Gli Stati Uniti stanno spolverando la carta della minaccia nucleare per cercare di ristabilire la loro egemonia, ma ne vale davvero la pena?
Le armi nucleari sul campo di battaglia sono un rischio sempre maggiore e i concorrenti alla sfida globale devono confrontarsi con questo pericolo. Gli USA stanno rispolverando la carta della minaccia nucleare per cercare di ristabilire la propria egemonia, ma ne vale davvero la pena?
L’esigenza fisiologica di mostrarsi come il più forte
Per gli Stati Uniti d’America, la deterrenza nucleare non è un problema di meramente politico o strategico, è un problema esistenziale: l’egemonia americana si basa prettamente sul primato della deterrenza su scala globale; ciò significa che, dal momento in cui nuovi concorrenti sono entrati in gioco nella corsa agli armamenti nucleari, l’America ha perso il suo primato e deve in qualche modo compensare lo svantaggio tattico per non rischiare che diventi strategico.
Possiamo senza difficoltà affermare che gli USA hanno l’esigenza fisiologica di mostrarsi come il Paese più forte, confermando costantemente la propria prepotenza politica e l’arroganza diplomatica quali strumenti ordinari della diffusione del potere egemonico.
La dottrina americana della deterrenza nucleare è un pilastro fondamentale della strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, sviluppatasi durante la Guerra Fredda e mantenutasi con adattamenti fino ai giorni nostri. La sua essenza risiede nella capacità di prevenire conflitti nucleari attraverso la minaccia di ritorsioni devastanti contro chiunque osi attaccare gli Stati Uniti o i loro alleati con armi nucleari.
La deterrenza si fonda su tre principi:
- Capacità: la forza militare nucleare deve essere sufficientemente potente e credibile.
- Credibilità: l’avversario deve credere che gli Stati Uniti risponderebbero realmente a un attacco.
- Comunicazione: il potenziale avversario deve essere consapevole della risposta devastante che subirebbe.
Il concetto di Mutual Assured Destruction (MAD), vale a dire la distruzione reciproca assicurata, è stato l’evoluzione della deterrenza, andando a definire un equilibrio fra i concorrenti, con lo scopo di evitare l’apocalisse nucleare. Eppure, ciò non ha impedito agli USA di creare un “ombrello nucleare”, una vera e propria deterrenza estesa volta a rassicurare i partner strategici.
Si aggiunge a ciò il criterio definito “postura nucleare”, vale a dire la politica dichiarativa di uno Stato in merito allo scopo del suo arsenale nucleare, combinata con le strutture di forza corrispondenti, le capacità materiali e le strutture di comando e controllo in atto per le forze nucleari. Poiché la deterrenza consiste nel plasmare il pensiero dei potenziali aggressori, ciò che gli Stati Uniti dicono e ciò che fanno sono entrambi importanti per la postura nucleare. In passato, le posture nucleari degli Stati Uniti e di altri Paesi sono state variamente descritte come “distruzione reciprocamente assicurata”, “risposta flessibile”, “secondo colpo assicurato” o “rappresaglia assicurata”, “controforza” o “strategia di contrasto” e, recentemente, “deterrenza nucleare complessa”. La postura nucleare può essere intesa come la dottrina e l’operatività delle forze nucleari di uno Stato al fine di scoraggiare e potenzialmente sconfiggere gli avversari, se necessario.
I think tank statunitensi stanno mettendo in guardia dal rischio di un “rallentamento” nucleare per il Paese, come ha sottolineato l’Atlantic Council: «La Cina sta espandendo drasticamente il suo arsenale nucleare e la Corea del Nord si vanta ora di “accelerare lo sviluppo” di armi nucleari tattiche terrestri. Come avverte una recente analisi di Markus Garlauskas, il rischio crescente di attacchi nucleari limitati costituisce un elemento importante della futura minaccia della Cina e della Corea del Nord. Nel frattempo, la Russia, con il suo arsenale di oltre 4.300 testate nucleari, continua la sua sciabolata nucleare sull’Ucraina, mentre l’Iran è sul punto di costruire le proprie armi nucleari.
