così cerca di comprarsi il favore di qualche leva in più e di qualche ufficiale ancora non abbastanza vicino alla pensione. Peccato che i Veterani italiani – col massimo rispetto per la loro professionalità – non avranno i benefit di quelli americani, ad esempio. Anzi, non ci sarà proprio nessun beneficio, se non quello di un titolo in più da aggiungere al curriculum di fine carriera.

La Difesa avrebbe bisogno di altre riforme, che invoca da anni a gran voce, e il Ministro zittisce tutti con l’asso nella manica della nuova medaglia. Geniale.

A proposito, i costi della decorazione sono a carico dei beneficiari. Non è uno scherzo.

Maestà, il popolo ha fame. – Dategli la medaglia dei veterani!

Le parole di Maria Antonietta davanti alle proteste dei francesi sono facilmente rievocabili in questi giorni di magra e, questa volta, trovano l’amara consolazione in una delle iniziative più imbarazzanti della storia militare italiana.

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Il bilancio della Difesa ancora in crisi

Premettendo che fintanto che verranno prodotte e commercializzate armi, nessuna guerra o conflitto potrà mai veramente finire, perché verrebbe meno il principio elementare del commercio, è purtuttavia vero che, in questo contesto storico ci dobbiamo confrontare con i sistemi militari e con il loro bilancio.

Il 14 febbraio, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’introduzione della clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa. Questa misura consentirà agli Stati membri dell’UE di aumentare la spesa militare senza che essa venga conteggiata ai fini del rispetto dei parametri fiscali stabiliti dal Patto di stabilità e crescita. Si tratta di una decisione significativa, destinata a modificare il quadro finanziario europeo e a permettere un incremento delle capacità di difesa dei singoli paesi. L’obiettivo è rispondere alle nuove crisi internazionali e ai mutati equilibri geopolitici, garantendo agli Stati la possibilità di potenziare le proprie forze armate senza compromettere la tenuta dei conti pubblici.

L’annuncio è stato accolto positivamente dal governo italiano. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, hanno sottolineato di aver sostenuto a lungo questa riforma e di considerarla un passo fondamentale verso la creazione di un sistema di difesa europeo più solido e coordinato. Tuttavia, non è scontato che l’Italia possa realmente beneficiare di questa novità per aumentare in modo significativo la spesa militare. Il nostro paese è infatti tra quelli che destinano meno risorse alla difesa, e le difficoltà economiche potrebbero rendere complesso un incremento degli investimenti nel settore.

L’elemento chiave della clausola di salvaguardia è l’esclusione delle spese militari dal calcolo del deficit e del debito pubblico nell’ambito del Patto di stabilità. Questo significa che gli Stati membri potranno incrementare i finanziamenti per la difesa senza rischiare di violare i vincoli fiscali imposti dall’UE. Tuttavia, queste spese continueranno comunque a incidere sui bilanci nazionali, influenzando la sostenibilità economica dei singoli paesi. Per l’Italia, già gravata da un elevato debito pubblico, questo potrebbe rappresentare un problema.

Un aspetto rilevante riguarda la possibilità di finanziare gli investimenti nella difesa attraverso l’emissione di debito comune, i cosiddetti “eurobond per la difesa”. Questa opzione è stata invocata da diverse figure politiche, tra cui l’ex commissario europeo Paolo Gentiloni, ma al momento non sembra trovare il sostegno necessario. I paesi del Nord Europa, con in testa la Germania, si oppongono fermamente a nuove emissioni di debito comune, temendo che possano trasformarsi in un onere finanziario sproporzionato per gli Stati con economie più solide.

Attualmente, la spesa militare media nei 27 paesi membri dell’UE si attesta tra l’1,9 e il 2% del PIL. Dal 2014, la NATO raccomanda agli Stati membri di destinare almeno il 2% del proprio PIL alla difesa, ma diversi paesi – tra cui l’Italia – non hanno ancora raggiunto questa soglia. Per il 2025, l’Italia prevede di destinare alla difesa solo l’1,57% del PIL, un valore inferiore alla media europea e ben lontano dagli obiettivi fissati dall’alleanza atlantica. Tra i paesi sotto il 2% figurano anche Spagna, Belgio, Croazia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Canada.

