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Lorenzo Maria Pacini
February 1, 2025
© Photo: Public domain

Il messianismo neocon americano ha un tratto particolarmente noto: gli Stati Uniti d’America si sentono i salvatori del mondo, pertanto auto-giustificano qualsiasi azioni su scala globale.

Segue nostro Telegram.

Il messianismo neocon americano ha un tratto particolarmente noto: gli Stati Uniti d’America si sentono i salvatori del mondo, pertanto auto-giustificano qualsiasi azioni su scala globale. Fin qui, niente di nuovo. C’è invece un elemento che appartiene squisitamente ai tempi più recenti, ai nostri giorni, e che con l’avvento della second presidenza Trump sta diventando sempre più forte: la sindrome del Salvatore. Una sindrome che, a quanto pare, colpisce non soltanto gli americani.

Circa il bisogno di “salvare” qualcuno

Al di là dell’ironia, stiamo parlando di qualcosa di molto serio, che la psicologia e la sociologia hanno ben analizzato.

La Sindrome del Salvatore è un fenomeno psicologico e relazionale che denota una predisposizione patologica ad assumersi la responsabilità del benessere altrui, a scapito della propria salute psicologica ed emotiva. Questo comportamento è spesso caratterizzato da una compulsiva necessità di intervenire nella vita degli altri, risolvendo i loro problemi e cercando di “salvarli” dalle difficoltà, anche quando tali interventi non sono richiesti né desiderati. Sebbene la figura del salvatore venga spesso idealizzata, questa sindrome nasconde una serie di meccanismi psicologici e sociologici che, se non riconosciuti, possono portare a gravi distorsioni nelle relazioni interpersonali e a un serio danneggiamento del benessere individuale.

L’origine della Sindrome è complessa e può derivare da molteplici fattori psicologici e sociali. Una delle principali cause è legata a esperienze precoci di disfunzione familiare: in contesti familiari caratterizzati da abusi, trascuratezza o problemi psicologici dei genitori, il bambino può interiorizzare il bisogno di “salvare” i propri familiari come strategia di sopravvivenza; in taluni casi, l’individuo assume, fin dalla giovane età, il ruolo di caregiver, cercando di arginare il malessere emotivo dei genitori o dei membri della famiglia, e sviluppando così una tendenza a risolvere i problemi altrui come modalità per ottenere affetto o riconoscimento. In parallelo, altre origini psicologiche possono includere il desiderio di compensare carenze emotive interne. Coloro che soffrono di una bassa autostima o che non sono riusciti a costruire una solida identità emotiva possono cercare di definire il proprio valore attraverso il “salvataggio” degli altri. Tale comportamento diventa una forma di autoaffermazione: salvare gli altri fornisce un senso di importanza e di approvazione sociale che colma il vuoto emotivo e affettivo.

La Sindrome può essere influenzata da un contesto culturale che enfatizza valori come l’altruismo e la sacrificio, a volte in modo distorto. In alcune culture, la figura del salvatore è idealizzata e associata a qualità morali superiori, creando una forte pressione sociale affinché gli individui, in particolare le donne, accettino il ruolo di “caregiver” o di colui che risolve le problematiche degli altri. Tale contesto contribuisce a rafforzare la percezione che essere indispensabili per gli altri sia sinonimo di realizzazione e valore personale.

Una delle principali caratteristiche della Sindrome, poi, è la persistente difficoltà nell’impostare confini emotivi e pratici. Le persone che soffrono di questa sindrome tendono ad abbracciare un eccessivo senso di responsabilità nei confronti degli altri, fino al punto da sacrificare il proprio benessere fisico ed emotivo. L’incapacità di dire “no” o di stabilire limiti chiari porta a una continua invasione dei propri spazi e del proprio tempo da parte degli altri, con conseguente esaurimento delle risorse personali.

Questo fenomeno può essere osservato in molteplici contesti, dalle relazioni familiari a quelle sentimentali e professionali. In una relazione di coppia, ad esempio, una persona affetta dalla Sindrome del Salvatore può sentirsi obbligata a risolvere i problemi dell’altro partner, anche quando questi non richiedono interventi esterni o non sono pronti a cambiare. L’effetto di tale dinamica è un progressivo sbilanciamento del rapporto, con la persona “salvatrice” che si ritrova a vivere una relazione disfunzionale, dove l’altro non sviluppa la capacità di affrontare le proprie difficoltà in modo autonomo, creando una forma di dipendenza emotiva.

