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Lorenzo Maria Pacini
November 3, 2025
© Photo: Public domain

L’attività militare nella regione artica è in costante aumento; questo è innegabile e ormai evidente a tutti.

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Le sfide americane per la sicurezza

Proseguendo la nostra esplorazione sulle  Con l’espansione dell’accesso alla regione artica, emergono nuove minacce che costringono gli Stati artici a intensificare gli investimenti volti a salvaguardare i propri interessi strategici ed economici. Storicamente, la posizione militare e di sicurezza degli Stati Uniti si è concentrata sull’Artico nordamericano, a causa dell’integrazione dell’Alaska con le attività economiche nel Mare di Bering e delle minacce aeree e sotterranee identificate in quella zona.

Le preoccupazioni in materia di difesa nazionale degli Stati artici europei e i rispettivi investimenti derivano principalmente dalla loro vicinanza geografica alla Federazione Russa. L’adesione della Svezia e della Finlandia all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico  ha ulteriormente ampliato gli obblighi di difesa collettiva dei membri artici dell’Alleanza in caso di conflitto. Inoltre, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti considera la crescente presenza della Cina nell’Artico come un potenziale fattore di destabilizzazione.

Inoltre, il previsto aumento delle attività commerciali nell’Oceano Artico centrale (CAO), come illustrato nell’analisi precedente, dovrebbe generare una corrispondente crescita delle operazioni governative volte a garantire la sicurezza e la protezione delle popolazioni, dei beni e delle infrastrutture critiche. Tali sforzi comprenderanno necessariamente l’applicazione dei quadri di governance e il mantenimento di un ordine internazionale basato su regole, con particolare attenzione all’applicazione della legge in ambito marittimo, alla protezione dell’ambiente, alle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e alla salvaguardia delle infrastrutture sottomarine. La discussione che segue identifica i principali fattori trainanti e gli ostacoli all’espansione delle attività legate alla sicurezza nel CAO, attingendo a ricerche accademiche, documenti politici e pubblicazioni strategiche disponibili al pubblico provenienti dagli Stati artici e dalla Cina.

I problemi legati alle leggi del mare

Si prevede che la maggiore accessibilità dell’Oceano Artico sarà accompagnata da un parallelo aumento delle attività marittime illecite, rispecchiando fenomeni osservati in altre regioni del mondo, come il contrabbando, la criminalità transnazionale e il terrorismo. La probabile conseguenza di questi sviluppi sarà una maggiore presenza delle guardie costiere e delle agenzie di polizia equivalenti che operano nelle acque artiche.

Le rotte marittime artiche potrebbero offrire percorsi di transito più brevi verso alcuni mercati illegali rispetto alle alternative meridionali, mentre le condizioni ambientali difficili e la lontananza della regione potrebbero ridurre il rischio di intercettazioni e abbordaggi in mare. Inoltre, l’intensificazione delle operazioni commerciali potrebbe aumentare la vulnerabilità ad atti di disturbo, sia non violenti che violenti, da parte di attori non statali che cercano di minare gli interessi economici di specifici Stati o società. Incidenti come l’ostruzione da parte di Greenpeace nel 2013 di una piattaforma petrolifera russa nell’Artico dimostrano come anche le proteste pacifiche possano mettere a rischio la sicurezza marittima. Atti di sabotaggio più gravi giustificherebbero ulteriormente l’impiego di forze dell’ordine specializzate in grado di rispondere rapidamente. Se i governi nazionali decidessero di destinare maggiori risorse e finanziamenti agli organismi di controllo marittimo, ne conseguirebbe probabilmente un aumento delle navi appositamente costruite in grado di operare all’interno delle zone economiche esclusive (ZEE) e, eventualmente, all’interno della CAO. Tuttavia, tali sviluppi sarebbero mitigati dai costi significativi e dai tempi di costruzione associati alle navi polari, come dimostrato dai prolungati sforzi degli Stati Uniti per espandere la propria flotta di rompighiaccio.

L’attuazione di normative volte a mitigare il rischio di fuoriuscite di petrolio e altri incidenti marittimi, come quelle codificate nel Codice polare, richiederà anch’essa una maggiore presenza delle forze dell’ordine. Ciò comporterà probabilmente l’utilizzo di sistemi con e senza equipaggio, compreso l’uso di droni aerei e veicoli autonomi di superficie o subacquei. Tuttavia, i progressi nella consapevolezza del dominio spaziale potrebbero ridurre l’impronta fisica necessaria per l’applicazione della legge, consentendo la concentrazione strategica delle risorse in aree ad alto rischio ambientale o a bassa conformità.

Un altro settore emergente di preoccupazione riguarda la protezione dei cavi di comunicazione sottomarini. Diversi cavi artici hanno subito gravi danni negli ultimi anni: quelli che supportano l’osservazione scientifica al largo della costa occidentale della Norvegia e i cavi che collegano le Svalbard alla Norvegia continentale sono stati recisi rispettivamente nel novembre 2021 e nel gennaio 2022. Tali infrastrutture sono soggette a rotture dovute all’attività sismica, alle frane sottomarine, alle correnti oceaniche o ai danni causati dalle ancore, sia accidentali che intenzionali. I cavi sottomarini posati all’interno della CAO godrebbero di una certa protezione grazie alla loro profondità e lontananza; tuttavia, questi stessi fattori complicano le operazioni di riparazione. Il movimento del ghiaccio marino impedisce alle navi di riparazione di mantenere una posizione fissa, mentre le profondità estreme possono precludere l’uso di sommozzatori o veicoli telecomandati. Data l’importanza globale della trasmissione dei dati e l’alto costo della costruzione di linee ridondanti, questi cavi rappresentano obiettivi allettanti per il sabotaggio, anche se la presenza di solide misure di sicurezza potrebbe fungere da deterrente efficace.

