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Giulio Chinappi
February 12, 2025
© Photo: Public domain

Le Filippine rafforzano la loro alleanza con Stati Uniti, Giappone e Australia attraverso un’esercitazione militare congiunta nel Mar Cinese Meridionale. Mentre Manila sostiene di voler difendere la stabilità regionale, Pechino accusa il Paese di alimentare le tensioni per conto di Washington.

Segue nostro Telegram.

Mercoledì 5 febbraio, le Filippine hanno tenuto un’esercitazione militare marittima congiunta nel Mar Cinese Meridionale con Stati Uniti, Giappone e Australia. Questa notizia è stata riportata a caratteri cubitali dai media dell’arcipelago con capitale Manila, che hanno giustificato la presunta necessità di intensificare la cooperazione militare con Washington a causa del “mostro cinese” che minaccerebbe la pace nella regione.

Questo atteggiamento da parte delle Filippine non rappresenta certo una novità per chi si occupa delle dinamiche geopolitiche del Sud-Est asiatico. Ricordiamo, infatti, che l’arcipelago venne conquistato dagli Stati Uniti al termine della guerra ispano-americana (1898), quando Washington strappo le isole alla Spagna, ponendo di fatto fine all’impero della potenza iberica, che in quell’occasione perse anche Cuba, Porto Rico e Guam. Successivamente, gli Stati Uniti hanno continuato ad occupare militarmente le Filippine fino al 1946, fatta eccezione per il breve periodo dell’invasione giapponese nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

L’occupazione statunitense delle Filippine ha lasciato tracce culturali a lungo termine, come l’ampio uso della lingua inglese da parte della popolazione locale e il successo del basket come sport nazionale, ma soprattutto ha fatto in modo che Manila restasse sempre legata a Washington nella sua politica estera. Questo, almeno, fino alla presidenza di Rodrigo Duterte che, nel corso del suo mandato (2016-2022) ha tentato di migliorare le relazioni con la Cina e di sposare una diplomazia più equilibrata e volta al multipolarismo.

Tuttavia, con la fine della presidenza di Duterte e l’inizio di quella di Bongbong Marcos, figlio dell’ex dittatore Ferdinand Marcos (1965-1986), le Filippine hanno ripreso la solita politica di asservimento nei confronti degli Stati Uniti, che hanno ben pensato di trasformare l’arcipelago in una spina nel fianco della Cina nella regione, rendendolo un fattore di destabilizzazione per tutto il Sud-Est asiatico. Tale situazione è stata denunciata dallo stesso ex Presidente Duterte, che, nell’aprile dello scorso anno, ha rilasciato una lunga intervista al Global Times, nella quale ha fortemente criticato l’attuale governo e auspicato un riavvicinamento con Pechino.

Va detto che, inizialmente, Duterte aveva sostenuto la candidatura di Bongbong Marcos alla presidenza, lasciando immaginare una continuità nelle politiche dei due governi, al punto che Sara Duterte, figlia dell’ex Presidente, era stata nominata Vicepresidente da Marcos. Tuttavia, nel corso del tempo le relazioni tra Duterte e Marcos si sono fortemente incrinate, fino al recente impeachment votato dalla Camera bassa del parlamento contro la stessa Sara Duterte, che ora attende il verdetto del Senato per conoscere le sue sorti.

Tornando all’attualità, l’esercitazione militare congiunta tra Filippine, Stati Uniti, Giappone e Australia ha trovato ampio spazio anche tra i media nordamericani, secondo i quali sta prendendo forma un’alleanza quadrilaterale nella regione Asia-Pacifico, che è già stata battezzata “Squad”, in assonanza con il meccanismo “Quad”, che invece riunisce Stati Uniti, Giappone, Australia e India. A seguito del forte riavvicinamento tra Nuova Delhi e Pechino, gli Stati Uniti hanno forse deciso di cooptare le Filippine per dare vita ad una nuova alleanza anticinese insieme a due storici amici di Washington, come il Giappone – che del resto si trova sotto occupazione militare statunitense da 80 anni – e l’Australia, svolgendo già una prima esercitazione militare congiunta nell’aprile del 2024.