Negli ultimi anni, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e del conseguente deterioramento della sicurezza globale, la spesa militare dell’UE è aumentata considerevolmente. Tra il 2021 e il 2024, il budget europeo per la difesa è passato da 200 a 320 miliardi di euro, con un incremento del 60%. Tuttavia, l’Italia ha registrato un aumento più contenuto, passando da 28 miliardi di euro nel 2021 a 34,4 miliardi nel 2024, con una crescita del 23%. Ciò evidenzia un impegno inferiore rispetto ad altri Stati europei nel rafforzare le proprie capacità militari.

L’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha intensificato la pressione sugli alleati NATO affinché aumentino la propria spesa per la difesa. Trump ha dichiarato chiaramente che gli Stati Uniti non intendono più farsi carico della maggior parte delle spese dell’alleanza atlantica. Attualmente, su un budget totale della NATO di 1.474 miliardi di dollari, gli Stati Uniti ne coprono 968. Trump ha indicato come soglia minima un investimento del 5% del PIL per la difesa da parte degli alleati, un obiettivo irrealistico per molti paesi europei. Più realisticamente, von der Leyen ha proposto di portare la spesa militare dell’UE oltre il 3% del PIL, il che comporterebbe un aumento di centinaia di miliardi di euro all’anno.

Per l’Italia, arrivare al 3% significherebbe incrementare il budget per la difesa di circa 35 miliardi di euro all’anno rispetto alle risorse stanziate per il 2025. Questa cifra appare difficilmente sostenibile, considerando che l’intera manovra finanziaria del governo per il 2025 ammonta a circa 30 miliardi di euro. Anche se l’incremento della spesa militare dovesse avvenire in modo graduale, resterebbe una sfida economica considerevole.

Le possibilità di reperire tali fondi sono limitate. Un aumento della tassazione o una drastica riduzione della spesa pubblica in altri settori sarebbero soluzioni politicamente difficili da attuare. È più probabile che il finanziamento avvenga almeno in parte attraverso il deficit, con il rischio di compromettere ulteriormente la stabilità del bilancio dello Stato e di suscitare preoccupazioni nei mercati finanziari. Un peggioramento della situazione economica potrebbe ridurre la fiducia degli investitori e scoraggiare capitali stranieri.

In questo contesto, la clausola di salvaguardia potrebbe paradossalmente penalizzare l’Italia rispetto ad altri paesi europei. Gli Stati con conti pubblici più solidi avranno maggiore margine di manovra per incrementare la spesa militare, mentre l’Italia, con un debito pubblico tra i più alti d’Europa – pari al 136% del PIL e oltre i 3.000 miliardi di euro – rischia di trovarsi in difficoltà. Tra i membri del G7, solo il Giappone ha un debito più elevato.

Se l’UE non troverà una soluzione condivisa per finanziare gli investimenti militari, l’Italia potrebbe trovarsi costretta a scegliere tra il rispetto dei vincoli di bilancio e il rafforzamento delle proprie capacità di difesa. Il dibattito sulle future strategie economiche e militari europee è quindi destinato a rimanere aperto, con implicazioni rilevanti per la sicurezza e la stabilità dell’intero continente.

Una medaglia per tutti

In questo affascinante contesto, il Ministro della Difesa italiana, Guido Crosetto, ha pensato di strizzare l’occhiolino agli Stati Uniti ed istituire la Medaglia del Veterano. Probabilmente non aveva migliori idee su come passare alla storia – invece di passare nel dimenticatoio – e con questa mossa ha conquistato la vetta dell’assurdità.

Nessuno ne sentiva la necessità, ma tant’è.

Il 24 febbraio 2025, il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha firmato un decreto che introduce le qualifiche di “Veterano della Difesa” e “Veterano delle Missioni Internazionali”. Questo provvedimento riconosce ufficialmente lo status di veterano a coloro che hanno servito onorevolmente il Paese, sia in patria che all’estero, indipendentemente dalla presenza di menomazioni psico-fisiche legate a traumi.