In ambito lavorativo, questa sindrome può manifestarsi come un’eccessiva dedizione alle esigenze degli altri colleghi o superiori, a scapito dei propri obiettivi professionali. La persona salvataggio tende ad assumersi oneri non richiesti, cercando di risolvere i conflitti degli altri, il che può portare a un sovraccarico di lavoro e a una mancanza di riconoscimento per il proprio impegno.

Un altro aspetto fondamentale della Sindrome del Salvatore è la continua ricerca di approvazione. Il salvatore, infatti, si vede spesso come colui che fa qualcosa di buono e necessario per gli altri, e si nutre dell’approvazione che riceve in cambio. Questo comportamento è legato al bisogno di ottenere un senso di valore attraverso il riconoscimento esterno. La soddisfazione derivante dall’aiutare gli altri può diventare un’ossessione, creando una spirale in cui l’individuo cerca sempre di più di “salvare” gli altri, senza mai fermarsi a riflettere sui propri bisogni.

Le implicazioni psicologiche della Sindrome del Salvatore sono molteplici e potenzialmente dannose. Innanzitutto, coloro che adottano questo comportamento in modo cronico sono suscettibili a soffrire di esaurimento emotivo e stress. L’eccessivo impegno verso gli altri, senza mai prendersi del tempo per sé, può condurre a un vero e proprio burnout. L’individuo si ritrova, quindi, a fronteggiare una costante sensazione di fatica, frustrazione e inadeguatezza, spesso non riconoscendo il bisogno di cura di sé.

Un’altra conseguenza psicologica è il rischio di sviluppare disturbi d’ansia e depressione. Poiché il “salvatore” si dedica costantemente agli altri, senza mai fermarsi a riflettere sul proprio benessere, si crea una condizione di disconnessione emotiva che può sfociare in una profonda tristezza o in una crisi di identità. La persona può arrivare a sentirsi alienata, come se non avesse più uno spazio emotivo proprio, riducendo il proprio valore a quello che può fare per gli altri.

Sul piano relazionale, la Sindrome del Salvatore può portare a un progressivo deterioramento dei legami affettivi. La mancanza di confini e il continuo sacrificio personale creano dinamiche disfunzionali, in cui il rapporto si basa su un disequilibrio emotivo. La persona “salvata” può sentirsi sopraffatta dal sostegno continuo e, paradossalmente, sviluppare una forma di dipendenza o di risentimento nei confronti del “salvatore”. Questa disfunzione relazionale può sfociare in conflitti, risentimenti e, infine, in un allontanamento emotivo, poiché entrambi i soggetti coinvolti finiscono per non essere in grado di soddisfare i propri bisogni autentici.

Una Sindrome a stelle e strisce

Dopo questa necessaria disamina per introdurre la patologia, bisogna passare all’analisi geopolitica.

Il problema, infatti, non è soltanto americano. È del tutto legittimi – possiamo dire – che gli Stati Uniti siano pervasi da questa sindrome, perché gli appartiene costitutivamente. La lunga tradizione cristiana messianica, legata ai movimenti evangelici e pentecostali, che fanno del sionismo il fulcro della loro teologia politica, è parte integrante dello spirito americano, sin dai primi coloni reietti inglesi puritani che vennero mandati lì.

La domanda importante e l’osservazione che dobbiamo fare riguarda, invece, la diffusione di questa sindrome al di fuori degli USA. C’è una certa tendenza ad ammirare, venerare e celebrare il novello Presidente americano come una sorta di salvatore. Non tutti sono concordi su quale sia l’oggetto di questa salvezza: alcuni dicono dal liberalismo, altri dal trionfo del comunismo, altri ancora sostengono che voglia salvare il mondo dagli alieni e dalla crisi economica, certi sostengono che voglia far rinascere il fascismo, alcuni ritengono che sia il Messia incarnato pronto a sconfiggere il Nuovo Ordine Mondiale. Le interpretazioni sono molteplici e tutte sarebbero degne di uno studio approfondito (per psicologi e sociologi, chiaramente).

La domanda che però sorge spontanea è: perché? Cosa ci vedete di così salvifico in Donald Trump?