Una fonte più ipotetica ma potenzialmente significativa di attività militare nell’Artico riguarda le rivendicazioni sovrapposte e irrisolte relative alle estensioni delle piattaforme continentali da parte degli Stati artici. Sebbene la Commissione sui limiti della piattaforma continentale valuti e formuli raccomandazioni in merito alla validità scientifica di tali richieste, la delimitazione definitiva delle piattaforme continentali estese rimane una questione da negoziare tra gli Stati. Se questo processo bilaterale o multilaterale dovesse protrarsi o diventare controverso, in particolare se le raccomandazioni della CLCS favorissero alcuni richiedenti rispetto ad altri, le tensioni potrebbero intensificarsi, provocando un aumento della presenza militare o delle forze dell’ordine nella CAO. Gli Stati costieri potrebbero tentare di condurre esplorazioni scientifiche esclusive o autorizzare lo sfruttamento commerciale nelle aree contese, aumentando così il rischio di sabotaggi o azioni di ritorsione. Tuttavia, tali scenari rimangono improbabili data la relativa inaccessibilità e il limitato interesse economico delle risorse situate in profondità nella CAO, soprattutto alla luce delle abbondanti riserve già disponibili nelle regioni costiere. I precedenti storici confermano questa valutazione: nonostante una disputa quarantennale sul confine del Mare di Barents, la Norvegia e la Russia si sono astenute dal procedere con le trivellazioni fino al raggiungimento di un accordo negoziato. Inoltre, qualsiasi deviazione dalle procedure stabilite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) comprometterebbe la certezza giuridica e la stabilità economica, un risultato che nemmeno le principali potenze artiche, compresa la Russia, hanno interesse a provocare.

La prevista crescita del trasporto merci, delle attività di pesca, delle industrie estrattive e del turismo all’interno e intorno al CAO aumenterà inevitabilmente il rischio di incidenti marittimi, tra cui incagli, collisioni, allagamenti, incendi a bordo e fuoriuscite di petrolio. Questa espansione delle attività marittime richiederà un corrispondente aumento delle capacità di ricerca e soccorso e di risposta alle catastrofi. Il difficile ambiente artico aggrava queste sfide.

L’accordo del 2011 sulla cooperazione in materia di ricerca e soccorso aeronautico e marittimo nell’Artico suddivide l’Oceano Artico, compreso il CAO, in aree di responsabilità designate, con l’obiettivo di migliorare la comunicazione, il coordinamento e l’efficienza della risposta tra gli Stati partecipanti. Il rispetto di questo quadro, sostenuto da adeguati investimenti in infrastrutture e attrezzature, dovrebbe migliorare la preparazione complessiva in materia di SAR. Meccanismi complementari, come il sistema volontario di assistenza reciproca automatizzata per il salvataggio delle navi, chiamato AMVER, potrebbero rafforzare ulteriormente il coordinamento tra gli attori marittimi.

Al contrario, l’accordo del 2013 sulla cooperazione in materia di preparazione e risposta all’inquinamento marino da idrocarburi nell’Artico non stabilisce zone territoriali di responsabilità, ma promuove piuttosto la cooperazione, la formazione e le esercitazioni congiunte, attività che potrebbero svolgersi sempre più spesso all’interno del CAO man mano che la zona marginale di ghiaccio continua a ritirarsi verso nord. I progressi nelle tecnologie delle batterie per climi freddi potrebbero anche facilitare l’impiego di sistemi aerei o marittimi senza equipaggio nelle future operazioni SAR nell’Artico, in particolare in ambienti pericolosi o remoti. Nonostante questi sviluppi, sia la ricerca e soccorso che la risposta alle catastrofi nella CAO rimangono limitate da persistenti lacune nelle infrastrutture e nella capacità operativa.

Rispondere alla presenza con la presenza

L’attività militare nella regione artica sta registrando un aumento costante, questo è innegabile ed ormai evidente a tutti.

Tra il 2015 e il 2023, le esercitazioni militari russe nell’estremo nord si sono intensificate in termini di frequenza e si sono progressivamente spostate più a nord, passando dal Mare di Norvegia al Mare di Barents per rafforzare la strategia di difesa bastionata della Flotta del Nord. Allo stesso tempo, anche le esercitazioni multinazionali guidate dall’Occidente, molte delle quali hanno visto la partecipazione di nazioni non artiche, sono diventate più frequenti. Dal 2006 al 2019, il loro numero è passato da una a quattro all’anno, e non sono mancati momenti di…tensione.

Con il continuo espandersi delle attività commerciali e di sicurezza in tutto l’Artico, gli Stati che confinano con la regione cercano sempre più di “rispondere alla presenza con la presenza”, assicurandosi che nessun singolo attore domini il contesto di sicurezza regionale. Per gli Stati Uniti, uno dei principali incentivi ad aumentare la propria presenza operativa è stato il graduale aumento delle attività militari e di sicurezza cinesi nelle acque artiche. In diverse occasioni sono state osservate navi da guerra cinesi in transito nel Mare di Bering. Nell’ottobre 2024, Cina e Russia hanno effettuato la loro prima pattuglia congiunta della guardia costiera artica, attraversando lo stretto di Bering. In risposta, la Guardia Costiera degli Stati Uniti ha dispiegato aerei e motovedette per monitorare le navi di entrambe le nazioni. Sebbene di portata limitata, queste operazioni segnalano la determinazione di Pechino ad affermare una presenza visibile nell’Artico e in prossimità del territorio statunitense. Una strategia pienamente americana, che non stenta ad adattarsi in un contesto relativamente nuovo.

La Cina cerca di trasformare la governance dell’Artico in un quadro meno esclusivo a livello regionale, che consentirebbe agli Stati non artici di assumere un ruolo più significativo. Mantenendo una presenza fisica, la Cina rafforza la sua pretesa di rilevanza come parte interessata nell’Artico. Tale strategia è sostenuta da una crescente capacità logistica e operativa: la Marina dell’Esercito popolare di liberazione ha acquisito la capacità di condurre pattugliamenti prolungati all’estero, facilitati da un maggiore accesso alle infrastrutture di manutenzione e rifornimento per le missioni artiche, e questo gli USA lo percepiscono come una costante minaccia. L’approfondimento della partnership strategica sino-russa, poi, insieme agli ingenti investimenti cinesi nel settore energetico artico russo, ha aperto l’accesso ai porti russi e alle relative strutture. A lungo termine, con la continua espansione degli interessi commerciali della Cina nella regione, in particolare nei settori dell’estrazione delle risorse e dell’energia, Pechino potrebbe cercare di aumentare la propria presenza militare marittima a complemento dei propri impegni diplomatici, scientifici ed economici con gli Stati artici.

