La Germania si trova in una situazione quasi catastrofica alla fine del 2024. Il Paese ha un piano B?
“L’economia tedesca si trova ad affrontare una fase di stagnazione e incertezza, con previsioni poco incoraggianti per il 2025”. Secondo le stime dell’Istituto di Economia Tedesco (IW), un ente di ricerca vicino agli ambienti imprenditoriali, il prossimo anno vedrà una crescita del PIL di appena lo 0,1%, dopo un calo dello 0,2% nel 2024. Questa debole ripresa arriva dopo due anni consecutivi di contrazione economica, evidenziando una situazione di crisi strutturale che va oltre una semplice decrescita ciclica e fa temere che la recessione in Germania possa perdurare anche con il nuovo anno”.
Il settore dei servizi, tradizionalmente un punto di forza dell’economia tedesca, fatica a compensare le perdite dell’industria e dell’edilizia. I consumi privati rimangono sotto pressione nonostante un aumento dei redditi reali, mentre i servizi alle imprese risentono del calo delle costruzioni e delle incertezze geopolitiche. L’industria, un tempo pilastro del sistema economico in Germania, è penalizzata dai conflitti globali e dalla scarsa propensione agli investimenti, frenati da un clima di instabilità che rende difficile la pianificazione a lungo termine.
Ulteriori rischi derivano dalla politica commerciale protezionistica che ci si può aspettare dagli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump, che si insedierà a fine gennaio. Le minacce di dazi sulle importazioni, anche dalla Germania, potrebbero avere un impatto negativo sul commercio globale e sulle esportazioni tedesche, andandosi a sommare agli altri fattori che potrebbero determinare il protrarsi della recessione. L’IW stima che tra il 2025 e il 2028 la Germania potrebbe subire una perdita di produzione economica totale di 180 miliardi di euro a causa di quella che viene definita “una politica USA imprevedibile e conflittuale”.
Tra i fattori che contribuiscono a questo quadro negativo vi è, ovviamente, anche il “vuoto di governo” in Germania, che ha reso difficile l’adozione di misure economiche efficaci e tempestive negli ultimi mesi, ma che potrebbe cambiare considerevolmente dopo le elezioni del prossimo febbraio.
Anche il mercato del lavoro non sembra destinato a riprendersi nel 2025: si prevede un calo dell’occupazione dello 0,1% e un aumento della disoccupazione al 6,2%. L’inflazione è stimata al 2,1% per il prossimo anno, e si prevede che lo Stato tedesco spenderà molto più di quanto incasserà, ma il deficit pubblico scenderà sotto il 2% e il debito si attesterà intorno al 63% del PIL, un dato che, sebbene gestibile, non lascia spazio a manovre fiscali espansive, limitando le opzioni di qualsiasi Governo venga eletto a febbraio.
Altri fattori di rischio sono individuati nelle tensioni geopolitiche, nel conflitto dei dazi con la Cina che pesa sull’economia tedesca, nelle possibili impennate dei prezzi energetici legate alla situazione mediorientale e soprattutto all’annunciata chiusura del gasdotto che trasportava il gas russo in Europa tramite l’Ucraina. Questi elementi potrebbero avere un impatto significativo non solo sulla recessione in Germania, ma sull’intera economia continentale già scossa dalla contrapposizione con Mosca, creando un contesto di incertezza che potrebbe durare per diversi anni, influenzando le decisioni di investimento e la fiducia dei consumatori.
Ecco perché in Germania si torna ora a parlare di un possibile piano B.
Un documento di pianificazione segreto delle Forze Armate tedesche, scritto probabilmente nel 2015 ma rivelato dalla stampa nazionale solo due anni dopo, prevedeva che l’Unione Europea potrebbe frammentarsi e crollare entro il 2040. Il documento di pianificazione futura di 102 pagine, chiamato “Previsione strategica 2040”, delineava sei possibili scenari, il più estremo dei quali vedeva l’unità del continente europeo spinta fino al punto di rottura.
È stato scritto dall’ufficio di pianificazione della Bundeswehr e fatto trapelare a “Der Spiegel”.