Qui si entra nell’analisi di una sorta di egregora politica su scala globale. Gli USA hanno stabilito un dominio così forte da modificare la coscienza collettiva di interi popoli. Che ci piaccia o no, gli USA hanno per primi sfruttato la mente come dominio di guerra (cognitive warfare), capendo che l’informazione era l’arma essenziale (infowarfare). Certo, non sono sicuramente gli Stati Uniti la prima “dittatura” o “tirannide”, né tantomeno i primi storicamente ad avere capito che bisogna governare la testa delle persone prima di governarne i corpi, ma è altrettanto vero che gli USA hanno saputo sfruttare a proprio favore la coincidenza di tecnologie e società di massa, riuscendo a fare qualcosa che prima non era stato fatto.

Ecco che troviamo, ad esempio, dei Russi che esaltano Trump come se fosse una sorte di pacificatore globale, pronto a sconfiggere il liberalismo, a defenestrare la corruzione, a mettere pace su tutti i confini e a rendere più giusta l’economia planetaria. Poco importa se è stato Trump il primo a sostenere per anni il conflitto contro il “mostro comunista” della Russia, ingannando persino riguardo l’Ucraina con e solite idiozie da campagna elettorale. O anche gli europei, come avviene in Italia, che celebrano Trump come “il meno peggio” che “farà pur qualcosa di buono”, dimenticando che sta per mandare in guerra il Paese, quello stesso Paese che ama così tanto da tenerlo sotto il giogo dell’occupazione militare, economica e politica, invitando il Primo Ministro a fare da cameriera all’inaugurazione della presidenza.

Appare una sorta di estensione di quell’incantesimo che era già presente e che pare aver ripreso forza. Il fascino della bandiera a stelle e strisce non cambia. Il “sogno americano” è ancora vivo ed è offerto a tutti.

C’è chiaramente qualcosa di poco equilibrato in queste posizioni. Dovendo andare oltre gli entusiasmi personali e le celebrazioni istituzionali, che sono pur giustificabili, bisogna guardare più lontano. Cosa si cela dietro tutto ciò? Come è possibile che Paesi le cui popolazioni sono ancora dichiaratamente oggetto di colonizzazione, attacco, minacce, violenze, povertà indotta, privazione di sovranità etc., siano stati così lesti ad esaltare il nuovo presidente americano?

Sembra di essere in uno stadio a guardare una partita di calcio (gli italiani capiranno bene queste parole): ci sono due squadre che si contendono la vittoria. I tifosi fanno il loro dovere, sono in conflitto fra di loro, anche violento, e sono pronti a celebrare la propria squadra, sia che vinca, sia che perda. Ma i tifosi ignorano di essere vittime di una grande farsa, di un gioco, fatto per divertire, un gioco in cui a vincere davvero e a guadagnare sono gli organizzatori del match, che non siedono fra gli spalti e nemmeno in panchina fra i calciatori.

La Sindrome del Salvatore

Il messianismo neocon americano ha un tratto particolarmente noto: gli Stati Uniti d’America si sentono i salvatori del mondo, pertanto auto-giustificano qualsiasi azioni su scala globale.

Segue nostro Telegram.

Il messianismo neocon americano ha un tratto particolarmente noto: gli Stati Uniti d’America si sentono i salvatori del mondo, pertanto auto-giustificano qualsiasi azioni su scala globale. Fin qui, niente di nuovo. C’è invece un elemento che appartiene squisitamente ai tempi più recenti, ai nostri giorni, e che con l’avvento della second presidenza Trump sta diventando sempre più forte: la sindrome del Salvatore. Una sindrome che, a quanto pare, colpisce non soltanto gli americani.

Circa il bisogno di “salvare” qualcuno

Al di là dell’ironia, stiamo parlando di qualcosa di molto serio, che la psicologia e la sociologia hanno ben analizzato.

La Sindrome del Salvatore è un fenomeno psicologico e relazionale che denota una predisposizione patologica ad assumersi la responsabilità del benessere altrui, a scapito della propria salute psicologica ed emotiva. Questo comportamento è spesso caratterizzato da una compulsiva necessità di intervenire nella vita degli altri, risolvendo i loro problemi e cercando di “salvarli” dalle difficoltà, anche quando tali interventi non sono richiesti né desiderati. Sebbene la figura del salvatore venga spesso idealizzata, questa sindrome nasconde una serie di meccanismi psicologici e sociologici che, se non riconosciuti, possono portare a gravi distorsioni nelle relazioni interpersonali e a un serio danneggiamento del benessere individuale.