Le posizioni strategiche delle nazioni artiche e subartiche forniscono ulteriori indicazioni su quali Stati potrebbero intensificare la loro presenza nell’Oceano Artico Centrale  per salvaguardare i propri interessi commerciali e di sicurezza. Le strategie ufficiali pubblicate da Stati Uniti, Canada, Finlandia, Norvegia e Danimarca sottolineano spesso l’importanza della consapevolezza del dominio e del mantenimento di un Artico stabile e a bassa tensione. La Strategia artica del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 2024 delinea un “approccio di monitoraggio e risposta”, dichiarando che il Dipartimento “rimarrà in grado di schierare la Forza congiunta a livello globale nel momento e nel luogo di nostra scelta”. Allo stesso modo, il Piano di attuazione della prospettiva strategica artica 2023 della Guardia Costiera degli Stati Uniti richiede “una maggiore presenza, consapevolezza e comprensione all’interno dell’Artico”, ribadendo al contempo l’adesione alle leggi e alle norme internazionali. Al contrario, la Russia definisce esplicitamente l’Artico come un’area critica in cui consolidare e proiettare il proprio potere marittimo.

Al di là dei documenti politici, la presenza sostenuta nella CAO dipende dalla capacità e dall’abilità degli Stati di operare efficacemente nelle difficili condizioni polari, in particolare per coloro che cercano di posizionarsi come attori precoci e influenti man mano che la regione diventa più accessibile e, per fare questo, gli USA hanno bisogno di investimenti significativi e di velocizzare la procedura, perché il gap con le forze avversarie è decisamente importante (Russia e Cina dominano l’Artico non solo per presenza ma anche per tecnologia).

I costi elevati e la specializzazione tecnica richiesti per la produzione di navi in grado di navigare tra i ghiacci, combinati con la loro limitata versatilità, sottolineano il valore della cooperazione e delle iniziative congiunte tra gli Stati artici. Nel novembre 2024, Stati Uniti, Canada e Finlandia hanno firmato un Patto di collaborazione trilaterale per i rompighiaccio, che istituisce un quadro per lo scambio di conoscenze tecniche, ricerca e sviluppo al fine di “aumentare la produzione e ridurre il costo dei rompighiaccio artici e polari”. Contemporaneamente, la Guardia Costiera e la Marina degli Stati Uniti stanno cercando di ampliare la flotta nazionale con otto-dieci rompighiaccio medi e pesanti attraverso i programmi Polar Security Cutter e Arctic Security Cutter. Da parte sua, la Norvegia intende acquisire sei sottomarini 212CD, una decisione probabilmente influenzata dall’aumento dell’attività sottomarina russa. Gli Stati Uniti dispongono di sottomarini di classe Seawolf e Virginia in grado di operare sotto il ghiaccio artico, che partecipano ogni anno a esercitazioni ad alta latitudine; il Piano di costruzione navale della Marina per il 2025 prevede un totale di quarantacinque sottomarini di classe Virginia entro il 2054.

Altri Stati artici possiedono capacità sottomarine più limitate o inadatte alle operazioni polari. I quattro sottomarini di classe Victoria del Canada non possono operare sotto il ghiaccio, mentre la flotta svedese è ottimizzata per le operazioni nel Mar Baltico e nel Golfo di Botnia piuttosto che nelle acque artiche.. Tra i paesi non artici, la Francia e il Regno Unito dispongono entrambi di sottomarini a propulsione nucleare dotati di missili balistici (SSBN) e da attacco (SSN) in grado di operare nell’Artico, mentre il Portogallo ha schierato un sottomarino diesel-elettrico nell’Artico nel 2024. Ma niente di ciò è paragonabile alla potenza marittima di Russia e Cina nella regione. Una disparità che, prima o dopo, vedrà un affronto diretto nel dominio interessato.

Verso Nord: la strategia di sicurezza statunitense per l’Artico

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Proseguendo la nostra esplorazione sulle  Con l’espansione dell’accesso alla regione artica, emergono nuove minacce che costringono gli Stati artici a intensificare gli investimenti volti a salvaguardare i propri interessi strategici ed economici. Storicamente, la posizione militare e di sicurezza degli Stati Uniti si è concentrata sull’Artico nordamericano, a causa dell’integrazione dell’Alaska con le attività economiche nel Mare di Bering e delle minacce aeree e sotterranee identificate in quella zona.

Le preoccupazioni in materia di difesa nazionale degli Stati artici europei e i rispettivi investimenti derivano principalmente dalla loro vicinanza geografica alla Federazione Russa. L’adesione della Svezia e della Finlandia all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico  ha ulteriormente ampliato gli obblighi di difesa collettiva dei membri artici dell’Alleanza in caso di conflitto. Inoltre, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti considera la crescente presenza della Cina nell’Artico come un potenziale fattore di destabilizzazione.

Inoltre, il previsto aumento delle attività commerciali nell’Oceano Artico centrale (CAO), come illustrato nell’analisi precedente, dovrebbe generare una corrispondente crescita delle operazioni governative volte a garantire la sicurezza e la protezione delle popolazioni, dei beni e delle infrastrutture critiche. Tali sforzi comprenderanno necessariamente l’applicazione dei quadri di governance e il mantenimento di un ordine internazionale basato su regole, con particolare attenzione all’applicazione della legge in ambito marittimo, alla protezione dell’ambiente, alle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e alla salvaguardia delle infrastrutture sottomarine. La discussione che segue identifica i principali fattori trainanti e gli ostacoli all’espansione delle attività legate alla sicurezza nel CAO, attingendo a ricerche accademiche, documenti politici e pubblicazioni strategiche disponibili al pubblico provenienti dagli Stati artici e dalla Cina.