La differenza è netta. Mentre gli Stati Uniti hanno cercato di ridurre le loro scorte di armi nucleari, la Cina, la Corea del Nord e la Russia stanno accelerando lo sviluppo di armi strategiche e la dottrina per l’impiego a livello operativo di guerra. Per troppo tempo, le questioni nucleari sono state considerate da molti pensatori e professionisti dell’esercito e della difesa statunitensi come una “stufa” separata. Questa mancanza di attenzione alle operazioni nucleari sul campo di battaglia è una grave lacuna nel modo in cui gli Stati Uniti e i loro alleati hanno affrontato la deterrenza e la preparazione alla guerra».
Quindi cosa occorre fare? Semplice: più armi nucleari!
Se il giocoforza è sempre il solito, allora basta impiegare più forza per vincere di più. Vince chi ha più missili.
Poco importa se questo significa suscitare la preoccupazione di altri Paesi, provocare e magari persino portare a delle crisi politiche (cosa che gli americani amano fare da sempre), ciò che bisogna fare è ignorare gli appelli degli altri Stati e proseguire con determinazione nell’affermazione della propria forza bruta. A giustificazione di ciò, gli USA affermano che il tentativo di una regolazione dell’espansione egemonica nucleare è stata “minacciata” da… la presenza di altri Paesi con le armi nucleari! Praticamente dovrebbe consentito solo all’Egemone di avere una sovranità nucleare, tutti gli altri Stati dovrebbero subirla.
La convenienza di un mercato globale instabile e frammentato
Se proviamo a pensare agli USA senza l’asso nella manica del nucleare, cosa ne resta?
Di fatto, il dominio del dollaro venne storicamente imposto proprio grazie al soft power del nucleare: noi, gli Stati Uniti, abbiamo l’arma atomica, voi no, quindi noi decidiamo quale assetto dare al mondo intero, mentre voi rimarrete per sempre in svantaggio. Alla prima messa in discussione di questo principio egemonico, come avvenne durante la Guerra Fredda, la reazione fu spietata e il mondo intero venne cacciato in una crisi interminabile. Ma senza il nucleare, il dollaro molto probabilmente non sarebbe mai divenuto così forte. Nessun Paese avrebbe mai sfidato gli USA sapendo di poter essere raso al suolo nel giro di pochi minuti.
Eppure, mantenere il proprio potere nucleare costa molto caro: il Congressional Budget Office del governo americano stima la spesa nucleare a $756 miliari nel periodo 2023-2032, ben $122 miliardi in più del periodo 2021-2030 che era già stato stimato. Detto in altri termini, stiamo parlando di una immensa macchina di lavaggio dollari su scala globale. E cosa succede quando ci sono difficoltà a smaltire il bilancio dello Stato? Si investe di più nel settore strategico. Le guerre sono delle fabbriche di denaro. Se però uno non può fare frequentemente guerre, basta perlomeno dare l’impressione di essere sempre vicini allo scoppio di un conflitto, così da generare una vera e propria corsa agli armamenti senza sosta. L’acqua fa girare la ruota del mulino. Semplicissimo.
L’egemonia si basa sull’utilità politica della insicurezza per una guerra sempre dietro l’angolo
Effettivamente, senza l’insicurezza come cifra permanente nei calcoli strategici, l’egemonia nucleare non funzionerebbe.
Se prevale la logica della provocazione, la forza di terra cede il vantaggio di manovra perché non sviluppa un contraltare a un’arma che l’avversario possiede, ha una dottrina di impiego e si addestra per avere sopravvivenza e capacità di recupero. Una forza di terra che non può manovrare non può né conquistare il terreno né forzare gli obiettivi. In altre parole, non può vincere le battaglie. Rinunciare alla manovra è un percorso sicuro verso la sconfitta sul campo di battaglia.