L’origine della Sindrome è complessa e può derivare da molteplici fattori psicologici e sociali. Una delle principali cause è legata a esperienze precoci di disfunzione familiare: in contesti familiari caratterizzati da abusi, trascuratezza o problemi psicologici dei genitori, il bambino può interiorizzare il bisogno di “salvare” i propri familiari come strategia di sopravvivenza; in taluni casi, l’individuo assume, fin dalla giovane età, il ruolo di caregiver, cercando di arginare il malessere emotivo dei genitori o dei membri della famiglia, e sviluppando così una tendenza a risolvere i problemi altrui come modalità per ottenere affetto o riconoscimento. In parallelo, altre origini psicologiche possono includere il desiderio di compensare carenze emotive interne. Coloro che soffrono di una bassa autostima o che non sono riusciti a costruire una solida identità emotiva possono cercare di definire il proprio valore attraverso il “salvataggio” degli altri. Tale comportamento diventa una forma di autoaffermazione: salvare gli altri fornisce un senso di importanza e di approvazione sociale che colma il vuoto emotivo e affettivo.

La Sindrome può essere influenzata da un contesto culturale che enfatizza valori come l’altruismo e la sacrificio, a volte in modo distorto. In alcune culture, la figura del salvatore è idealizzata e associata a qualità morali superiori, creando una forte pressione sociale affinché gli individui, in particolare le donne, accettino il ruolo di “caregiver” o di colui che risolve le problematiche degli altri. Tale contesto contribuisce a rafforzare la percezione che essere indispensabili per gli altri sia sinonimo di realizzazione e valore personale.

Una delle principali caratteristiche della Sindrome, poi, è la persistente difficoltà nell’impostare confini emotivi e pratici. Le persone che soffrono di questa sindrome tendono ad abbracciare un eccessivo senso di responsabilità nei confronti degli altri, fino al punto da sacrificare il proprio benessere fisico ed emotivo. L’incapacità di dire “no” o di stabilire limiti chiari porta a una continua invasione dei propri spazi e del proprio tempo da parte degli altri, con conseguente esaurimento delle risorse personali.

Questo fenomeno può essere osservato in molteplici contesti, dalle relazioni familiari a quelle sentimentali e professionali. In una relazione di coppia, ad esempio, una persona affetta dalla Sindrome del Salvatore può sentirsi obbligata a risolvere i problemi dell’altro partner, anche quando questi non richiedono interventi esterni o non sono pronti a cambiare. L’effetto di tale dinamica è un progressivo sbilanciamento del rapporto, con la persona “salvatrice” che si ritrova a vivere una relazione disfunzionale, dove l’altro non sviluppa la capacità di affrontare le proprie difficoltà in modo autonomo, creando una forma di dipendenza emotiva.

In ambito lavorativo, questa sindrome può manifestarsi come un’eccessiva dedizione alle esigenze degli altri colleghi o superiori, a scapito dei propri obiettivi professionali. La persona salvataggio tende ad assumersi oneri non richiesti, cercando di risolvere i conflitti degli altri, il che può portare a un sovraccarico di lavoro e a una mancanza di riconoscimento per il proprio impegno.

Un altro aspetto fondamentale della Sindrome del Salvatore è la continua ricerca di approvazione. Il salvatore, infatti, si vede spesso come colui che fa qualcosa di buono e necessario per gli altri, e si nutre dell’approvazione che riceve in cambio. Questo comportamento è legato al bisogno di ottenere un senso di valore attraverso il riconoscimento esterno. La soddisfazione derivante dall’aiutare gli altri può diventare un’ossessione, creando una spirale in cui l’individuo cerca sempre di più di “salvare” gli altri, senza mai fermarsi a riflettere sui propri bisogni.

Le implicazioni psicologiche della Sindrome del Salvatore sono molteplici e potenzialmente dannose. Innanzitutto, coloro che adottano questo comportamento in modo cronico sono suscettibili a soffrire di esaurimento emotivo e stress. L’eccessivo impegno verso gli altri, senza mai prendersi del tempo per sé, può condurre a un vero e proprio burnout. L’individuo si ritrova, quindi, a fronteggiare una costante sensazione di fatica, frustrazione e inadeguatezza, spesso non riconoscendo il bisogno di cura di sé.

