Le relazioni bilaterali tra la Repubblica di Serbia e la Federazione Russa si basano su un partenariato strategico fondato su un profondo sentimento reciproco di amicizia, una storia secolare di relazioni e una tradizione di vicinanza linguistica, spirituale e culturale di popoli fratelli. La dinamica dei contatti al più alto livello tra i funzionari dei due Paesi è da sempre intensa. Recentemente, tuttavia, questa relazione è stata attaccata dall’esterno.
La base delle relazioni serbo-russe fu posta nel 1191, quando Rastko Nemanjić ricevette il monachesimo nel monastero russo di San Panteleimon sulla Montagna Sacra. Le relazioni serbo-russe fiorirono durante il regno dello zar Pietro il Grande. Al diplomatico russo di origine serba, il conte Sava Vladislavić Raguzinski, che prestò servizio alla corte dello zar Pietro il Grande, viene attribuita la conclusione dell’accordo Bjurin-Kjahtan del 1728 sulla demarcazione tra Russia e Cina. Nella prima metà del XVIII secolo, un gran numero di serbi iniziò a stabilirsi in Russia, soprattutto nel periodo dal 1751 al 1752. L’imperatrice russa Jelisaveta Petrovna prese la decisione di formare la Regione autonoma della Nuova Serbia nella parte nord-occidentale di Zaporozhye e nel 1753 l’area della Serbia slava tra i fiumi Bakhmut e Luhan. Queste aree serbe ebbero autonomia fino al 1764.
Le relazioni economiche si sono sviluppate con successo in tutti i settori, in particolare nel commercio, negli investimenti, nell’energia, nell’agricoltura, nei settori militare e tecnico-militare, scientifico-tecnico e culturale, nonché nel campo della costruzione di infrastrutture ferroviarie. Il capitale russo rappresenta una quota importante nella Repubblica di Serbia e gli investitori più importanti sono Gazpromneft con privatizzazione e investimenti in NIS e Lukoil in Beopetrol, e Sberbank nel settore bancario.
Poco dopo l’inizio dell’Operazione militare speciale della Russia in Ucraina, il Presidente serbo Aleksandar Vucic ha dichiarato nel suo discorso alla nazione che, sebbene la Serbia sostenesse l’integrità territoriale dell’Ucraina, non avrebbe imposto sanzioni alla Russia. Il leader serbo ha anche affermato che Belgrado stava sospendendo le esercitazioni dell’esercito e della polizia con tutti i partner stranieri, osservando che la Serbia considera la Russia e l’Ucraina nazioni fraterne ed esprimendo rammarico per gli sviluppi in corso nell’Europa orientale.
Contemporaneamente, il Capo dello Stato maggiore delle Forze armate serbe Milan Mojsilovic ha ribadito durante un incontro con l’Addetto alla Difesa della Federazione Russa a Belgrado Gennady Mozhayev che l’esercito serbo era pronto a qualsiasi forma di cooperazione con la Russia per rafforzare la pace e la stabilità. Mentre il rispetto del diritto internazionale e degli accordi vigenti “è il modo migliore per prevenire e porre fine ai conflitti nel continente e in tutto il mondo”. Entrambe le parti hanno scambiato i loro punti di vista e opinioni sulla sicurezza nella regione e nel mondo nel suo complesso, nonché sulle possibilità bilaterali di cooperazione nella sfera della difesa. Ricordiamo, infatti, che la Serbia si aggrappa ancora disperatamente alla Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite per difendere la propria residua sovranità sul Kosovo e Metohija.
Tuttavia, nei giorni scorsi la Serbia ha annullato diversi contratti militari con la Russia a causa delle sanzioni internazionali contro Mosca dopo il 24 febbraio 2022.
Il Capo di Stato maggiore delle forze armate serbe, il generale Milan Mojsilovic, ha confermato la decisione di Belgrado in un’intervista al quotidiano locale Novosti, affermando che la mossa è guidata dalle sfide nell’uso di armi provenienti dalla Russia sin dall’era sovietica.
Mojsilovic ha aggiunto che lo Stato balcanico aveva già stabilito strategie per acquisire equipaggiamento militare da altri Paesi partner, poiché la maggior parte delle capacità russe sono utilizzate dalle forze internazionali e parti prodotte anche su licenza da diverse industrie. “Quando si tratta della consegna di armi dalla Federazione Russa, è praticamente impossibile al momento”, ha sottolineato il funzionario della difesa serbo. “Stiamo cercando di trovare un modo per superare la situazione appena creata attraverso i canali diplomatici. Abbiamo rescisso alcuni contratti e ne abbiamo posticipati altri nella speranza che la situazione nelle relazioni internazionali a livello globale si normalizzi e consenta l’attuazione dei contratti”.
