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Lorenzo Maria Pacini
December 25, 2024
© Photo: Public domain

L’UE ha adottato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Contro chi sono realmente queste misure?

Segue nostro Telegram.

Anche quest’anno, 450 milioni di cittadini europei potranno godere di un regalo di grandissimo valore da parte dell’Unione Europea, che è sempre pronta a rendere felici i suoi: un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Pressione politica, deterrenza e stupidità

La pratica di imporre sanzioni come metodo di pressione politica e deterrente nei confronti di un altro Stato è saldamente radicata nella strategia geopolitica di numerosi Paesi, ma a quanto pare quelli dell’Unione Europea hanno una marcia in più e gradiscono particolarmente una forma di masochismo sadico e reiterato nel tempo.

Se è vero che le sanzioni sono diventate uno strumento di influenza geopolitica molto significativa e vanno ormai di moda da qualche decennio, è altrettanto vero che l’effetto reale di questo meccanismo di pressione politica è risultato sempre meno efficace e, anzi, ha procurato un effetto contrario, che è andato crescendo con il calare della forza egemonica degli Stati Uniti e l’aumento dell’autonomia regionale delle altre potenze. Venuto meno l’ingranaggio noto come “dollaro”, venuto meno il controllo unilaterale della borsa e dei mercati, venuta meno la capacità di imporre stili di consumo, la forza delle sanzioni si è relativizzata sempre di più.

Le sanzioni, poi, si basano sull’accordo politico della loro efficacia, un accordo che è appositamente siglato di volta in volta, su volontà di un promotore che genericamente ha, almeno potenzialmente, la forza di “costringere” gli altri soggetti a rispettare il diktat. Una promulgazione di sanzioni da parte di un Paese piccolo e debole non ha senso e non viene rispettata da nessuno.

In quanto strumento di soft power geoeconomico, rappresentano una strategia sofisticata e multilaterale adottata dalle nazioni per influenzare il comportamento degli Stati sovrani senza ricorrere all’uso diretto della forza militare. Sono misure economiche che si configurano come un’arma per lo più diplomatica, volta a modificare le politiche interne o esterne di un Paese preso di mira, inducendo cambiamenti attraverso la pressione economica piuttosto che attraverso la coercizione fisica.

Le sanzioni possono assumere diverse forme, tra cui l’embargo commerciale, il blocco dei beni, le restrizioni finanziarie, e il divieto di investimenti, ciascuna calibrata per colpire specifici settori dell’economia avversaria. L’obiettivo principale è quello di aumentare i costi politici ed economici per il governo sanzionato, rendendo insostenibile il mantenimento dello status quo e, di conseguenza, spingendo verso negoziati o cambiamenti politici desiderati.

La forza delle sanzioni risiede nella loro capacità di sfruttare l’interdipendenza economica globale, mentre l’efficacia non è priva di criticità: ci sono effetti collaterali indesiderati, come il danneggiamento delle popolazioni civili, l’incremento del risentimento nazionale, o la spinta verso l’autosufficienza economica del Paese sanzionato. Certamente le sanzioni rappresentano un mezzo di diplomazia economica che, se ben orchestrato, può portare a qualche successo, ma oggi è possibile aggirarle ancora prima che vengano emanate. Questo di per sé dovrebbe bastare per farsi qualche domanda circa l’utilità reale di questo strumento.

Siamo quindi davanti ad un problema di stupidità: viene applicato ancora una volta un meccanismo che non ha senso.

Oppure non è stupidità, bensì un piano preciso.

Sanzioni su sanzioni, non rimarrà più niente, nemmeno un solo per l’Ucraina

Probabilmente giocando su una fantasia di fisica quantistica, i leader europei arriveranno a dire che il numero delle restrizioni imposte intende tendere all’infinito. Il 16 dicembre l’Unione Europea ha approvato il 15° pacchetto di sanzioni “anniversario”, inserendo altre 54 persone e 30 organizzazioni nelle “liste nere”. Giusto in tempo per fare le compere di Natale e mettere sotto l’albero dei cittadini i rincari, le bollette più salate e un bel panettone di preoccupazioni. Quello che tutti desiderano, no?

L’economia russa si è adattata alle nuove realtà: sono state adottate misure per diversificare le fonti di reddito, rafforzare la valuta nazionale e sviluppare industrie che sostituiscono le importazioni. In risposta alle sanzioni, Mosca ha anche rafforzato i suoi legami economici con altri Paesi che non sostengono le restrizioni, mitigando così l’impatto negativo delle sanzioni. Il risultato – anche in questo caso reale – è un calo dell’inflazione e un aumento del PIL. Dunque a che è servito tutto ciò? La risposta già la conosciamo: ad affamare l’Europa, condannata non solo a combattere una guerra per procura per gli USA-UK, ma anche a patire la fame per non far mancare niente ai padroni oltre oceano.