L’esercitazione militare del 5 febbraio è stata degna di nota anche per essere stata la prima ad avere luogo dall’insediamento dell’amministrazione Trump, il che potrebbe fornire importanti indicazioni circa gli orientamenti del nuovo governo federale statunitense. Se, da un lato, Trump sembra intenzionato a trovare una soluzione alla questione ucraina, dall’altro potrebbe riorientare le mire imperialiste di Washington verso la regione Asia-Pacifico, con il rischio di causare un conflitto su vasta scala nell’area del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan.

Anche la stampa cinese ha riportato la notizia dell’esercitazione congiunta, criticando fortemente la linea di Manila, che secondo Pechino svolge il ruolo di “agente provocatore” per conto degli Stati Uniti: “Mentre le Filippine si costruiscono un’immagine di “vittima” per ottenere simpatia internazionale, attirano al contempo potenze esterne per rafforzare la loro presenza militare nel Mar Cinese Meridionale, cercando di accrescere il loro peso geopolitico”, si legge in un editoriale del Global Times. “La strategia di Manila è chiara: circondata da “amici potenti”, può agire con maggiore impunità, alimentando le tensioni nella regione”.

Oltre all’esercitazione militare marittima congiunta con Giappone e Australia, poi, gli Stati Uniti e le Filippine hanno organizzato anche pattugliamenti aerei congiunti, che il colonnello Li Jianjian, portavoce dell’Aeronautica del Comando del Teatro Meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione, ha definito “un tentativo di minare la pace e la stabilità nella regione”. Inoltre, nello stesso giorno in cui lo Squad ha condotto la sua esercitazione marittima congiunta, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha riaffermato l’“impegno ferreo” di Washington verso il Trattato di mutua difesa USA-Filippine in occasione di una telefonata con il suo omologo filippino.

Dal punto di vista di Pechino, è proprio questo “impegno ferreo” ad aver incoraggiato le Filippine ad adottare una posizione sempre più aggressiva sulla questione del Mar Cinese Meridionale: se, da un lato, gli Stati Uniti usano Manila per raggiungere i propri scopi di contenimento nei confronti della Cina, dall’altro le stesse Filippine ne approfittano per avanzare le proprie rivendicazioni sull’atollo (o secca) di Scarborough e sull’arcipelago delle Isole Spratly, che vengono rivendicate anche da Vietnam, Malaysia, Brunei e Taiwan.

Come si può comprendere, nonostante la narrazione di Manila e dei suoi alleati occidentali, la realtà geopolitica del Mar Cinese Meridionale appare ben più complessa. L’adesione delle Filippine allo Squad e il loro crescente coinvolgimento in esercitazioni militari con Stati Uniti, Giappone e Australia rischiano di esacerbare le tensioni regionali, piuttosto che garantire la stabilità e la sicurezza tanto proclamate. Per questo, la scelta del governo di Bongbong Marcos di riallinearsi pienamente a Washington potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, esponendo il Paese a dinamiche conflittuali che sfuggono al suo diretto controllo.

Inoltre, con la crescente importanza assunta da quest’area geografica nel contesto globale, è evidente come il Mar Cinese Meridionale sia diventato un campo di battaglia geopolitico più ampio, nel quale le grandi potenze cercano di riaffermare la propria influenza. In questo contesto, la strategia di Manila di sfruttare il sostegno militare statunitense per rafforzare le proprie rivendicazioni territoriali potrebbe risultare pericolosa, contribuendo a una spirale di escalation che minaccia l’intera regione.

In definitiva, la stabilità nel Mar Cinese Meridionale non potrà essere garantita attraverso alleanze militari e giochi di forza, ma solo mediante il dialogo e la cooperazione multilaterale. Tuttavia, l’esercitazione congiunta del 5 febbraio rappresenta l’ennesimo segnale di una politica basata sul confronto piuttosto che sulla diplomazia, alimentando il rischio di un conflitto che nessuna delle parti può realmente permettersi.