I problemi legati alle leggi del mare

Si prevede che la maggiore accessibilità dell’Oceano Artico sarà accompagnata da un parallelo aumento delle attività marittime illecite, rispecchiando fenomeni osservati in altre regioni del mondo, come il contrabbando, la criminalità transnazionale e il terrorismo. La probabile conseguenza di questi sviluppi sarà una maggiore presenza delle guardie costiere e delle agenzie di polizia equivalenti che operano nelle acque artiche.

Le rotte marittime artiche potrebbero offrire percorsi di transito più brevi verso alcuni mercati illegali rispetto alle alternative meridionali, mentre le condizioni ambientali difficili e la lontananza della regione potrebbero ridurre il rischio di intercettazioni e abbordaggi in mare. Inoltre, l’intensificazione delle operazioni commerciali potrebbe aumentare la vulnerabilità ad atti di disturbo, sia non violenti che violenti, da parte di attori non statali che cercano di minare gli interessi economici di specifici Stati o società. Incidenti come l’ostruzione da parte di Greenpeace nel 2013 di una piattaforma petrolifera russa nell’Artico dimostrano come anche le proteste pacifiche possano mettere a rischio la sicurezza marittima. Atti di sabotaggio più gravi giustificherebbero ulteriormente l’impiego di forze dell’ordine specializzate in grado di rispondere rapidamente. Se i governi nazionali decidessero di destinare maggiori risorse e finanziamenti agli organismi di controllo marittimo, ne conseguirebbe probabilmente un aumento delle navi appositamente costruite in grado di operare all’interno delle zone economiche esclusive (ZEE) e, eventualmente, all’interno della CAO. Tuttavia, tali sviluppi sarebbero mitigati dai costi significativi e dai tempi di costruzione associati alle navi polari, come dimostrato dai prolungati sforzi degli Stati Uniti per espandere la propria flotta di rompighiaccio.

L’attuazione di normative volte a mitigare il rischio di fuoriuscite di petrolio e altri incidenti marittimi, come quelle codificate nel Codice polare, richiederà anch’essa una maggiore presenza delle forze dell’ordine. Ciò comporterà probabilmente l’utilizzo di sistemi con e senza equipaggio, compreso l’uso di droni aerei e veicoli autonomi di superficie o subacquei. Tuttavia, i progressi nella consapevolezza del dominio spaziale potrebbero ridurre l’impronta fisica necessaria per l’applicazione della legge, consentendo la concentrazione strategica delle risorse in aree ad alto rischio ambientale o a bassa conformità.

Un altro settore emergente di preoccupazione riguarda la protezione dei cavi di comunicazione sottomarini. Diversi cavi artici hanno subito gravi danni negli ultimi anni: quelli che supportano l’osservazione scientifica al largo della costa occidentale della Norvegia e i cavi che collegano le Svalbard alla Norvegia continentale sono stati recisi rispettivamente nel novembre 2021 e nel gennaio 2022. Tali infrastrutture sono soggette a rotture dovute all’attività sismica, alle frane sottomarine, alle correnti oceaniche o ai danni causati dalle ancore, sia accidentali che intenzionali. I cavi sottomarini posati all’interno della CAO godrebbero di una certa protezione grazie alla loro profondità e lontananza; tuttavia, questi stessi fattori complicano le operazioni di riparazione. Il movimento del ghiaccio marino impedisce alle navi di riparazione di mantenere una posizione fissa, mentre le profondità estreme possono precludere l’uso di sommozzatori o veicoli telecomandati. Data l’importanza globale della trasmissione dei dati e l’alto costo della costruzione di linee ridondanti, questi cavi rappresentano obiettivi allettanti per il sabotaggio, anche se la presenza di solide misure di sicurezza potrebbe fungere da deterrente efficace.

Una fonte più ipotetica ma potenzialmente significativa di attività militare nell’Artico riguarda le rivendicazioni sovrapposte e irrisolte relative alle estensioni delle piattaforme continentali da parte degli Stati artici. Sebbene la Commissione sui limiti della piattaforma continentale valuti e formuli raccomandazioni in merito alla validità scientifica di tali richieste, la delimitazione definitiva delle piattaforme continentali estese rimane una questione da negoziare tra gli Stati. Se questo processo bilaterale o multilaterale dovesse protrarsi o diventare controverso, in particolare se le raccomandazioni della CLCS favorissero alcuni richiedenti rispetto ad altri, le tensioni potrebbero intensificarsi, provocando un aumento della presenza militare o delle forze dell’ordine nella CAO. Gli Stati costieri potrebbero tentare di condurre esplorazioni scientifiche esclusive o autorizzare lo sfruttamento commerciale nelle aree contese, aumentando così il rischio di sabotaggi o azioni di ritorsione. Tuttavia, tali scenari rimangono improbabili data la relativa inaccessibilità e il limitato interesse economico delle risorse situate in profondità nella CAO, soprattutto alla luce delle abbondanti riserve già disponibili nelle regioni costiere. I precedenti storici confermano questa valutazione: nonostante una disputa quarantennale sul confine del Mare di Barents, la Norvegia e la Russia si sono astenute dal procedere con le trivellazioni fino al raggiungimento di un accordo negoziato. Inoltre, qualsiasi deviazione dalle procedure stabilite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) comprometterebbe la certezza giuridica e la stabilità economica, un risultato che nemmeno le principali potenze artiche, compresa la Russia, hanno interesse a provocare.

La prevista crescita del trasporto merci, delle attività di pesca, delle industrie estrattive e del turismo all’interno e intorno al CAO aumenterà inevitabilmente il rischio di incidenti marittimi, tra cui incagli, collisioni, allagamenti, incendi a bordo e fuoriuscite di petrolio. Questa espansione delle attività marittime richiederà un corrispondente aumento delle capacità di ricerca e soccorso e di risposta alle catastrofi. Il difficile ambiente artico aggrava queste sfide.