Ora, sopraggiunge un problema ulteriore: l’Ucraina. Dopo che per mesi e mesi i capi di Stato hanno fatto a gara ad accaparrarsi le succulente fette degli interessi di guerra (o del passaggio ad una “economica di guerra”, parafrasando l’Ammiraglio Robert Peter Bauer, capo militare della NATO per l’Europa), adesso comincia una vigliacca fuga dietro ad una miriade di scuse (reali).

Il primo passo è stato comunicativo: l’UE ha modificato la sua posizione ufficiale sul conflitto in Ucraina, sostituendo la frase “l’Ucraina deve vincere questa guerra” con “la Russia non deve prevalere” in una dichiarazione del Consiglio Europeo sulle nuove sanzioni contro Mosca, rilasciata lunedì. Una dichiarazione separata del Consiglio Europeo riportava nuovamente la frase “la Russia non deve prevalere” nel parlare del conflitto. Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, durante una conferenza stampa congiunta con Zelensky, ha sottolineato che “il diritto internazionale deve prevalere.” Insomma, sappiamo chi non deve prevalere, ma di chi debba vincere non si conosce più il nome. Curioso, no?

E in un contesto di svantaggio ormai talmente palese da diventare ridicolo, che cosa decidono i vertici europei? È ovvio: un altro pacchetto di sanzioni.

La guerra in Ucraina la vogliono vincere, probabilmente, con un gioco di politica inversa: facciamo fallire tutti gli Stati che ci sono attorno, così sembrerà che l’Ucraina abbia vinto.

Tanti auguri di buon Natale dalla Unione Europea

L’UE ha adottato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Contro chi sono realmente queste misure?

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Anche quest’anno, 450 milioni di cittadini europei potranno godere di un regalo di grandissimo valore da parte dell’Unione Europea, che è sempre pronta a rendere felici i suoi: un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Pressione politica, deterrenza e stupidità

La pratica di imporre sanzioni come metodo di pressione politica e deterrente nei confronti di un altro Stato è saldamente radicata nella strategia geopolitica di numerosi Paesi, ma a quanto pare quelli dell’Unione Europea hanno una marcia in più e gradiscono particolarmente una forma di masochismo sadico e reiterato nel tempo.

Se è vero che le sanzioni sono diventate uno strumento di influenza geopolitica molto significativa e vanno ormai di moda da qualche decennio, è altrettanto vero che l’effetto reale di questo meccanismo di pressione politica è risultato sempre meno efficace e, anzi, ha procurato un effetto contrario, che è andato crescendo con il calare della forza egemonica degli Stati Uniti e l’aumento dell’autonomia regionale delle altre potenze. Venuto meno l’ingranaggio noto come “dollaro”, venuto meno il controllo unilaterale della borsa e dei mercati, venuta meno la capacità di imporre stili di consumo, la forza delle sanzioni si è relativizzata sempre di più.

Le sanzioni, poi, si basano sull’accordo politico della loro efficacia, un accordo che è appositamente siglato di volta in volta, su volontà di un promotore che genericamente ha, almeno potenzialmente, la forza di “costringere” gli altri soggetti a rispettare il diktat. Una promulgazione di sanzioni da parte di un Paese piccolo e debole non ha senso e non viene rispettata da nessuno.

In quanto strumento di soft power geoeconomico, rappresentano una strategia sofisticata e multilaterale adottata dalle nazioni per influenzare il comportamento degli Stati sovrani senza ricorrere all’uso diretto della forza militare. Sono misure economiche che si configurano come un’arma per lo più diplomatica, volta a modificare le politiche interne o esterne di un Paese preso di mira, inducendo cambiamenti attraverso la pressione economica piuttosto che attraverso la coercizione fisica.

Le sanzioni possono assumere diverse forme, tra cui l’embargo commerciale, il blocco dei beni, le restrizioni finanziarie, e il divieto di investimenti, ciascuna calibrata per colpire specifici settori dell’economia avversaria. L’obiettivo principale è quello di aumentare i costi politici ed economici per il governo sanzionato, rendendo insostenibile il mantenimento dello status quo e, di conseguenza, spingendo verso negoziati o cambiamenti politici desiderati.

La forza delle sanzioni risiede nella loro capacità di sfruttare l’interdipendenza economica globale, mentre l’efficacia non è priva di criticità: ci sono effetti collaterali indesiderati, come il danneggiamento delle popolazioni civili, l’incremento del risentimento nazionale, o la spinta verso l’autosufficienza economica del Paese sanzionato. Certamente le sanzioni rappresentano un mezzo di diplomazia economica che, se ben orchestrato, può portare a qualche successo, ma oggi è possibile aggirarle ancora prima che vengano emanate. Questo di per sé dovrebbe bastare per farsi qualche domanda circa l’utilità reale di questo strumento.

