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Davide Rossi
October 19, 2025
© Photo: Public domain

L’umanità oggi corre il concreto rischio che non bastino eventuali trattati e accordi a frenare la volontà di guerra della Minoranza Globale egemonizzata dalla NATO

Segue nostro Telegram.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov con molte ragioni ha affermato che la Svizzera non è considerata dalla Federazione Russa una nazione neutrale, ma parte integrante di quell’Occidente succube della NATO e subalterno all’Unione Europea. Un fatto assolutamente vero, la Svizzera dopo secoli di paziente costruzione della neutralità come prassi identitaria, diplomatica e geopolitica sta purtroppo venendo meno a quanto l’ha resa per lungo tempo ambìto luogo d’incontro per la risoluzione delle controversie internazionali, si pensi nel Novecento dagli accordi per l’Algeria a quelli per il Vietnam, vanificando quanto costruito in lungo tempo e suggellato agli albori del XX secolo offrendo Ginevra come prestigiosa sede per la Società delle Nazioni, nata nel 1919 con la firma del trattato di pace di Versailles.

Certo, la Società delle Nazioni è da subito animata da corposi interessi, anche quelli espressi e difesi dal suo promotore, il presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, la cui nazione mai aderirà all’organizzazione per la contrarietà dei congressisti di Washington ad accettare un confronto con gli altri Stati su un piano di parità, un vizio intrinseco al capitalismo statunitense, pronto solo ad avallare progetti egemonici e autoreferenziali, vincolati al suo ruolo unipolare e imperialistico, vizio fondatore incistato nelle Nazioni Unite nel 1944, le quali infatti hanno preteso avessero sede sul loro territorio e nelle quali hanno provato, purtroppo spesso riuscendoci, a stravolgerne la carta fondativa attuando una costante forzatura verso univoche posizioni, appunto proprio quelle di Washington. 

Tuttavia un anelito di universale umanità, pur cieca davanti ai macroscopici orrori del colonialismo, del neocolonialismo e della depredazione delle materie prime energetiche e alimentari di interi popoli, accompagna quella prima associazione tra le nazioni della terra, tanto che lo scienziato e professore norvegese Fridtjof Nansen   promuove la realizzazione dell’Ufficio per i Rifugiati della Società delle Nazioni, in grado di prestare assistenza alle popolazioni sfollate o colpite dalle carestie, così come di fornire un passaporto per i tanti apolidi, risultanti dalla distruzione dei vecchi imperi europei, come da quello ottomano.

La Società delle Nazioni prova anche ad occuparsi meritoriamente, seppure con scarsa capacità d’incidere nella realtà, di salute, disarmo, lavoro, diritti delle donne, tutto reso difficile per la complessità dei tempi. Sul tema del lavoro in particolare assiste muta, proprio in Europa, a governi tanto reazionari, quanto socialdemocratici, più interessati a sparare sui manifestanti e a reprimere con violenza le lotte di operai, minatori, portuali e contadini, piuttosto che ad alleviare la generale indigenza delle classi lavoratrici.

Il tragico ventennio tra le le due guerre è di fatto un lungo trapasso, un interludio tra il secolo borghese uscito dalla Congresso di Vienna del 1815 e l’inizio del secolo statunitense (1945 – 2012), con la rilevante variabile bolscevica, capace non solo di creare una nazione in cui il potere è nelle mani degli operai e dei contadini, ma altresì di rappresentare il baluardo e il naturale alleato, fin da subito e con maggiore influenza per tutta la seconda parte del Novecento, dei popoli in lotta per la loro emancipazione dal colonialismo e dal neo-colonialismo.

In quegli anni ‘20 del Novecento di nazionalismi spesso esasperati e coltivati con volontà antisociale dalle borghesie nazionali, in molti casi liete di trovare nel grande capitale e nell’esercito la sponda interna per esperimenti autoritari, non solo in Italia e poi in Germania, ma anche in Ungheria, in Polonia tra i Baltici, in Finlandia, prima che in Portogallo e Spagna, sarà l’Unione Sovietica a rappresentare l’esempio di una statualità plurinazionale e plurireligiosa, certo al pari del suo antecedente impero Russo, tuttavia su basi di più avanzata democrazia e partecipazione, tutto questo nello stesso momento in cui simili esperienze, quali quella austro – ungarica e quella ottomana, si erano dissolte. Il razzismo poi tra i comunisti sovietici viene bandito e combattuto, mentre non solo i fascismi europei di diverse sfumature, ma anche le democrazie liberali francese e inglese, in ragione dei loro possedimenti coloniali, indulgeranno sempre nei confronti di una razzistica idea di inferiorità degli altri popoli.