Il decreto stabilisce inoltre l’11 novembre come giornata ufficiale per la celebrazione del “Veterano”. In questa data simbolica, già riconosciuta a livello internazionale per commemorare la fine della Prima Guerra Mondiale nel 1918, si onorerà il servizio e il sacrificio di chi ha dedicato la propria vita alla difesa della Nazione.

Per valorizzare ulteriormente il contributo dei militari, sono state istituite le Medaglie al merito di “Veterano della Difesa” e “Veterano delle Missioni Internazionali”. La progettazione di queste onorificenze avverrà attraverso un concorso di idee rivolto agli studenti delle scuole, con l’obiettivo di coinvolgere le nuove generazioni nella promozione della memoria e dei valori della Difesa.

La Medaglia al merito di “Veterano della Difesa” sarà destinata al personale che ha servito per almeno venticinque anni con onore e comportamento esemplare. La Medaglia al merito di “Veterano delle Missioni Internazionali” sarà riservata a coloro che, oltre a possedere i requisiti del “Veterano della Difesa”, hanno partecipato ad almeno una missione fuori dal territorio nazionale.

Questa iniziativa rappresenta un passo significativo nel riconoscimento del ruolo fondamentale dei veterani, estendendo l’onorificenza anche a coloro che, pur non avendo riportato traumi invalidanti, hanno servito con dedizione e onore. Come ha dichiarato il Ministro Crosetto: “È nostro dovere dare il giusto valore a questa figura che rappresenta una risorsa fondamentale per la nostra Nazione”.

Dunque, la soluzione rivoluzionaria è stata giocata nel momento migliore: l’Italia si prepara a mandare in guerra contro la Russia i propri ragazzi, che non hanno esattamente voglia di finire in un tritacarne, e così cerca di comprarsi il favore di qualche leva in più e di qualche ufficiale ancora non abbastanza vicino alla pensione. Peccato che i Veterani italiani – col massimo rispetto per la loro professionalità – non avranno i benefit di quelli americani, ad esempio. Anzi, non ci sarà proprio nessun beneficio, se non quello di un titolo in più da aggiungere al curriculum di fine carriera.

La Difesa avrebbe bisogno di altre riforme, che invoca da anni a gran voce, e il Ministro zittisce tutti con l’asso nella manica della nuova medaglia. Geniale.

A proposito, i costi della decorazione sono a carico dei beneficiari. Non è uno scherzo.

Le parole di Maria Antonietta davanti alle proteste dei francesi sono facilmente rievocabili in questi giorni di magra e, questa volta, trovano l’amara consolazione in una delle iniziative più imbarazzanti della storia militare italiana.

Segue nostro Telegram.

Il bilancio della Difesa ancora in crisi

Premettendo che fintanto che verranno prodotte e commercializzate armi, nessuna guerra o conflitto potrà mai veramente finire, perché verrebbe meno il principio elementare del commercio, è purtuttavia vero che, in questo contesto storico ci dobbiamo confrontare con i sistemi militari e con il loro bilancio.

Il 14 febbraio, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’introduzione della clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa. Questa misura consentirà agli Stati membri dell’UE di aumentare la spesa militare senza che essa venga conteggiata ai fini del rispetto dei parametri fiscali stabiliti dal Patto di stabilità e crescita. Si tratta di una decisione significativa, destinata a modificare il quadro finanziario europeo e a permettere un incremento delle capacità di difesa dei singoli paesi. L’obiettivo è rispondere alle nuove crisi internazionali e ai mutati equilibri geopolitici, garantendo agli Stati la possibilità di potenziare le proprie forze armate senza compromettere la tenuta dei conti pubblici.

L’annuncio è stato accolto positivamente dal governo italiano. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, hanno sottolineato di aver sostenuto a lungo questa riforma e di considerarla un passo fondamentale verso la creazione di un sistema di difesa europeo più solido e coordinato. Tuttavia, non è scontato che l’Italia possa realmente beneficiare di questa novità per aumentare in modo significativo la spesa militare. Il nostro paese è infatti tra quelli che destinano meno risorse alla difesa, e le difficoltà economiche potrebbero rendere complesso un incremento degli investimenti nel settore.