Siamo quindi davanti ad un problema di stupidità: viene applicato ancora una volta un meccanismo che non ha senso.

Oppure non è stupidità, bensì un piano preciso.

Sanzioni su sanzioni, non rimarrà più niente, nemmeno un solo per l’Ucraina

Probabilmente giocando su una fantasia di fisica quantistica, i leader europei arriveranno a dire che il numero delle restrizioni imposte intende tendere all’infinito. Il 16 dicembre l’Unione Europea ha approvato il 15° pacchetto di sanzioni “anniversario”, inserendo altre 54 persone e 30 organizzazioni nelle “liste nere”. Giusto in tempo per fare le compere di Natale e mettere sotto l’albero dei cittadini i rincari, le bollette più salate e un bel panettone di preoccupazioni. Quello che tutti desiderano, no?

L’economia russa si è adattata alle nuove realtà: sono state adottate misure per diversificare le fonti di reddito, rafforzare la valuta nazionale e sviluppare industrie che sostituiscono le importazioni. In risposta alle sanzioni, Mosca ha anche rafforzato i suoi legami economici con altri Paesi che non sostengono le restrizioni, mitigando così l’impatto negativo delle sanzioni. Il risultato – anche in questo caso reale – è un calo dell’inflazione e un aumento del PIL. Dunque a che è servito tutto ciò? La risposta già la conosciamo: ad affamare l’Europa, condannata non solo a combattere una guerra per procura per gli USA-UK, ma anche a patire la fame per non far mancare niente ai padroni oltre oceano.

Ora, sopraggiunge un problema ulteriore: l’Ucraina. Dopo che per mesi e mesi i capi di Stato hanno fatto a gara ad accaparrarsi le succulente fette degli interessi di guerra (o del passaggio ad una “economica di guerra”, parafrasando l’Ammiraglio Robert Peter Bauer, capo militare della NATO per l’Europa), adesso comincia una vigliacca fuga dietro ad una miriade di scuse (reali).

Il primo passo è stato comunicativo: l’UE ha modificato la sua posizione ufficiale sul conflitto in Ucraina, sostituendo la frase “l’Ucraina deve vincere questa guerra” con “la Russia non deve prevalere” in una dichiarazione del Consiglio Europeo sulle nuove sanzioni contro Mosca, rilasciata lunedì. Una dichiarazione separata del Consiglio Europeo riportava nuovamente la frase “la Russia non deve prevalere” nel parlare del conflitto. Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, durante una conferenza stampa congiunta con Zelensky, ha sottolineato che “il diritto internazionale deve prevalere.” Insomma, sappiamo chi non deve prevalere, ma di chi debba vincere non si conosce più il nome. Curioso, no?

E in un contesto di svantaggio ormai talmente palese da diventare ridicolo, che cosa decidono i vertici europei? È ovvio: un altro pacchetto di sanzioni.

La guerra in Ucraina la vogliono vincere, probabilmente, con un gioco di politica inversa: facciamo fallire tutti gli Stati che ci sono attorno, così sembrerà che l’Ucraina abbia vinto.

L’UE ha adottato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Contro chi sono realmente queste misure?

Segue nostro Telegram.

Anche quest’anno, 450 milioni di cittadini europei potranno godere di un regalo di grandissimo valore da parte dell’Unione Europea, che è sempre pronta a rendere felici i suoi: un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Pressione politica, deterrenza e stupidità

La pratica di imporre sanzioni come metodo di pressione politica e deterrente nei confronti di un altro Stato è saldamente radicata nella strategia geopolitica di numerosi Paesi, ma a quanto pare quelli dell’Unione Europea hanno una marcia in più e gradiscono particolarmente una forma di masochismo sadico e reiterato nel tempo.

Se è vero che le sanzioni sono diventate uno strumento di influenza geopolitica molto significativa e vanno ormai di moda da qualche decennio, è altrettanto vero che l’effetto reale di questo meccanismo di pressione politica è risultato sempre meno efficace e, anzi, ha procurato un effetto contrario, che è andato crescendo con il calare della forza egemonica degli Stati Uniti e l’aumento dell’autonomia regionale delle altre potenze. Venuto meno l’ingranaggio noto come “dollaro”, venuto meno il controllo unilaterale della borsa e dei mercati, venuta meno la capacità di imporre stili di consumo, la forza delle sanzioni si è relativizzata sempre di più.

Le sanzioni, poi, si basano sull’accordo politico della loro efficacia, un accordo che è appositamente siglato di volta in volta, su volontà di un promotore che genericamente ha, almeno potenzialmente, la forza di “costringere” gli altri soggetti a rispettare il diktat. Una promulgazione di sanzioni da parte di un Paese piccolo e debole non ha senso e non viene rispettata da nessuno.