Un’altra conseguenza psicologica è il rischio di sviluppare disturbi d’ansia e depressione. Poiché il “salvatore” si dedica costantemente agli altri, senza mai fermarsi a riflettere sul proprio benessere, si crea una condizione di disconnessione emotiva che può sfociare in una profonda tristezza o in una crisi di identità. La persona può arrivare a sentirsi alienata, come se non avesse più uno spazio emotivo proprio, riducendo il proprio valore a quello che può fare per gli altri.

Sul piano relazionale, la Sindrome del Salvatore può portare a un progressivo deterioramento dei legami affettivi. La mancanza di confini e il continuo sacrificio personale creano dinamiche disfunzionali, in cui il rapporto si basa su un disequilibrio emotivo. La persona “salvata” può sentirsi sopraffatta dal sostegno continuo e, paradossalmente, sviluppare una forma di dipendenza o di risentimento nei confronti del “salvatore”. Questa disfunzione relazionale può sfociare in conflitti, risentimenti e, infine, in un allontanamento emotivo, poiché entrambi i soggetti coinvolti finiscono per non essere in grado di soddisfare i propri bisogni autentici.

Una Sindrome a stelle e strisce

Dopo questa necessaria disamina per introdurre la patologia, bisogna passare all’analisi geopolitica.

Il problema, infatti, non è soltanto americano. È del tutto legittimi – possiamo dire – che gli Stati Uniti siano pervasi da questa sindrome, perché gli appartiene costitutivamente. La lunga tradizione cristiana messianica, legata ai movimenti evangelici e pentecostali, che fanno del sionismo il fulcro della loro teologia politica, è parte integrante dello spirito americano, sin dai primi coloni reietti inglesi puritani che vennero mandati lì.

La domanda importante e l’osservazione che dobbiamo fare riguarda, invece, la diffusione di questa sindrome al di fuori degli USA. C’è una certa tendenza ad ammirare, venerare e celebrare il novello Presidente americano come una sorta di salvatore. Non tutti sono concordi su quale sia l’oggetto di questa salvezza: alcuni dicono dal liberalismo, altri dal trionfo del comunismo, altri ancora sostengono che voglia salvare il mondo dagli alieni e dalla crisi economica, certi sostengono che voglia far rinascere il fascismo, alcuni ritengono che sia il Messia incarnato pronto a sconfiggere il Nuovo Ordine Mondiale. Le interpretazioni sono molteplici e tutte sarebbero degne di uno studio approfondito (per psicologi e sociologi, chiaramente).

La domanda che però sorge spontanea è: perché? Cosa ci vedete di così salvifico in Donald Trump?

Qui si entra nell’analisi di una sorta di egregora politica su scala globale. Gli USA hanno stabilito un dominio così forte da modificare la coscienza collettiva di interi popoli. Che ci piaccia o no, gli USA hanno per primi sfruttato la mente come dominio di guerra (cognitive warfare), capendo che l’informazione era l’arma essenziale (infowarfare). Certo, non sono sicuramente gli Stati Uniti la prima “dittatura” o “tirannide”, né tantomeno i primi storicamente ad avere capito che bisogna governare la testa delle persone prima di governarne i corpi, ma è altrettanto vero che gli USA hanno saputo sfruttare a proprio favore la coincidenza di tecnologie e società di massa, riuscendo a fare qualcosa che prima non era stato fatto.

Ecco che troviamo, ad esempio, dei Russi che esaltano Trump come se fosse una sorte di pacificatore globale, pronto a sconfiggere il liberalismo, a defenestrare la corruzione, a mettere pace su tutti i confini e a rendere più giusta l’economia planetaria. Poco importa se è stato Trump il primo a sostenere per anni il conflitto contro il “mostro comunista” della Russia, ingannando persino riguardo l’Ucraina con e solite idiozie da campagna elettorale. O anche gli europei, come avviene in Italia, che celebrano Trump come “il meno peggio” che “farà pur qualcosa di buono”, dimenticando che sta per mandare in guerra il Paese, quello stesso Paese che ama così tanto da tenerlo sotto il giogo dell’occupazione militare, economica e politica, invitando il Primo Ministro a fare da cameriera all’inaugurazione della presidenza.