La Società delle Nazioni dunque, stretta tra interessi, defezioni, nazionalismi che troveranno nel secondo conflitto mondiale il pieno esplicitarsi, ma già carburano risentimenti e velleità, desideri di veder sventolare la loro bandiera in spregio a tutte le altre, proverà, non riuscendoci, o riuscendoci molto malamente e parzialmente, a contenere l’esplodere di rivendicazioni territoriali e di sanguinosi sommovimenti, rappresentando insomma un afflato esile e fragile, per quanto almeno nelle intenzioni latore di pace e di cooperazione.

A tutto questo si appella il sindaco liberal – radicale della città di Locarno, nella Svizzera Italiana, Giovanni Battista Rusca per la convocazione, insieme alla Società delle Nazioni stesse, delle potenze europee per una Conferenza di pace. È l’occasione per porre al centro della scena e della cronaca planetaria la ridente cittadina adagiata sull’ultimo lembo del lago Maggiore, di rigorosa pertinenza elvetica, tra frondosi palmizi, ville signorili e modeste case di ringhiera. Rusca è un sincero democratico e sarà il solo membro del parlamento rossocrociato a votare nel 1940 contro la messa fuori legge dei comunisti, così come nel corso della Guerra Mondiale aiuterà partigiani e resistenti italiani, come i suoi amici del Partito d’Azione, guidati in quel tempo da Ferruccio Parri.

La Conferenza di pace di Locarno si svolge dal 5 al 16 ottobre 1925, alcuni dei suoi partecipanti riceveranno il Nobel per la pace, in ragione del Patto Renano che proprio a Locarno viene siglato. Non Rusca, che più dei premiati lo avrebbe meritato. L’idea del sindaco, giustissima, travalica la semplice non belligeranza imposta dal trattato di Versailles, un trattato non condiviso, ma brutalmente imposto dai vincitori ai vinti. Rusca ritiene necessario arrivare ad un accordo in cui tutti gli stati europei siano consapevoli della necessità della pace e della inviolabilità delle frontiere. È questo il Patto Renano, a Locarno i tedeschi Hans Luther e Gustav Stresemann, il belga Emile Vandervelde, il francese Aristide Briand, l’inglese Austen Chamberlain, l’italiano Benito Mussolini, il polacco Aleksander Skrzyński, il cecoslovacco Edvard Beneš firmano un accordo in cui sanciscono l’inviolabilità delle frontiere tra i loro paesi e in particolare quelle franco – belgo – tedesche, ovvero l’impegno della Germania a non accampare rivendicazioni sull’Alsazia e la Lorena tornate francesi e sulla regione di Eupen e Malmedy diventata belga. Una firma esile, che sarà travolta dieci anni più tardi con il disconoscimento di quel testo da parte hitleriana.

Per altro con molte ragioni la storiografia sovietica ha sempre sostenuto che, più ancora del recupero della Germania di Weimar a guida socialdemocratica all’interno dello spazio politico europeo, avvenuto appunto nel 1926 con l’ingresso dei tedeschi nella Società delle Nazioni, in concomitanza con l’entrata in vigore del Patto Renano, le intenzioni, in particolare britanniche, fossero quelle di un’alleanza volta a contenere e contrastare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, che pur sarà ammessa tra i membri della Società delle Nazioni il 18 settembre 1934.

Nei giorni della Conferenza locarnese i fascisti del Canton Ticino, reazionari da burletta, prima salutano romanamente Benito Mussolini per le strade, tra l’ironia disincantata dei loro compatrioti, poi srotolano nella meravigliosa piazza Grande un enorme striscione con la scritta “Evviva il Duce”, che, se fa sorridere i più, fa invece sobbalzare il sindaco Rusca, il quale si affretta a farlo rimuovere.