In quanto strumento di soft power geoeconomico, rappresentano una strategia sofisticata e multilaterale adottata dalle nazioni per influenzare il comportamento degli Stati sovrani senza ricorrere all’uso diretto della forza militare. Sono misure economiche che si configurano come un’arma per lo più diplomatica, volta a modificare le politiche interne o esterne di un Paese preso di mira, inducendo cambiamenti attraverso la pressione economica piuttosto che attraverso la coercizione fisica.

Le sanzioni possono assumere diverse forme, tra cui l’embargo commerciale, il blocco dei beni, le restrizioni finanziarie, e il divieto di investimenti, ciascuna calibrata per colpire specifici settori dell’economia avversaria. L’obiettivo principale è quello di aumentare i costi politici ed economici per il governo sanzionato, rendendo insostenibile il mantenimento dello status quo e, di conseguenza, spingendo verso negoziati o cambiamenti politici desiderati.

La forza delle sanzioni risiede nella loro capacità di sfruttare l’interdipendenza economica globale, mentre l’efficacia non è priva di criticità: ci sono effetti collaterali indesiderati, come il danneggiamento delle popolazioni civili, l’incremento del risentimento nazionale, o la spinta verso l’autosufficienza economica del Paese sanzionato. Certamente le sanzioni rappresentano un mezzo di diplomazia economica che, se ben orchestrato, può portare a qualche successo, ma oggi è possibile aggirarle ancora prima che vengano emanate. Questo di per sé dovrebbe bastare per farsi qualche domanda circa l’utilità reale di questo strumento.

Siamo quindi davanti ad un problema di stupidità: viene applicato ancora una volta un meccanismo che non ha senso.

Oppure non è stupidità, bensì un piano preciso.

Sanzioni su sanzioni, non rimarrà più niente, nemmeno un solo per l’Ucraina

Probabilmente giocando su una fantasia di fisica quantistica, i leader europei arriveranno a dire che il numero delle restrizioni imposte intende tendere all’infinito. Il 16 dicembre l’Unione Europea ha approvato il 15° pacchetto di sanzioni “anniversario”, inserendo altre 54 persone e 30 organizzazioni nelle “liste nere”. Giusto in tempo per fare le compere di Natale e mettere sotto l’albero dei cittadini i rincari, le bollette più salate e un bel panettone di preoccupazioni. Quello che tutti desiderano, no?

L’economia russa si è adattata alle nuove realtà: sono state adottate misure per diversificare le fonti di reddito, rafforzare la valuta nazionale e sviluppare industrie che sostituiscono le importazioni. In risposta alle sanzioni, Mosca ha anche rafforzato i suoi legami economici con altri Paesi che non sostengono le restrizioni, mitigando così l’impatto negativo delle sanzioni. Il risultato – anche in questo caso reale – è un calo dell’inflazione e un aumento del PIL. Dunque a che è servito tutto ciò? La risposta già la conosciamo: ad affamare l’Europa, condannata non solo a combattere una guerra per procura per gli USA-UK, ma anche a patire la fame per non far mancare niente ai padroni oltre oceano.

Ora, sopraggiunge un problema ulteriore: l’Ucraina. Dopo che per mesi e mesi i capi di Stato hanno fatto a gara ad accaparrarsi le succulente fette degli interessi di guerra (o del passaggio ad una “economica di guerra”, parafrasando l’Ammiraglio Robert Peter Bauer, capo militare della NATO per l’Europa), adesso comincia una vigliacca fuga dietro ad una miriade di scuse (reali).

Il primo passo è stato comunicativo: l’UE ha modificato la sua posizione ufficiale sul conflitto in Ucraina, sostituendo la frase “l’Ucraina deve vincere questa guerra” con “la Russia non deve prevalere” in una dichiarazione del Consiglio Europeo sulle nuove sanzioni contro Mosca, rilasciata lunedì. Una dichiarazione separata del Consiglio Europeo riportava nuovamente la frase “la Russia non deve prevalere” nel parlare del conflitto. Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, durante una conferenza stampa congiunta con Zelensky, ha sottolineato che “il diritto internazionale deve prevalere.” Insomma, sappiamo chi non deve prevalere, ma di chi debba vincere non si conosce più il nome. Curioso, no?

E in un contesto di svantaggio ormai talmente palese da diventare ridicolo, che cosa decidono i vertici europei? È ovvio: un altro pacchetto di sanzioni.

La guerra in Ucraina la vogliono vincere, probabilmente, con un gioco di politica inversa: facciamo fallire tutti gli Stati che ci sono attorno, così sembrerà che l’Ucraina abbia vinto.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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