È difficile credere che operazioni di combattimento su larga scala contro un avversario dotato di armi nucleari non diventino nucleari se si cerca la vittoria. Non usare il nucleare, oggi, può voler dire di non vincere. Non vincere potrebbe non essere un’opzione praticabile nella prossima grande guerra tra Stati.
Sempre come riportato dall’Atlantic Council, gli USA dovrebbero muoversi verso un potenziamento della guerra nucleare, seguendo tre punti:
In primo luogo, le forze armate dovrebbero utilizzare le risorse per avviare un piano di implementazione della “cultura nucleare” sia fra i piani di comando, sia fra le truppe, in modo da sensibilizzare e normalizzare all’idea di una guerra nucleare.
Un secondo passo consiste nell’includere gli attacchi nucleari avversari negli scenari delle operazioni di combattimento convenzionali su larga scala, pertanto le forze armate dovrebbero organizzare e guidare questo addestramento.
In terzo luogo, i leader militari dovrebbero imporre che le decisioni di rinuncia all’acquisizione che esonerano gli appaltatori dal soddisfare i requisiti di sopravvivenza nucleare per lo sviluppo di attrezzature e veicoli siano di competenza dell’ufficio del Segretario dell’Esercito e non delegate. La delega rischia di far sì che le deroghe vengano concesse per convenienza o per ridurre i costi senza una completa comprensione delle implicazioni strategiche e operative della minaccia.
Teniamo presente che la deterrenza si basa in parte sul principio che gli avversari siano vulnerabili. Occorre esplorare tutte le situazioni concepibili in cui il timore di ritorsione dell’aggressore sarà minimo e cercare di eliminarle. La vulnerabilità dovrebbe indurre gli Stati ad essere più cauti e ad astenersi da provocazioni anche minori a causa del timore di un’escalation e perché i guadagni possono essere solo limitati. Non è, d’altronde, possibile né una difesa completamente efficace, né l’abolizione delle armi nucleari, ma solo queste potrebbero eliminare la vulnerabilità nell’era nucleare.
Dalla vulnerabilità nasce l’incertezza: non si può conoscere l’esatta portata, la posizione precisa o il momento dell’attacco. Di ulteriore importanza è l’incertezza sulla capacità di controllare l’escalation. Poiché la gravità delle conseguenze di una guerra nucleare è enorme, anche una bassa probabilità di escalation involontaria è sufficiente per indurre alla cautela. L’ essenza stessa di una crisi è la sua imprevedibilità e il fatto che, una volta iniziata, non c’è alcuna garanzia che uno dei due Stati possa controllarne lo sviluppo. Il nemico è considerato come un attore razionale e se agisce in maniera imprevedibile, il rischio aumenta.
In tutto questo, consideriamo che non ci è dato sapere l’effettivo sviluppo delle varie tipologie di armamenti, non si conoscono le avanguardie e gli ultimi prototipi. Ciò significa che lo “status speciale” di potenza nucleare su scala globale è un’etichetta molto ambita per riuscire ad avere un peso politico diverso e dialogare con maggiore parità con i partner.
Gli USA non importa che abbiano o meno delle tecnologie nucleari più forti degli altri: ciò che conta è la percezione che il mondo ha del proprio Paese. La minaccia deve sembrare credibile. Comunicare la deterrenza credibile è un processo attivo. Non è l’equivalente statico dello spaventapasseri nel campo di un contadino. È più simile a un agricoltore attivo che pattuglia il campo con il suo fucile, sparando di tanto in tanto per assicurarsi e dimostrare che funziona. L’equivalente nucleare è la regolare manutenzione, l’addestramento e l’esercizio delle forze nucleari in circostanze geostrategiche realistiche.
Ecco che si comprende come mai agli Stati Uniti faccia comodo rilanciare la carta del pericolo nucleare: una reputazione da mantenere, le banche da restaurare e un po’ di show sul grande schermo.
Chissà se questa arroganza non costerà caro all’America che vuole tornare grande…