L’accordo del 2011 sulla cooperazione in materia di ricerca e soccorso aeronautico e marittimo nell’Artico suddivide l’Oceano Artico, compreso il CAO, in aree di responsabilità designate, con l’obiettivo di migliorare la comunicazione, il coordinamento e l’efficienza della risposta tra gli Stati partecipanti. Il rispetto di questo quadro, sostenuto da adeguati investimenti in infrastrutture e attrezzature, dovrebbe migliorare la preparazione complessiva in materia di SAR. Meccanismi complementari, come il sistema volontario di assistenza reciproca automatizzata per il salvataggio delle navi, chiamato AMVER, potrebbero rafforzare ulteriormente il coordinamento tra gli attori marittimi.

Al contrario, l’accordo del 2013 sulla cooperazione in materia di preparazione e risposta all’inquinamento marino da idrocarburi nell’Artico non stabilisce zone territoriali di responsabilità, ma promuove piuttosto la cooperazione, la formazione e le esercitazioni congiunte, attività che potrebbero svolgersi sempre più spesso all’interno del CAO man mano che la zona marginale di ghiaccio continua a ritirarsi verso nord. I progressi nelle tecnologie delle batterie per climi freddi potrebbero anche facilitare l’impiego di sistemi aerei o marittimi senza equipaggio nelle future operazioni SAR nell’Artico, in particolare in ambienti pericolosi o remoti. Nonostante questi sviluppi, sia la ricerca e soccorso che la risposta alle catastrofi nella CAO rimangono limitate da persistenti lacune nelle infrastrutture e nella capacità operativa.

Rispondere alla presenza con la presenza

L’attività militare nella regione artica sta registrando un aumento costante, questo è innegabile ed ormai evidente a tutti.

Tra il 2015 e il 2023, le esercitazioni militari russe nell’estremo nord si sono intensificate in termini di frequenza e si sono progressivamente spostate più a nord, passando dal Mare di Norvegia al Mare di Barents per rafforzare la strategia di difesa bastionata della Flotta del Nord. Allo stesso tempo, anche le esercitazioni multinazionali guidate dall’Occidente, molte delle quali hanno visto la partecipazione di nazioni non artiche, sono diventate più frequenti. Dal 2006 al 2019, il loro numero è passato da una a quattro all’anno, e non sono mancati momenti di…tensione.

Con il continuo espandersi delle attività commerciali e di sicurezza in tutto l’Artico, gli Stati che confinano con la regione cercano sempre più di “rispondere alla presenza con la presenza”, assicurandosi che nessun singolo attore domini il contesto di sicurezza regionale. Per gli Stati Uniti, uno dei principali incentivi ad aumentare la propria presenza operativa è stato il graduale aumento delle attività militari e di sicurezza cinesi nelle acque artiche. In diverse occasioni sono state osservate navi da guerra cinesi in transito nel Mare di Bering. Nell’ottobre 2024, Cina e Russia hanno effettuato la loro prima pattuglia congiunta della guardia costiera artica, attraversando lo stretto di Bering. In risposta, la Guardia Costiera degli Stati Uniti ha dispiegato aerei e motovedette per monitorare le navi di entrambe le nazioni. Sebbene di portata limitata, queste operazioni segnalano la determinazione di Pechino ad affermare una presenza visibile nell’Artico e in prossimità del territorio statunitense. Una strategia pienamente americana, che non stenta ad adattarsi in un contesto relativamente nuovo.

La Cina cerca di trasformare la governance dell’Artico in un quadro meno esclusivo a livello regionale, che consentirebbe agli Stati non artici di assumere un ruolo più significativo. Mantenendo una presenza fisica, la Cina rafforza la sua pretesa di rilevanza come parte interessata nell’Artico. Tale strategia è sostenuta da una crescente capacità logistica e operativa: la Marina dell’Esercito popolare di liberazione ha acquisito la capacità di condurre pattugliamenti prolungati all’estero, facilitati da un maggiore accesso alle infrastrutture di manutenzione e rifornimento per le missioni artiche, e questo gli USA lo percepiscono come una costante minaccia. L’approfondimento della partnership strategica sino-russa, poi, insieme agli ingenti investimenti cinesi nel settore energetico artico russo, ha aperto l’accesso ai porti russi e alle relative strutture. A lungo termine, con la continua espansione degli interessi commerciali della Cina nella regione, in particolare nei settori dell’estrazione delle risorse e dell’energia, Pechino potrebbe cercare di aumentare la propria presenza militare marittima a complemento dei propri impegni diplomatici, scientifici ed economici con gli Stati artici.

Le posizioni strategiche delle nazioni artiche e subartiche forniscono ulteriori indicazioni su quali Stati potrebbero intensificare la loro presenza nell’Oceano Artico Centrale  per salvaguardare i propri interessi commerciali e di sicurezza. Le strategie ufficiali pubblicate da Stati Uniti, Canada, Finlandia, Norvegia e Danimarca sottolineano spesso l’importanza della consapevolezza del dominio e del mantenimento di un Artico stabile e a bassa tensione. La Strategia artica del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 2024 delinea un “approccio di monitoraggio e risposta”, dichiarando che il Dipartimento “rimarrà in grado di schierare la Forza congiunta a livello globale nel momento e nel luogo di nostra scelta”. Allo stesso modo, il Piano di attuazione della prospettiva strategica artica 2023 della Guardia Costiera degli Stati Uniti richiede “una maggiore presenza, consapevolezza e comprensione all’interno dell’Artico”, ribadendo al contempo l’adesione alle leggi e alle norme internazionali. Al contrario, la Russia definisce esplicitamente l’Artico come un’area critica in cui consolidare e proiettare il proprio potere marittimo.

Al di là dei documenti politici, la presenza sostenuta nella CAO dipende dalla capacità e dall’abilità degli Stati di operare efficacemente nelle difficili condizioni polari, in particolare per coloro che cercano di posizionarsi come attori precoci e influenti man mano che la regione diventa più accessibile e, per fare questo, gli USA hanno bisogno di investimenti significativi e di velocizzare la procedura, perché il gap con le forze avversarie è decisamente importante (Russia e Cina dominano l’Artico non solo per presenza ma anche per tecnologia).