Il rapporto tedesco descriveva le varie ipotesi, affermando: “Lo scenario peggiore è il sesto, che raffigura un’UE in rovina e un’ex potenza leader, gli Stati Uniti, che tenta invano di arginare un’erosione dell’ordine mondiale. Ci sono segnali di caduta economica e di un arretramento della politica mondiale. Si sviluppa un ciclo di ritirata, che lascia che le crisi mondiali si intensifichino.”
Una versione meno cupa della previsione, valutata 4/6 sulla scala di gravità, immaginava ancora un continente fratturato e la fine di quella che i militari chiamano l’illusione europea: “L’UE si sta sfilacciando ai margini, una fine dell’illusione europea sembra possibile, ci sono segnali di un’alienazione transatlantica. L’ordine mondiale poco chiaro ha reso l’ambiente politico per la Germania confuso e talvolta rischioso”.
Vista la sua datazione, il documento non teneva conto di eventi mondiali più recenti come la doppia elezione del presidente Donald Trump, la decisione della Gran Bretagna di lasciare l’UE e il conflitto in Ucraina tra Russia e NATO.
Le previsioni per il 2040 sono state le prime in assoluto da parte dell’esercito tedesco, che in precedenza era stato riluttante a delineare simili scenari, che sono relativamente comuni negli eserciti statunitense e britannico. Si dice che i militari di Berlino fossero stati spinti ad agire dopo che l’annessione della penisola di Crimea da parte della Russia nel 2014 aveva colto di sorpresa l’alto comando tedesco.
“Der Spiegel” affermava che il documento era arrivato dopo un cambiamento di personale al Ministero della Difesa tedesco e quindi commissionato da Katrin Suder, un ex consulente McKinsey che aveva lavorato su documenti simili nel medesimo contesto.
Esso seguiva “pericolosamente” il piano di uscita della Germania dall’UE – trapelato ai tempi di un Governo Merkel che si trovava sotto attacco speculativo della finanza statunitense – che prevedeva anche il ritorno del marco tedesco come moneta unica. Una mossa che, stando ai suoi estensori, darebbe più sicurezza ai cittadini tedeschi e significherebbe la fine dell’Unione Europea.
Nei mesi scorsi, il movimento politico Alternativa per la Germania (AfD), in forte ascesa elettorale, ha ribadito la sua promessa di far uscire la Germania dall’Unione Europea e dalla moneta unica, l’euro, se riuscirà ad ottenere il potere.
Al posto dell’UE, AfD vuole introdurre una nuova comunità che chiama “Europa delle patrie”, un’associazione di Stati che includerebbe un mercato comune e una sinergia economica e di interessi.
L’AfD vuole anche far uscire la Germania dalla moneta unica europea introdotta nel 2002, e sostituirla con quella che chiama “unione di trasferimento”. Il partito ammette nel manifesto che un “taglio netto” sarebbe controproducente e propone di rinegoziare le relazioni con tutti gli Stati membri e con gli altri Paesi europei.
L’AfD vuole che la Germania tenga un referendum sulla questione, tuttavia uscire effettivamente dall’UE non sarebbe così facile, poiché l’appartenenza del Paese all’Europa è ancorata alla Costituzione tedesca, la Legge fondamentale. Se un futuro Governo tedesco guidato dall’AfD dovesse dichiarare l’uscita della Germania dall’UE sarebbe effettivamente incostituzionale, poiché una “Dexit” richiederebbe anche una maggioranza di due terzi nel parlamento di Berlino.
La spinta decisiva, però, potrebbe arrivare da quegli ambienti industriali tedeschi che in passato avevano dirottato le loro simpatie proprio verso AfD attraverso uomini come Bernhard Lucke o Hans-Olaf Henkel e che a più riprese hanno contestato l’eccessivo servilismo del loro Paese nei confronti delle politiche della NATO e degli Stati Uniti.
Naturalmente, un’uscita della Germania dall’Unione Europea non potrebbe che farla virare geopoliticamente verso Oriente, in nome di una Ostpolitik mai rinnegata completamente.