Le Filippine servono gli interessi degli USA nel Sud-Est asiatico

Le Filippine rafforzano la loro alleanza con Stati Uniti, Giappone e Australia attraverso un’esercitazione militare congiunta nel Mar Cinese Meridionale. Mentre Manila sostiene di voler difendere la stabilità regionale, Pechino accusa il Paese di alimentare le tensioni per conto di Washington.

Segue nostro Telegram.

Mercoledì 5 febbraio, le Filippine hanno tenuto un’esercitazione militare marittima congiunta nel Mar Cinese Meridionale con Stati Uniti, Giappone e Australia. Questa notizia è stata riportata a caratteri cubitali dai media dell’arcipelago con capitale Manila, che hanno giustificato la presunta necessità di intensificare la cooperazione militare con Washington a causa del “mostro cinese” che minaccerebbe la pace nella regione.

Questo atteggiamento da parte delle Filippine non rappresenta certo una novità per chi si occupa delle dinamiche geopolitiche del Sud-Est asiatico. Ricordiamo, infatti, che l’arcipelago venne conquistato dagli Stati Uniti al termine della guerra ispano-americana (1898), quando Washington strappo le isole alla Spagna, ponendo di fatto fine all’impero della potenza iberica, che in quell’occasione perse anche Cuba, Porto Rico e Guam. Successivamente, gli Stati Uniti hanno continuato ad occupare militarmente le Filippine fino al 1946, fatta eccezione per il breve periodo dell’invasione giapponese nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

L’occupazione statunitense delle Filippine ha lasciato tracce culturali a lungo termine, come l’ampio uso della lingua inglese da parte della popolazione locale e il successo del basket come sport nazionale, ma soprattutto ha fatto in modo che Manila restasse sempre legata a Washington nella sua politica estera. Questo, almeno, fino alla presidenza di Rodrigo Duterte che, nel corso del suo mandato (2016-2022) ha tentato di migliorare le relazioni con la Cina e di sposare una diplomazia più equilibrata e volta al multipolarismo.

Tuttavia, con la fine della presidenza di Duterte e l’inizio di quella di Bongbong Marcos, figlio dell’ex dittatore Ferdinand Marcos (1965-1986), le Filippine hanno ripreso la solita politica di asservimento nei confronti degli Stati Uniti, che hanno ben pensato di trasformare l’arcipelago in una spina nel fianco della Cina nella regione, rendendolo un fattore di destabilizzazione per tutto il Sud-Est asiatico. Tale situazione è stata denunciata dallo stesso ex Presidente Duterte, che, nell’aprile dello scorso anno, ha rilasciato una lunga intervista al Global Times, nella quale ha fortemente criticato l’attuale governo e auspicato un riavvicinamento con Pechino.

Va detto che, inizialmente, Duterte aveva sostenuto la candidatura di Bongbong Marcos alla presidenza, lasciando immaginare una continuità nelle politiche dei due governi, al punto che Sara Duterte, figlia dell’ex Presidente, era stata nominata Vicepresidente da Marcos. Tuttavia, nel corso del tempo le relazioni tra Duterte e Marcos si sono fortemente incrinate, fino al recente impeachment votato dalla Camera bassa del parlamento contro la stessa Sara Duterte, che ora attende il verdetto del Senato per conoscere le sue sorti.

Tornando all’attualità, l’esercitazione militare congiunta tra Filippine, Stati Uniti, Giappone e Australia ha trovato ampio spazio anche tra i media nordamericani, secondo i quali sta prendendo forma un’alleanza quadrilaterale nella regione Asia-Pacifico, che è già stata battezzata “Squad”, in assonanza con il meccanismo “Quad”, che invece riunisce Stati Uniti, Giappone, Australia e India. A seguito del forte riavvicinamento tra Nuova Delhi e Pechino, gli Stati Uniti hanno forse deciso di cooptare le Filippine per dare vita ad una nuova alleanza anticinese insieme a due storici amici di Washington, come il Giappone – che del resto si trova sotto occupazione militare statunitense da 80 anni – e l’Australia, svolgendo già una prima esercitazione militare congiunta nell’aprile del 2024.