L’elemento chiave della clausola di salvaguardia è l’esclusione delle spese militari dal calcolo del deficit e del debito pubblico nell’ambito del Patto di stabilità. Questo significa che gli Stati membri potranno incrementare i finanziamenti per la difesa senza rischiare di violare i vincoli fiscali imposti dall’UE. Tuttavia, queste spese continueranno comunque a incidere sui bilanci nazionali, influenzando la sostenibilità economica dei singoli paesi. Per l’Italia, già gravata da un elevato debito pubblico, questo potrebbe rappresentare un problema.

Un aspetto rilevante riguarda la possibilità di finanziare gli investimenti nella difesa attraverso l’emissione di debito comune, i cosiddetti “eurobond per la difesa”. Questa opzione è stata invocata da diverse figure politiche, tra cui l’ex commissario europeo Paolo Gentiloni, ma al momento non sembra trovare il sostegno necessario. I paesi del Nord Europa, con in testa la Germania, si oppongono fermamente a nuove emissioni di debito comune, temendo che possano trasformarsi in un onere finanziario sproporzionato per gli Stati con economie più solide.

Attualmente, la spesa militare media nei 27 paesi membri dell’UE si attesta tra l’1,9 e il 2% del PIL. Dal 2014, la NATO raccomanda agli Stati membri di destinare almeno il 2% del proprio PIL alla difesa, ma diversi paesi – tra cui l’Italia – non hanno ancora raggiunto questa soglia. Per il 2025, l’Italia prevede di destinare alla difesa solo l’1,57% del PIL, un valore inferiore alla media europea e ben lontano dagli obiettivi fissati dall’alleanza atlantica. Tra i paesi sotto il 2% figurano anche Spagna, Belgio, Croazia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Canada.

Negli ultimi anni, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e del conseguente deterioramento della sicurezza globale, la spesa militare dell’UE è aumentata considerevolmente. Tra il 2021 e il 2024, il budget europeo per la difesa è passato da 200 a 320 miliardi di euro, con un incremento del 60%. Tuttavia, l’Italia ha registrato un aumento più contenuto, passando da 28 miliardi di euro nel 2021 a 34,4 miliardi nel 2024, con una crescita del 23%. Ciò evidenzia un impegno inferiore rispetto ad altri Stati europei nel rafforzare le proprie capacità militari.

L’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha intensificato la pressione sugli alleati NATO affinché aumentino la propria spesa per la difesa. Trump ha dichiarato chiaramente che gli Stati Uniti non intendono più farsi carico della maggior parte delle spese dell’alleanza atlantica. Attualmente, su un budget totale della NATO di 1.474 miliardi di dollari, gli Stati Uniti ne coprono 968. Trump ha indicato come soglia minima un investimento del 5% del PIL per la difesa da parte degli alleati, un obiettivo irrealistico per molti paesi europei. Più realisticamente, von der Leyen ha proposto di portare la spesa militare dell’UE oltre il 3% del PIL, il che comporterebbe un aumento di centinaia di miliardi di euro all’anno.

Per l’Italia, arrivare al 3% significherebbe incrementare il budget per la difesa di circa 35 miliardi di euro all’anno rispetto alle risorse stanziate per il 2025. Questa cifra appare difficilmente sostenibile, considerando che l’intera manovra finanziaria del governo per il 2025 ammonta a circa 30 miliardi di euro. Anche se l’incremento della spesa militare dovesse avvenire in modo graduale, resterebbe una sfida economica considerevole.

Le possibilità di reperire tali fondi sono limitate. Un aumento della tassazione o una drastica riduzione della spesa pubblica in altri settori sarebbero soluzioni politicamente difficili da attuare. È più probabile che il finanziamento avvenga almeno in parte attraverso il deficit, con il rischio di compromettere ulteriormente la stabilità del bilancio dello Stato e di suscitare preoccupazioni nei mercati finanziari. Un peggioramento della situazione economica potrebbe ridurre la fiducia degli investitori e scoraggiare capitali stranieri.