Appare una sorta di estensione di quell’incantesimo che era già presente e che pare aver ripreso forza. Il fascino della bandiera a stelle e strisce non cambia. Il “sogno americano” è ancora vivo ed è offerto a tutti.

C’è chiaramente qualcosa di poco equilibrato in queste posizioni. Dovendo andare oltre gli entusiasmi personali e le celebrazioni istituzionali, che sono pur giustificabili, bisogna guardare più lontano. Cosa si cela dietro tutto ciò? Come è possibile che Paesi le cui popolazioni sono ancora dichiaratamente oggetto di colonizzazione, attacco, minacce, violenze, povertà indotta, privazione di sovranità etc., siano stati così lesti ad esaltare il nuovo presidente americano?

Sembra di essere in uno stadio a guardare una partita di calcio (gli italiani capiranno bene queste parole): ci sono due squadre che si contendono la vittoria. I tifosi fanno il loro dovere, sono in conflitto fra di loro, anche violento, e sono pronti a celebrare la propria squadra, sia che vinca, sia che perda. Ma i tifosi ignorano di essere vittime di una grande farsa, di un gioco, fatto per divertire, un gioco in cui a vincere davvero e a guadagnare sono gli organizzatori del match, che non siedono fra gli spalti e nemmeno in panchina fra i calciatori.

Il messianismo neocon americano ha un tratto particolarmente noto: gli Stati Uniti d’America si sentono i salvatori del mondo, pertanto auto-giustificano qualsiasi azioni su scala globale.

Segue nostro Telegram.

Il messianismo neocon americano ha un tratto particolarmente noto: gli Stati Uniti d’America si sentono i salvatori del mondo, pertanto auto-giustificano qualsiasi azioni su scala globale. Fin qui, niente di nuovo. C’è invece un elemento che appartiene squisitamente ai tempi più recenti, ai nostri giorni, e che con l’avvento della second presidenza Trump sta diventando sempre più forte: la sindrome del Salvatore. Una sindrome che, a quanto pare, colpisce non soltanto gli americani.

Circa il bisogno di “salvare” qualcuno

Al di là dell’ironia, stiamo parlando di qualcosa di molto serio, che la psicologia e la sociologia hanno ben analizzato.

La Sindrome del Salvatore è un fenomeno psicologico e relazionale che denota una predisposizione patologica ad assumersi la responsabilità del benessere altrui, a scapito della propria salute psicologica ed emotiva. Questo comportamento è spesso caratterizzato da una compulsiva necessità di intervenire nella vita degli altri, risolvendo i loro problemi e cercando di “salvarli” dalle difficoltà, anche quando tali interventi non sono richiesti né desiderati. Sebbene la figura del salvatore venga spesso idealizzata, questa sindrome nasconde una serie di meccanismi psicologici e sociologici che, se non riconosciuti, possono portare a gravi distorsioni nelle relazioni interpersonali e a un serio danneggiamento del benessere individuale.

L’origine della Sindrome è complessa e può derivare da molteplici fattori psicologici e sociali. Una delle principali cause è legata a esperienze precoci di disfunzione familiare: in contesti familiari caratterizzati da abusi, trascuratezza o problemi psicologici dei genitori, il bambino può interiorizzare il bisogno di “salvare” i propri familiari come strategia di sopravvivenza; in taluni casi, l’individuo assume, fin dalla giovane età, il ruolo di caregiver, cercando di arginare il malessere emotivo dei genitori o dei membri della famiglia, e sviluppando così una tendenza a risolvere i problemi altrui come modalità per ottenere affetto o riconoscimento. In parallelo, altre origini psicologiche possono includere il desiderio di compensare carenze emotive interne. Coloro che soffrono di una bassa autostima o che non sono riusciti a costruire una solida identità emotiva possono cercare di definire il proprio valore attraverso il “salvataggio” degli altri. Tale comportamento diventa una forma di autoaffermazione: salvare gli altri fornisce un senso di importanza e di approvazione sociale che colma il vuoto emotivo e affettivo.