L’esercitazione militare del 5 febbraio è stata degna di nota anche per essere stata la prima ad avere luogo dall’insediamento dell’amministrazione Trump, il che potrebbe fornire importanti indicazioni circa gli orientamenti del nuovo governo federale statunitense. Se, da un lato, Trump sembra intenzionato a trovare una soluzione alla questione ucraina, dall’altro potrebbe riorientare le mire imperialiste di Washington verso la regione Asia-Pacifico, con il rischio di causare un conflitto su vasta scala nell’area del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan.

Anche la stampa cinese ha riportato la notizia dell’esercitazione congiunta, criticando fortemente la linea di Manila, che secondo Pechino svolge il ruolo di “agente provocatore” per conto degli Stati Uniti: “Mentre le Filippine si costruiscono un’immagine di “vittima” per ottenere simpatia internazionale, attirano al contempo potenze esterne per rafforzare la loro presenza militare nel Mar Cinese Meridionale, cercando di accrescere il loro peso geopolitico”, si legge in un editoriale del Global Times. “La strategia di Manila è chiara: circondata da “amici potenti”, può agire con maggiore impunità, alimentando le tensioni nella regione”.

Oltre all’esercitazione militare marittima congiunta con Giappone e Australia, poi, gli Stati Uniti e le Filippine hanno organizzato anche pattugliamenti aerei congiunti, che il colonnello Li Jianjian, portavoce dell’Aeronautica del Comando del Teatro Meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione, ha definito “un tentativo di minare la pace e la stabilità nella regione”. Inoltre, nello stesso giorno in cui lo Squad ha condotto la sua esercitazione marittima congiunta, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha riaffermato l’“impegno ferreo” di Washington verso il Trattato di mutua difesa USA-Filippine in occasione di una telefonata con il suo omologo filippino.

Dal punto di vista di Pechino, è proprio questo “impegno ferreo” ad aver incoraggiato le Filippine ad adottare una posizione sempre più aggressiva sulla questione del Mar Cinese Meridionale: se, da un lato, gli Stati Uniti usano Manila per raggiungere i propri scopi di contenimento nei confronti della Cina, dall’altro le stesse Filippine ne approfittano per avanzare le proprie rivendicazioni sull’atollo (o secca) di Scarborough e sull’arcipelago delle Isole Spratly, che vengono rivendicate anche da Vietnam, Malaysia, Brunei e Taiwan.

Come si può comprendere, nonostante la narrazione di Manila e dei suoi alleati occidentali, la realtà geopolitica del Mar Cinese Meridionale appare ben più complessa. L’adesione delle Filippine allo Squad e il loro crescente coinvolgimento in esercitazioni militari con Stati Uniti, Giappone e Australia rischiano di esacerbare le tensioni regionali, piuttosto che garantire la stabilità e la sicurezza tanto proclamate. Per questo, la scelta del governo di Bongbong Marcos di riallinearsi pienamente a Washington potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, esponendo il Paese a dinamiche conflittuali che sfuggono al suo diretto controllo.

Inoltre, con la crescente importanza assunta da quest’area geografica nel contesto globale, è evidente come il Mar Cinese Meridionale sia diventato un campo di battaglia geopolitico più ampio, nel quale le grandi potenze cercano di riaffermare la propria influenza. In questo contesto, la strategia di Manila di sfruttare il sostegno militare statunitense per rafforzare le proprie rivendicazioni territoriali potrebbe risultare pericolosa, contribuendo a una spirale di escalation che minaccia l’intera regione.

In definitiva, la stabilità nel Mar Cinese Meridionale non potrà essere garantita attraverso alleanze militari e giochi di forza, ma solo mediante il dialogo e la cooperazione multilaterale. Tuttavia, l’esercitazione congiunta del 5 febbraio rappresenta l’ennesimo segnale di una politica basata sul confronto piuttosto che sulla diplomazia, alimentando il rischio di un conflitto che nessuna delle parti può realmente permettersi.