Il timido tentativo dell’incontro di Locarno di trovare una soluzione negoziale attraverso il diritto internazionale e mediante una procedura d’arbitrato pacifico per le eventuali divergenze tra nazioni, senza ricorrere alla guerra, ha un correlato nel Patto Briand-Kellogg, noto anche come trattato di rinuncia alla guerra quale strumento di risoluzione delle controversie internazionali, promosso dal ministro degli Esteri francese Aristide Briand, dall’attivista pacifista statunitense James Thomson Shotwell e dal Segretario di Stato a stelle e strisce Frank Kellogg, sottoscritto a Parigi il 27 agosto 1928 ed entrato formalmente in vigore il 24 luglio 1929, per altro con la firma anche dell’Unione Sovietica, saldamente passata alla posizione di dialogo con il resto del mondo voluta dal segretario generale bolscevico Iosif Stalin, nel quadro del consolidamento interno e del superamento degli estremismi di matrice trotzkista.

L’umanità oggi corre il concreto rischio che non bastino eventuali trattati e accordi a frenare la volontà di guerra della Minoranza Globale egemonizzata dalla NATO e strettasi intorno alla finanza speculativa per difendere ai danni del resto del pianeta l’ormai superato primato predatorio dell’Occidente Collettivo, intenzionato a contrastare in ogni modo, purtroppo anche armato, l’ascesa della Maggioranza Globale composta da tutte quelle nazioni e quei popoli che si stanno stringendo sempre più numerosi intorno a Pechino e a Mosca per la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare e di pace.

Patto di Locarno 1925, fragile parentesi in un interludio di guerra

L’umanità oggi corre il concreto rischio che non bastino eventuali trattati e accordi a frenare la volontà di guerra della Minoranza Globale egemonizzata dalla NATO

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Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov con molte ragioni ha affermato che la Svizzera non è considerata dalla Federazione Russa una nazione neutrale, ma parte integrante di quell’Occidente succube della NATO e subalterno all’Unione Europea. Un fatto assolutamente vero, la Svizzera dopo secoli di paziente costruzione della neutralità come prassi identitaria, diplomatica e geopolitica sta purtroppo venendo meno a quanto l’ha resa per lungo tempo ambìto luogo d’incontro per la risoluzione delle controversie internazionali, si pensi nel Novecento dagli accordi per l’Algeria a quelli per il Vietnam, vanificando quanto costruito in lungo tempo e suggellato agli albori del XX secolo offrendo Ginevra come prestigiosa sede per la Società delle Nazioni, nata nel 1919 con la firma del trattato di pace di Versailles.

Certo, la Società delle Nazioni è da subito animata da corposi interessi, anche quelli espressi e difesi dal suo promotore, il presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, la cui nazione mai aderirà all’organizzazione per la contrarietà dei congressisti di Washington ad accettare un confronto con gli altri Stati su un piano di parità, un vizio intrinseco al capitalismo statunitense, pronto solo ad avallare progetti egemonici e autoreferenziali, vincolati al suo ruolo unipolare e imperialistico, vizio fondatore incistato nelle Nazioni Unite nel 1944, le quali infatti hanno preteso avessero sede sul loro territorio e nelle quali hanno provato, purtroppo spesso riuscendoci, a stravolgerne la carta fondativa attuando una costante forzatura verso univoche posizioni, appunto proprio quelle di Washington. 

Tuttavia un anelito di universale umanità, pur cieca davanti ai macroscopici orrori del colonialismo, del neocolonialismo e della depredazione delle materie prime energetiche e alimentari di interi popoli, accompagna quella prima associazione tra le nazioni della terra, tanto che lo scienziato e professore norvegese Fridtjof Nansen   promuove la realizzazione dell’Ufficio per i Rifugiati della Società delle Nazioni, in grado di prestare assistenza alle popolazioni sfollate o colpite dalle carestie, così come di fornire un passaporto per i tanti apolidi, risultanti dalla distruzione dei vecchi imperi europei, come da quello ottomano.

La Società delle Nazioni prova anche ad occuparsi meritoriamente, seppure con scarsa capacità d’incidere nella realtà, di salute, disarmo, lavoro, diritti delle donne, tutto reso difficile per la complessità dei tempi. Sul tema del lavoro in particolare assiste muta, proprio in Europa, a governi tanto reazionari, quanto socialdemocratici, più interessati a sparare sui manifestanti e a reprimere con violenza le lotte di operai, minatori, portuali e contadini, piuttosto che ad alleviare la generale indigenza delle classi lavoratrici.