La Sindrome può essere influenzata da un contesto culturale che enfatizza valori come l’altruismo e la sacrificio, a volte in modo distorto. In alcune culture, la figura del salvatore è idealizzata e associata a qualità morali superiori, creando una forte pressione sociale affinché gli individui, in particolare le donne, accettino il ruolo di “caregiver” o di colui che risolve le problematiche degli altri. Tale contesto contribuisce a rafforzare la percezione che essere indispensabili per gli altri sia sinonimo di realizzazione e valore personale.

Una delle principali caratteristiche della Sindrome, poi, è la persistente difficoltà nell’impostare confini emotivi e pratici. Le persone che soffrono di questa sindrome tendono ad abbracciare un eccessivo senso di responsabilità nei confronti degli altri, fino al punto da sacrificare il proprio benessere fisico ed emotivo. L’incapacità di dire “no” o di stabilire limiti chiari porta a una continua invasione dei propri spazi e del proprio tempo da parte degli altri, con conseguente esaurimento delle risorse personali.

Questo fenomeno può essere osservato in molteplici contesti, dalle relazioni familiari a quelle sentimentali e professionali. In una relazione di coppia, ad esempio, una persona affetta dalla Sindrome del Salvatore può sentirsi obbligata a risolvere i problemi dell’altro partner, anche quando questi non richiedono interventi esterni o non sono pronti a cambiare. L’effetto di tale dinamica è un progressivo sbilanciamento del rapporto, con la persona “salvatrice” che si ritrova a vivere una relazione disfunzionale, dove l’altro non sviluppa la capacità di affrontare le proprie difficoltà in modo autonomo, creando una forma di dipendenza emotiva.

In ambito lavorativo, questa sindrome può manifestarsi come un’eccessiva dedizione alle esigenze degli altri colleghi o superiori, a scapito dei propri obiettivi professionali. La persona salvataggio tende ad assumersi oneri non richiesti, cercando di risolvere i conflitti degli altri, il che può portare a un sovraccarico di lavoro e a una mancanza di riconoscimento per il proprio impegno.

Un altro aspetto fondamentale della Sindrome del Salvatore è la continua ricerca di approvazione. Il salvatore, infatti, si vede spesso come colui che fa qualcosa di buono e necessario per gli altri, e si nutre dell’approvazione che riceve in cambio. Questo comportamento è legato al bisogno di ottenere un senso di valore attraverso il riconoscimento esterno. La soddisfazione derivante dall’aiutare gli altri può diventare un’ossessione, creando una spirale in cui l’individuo cerca sempre di più di “salvare” gli altri, senza mai fermarsi a riflettere sui propri bisogni.

Le implicazioni psicologiche della Sindrome del Salvatore sono molteplici e potenzialmente dannose. Innanzitutto, coloro che adottano questo comportamento in modo cronico sono suscettibili a soffrire di esaurimento emotivo e stress. L’eccessivo impegno verso gli altri, senza mai prendersi del tempo per sé, può condurre a un vero e proprio burnout. L’individuo si ritrova, quindi, a fronteggiare una costante sensazione di fatica, frustrazione e inadeguatezza, spesso non riconoscendo il bisogno di cura di sé.

Un’altra conseguenza psicologica è il rischio di sviluppare disturbi d’ansia e depressione. Poiché il “salvatore” si dedica costantemente agli altri, senza mai fermarsi a riflettere sul proprio benessere, si crea una condizione di disconnessione emotiva che può sfociare in una profonda tristezza o in una crisi di identità. La persona può arrivare a sentirsi alienata, come se non avesse più uno spazio emotivo proprio, riducendo il proprio valore a quello che può fare per gli altri.

Sul piano relazionale, la Sindrome del Salvatore può portare a un progressivo deterioramento dei legami affettivi. La mancanza di confini e il continuo sacrificio personale creano dinamiche disfunzionali, in cui il rapporto si basa su un disequilibrio emotivo. La persona “salvata” può sentirsi sopraffatta dal sostegno continuo e, paradossalmente, sviluppare una forma di dipendenza o di risentimento nei confronti del “salvatore”. Questa disfunzione relazionale può sfociare in conflitti, risentimenti e, infine, in un allontanamento emotivo, poiché entrambi i soggetti coinvolti finiscono per non essere in grado di soddisfare i propri bisogni autentici.

Una Sindrome a stelle e strisce

Dopo questa necessaria disamina per introdurre la patologia, bisogna passare all’analisi geopolitica.