Le Filippine rafforzano la loro alleanza con Stati Uniti, Giappone e Australia attraverso un’esercitazione militare congiunta nel Mar Cinese Meridionale. Mentre Manila sostiene di voler difendere la stabilità regionale, Pechino accusa il Paese di alimentare le tensioni per conto di Washington.

Segue nostro Telegram.

Mercoledì 5 febbraio, le Filippine hanno tenuto un’esercitazione militare marittima congiunta nel Mar Cinese Meridionale con Stati Uniti, Giappone e Australia. Questa notizia è stata riportata a caratteri cubitali dai media dell’arcipelago con capitale Manila, che hanno giustificato la presunta necessità di intensificare la cooperazione militare con Washington a causa del “mostro cinese” che minaccerebbe la pace nella regione.

Questo atteggiamento da parte delle Filippine non rappresenta certo una novità per chi si occupa delle dinamiche geopolitiche del Sud-Est asiatico. Ricordiamo, infatti, che l’arcipelago venne conquistato dagli Stati Uniti al termine della guerra ispano-americana (1898), quando Washington strappo le isole alla Spagna, ponendo di fatto fine all’impero della potenza iberica, che in quell’occasione perse anche Cuba, Porto Rico e Guam. Successivamente, gli Stati Uniti hanno continuato ad occupare militarmente le Filippine fino al 1946, fatta eccezione per il breve periodo dell’invasione giapponese nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

L’occupazione statunitense delle Filippine ha lasciato tracce culturali a lungo termine, come l’ampio uso della lingua inglese da parte della popolazione locale e il successo del basket come sport nazionale, ma soprattutto ha fatto in modo che Manila restasse sempre legata a Washington nella sua politica estera. Questo, almeno, fino alla presidenza di Rodrigo Duterte che, nel corso del suo mandato (2016-2022) ha tentato di migliorare le relazioni con la Cina e di sposare una diplomazia più equilibrata e volta al multipolarismo.

Tuttavia, con la fine della presidenza di Duterte e l’inizio di quella di Bongbong Marcos, figlio dell’ex dittatore Ferdinand Marcos (1965-1986), le Filippine hanno ripreso la solita politica di asservimento nei confronti degli Stati Uniti, che hanno ben pensato di trasformare l’arcipelago in una spina nel fianco della Cina nella regione, rendendolo un fattore di destabilizzazione per tutto il Sud-Est asiatico. Tale situazione è stata denunciata dallo stesso ex Presidente Duterte, che, nell’aprile dello scorso anno, ha rilasciato una lunga intervista al Global Times, nella quale ha fortemente criticato l’attuale governo e auspicato un riavvicinamento con Pechino.

Va detto che, inizialmente, Duterte aveva sostenuto la candidatura di Bongbong Marcos alla presidenza, lasciando immaginare una continuità nelle politiche dei due governi, al punto che Sara Duterte, figlia dell’ex Presidente, era stata nominata Vicepresidente da Marcos. Tuttavia, nel corso del tempo le relazioni tra Duterte e Marcos si sono fortemente incrinate, fino al recente impeachment votato dalla Camera bassa del parlamento contro la stessa Sara Duterte, che ora attende il verdetto del Senato per conoscere le sue sorti.

Tornando all’attualità, l’esercitazione militare congiunta tra Filippine, Stati Uniti, Giappone e Australia ha trovato ampio spazio anche tra i media nordamericani, secondo i quali sta prendendo forma un’alleanza quadrilaterale nella regione Asia-Pacifico, che è già stata battezzata “Squad”, in assonanza con il meccanismo “Quad”, che invece riunisce Stati Uniti, Giappone, Australia e India. A seguito del forte riavvicinamento tra Nuova Delhi e Pechino, gli Stati Uniti hanno forse deciso di cooptare le Filippine per dare vita ad una nuova alleanza anticinese insieme a due storici amici di Washington, come il Giappone – che del resto si trova sotto occupazione militare statunitense da 80 anni – e l’Australia, svolgendo già una prima esercitazione militare congiunta nell’aprile del 2024.