I costi elevati e la specializzazione tecnica richiesti per la produzione di navi in grado di navigare tra i ghiacci, combinati con la loro limitata versatilità, sottolineano il valore della cooperazione e delle iniziative congiunte tra gli Stati artici. Nel novembre 2024, Stati Uniti, Canada e Finlandia hanno firmato un Patto di collaborazione trilaterale per i rompighiaccio, che istituisce un quadro per lo scambio di conoscenze tecniche, ricerca e sviluppo al fine di “aumentare la produzione e ridurre il costo dei rompighiaccio artici e polari”. Contemporaneamente, la Guardia Costiera e la Marina degli Stati Uniti stanno cercando di ampliare la flotta nazionale con otto-dieci rompighiaccio medi e pesanti attraverso i programmi Polar Security Cutter e Arctic Security Cutter. Da parte sua, la Norvegia intende acquisire sei sottomarini 212CD, una decisione probabilmente influenzata dall’aumento dell’attività sottomarina russa. Gli Stati Uniti dispongono di sottomarini di classe Seawolf e Virginia in grado di operare sotto il ghiaccio artico, che partecipano ogni anno a esercitazioni ad alta latitudine; il Piano di costruzione navale della Marina per il 2025 prevede un totale di quarantacinque sottomarini di classe Virginia entro il 2054.

Altri Stati artici possiedono capacità sottomarine più limitate o inadatte alle operazioni polari. I quattro sottomarini di classe Victoria del Canada non possono operare sotto il ghiaccio, mentre la flotta svedese è ottimizzata per le operazioni nel Mar Baltico e nel Golfo di Botnia piuttosto che nelle acque artiche.. Tra i paesi non artici, la Francia e il Regno Unito dispongono entrambi di sottomarini a propulsione nucleare dotati di missili balistici (SSBN) e da attacco (SSN) in grado di operare nell’Artico, mentre il Portogallo ha schierato un sottomarino diesel-elettrico nell’Artico nel 2024. Ma niente di ciò è paragonabile alla potenza marittima di Russia e Cina nella regione. Una disparità che, prima o dopo, vedrà un affronto diretto nel dominio interessato.

L’attività militare nella regione artica è in costante aumento; questo è innegabile e ormai evidente a tutti.

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Le sfide americane per la sicurezza

Proseguendo la nostra esplorazione sulle  Con l’espansione dell’accesso alla regione artica, emergono nuove minacce che costringono gli Stati artici a intensificare gli investimenti volti a salvaguardare i propri interessi strategici ed economici. Storicamente, la posizione militare e di sicurezza degli Stati Uniti si è concentrata sull’Artico nordamericano, a causa dell’integrazione dell’Alaska con le attività economiche nel Mare di Bering e delle minacce aeree e sotterranee identificate in quella zona.

Le preoccupazioni in materia di difesa nazionale degli Stati artici europei e i rispettivi investimenti derivano principalmente dalla loro vicinanza geografica alla Federazione Russa. L’adesione della Svezia e della Finlandia all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico  ha ulteriormente ampliato gli obblighi di difesa collettiva dei membri artici dell’Alleanza in caso di conflitto. Inoltre, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti considera la crescente presenza della Cina nell’Artico come un potenziale fattore di destabilizzazione.

Inoltre, il previsto aumento delle attività commerciali nell’Oceano Artico centrale (CAO), come illustrato nell’analisi precedente, dovrebbe generare una corrispondente crescita delle operazioni governative volte a garantire la sicurezza e la protezione delle popolazioni, dei beni e delle infrastrutture critiche. Tali sforzi comprenderanno necessariamente l’applicazione dei quadri di governance e il mantenimento di un ordine internazionale basato su regole, con particolare attenzione all’applicazione della legge in ambito marittimo, alla protezione dell’ambiente, alle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e alla salvaguardia delle infrastrutture sottomarine. La discussione che segue identifica i principali fattori trainanti e gli ostacoli all’espansione delle attività legate alla sicurezza nel CAO, attingendo a ricerche accademiche, documenti politici e pubblicazioni strategiche disponibili al pubblico provenienti dagli Stati artici e dalla Cina.

I problemi legati alle leggi del mare

Si prevede che la maggiore accessibilità dell’Oceano Artico sarà accompagnata da un parallelo aumento delle attività marittime illecite, rispecchiando fenomeni osservati in altre regioni del mondo, come il contrabbando, la criminalità transnazionale e il terrorismo. La probabile conseguenza di questi sviluppi sarà una maggiore presenza delle guardie costiere e delle agenzie di polizia equivalenti che operano nelle acque artiche.

Le rotte marittime artiche potrebbero offrire percorsi di transito più brevi verso alcuni mercati illegali rispetto alle alternative meridionali, mentre le condizioni ambientali difficili e la lontananza della regione potrebbero ridurre il rischio di intercettazioni e abbordaggi in mare. Inoltre, l’intensificazione delle operazioni commerciali potrebbe aumentare la vulnerabilità ad atti di disturbo, sia non violenti che violenti, da parte di attori non statali che cercano di minare gli interessi economici di specifici Stati o società. Incidenti come l’ostruzione da parte di Greenpeace nel 2013 di una piattaforma petrolifera russa nell’Artico dimostrano come anche le proteste pacifiche possano mettere a rischio la sicurezza marittima. Atti di sabotaggio più gravi giustificherebbero ulteriormente l’impiego di forze dell’ordine specializzate in grado di rispondere rapidamente. Se i governi nazionali decidessero di destinare maggiori risorse e finanziamenti agli organismi di controllo marittimo, ne conseguirebbe probabilmente un aumento delle navi appositamente costruite in grado di operare all’interno delle zone economiche esclusive (ZEE) e, eventualmente, all’interno della CAO. Tuttavia, tali sviluppi sarebbero mitigati dai costi significativi e dai tempi di costruzione associati alle navi polari, come dimostrato dai prolungati sforzi degli Stati Uniti per espandere la propria flotta di rompighiaccio.