Il problema, infatti, non è soltanto americano. È del tutto legittimi – possiamo dire – che gli Stati Uniti siano pervasi da questa sindrome, perché gli appartiene costitutivamente. La lunga tradizione cristiana messianica, legata ai movimenti evangelici e pentecostali, che fanno del sionismo il fulcro della loro teologia politica, è parte integrante dello spirito americano, sin dai primi coloni reietti inglesi puritani che vennero mandati lì.

La domanda importante e l’osservazione che dobbiamo fare riguarda, invece, la diffusione di questa sindrome al di fuori degli USA. C’è una certa tendenza ad ammirare, venerare e celebrare il novello Presidente americano come una sorta di salvatore. Non tutti sono concordi su quale sia l’oggetto di questa salvezza: alcuni dicono dal liberalismo, altri dal trionfo del comunismo, altri ancora sostengono che voglia salvare il mondo dagli alieni e dalla crisi economica, certi sostengono che voglia far rinascere il fascismo, alcuni ritengono che sia il Messia incarnato pronto a sconfiggere il Nuovo Ordine Mondiale. Le interpretazioni sono molteplici e tutte sarebbero degne di uno studio approfondito (per psicologi e sociologi, chiaramente).

La domanda che però sorge spontanea è: perché? Cosa ci vedete di così salvifico in Donald Trump?

Qui si entra nell’analisi di una sorta di egregora politica su scala globale. Gli USA hanno stabilito un dominio così forte da modificare la coscienza collettiva di interi popoli. Che ci piaccia o no, gli USA hanno per primi sfruttato la mente come dominio di guerra (cognitive warfare), capendo che l’informazione era l’arma essenziale (infowarfare). Certo, non sono sicuramente gli Stati Uniti la prima “dittatura” o “tirannide”, né tantomeno i primi storicamente ad avere capito che bisogna governare la testa delle persone prima di governarne i corpi, ma è altrettanto vero che gli USA hanno saputo sfruttare a proprio favore la coincidenza di tecnologie e società di massa, riuscendo a fare qualcosa che prima non era stato fatto.

Ecco che troviamo, ad esempio, dei Russi che esaltano Trump come se fosse una sorte di pacificatore globale, pronto a sconfiggere il liberalismo, a defenestrare la corruzione, a mettere pace su tutti i confini e a rendere più giusta l’economia planetaria. Poco importa se è stato Trump il primo a sostenere per anni il conflitto contro il “mostro comunista” della Russia, ingannando persino riguardo l’Ucraina con e solite idiozie da campagna elettorale. O anche gli europei, come avviene in Italia, che celebrano Trump come “il meno peggio” che “farà pur qualcosa di buono”, dimenticando che sta per mandare in guerra il Paese, quello stesso Paese che ama così tanto da tenerlo sotto il giogo dell’occupazione militare, economica e politica, invitando il Primo Ministro a fare da cameriera all’inaugurazione della presidenza.

Appare una sorta di estensione di quell’incantesimo che era già presente e che pare aver ripreso forza. Il fascino della bandiera a stelle e strisce non cambia. Il “sogno americano” è ancora vivo ed è offerto a tutti.

C’è chiaramente qualcosa di poco equilibrato in queste posizioni. Dovendo andare oltre gli entusiasmi personali e le celebrazioni istituzionali, che sono pur giustificabili, bisogna guardare più lontano. Cosa si cela dietro tutto ciò? Come è possibile che Paesi le cui popolazioni sono ancora dichiaratamente oggetto di colonizzazione, attacco, minacce, violenze, povertà indotta, privazione di sovranità etc., siano stati così lesti ad esaltare il nuovo presidente americano?

Sembra di essere in uno stadio a guardare una partita di calcio (gli italiani capiranno bene queste parole): ci sono due squadre che si contendono la vittoria. I tifosi fanno il loro dovere, sono in conflitto fra di loro, anche violento, e sono pronti a celebrare la propria squadra, sia che vinca, sia che perda. Ma i tifosi ignorano di essere vittime di una grande farsa, di un gioco, fatto per divertire, un gioco in cui a vincere davvero e a guadagnare sono gli organizzatori del match, che non siedono fra gli spalti e nemmeno in panchina fra i calciatori.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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