Il tragico ventennio tra le le due guerre è di fatto un lungo trapasso, un interludio tra il secolo borghese uscito dalla Congresso di Vienna del 1815 e l’inizio del secolo statunitense (1945 – 2012), con la rilevante variabile bolscevica, capace non solo di creare una nazione in cui il potere è nelle mani degli operai e dei contadini, ma altresì di rappresentare il baluardo e il naturale alleato, fin da subito e con maggiore influenza per tutta la seconda parte del Novecento, dei popoli in lotta per la loro emancipazione dal colonialismo e dal neo-colonialismo.

In quegli anni ‘20 del Novecento di nazionalismi spesso esasperati e coltivati con volontà antisociale dalle borghesie nazionali, in molti casi liete di trovare nel grande capitale e nell’esercito la sponda interna per esperimenti autoritari, non solo in Italia e poi in Germania, ma anche in Ungheria, in Polonia tra i Baltici, in Finlandia, prima che in Portogallo e Spagna, sarà l’Unione Sovietica a rappresentare l’esempio di una statualità plurinazionale e plurireligiosa, certo al pari del suo antecedente impero Russo, tuttavia su basi di più avanzata democrazia e partecipazione, tutto questo nello stesso momento in cui simili esperienze, quali quella austro – ungarica e quella ottomana, si erano dissolte. Il razzismo poi tra i comunisti sovietici viene bandito e combattuto, mentre non solo i fascismi europei di diverse sfumature, ma anche le democrazie liberali francese e inglese, in ragione dei loro possedimenti coloniali, indulgeranno sempre nei confronti di una razzistica idea di inferiorità degli altri popoli.

La Società delle Nazioni dunque, stretta tra interessi, defezioni, nazionalismi che troveranno nel secondo conflitto mondiale il pieno esplicitarsi, ma già carburano risentimenti e velleità, desideri di veder sventolare la loro bandiera in spregio a tutte le altre, proverà, non riuscendoci, o riuscendoci molto malamente e parzialmente, a contenere l’esplodere di rivendicazioni territoriali e di sanguinosi sommovimenti, rappresentando insomma un afflato esile e fragile, per quanto almeno nelle intenzioni latore di pace e di cooperazione.

A tutto questo si appella il sindaco liberal – radicale della città di Locarno, nella Svizzera Italiana, Giovanni Battista Rusca per la convocazione, insieme alla Società delle Nazioni stesse, delle potenze europee per una Conferenza di pace. È l’occasione per porre al centro della scena e della cronaca planetaria la ridente cittadina adagiata sull’ultimo lembo del lago Maggiore, di rigorosa pertinenza elvetica, tra frondosi palmizi, ville signorili e modeste case di ringhiera. Rusca è un sincero democratico e sarà il solo membro del parlamento rossocrociato a votare nel 1940 contro la messa fuori legge dei comunisti, così come nel corso della Guerra Mondiale aiuterà partigiani e resistenti italiani, come i suoi amici del Partito d’Azione, guidati in quel tempo da Ferruccio Parri.

La Conferenza di pace di Locarno si svolge dal 5 al 16 ottobre 1925, alcuni dei suoi partecipanti riceveranno il Nobel per la pace, in ragione del Patto Renano che proprio a Locarno viene siglato. Non Rusca, che più dei premiati lo avrebbe meritato. L’idea del sindaco, giustissima, travalica la semplice non belligeranza imposta dal trattato di Versailles, un trattato non condiviso, ma brutalmente imposto dai vincitori ai vinti. Rusca ritiene necessario arrivare ad un accordo in cui tutti gli stati europei siano consapevoli della necessità della pace e della inviolabilità delle frontiere. È questo il Patto Renano, a Locarno i tedeschi Hans Luther e Gustav Stresemann, il belga Emile Vandervelde, il francese Aristide Briand, l’inglese Austen Chamberlain, l’italiano Benito Mussolini, il polacco Aleksander Skrzyński, il cecoslovacco Edvard Beneš firmano un accordo in cui sanciscono l’inviolabilità delle frontiere tra i loro paesi e in particolare quelle franco – belgo – tedesche, ovvero l’impegno della Germania a non accampare rivendicazioni sull’Alsazia e la Lorena tornate francesi e sulla regione di Eupen e Malmedy diventata belga. Una firma esile, che sarà travolta dieci anni più tardi con il disconoscimento di quel testo da parte hitleriana.