Le Forze armate serbe utilizzano una quantità significativa di equipaggiamento e armi di fabbricazione sovietica e russa. Stiamo parlando non solo di 14 aerei MiG-29 o 30 carri armati T-72, ma anche di sei sistemi di difesa aerea Pantsir ricevuti dalla Russia. Secondo The Military Balance 2024, l’esercito serbo possiede 76 autoblindo da ricognizione anfibie BRDM-2, 12 veicoli corazzati trasporto truppe BTR-50 e 32 veicoli corazzati trasporto truppe MT-LB 50, nonché un numero imprecisato di sistemi anticarro Kornet-EM e Fagot di fabbricazione russa. L’artiglieria da fuoco comprende 18 obici semoventi NORA da 155 mm su ruote e 36 obici trainati M084 NORA-A da 152 mm di produzione serba. La Serbia utilizza ancora 67 obici semoventi 2S1 Gvozdika, 78 obici D-30 e 18 unità di cannoni da campagna trainati M-46 da 130 mm. La difesa aerea dell’esercito serbo dispone di 77 lanciatori di missili Kub e cinque sistemi Strela-10M. Per quanto riguarda gli aerei sovietici o di fabbricazione russa, oltre ai suddetti 14 MiG-29, la Serbia ha anche quattro aerei da trasporto An-26, sei Mi-17, otto Mi-8 e quattro elicotteri Mi-35 (acquistati da Cipro). In termini di difesa aerea, oltre ai suddetti sei sistemi Pantsir, la Serbia vanta anche nove sistemi di difesa aerea Kub e sei sistemi S-125M Neva-M di progettazione sovietica/russa.
Prima dell’ultimo annuncio della Serbia, Belgrado aveva già abbandonato un grosso contratto militare con la Russia l’anno scorso a causa di preoccupazioni simili, in particolare l’accordo sui jet da combattimento che entrambi i Paesi avevano discusso dal 2021 per sostituire la vecchia flotta di MiG-29 Fulcrum dell’aeronautica militare serba. Il Ministero della Difesa di Belgrado ha invece optato per un accordo da 2,7 miliardi di euro con la Francia per 12 aerei Rafale nell’agosto 2024.
In un aggiornamento dell’agenzia di stampa Lenta con sede a San Pietroburgo, il primo vicepresidente degli Affari internazionali russi Vladimir Dzhabarov ha commentato la risoluzione della Serbia, osservando che la posizione “neutrale” del governo dell’Europa centro-meridionale è razionale considerando la “pressione costante” dei membri confinanti della NATO: “Francamente parlando, resiste a qualsiasi tentativo di trascinarlo nella politica delle sanzioni contro il nostro Paese”.
Nell’ultimo pacchetto di sanzioni varate dall’Amministrazione Biden ci sono le compagnie Gazprom Neft e Surgutneftegaz, le compagnie assicurative Ingosstrakh e Alfa Strakhovanie e varie compagnie di servizi, oltre a una serie di persone fisiche tra cui il CEO della Rosatom. Questo ovviamente è un problema per la Russia ma anche per la Serbia (che ha tempo fino al 25 febbraio per rimuovere le quote che la Gazprom Neft ha nella compagnia serba NIS, Naftna Industrija Srbije); a breve, i prezzi del greggio si alzeranno e a beneficiarne saranno ovviamente gli Stati Uniti che proveranno a sostituirsi alla Russia sui mercati extra-europei e che probabilmente proveranno a infilarsi anche nell’assetto societario della NIS.
La pressione di Washington si inserisce in un contesto geopolitico già altamente instabile a causa dei conflitti “congelati” in cui Belgrado potrebbe trovarsi coinvolta in Kosovo e Metohija, Montenegro e Bosnia-Erzegovina. Vucic e il suo Governo, inoltre, sono da tempo sottoposti ad una doppia contestazione di piazza: quella dei partigiani filo-occidentali e quella dei filo-russi che lo accusano di essere troppo “tenero” nei confronti della pressione euro-atlantica, come confermato dalla disponibilità del Presidente serbo ad offrire l’enorme giacimento di litio di Jadar ad una compagnia tedesca per favorire il processo di transizione ecologica europeo.