In questo contesto, la clausola di salvaguardia potrebbe paradossalmente penalizzare l’Italia rispetto ad altri paesi europei. Gli Stati con conti pubblici più solidi avranno maggiore margine di manovra per incrementare la spesa militare, mentre l’Italia, con un debito pubblico tra i più alti d’Europa – pari al 136% del PIL e oltre i 3.000 miliardi di euro – rischia di trovarsi in difficoltà. Tra i membri del G7, solo il Giappone ha un debito più elevato.

Se l’UE non troverà una soluzione condivisa per finanziare gli investimenti militari, l’Italia potrebbe trovarsi costretta a scegliere tra il rispetto dei vincoli di bilancio e il rafforzamento delle proprie capacità di difesa. Il dibattito sulle future strategie economiche e militari europee è quindi destinato a rimanere aperto, con implicazioni rilevanti per la sicurezza e la stabilità dell’intero continente.

Una medaglia per tutti

In questo affascinante contesto, il Ministro della Difesa italiana, Guido Crosetto, ha pensato di strizzare l’occhiolino agli Stati Uniti ed istituire la Medaglia del Veterano. Probabilmente non aveva migliori idee su come passare alla storia – invece di passare nel dimenticatoio – e con questa mossa ha conquistato la vetta dell’assurdità.

Nessuno ne sentiva la necessità, ma tant’è.

Il 24 febbraio 2025, il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha firmato un decreto che introduce le qualifiche di “Veterano della Difesa” e “Veterano delle Missioni Internazionali”. Questo provvedimento riconosce ufficialmente lo status di veterano a coloro che hanno servito onorevolmente il Paese, sia in patria che all’estero, indipendentemente dalla presenza di menomazioni psico-fisiche legate a traumi.

Il decreto stabilisce inoltre l’11 novembre come giornata ufficiale per la celebrazione del “Veterano”. In questa data simbolica, già riconosciuta a livello internazionale per commemorare la fine della Prima Guerra Mondiale nel 1918, si onorerà il servizio e il sacrificio di chi ha dedicato la propria vita alla difesa della Nazione.

Per valorizzare ulteriormente il contributo dei militari, sono state istituite le Medaglie al merito di “Veterano della Difesa” e “Veterano delle Missioni Internazionali”. La progettazione di queste onorificenze avverrà attraverso un concorso di idee rivolto agli studenti delle scuole, con l’obiettivo di coinvolgere le nuove generazioni nella promozione della memoria e dei valori della Difesa.

La Medaglia al merito di “Veterano della Difesa” sarà destinata al personale che ha servito per almeno venticinque anni con onore e comportamento esemplare. La Medaglia al merito di “Veterano delle Missioni Internazionali” sarà riservata a coloro che, oltre a possedere i requisiti del “Veterano della Difesa”, hanno partecipato ad almeno una missione fuori dal territorio nazionale.

Questa iniziativa rappresenta un passo significativo nel riconoscimento del ruolo fondamentale dei veterani, estendendo l’onorificenza anche a coloro che, pur non avendo riportato traumi invalidanti, hanno servito con dedizione e onore. Come ha dichiarato il Ministro Crosetto: “È nostro dovere dare il giusto valore a questa figura che rappresenta una risorsa fondamentale per la nostra Nazione”.

Dunque, la soluzione rivoluzionaria è stata giocata nel momento migliore: l’Italia si prepara a mandare in guerra contro la Russia i propri ragazzi, che non hanno esattamente voglia di finire in un tritacarne, e così cerca di comprarsi il favore di qualche leva in più e di qualche ufficiale ancora non abbastanza vicino alla pensione. Peccato che i Veterani italiani – col massimo rispetto per la loro professionalità – non avranno i benefit di quelli americani, ad esempio. Anzi, non ci sarà proprio nessun beneficio, se non quello di un titolo in più da aggiungere al curriculum di fine carriera.

La Difesa avrebbe bisogno di altre riforme, che invoca da anni a gran voce, e il Ministro zittisce tutti con l’asso nella manica della nuova medaglia. Geniale.

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