Per altro con molte ragioni la storiografia sovietica ha sempre sostenuto che, più ancora del recupero della Germania di Weimar a guida socialdemocratica all’interno dello spazio politico europeo, avvenuto appunto nel 1926 con l’ingresso dei tedeschi nella Società delle Nazioni, in concomitanza con l’entrata in vigore del Patto Renano, le intenzioni, in particolare britanniche, fossero quelle di un’alleanza volta a contenere e contrastare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, che pur sarà ammessa tra i membri della Società delle Nazioni il 18 settembre 1934.

Nei giorni della Conferenza locarnese i fascisti del Canton Ticino, reazionari da burletta, prima salutano romanamente Benito Mussolini per le strade, tra l’ironia disincantata dei loro compatrioti, poi srotolano nella meravigliosa piazza Grande un enorme striscione con la scritta “Evviva il Duce”, che, se fa sorridere i più, fa invece sobbalzare il sindaco Rusca, il quale si affretta a farlo rimuovere.

Il timido tentativo dell’incontro di Locarno di trovare una soluzione negoziale attraverso il diritto internazionale e mediante una procedura d’arbitrato pacifico per le eventuali divergenze tra nazioni, senza ricorrere alla guerra, ha un correlato nel Patto Briand-Kellogg, noto anche come trattato di rinuncia alla guerra quale strumento di risoluzione delle controversie internazionali, promosso dal ministro degli Esteri francese Aristide Briand, dall’attivista pacifista statunitense James Thomson Shotwell e dal Segretario di Stato a stelle e strisce Frank Kellogg, sottoscritto a Parigi il 27 agosto 1928 ed entrato formalmente in vigore il 24 luglio 1929, per altro con la firma anche dell’Unione Sovietica, saldamente passata alla posizione di dialogo con il resto del mondo voluta dal segretario generale bolscevico Iosif Stalin, nel quadro del consolidamento interno e del superamento degli estremismi di matrice trotzkista.

L’umanità oggi corre il concreto rischio che non bastino eventuali trattati e accordi a frenare la volontà di guerra della Minoranza Globale egemonizzata dalla NATO e strettasi intorno alla finanza speculativa per difendere ai danni del resto del pianeta l’ormai superato primato predatorio dell’Occidente Collettivo, intenzionato a contrastare in ogni modo, purtroppo anche armato, l’ascesa della Maggioranza Globale composta da tutte quelle nazioni e quei popoli che si stanno stringendo sempre più numerosi intorno a Pechino e a Mosca per la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare e di pace.

L’umanità oggi corre il concreto rischio che non bastino eventuali trattati e accordi a frenare la volontà di guerra della Minoranza Globale egemonizzata dalla NATO

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Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov con molte ragioni ha affermato che la Svizzera non è considerata dalla Federazione Russa una nazione neutrale, ma parte integrante di quell’Occidente succube della NATO e subalterno all’Unione Europea. Un fatto assolutamente vero, la Svizzera dopo secoli di paziente costruzione della neutralità come prassi identitaria, diplomatica e geopolitica sta purtroppo venendo meno a quanto l’ha resa per lungo tempo ambìto luogo d’incontro per la risoluzione delle controversie internazionali, si pensi nel Novecento dagli accordi per l’Algeria a quelli per il Vietnam, vanificando quanto costruito in lungo tempo e suggellato agli albori del XX secolo offrendo Ginevra come prestigiosa sede per la Società delle Nazioni, nata nel 1919 con la firma del trattato di pace di Versailles.

Certo, la Società delle Nazioni è da subito animata da corposi interessi, anche quelli espressi e difesi dal suo promotore, il presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, la cui nazione mai aderirà all’organizzazione per la contrarietà dei congressisti di Washington ad accettare un confronto con gli altri Stati su un piano di parità, un vizio intrinseco al capitalismo statunitense, pronto solo ad avallare progetti egemonici e autoreferenziali, vincolati al suo ruolo unipolare e imperialistico, vizio fondatore incistato nelle Nazioni Unite nel 1944, le quali infatti hanno preteso avessero sede sul loro territorio e nelle quali hanno provato, purtroppo spesso riuscendoci, a stravolgerne la carta fondativa attuando una costante forzatura verso univoche posizioni, appunto proprio quelle di Washington. 