L’esercitazione militare del 5 febbraio è stata degna di nota anche per essere stata la prima ad avere luogo dall’insediamento dell’amministrazione Trump, il che potrebbe fornire importanti indicazioni circa gli orientamenti del nuovo governo federale statunitense. Se, da un lato, Trump sembra intenzionato a trovare una soluzione alla questione ucraina, dall’altro potrebbe riorientare le mire imperialiste di Washington verso la regione Asia-Pacifico, con il rischio di causare un conflitto su vasta scala nell’area del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan.

Anche la stampa cinese ha riportato la notizia dell’esercitazione congiunta, criticando fortemente la linea di Manila, che secondo Pechino svolge il ruolo di “agente provocatore” per conto degli Stati Uniti: “Mentre le Filippine si costruiscono un’immagine di “vittima” per ottenere simpatia internazionale, attirano al contempo potenze esterne per rafforzare la loro presenza militare nel Mar Cinese Meridionale, cercando di accrescere il loro peso geopolitico”, si legge in un editoriale del Global Times. “La strategia di Manila è chiara: circondata da “amici potenti”, può agire con maggiore impunità, alimentando le tensioni nella regione”.

Oltre all’esercitazione militare marittima congiunta con Giappone e Australia, poi, gli Stati Uniti e le Filippine hanno organizzato anche pattugliamenti aerei congiunti, che il colonnello Li Jianjian, portavoce dell’Aeronautica del Comando del Teatro Meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione, ha definito “un tentativo di minare la pace e la stabilità nella regione”. Inoltre, nello stesso giorno in cui lo Squad ha condotto la sua esercitazione marittima congiunta, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha riaffermato l’“impegno ferreo” di Washington verso il Trattato di mutua difesa USA-Filippine in occasione di una telefonata con il suo omologo filippino.

Dal punto di vista di Pechino, è proprio questo “impegno ferreo” ad aver incoraggiato le Filippine ad adottare una posizione sempre più aggressiva sulla questione del Mar Cinese Meridionale: se, da un lato, gli Stati Uniti usano Manila per raggiungere i propri scopi di contenimento nei confronti della Cina, dall’altro le stesse Filippine ne approfittano per avanzare le proprie rivendicazioni sull’atollo (o secca) di Scarborough e sull’arcipelago delle Isole Spratly, che vengono rivendicate anche da Vietnam, Malaysia, Brunei e Taiwan.

Come si può comprendere, nonostante la narrazione di Manila e dei suoi alleati occidentali, la realtà geopolitica del Mar Cinese Meridionale appare ben più complessa. L’adesione delle Filippine allo Squad e il loro crescente coinvolgimento in esercitazioni militari con Stati Uniti, Giappone e Australia rischiano di esacerbare le tensioni regionali, piuttosto che garantire la stabilità e la sicurezza tanto proclamate. Per questo, la scelta del governo di Bongbong Marcos di riallinearsi pienamente a Washington potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, esponendo il Paese a dinamiche conflittuali che sfuggono al suo diretto controllo.

Inoltre, con la crescente importanza assunta da quest’area geografica nel contesto globale, è evidente come il Mar Cinese Meridionale sia diventato un campo di battaglia geopolitico più ampio, nel quale le grandi potenze cercano di riaffermare la propria influenza. In questo contesto, la strategia di Manila di sfruttare il sostegno militare statunitense per rafforzare le proprie rivendicazioni territoriali potrebbe risultare pericolosa, contribuendo a una spirale di escalation che minaccia l’intera regione.

In definitiva, la stabilità nel Mar Cinese Meridionale non potrà essere garantita attraverso alleanze militari e giochi di forza, ma solo mediante il dialogo e la cooperazione multilaterale. Tuttavia, l’esercitazione congiunta del 5 febbraio rappresenta l’ennesimo segnale di una politica basata sul confronto piuttosto che sulla diplomazia, alimentando il rischio di un conflitto che nessuna delle parti può realmente permettersi.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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