L’attuazione di normative volte a mitigare il rischio di fuoriuscite di petrolio e altri incidenti marittimi, come quelle codificate nel Codice polare, richiederà anch’essa una maggiore presenza delle forze dell’ordine. Ciò comporterà probabilmente l’utilizzo di sistemi con e senza equipaggio, compreso l’uso di droni aerei e veicoli autonomi di superficie o subacquei. Tuttavia, i progressi nella consapevolezza del dominio spaziale potrebbero ridurre l’impronta fisica necessaria per l’applicazione della legge, consentendo la concentrazione strategica delle risorse in aree ad alto rischio ambientale o a bassa conformità.

Un altro settore emergente di preoccupazione riguarda la protezione dei cavi di comunicazione sottomarini. Diversi cavi artici hanno subito gravi danni negli ultimi anni: quelli che supportano l’osservazione scientifica al largo della costa occidentale della Norvegia e i cavi che collegano le Svalbard alla Norvegia continentale sono stati recisi rispettivamente nel novembre 2021 e nel gennaio 2022. Tali infrastrutture sono soggette a rotture dovute all’attività sismica, alle frane sottomarine, alle correnti oceaniche o ai danni causati dalle ancore, sia accidentali che intenzionali. I cavi sottomarini posati all’interno della CAO godrebbero di una certa protezione grazie alla loro profondità e lontananza; tuttavia, questi stessi fattori complicano le operazioni di riparazione. Il movimento del ghiaccio marino impedisce alle navi di riparazione di mantenere una posizione fissa, mentre le profondità estreme possono precludere l’uso di sommozzatori o veicoli telecomandati. Data l’importanza globale della trasmissione dei dati e l’alto costo della costruzione di linee ridondanti, questi cavi rappresentano obiettivi allettanti per il sabotaggio, anche se la presenza di solide misure di sicurezza potrebbe fungere da deterrente efficace.

Una fonte più ipotetica ma potenzialmente significativa di attività militare nell’Artico riguarda le rivendicazioni sovrapposte e irrisolte relative alle estensioni delle piattaforme continentali da parte degli Stati artici. Sebbene la Commissione sui limiti della piattaforma continentale valuti e formuli raccomandazioni in merito alla validità scientifica di tali richieste, la delimitazione definitiva delle piattaforme continentali estese rimane una questione da negoziare tra gli Stati. Se questo processo bilaterale o multilaterale dovesse protrarsi o diventare controverso, in particolare se le raccomandazioni della CLCS favorissero alcuni richiedenti rispetto ad altri, le tensioni potrebbero intensificarsi, provocando un aumento della presenza militare o delle forze dell’ordine nella CAO. Gli Stati costieri potrebbero tentare di condurre esplorazioni scientifiche esclusive o autorizzare lo sfruttamento commerciale nelle aree contese, aumentando così il rischio di sabotaggi o azioni di ritorsione. Tuttavia, tali scenari rimangono improbabili data la relativa inaccessibilità e il limitato interesse economico delle risorse situate in profondità nella CAO, soprattutto alla luce delle abbondanti riserve già disponibili nelle regioni costiere. I precedenti storici confermano questa valutazione: nonostante una disputa quarantennale sul confine del Mare di Barents, la Norvegia e la Russia si sono astenute dal procedere con le trivellazioni fino al raggiungimento di un accordo negoziato. Inoltre, qualsiasi deviazione dalle procedure stabilite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) comprometterebbe la certezza giuridica e la stabilità economica, un risultato che nemmeno le principali potenze artiche, compresa la Russia, hanno interesse a provocare.

La prevista crescita del trasporto merci, delle attività di pesca, delle industrie estrattive e del turismo all’interno e intorno al CAO aumenterà inevitabilmente il rischio di incidenti marittimi, tra cui incagli, collisioni, allagamenti, incendi a bordo e fuoriuscite di petrolio. Questa espansione delle attività marittime richiederà un corrispondente aumento delle capacità di ricerca e soccorso e di risposta alle catastrofi. Il difficile ambiente artico aggrava queste sfide.

L’accordo del 2011 sulla cooperazione in materia di ricerca e soccorso aeronautico e marittimo nell’Artico suddivide l’Oceano Artico, compreso il CAO, in aree di responsabilità designate, con l’obiettivo di migliorare la comunicazione, il coordinamento e l’efficienza della risposta tra gli Stati partecipanti. Il rispetto di questo quadro, sostenuto da adeguati investimenti in infrastrutture e attrezzature, dovrebbe migliorare la preparazione complessiva in materia di SAR. Meccanismi complementari, come il sistema volontario di assistenza reciproca automatizzata per il salvataggio delle navi, chiamato AMVER, potrebbero rafforzare ulteriormente il coordinamento tra gli attori marittimi.

Al contrario, l’accordo del 2013 sulla cooperazione in materia di preparazione e risposta all’inquinamento marino da idrocarburi nell’Artico non stabilisce zone territoriali di responsabilità, ma promuove piuttosto la cooperazione, la formazione e le esercitazioni congiunte, attività che potrebbero svolgersi sempre più spesso all’interno del CAO man mano che la zona marginale di ghiaccio continua a ritirarsi verso nord. I progressi nelle tecnologie delle batterie per climi freddi potrebbero anche facilitare l’impiego di sistemi aerei o marittimi senza equipaggio nelle future operazioni SAR nell’Artico, in particolare in ambienti pericolosi o remoti. Nonostante questi sviluppi, sia la ricerca e soccorso che la risposta alle catastrofi nella CAO rimangono limitate da persistenti lacune nelle infrastrutture e nella capacità operativa.

Rispondere alla presenza con la presenza

L’attività militare nella regione artica sta registrando un aumento costante, questo è innegabile ed ormai evidente a tutti.

Tra il 2015 e il 2023, le esercitazioni militari russe nell’estremo nord si sono intensificate in termini di frequenza e si sono progressivamente spostate più a nord, passando dal Mare di Norvegia al Mare di Barents per rafforzare la strategia di difesa bastionata della Flotta del Nord. Allo stesso tempo, anche le esercitazioni multinazionali guidate dall’Occidente, molte delle quali hanno visto la partecipazione di nazioni non artiche, sono diventate più frequenti. Dal 2006 al 2019, il loro numero è passato da una a quattro all’anno, e non sono mancati momenti di…tensione.