Tuttavia un anelito di universale umanità, pur cieca davanti ai macroscopici orrori del colonialismo, del neocolonialismo e della depredazione delle materie prime energetiche e alimentari di interi popoli, accompagna quella prima associazione tra le nazioni della terra, tanto che lo scienziato e professore norvegese Fridtjof Nansen   promuove la realizzazione dell’Ufficio per i Rifugiati della Società delle Nazioni, in grado di prestare assistenza alle popolazioni sfollate o colpite dalle carestie, così come di fornire un passaporto per i tanti apolidi, risultanti dalla distruzione dei vecchi imperi europei, come da quello ottomano.

La Società delle Nazioni prova anche ad occuparsi meritoriamente, seppure con scarsa capacità d’incidere nella realtà, di salute, disarmo, lavoro, diritti delle donne, tutto reso difficile per la complessità dei tempi. Sul tema del lavoro in particolare assiste muta, proprio in Europa, a governi tanto reazionari, quanto socialdemocratici, più interessati a sparare sui manifestanti e a reprimere con violenza le lotte di operai, minatori, portuali e contadini, piuttosto che ad alleviare la generale indigenza delle classi lavoratrici.

Il tragico ventennio tra le le due guerre è di fatto un lungo trapasso, un interludio tra il secolo borghese uscito dalla Congresso di Vienna del 1815 e l’inizio del secolo statunitense (1945 – 2012), con la rilevante variabile bolscevica, capace non solo di creare una nazione in cui il potere è nelle mani degli operai e dei contadini, ma altresì di rappresentare il baluardo e il naturale alleato, fin da subito e con maggiore influenza per tutta la seconda parte del Novecento, dei popoli in lotta per la loro emancipazione dal colonialismo e dal neo-colonialismo.

In quegli anni ‘20 del Novecento di nazionalismi spesso esasperati e coltivati con volontà antisociale dalle borghesie nazionali, in molti casi liete di trovare nel grande capitale e nell’esercito la sponda interna per esperimenti autoritari, non solo in Italia e poi in Germania, ma anche in Ungheria, in Polonia tra i Baltici, in Finlandia, prima che in Portogallo e Spagna, sarà l’Unione Sovietica a rappresentare l’esempio di una statualità plurinazionale e plurireligiosa, certo al pari del suo antecedente impero Russo, tuttavia su basi di più avanzata democrazia e partecipazione, tutto questo nello stesso momento in cui simili esperienze, quali quella austro – ungarica e quella ottomana, si erano dissolte. Il razzismo poi tra i comunisti sovietici viene bandito e combattuto, mentre non solo i fascismi europei di diverse sfumature, ma anche le democrazie liberali francese e inglese, in ragione dei loro possedimenti coloniali, indulgeranno sempre nei confronti di una razzistica idea di inferiorità degli altri popoli.

La Società delle Nazioni dunque, stretta tra interessi, defezioni, nazionalismi che troveranno nel secondo conflitto mondiale il pieno esplicitarsi, ma già carburano risentimenti e velleità, desideri di veder sventolare la loro bandiera in spregio a tutte le altre, proverà, non riuscendoci, o riuscendoci molto malamente e parzialmente, a contenere l’esplodere di rivendicazioni territoriali e di sanguinosi sommovimenti, rappresentando insomma un afflato esile e fragile, per quanto almeno nelle intenzioni latore di pace e di cooperazione.

A tutto questo si appella il sindaco liberal – radicale della città di Locarno, nella Svizzera Italiana, Giovanni Battista Rusca per la convocazione, insieme alla Società delle Nazioni stesse, delle potenze europee per una Conferenza di pace. È l’occasione per porre al centro della scena e della cronaca planetaria la ridente cittadina adagiata sull’ultimo lembo del lago Maggiore, di rigorosa pertinenza elvetica, tra frondosi palmizi, ville signorili e modeste case di ringhiera. Rusca è un sincero democratico e sarà il solo membro del parlamento rossocrociato a votare nel 1940 contro la messa fuori legge dei comunisti, così come nel corso della Guerra Mondiale aiuterà partigiani e resistenti italiani, come i suoi amici del Partito d’Azione, guidati in quel tempo da Ferruccio Parri.

La Conferenza di pace di Locarno si svolge dal 5 al 16 ottobre 1925, alcuni dei suoi partecipanti riceveranno il Nobel per la pace, in ragione del Patto Renano che proprio a Locarno viene siglato. Non Rusca, che più dei premiati lo avrebbe meritato. L’idea del sindaco, giustissima, travalica la semplice non belligeranza imposta dal trattato di Versailles, un trattato non condiviso, ma brutalmente imposto dai vincitori ai vinti. Rusca ritiene necessario arrivare ad un accordo in cui tutti gli stati europei siano consapevoli della necessità della pace e della inviolabilità delle frontiere. È questo il Patto Renano, a Locarno i tedeschi Hans Luther e Gustav Stresemann, il belga Emile Vandervelde, il francese Aristide Briand, l’inglese Austen Chamberlain, l’italiano Benito Mussolini, il polacco Aleksander Skrzyński, il cecoslovacco Edvard Beneš firmano un accordo in cui sanciscono l’inviolabilità delle frontiere tra i loro paesi e in particolare quelle franco – belgo – tedesche, ovvero l’impegno della Germania a non accampare rivendicazioni sull’Alsazia e la Lorena tornate francesi e sulla regione di Eupen e Malmedy diventata belga. Una firma esile, che sarà travolta dieci anni più tardi con il disconoscimento di quel testo da parte hitleriana.

Per altro con molte ragioni la storiografia sovietica ha sempre sostenuto che, più ancora del recupero della Germania di Weimar a guida socialdemocratica all’interno dello spazio politico europeo, avvenuto appunto nel 1926 con l’ingresso dei tedeschi nella Società delle Nazioni, in concomitanza con l’entrata in vigore del Patto Renano, le intenzioni, in particolare britanniche, fossero quelle di un’alleanza volta a contenere e contrastare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, che pur sarà ammessa tra i membri della Società delle Nazioni il 18 settembre 1934.

Nei giorni della Conferenza locarnese i fascisti del Canton Ticino, reazionari da burletta, prima salutano romanamente Benito Mussolini per le strade, tra l’ironia disincantata dei loro compatrioti, poi srotolano nella meravigliosa piazza Grande un enorme striscione con la scritta “Evviva il Duce”, che, se fa sorridere i più, fa invece sobbalzare il sindaco Rusca, il quale si affretta a farlo rimuovere.

Il timido tentativo dell’incontro di Locarno di trovare una soluzione negoziale attraverso il diritto internazionale e mediante una procedura d’arbitrato pacifico per le eventuali divergenze tra nazioni, senza ricorrere alla guerra, ha un correlato nel Patto Briand-Kellogg, noto anche come trattato di rinuncia alla guerra quale strumento di risoluzione delle controversie internazionali, promosso dal ministro degli Esteri francese Aristide Briand, dall’attivista pacifista statunitense James Thomson Shotwell e dal Segretario di Stato a stelle e strisce Frank Kellogg, sottoscritto a Parigi il 27 agosto 1928 ed entrato formalmente in vigore il 24 luglio 1929, per altro con la firma anche dell’Unione Sovietica, saldamente passata alla posizione di dialogo con il resto del mondo voluta dal segretario generale bolscevico Iosif Stalin, nel quadro del consolidamento interno e del superamento degli estremismi di matrice trotzkista.

L’umanità oggi corre il concreto rischio che non bastino eventuali trattati e accordi a frenare la volontà di guerra della Minoranza Globale egemonizzata dalla NATO e strettasi intorno alla finanza speculativa per difendere ai danni del resto del pianeta l’ormai superato primato predatorio dell’Occidente Collettivo, intenzionato a contrastare in ogni modo, purtroppo anche armato, l’ascesa della Maggioranza Globale composta da tutte quelle nazioni e quei popoli che si stanno stringendo sempre più numerosi intorno a Pechino e a Mosca per la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare e di pace.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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October 12, 2025

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