Con il continuo espandersi delle attività commerciali e di sicurezza in tutto l’Artico, gli Stati che confinano con la regione cercano sempre più di “rispondere alla presenza con la presenza”, assicurandosi che nessun singolo attore domini il contesto di sicurezza regionale. Per gli Stati Uniti, uno dei principali incentivi ad aumentare la propria presenza operativa è stato il graduale aumento delle attività militari e di sicurezza cinesi nelle acque artiche. In diverse occasioni sono state osservate navi da guerra cinesi in transito nel Mare di Bering. Nell’ottobre 2024, Cina e Russia hanno effettuato la loro prima pattuglia congiunta della guardia costiera artica, attraversando lo stretto di Bering. In risposta, la Guardia Costiera degli Stati Uniti ha dispiegato aerei e motovedette per monitorare le navi di entrambe le nazioni. Sebbene di portata limitata, queste operazioni segnalano la determinazione di Pechino ad affermare una presenza visibile nell’Artico e in prossimità del territorio statunitense. Una strategia pienamente americana, che non stenta ad adattarsi in un contesto relativamente nuovo.

La Cina cerca di trasformare la governance dell’Artico in un quadro meno esclusivo a livello regionale, che consentirebbe agli Stati non artici di assumere un ruolo più significativo. Mantenendo una presenza fisica, la Cina rafforza la sua pretesa di rilevanza come parte interessata nell’Artico. Tale strategia è sostenuta da una crescente capacità logistica e operativa: la Marina dell’Esercito popolare di liberazione ha acquisito la capacità di condurre pattugliamenti prolungati all’estero, facilitati da un maggiore accesso alle infrastrutture di manutenzione e rifornimento per le missioni artiche, e questo gli USA lo percepiscono come una costante minaccia. L’approfondimento della partnership strategica sino-russa, poi, insieme agli ingenti investimenti cinesi nel settore energetico artico russo, ha aperto l’accesso ai porti russi e alle relative strutture. A lungo termine, con la continua espansione degli interessi commerciali della Cina nella regione, in particolare nei settori dell’estrazione delle risorse e dell’energia, Pechino potrebbe cercare di aumentare la propria presenza militare marittima a complemento dei propri impegni diplomatici, scientifici ed economici con gli Stati artici.

Le posizioni strategiche delle nazioni artiche e subartiche forniscono ulteriori indicazioni su quali Stati potrebbero intensificare la loro presenza nell’Oceano Artico Centrale  per salvaguardare i propri interessi commerciali e di sicurezza. Le strategie ufficiali pubblicate da Stati Uniti, Canada, Finlandia, Norvegia e Danimarca sottolineano spesso l’importanza della consapevolezza del dominio e del mantenimento di un Artico stabile e a bassa tensione. La Strategia artica del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 2024 delinea un “approccio di monitoraggio e risposta”, dichiarando che il Dipartimento “rimarrà in grado di schierare la Forza congiunta a livello globale nel momento e nel luogo di nostra scelta”. Allo stesso modo, il Piano di attuazione della prospettiva strategica artica 2023 della Guardia Costiera degli Stati Uniti richiede “una maggiore presenza, consapevolezza e comprensione all’interno dell’Artico”, ribadendo al contempo l’adesione alle leggi e alle norme internazionali. Al contrario, la Russia definisce esplicitamente l’Artico come un’area critica in cui consolidare e proiettare il proprio potere marittimo.

Al di là dei documenti politici, la presenza sostenuta nella CAO dipende dalla capacità e dall’abilità degli Stati di operare efficacemente nelle difficili condizioni polari, in particolare per coloro che cercano di posizionarsi come attori precoci e influenti man mano che la regione diventa più accessibile e, per fare questo, gli USA hanno bisogno di investimenti significativi e di velocizzare la procedura, perché il gap con le forze avversarie è decisamente importante (Russia e Cina dominano l’Artico non solo per presenza ma anche per tecnologia).

I costi elevati e la specializzazione tecnica richiesti per la produzione di navi in grado di navigare tra i ghiacci, combinati con la loro limitata versatilità, sottolineano il valore della cooperazione e delle iniziative congiunte tra gli Stati artici. Nel novembre 2024, Stati Uniti, Canada e Finlandia hanno firmato un Patto di collaborazione trilaterale per i rompighiaccio, che istituisce un quadro per lo scambio di conoscenze tecniche, ricerca e sviluppo al fine di “aumentare la produzione e ridurre il costo dei rompighiaccio artici e polari”. Contemporaneamente, la Guardia Costiera e la Marina degli Stati Uniti stanno cercando di ampliare la flotta nazionale con otto-dieci rompighiaccio medi e pesanti attraverso i programmi Polar Security Cutter e Arctic Security Cutter. Da parte sua, la Norvegia intende acquisire sei sottomarini 212CD, una decisione probabilmente influenzata dall’aumento dell’attività sottomarina russa. Gli Stati Uniti dispongono di sottomarini di classe Seawolf e Virginia in grado di operare sotto il ghiaccio artico, che partecipano ogni anno a esercitazioni ad alta latitudine; il Piano di costruzione navale della Marina per il 2025 prevede un totale di quarantacinque sottomarini di classe Virginia entro il 2054.

Altri Stati artici possiedono capacità sottomarine più limitate o inadatte alle operazioni polari. I quattro sottomarini di classe Victoria del Canada non possono operare sotto il ghiaccio, mentre la flotta svedese è ottimizzata per le operazioni nel Mar Baltico e nel Golfo di Botnia piuttosto che nelle acque artiche.. Tra i paesi non artici, la Francia e il Regno Unito dispongono entrambi di sottomarini a propulsione nucleare dotati di missili balistici (SSBN) e da attacco (SSN) in grado di operare nell’Artico, mentre il Portogallo ha schierato un sottomarino diesel-elettrico nell’Artico nel 2024. Ma niente di ciò è paragonabile alla potenza marittima di Russia e Cina nella regione. Una disparità che, prima o dopo, vedrà un affronto diretto nel dominio interessato.

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