È difficile sopravvalutare la natura teatrale dell’ultima operazione di droni ucraina all’interno del territorio russo, denominata Operazione “SpiderWeb”
Francesco FERRANTE
È difficile sopravvalutare la natura teatrale dell’ultima operazione di droni ucraina all’interno del territorio russo, denominata Operazione “SpiderWeb”. Decine di piccoli droni, secondo quanto è emerso, sono stati introdotti clandestinamente in Russia durante un arco temporale di 18 mesi, immagazzinati nei container di camion commerciali e lanciati verso basi aeree strategiche russe. I titoli dei giornali la celebrano ora come un colpo di grande portata, un’ingegnosa dimostrazione di guerra asimmetrica.
Ma se si toglie il clamore mediatico, il quadro che emerge è molto più preoccupante. L’Ucraina afferma che gli attacchi hanno causato danni per 7 miliardi di dollari. I media occidentali, senza filtro alcuno, ripetono questa cifra acriticamente, mentre i filmati finora suggeriscono che solo da sei a dieci velivoli sono stati distrutti invece dei 41 annunciati da Kiev.
Anche prendendo per buone le stime più alte di Kiev, smentite dalle stesse immagini e dichiarazioni del Pentagono, che affermano che ben il 34% delle piattaforme aeree russe per il lancio di missili da crociera sia stata colpita, questo lascia alla Russia una schiacciante superiorità in termini di missili da crociera, missili balistici, droni, artiglieria e bombe plananti.
In altre parole, il vantaggio strategico della Russia rimane intatto. Quindi quale era il vero obiettivo operativo di questa operazione? Non si è mai trattato di ribaltare le sorti della guerra.
È stata un’operazione psicologica, una trovata, meticolosamente sincronizzata con i colloqui di pace di Istanbul, progettata per iniettare drammaticità nella posizione militare al collasso dell’Ucraina e distogliere l’attenzione dalla mancanza di opzioni della NATO stessa.
I funzionari ucraini si apprestavano ad avvicinarsi al tavolo dei negoziati non con un potere decisionale, ma con l’illusione di una vittoria costruita a uso e consumo dell’Occidente. Brian Berletik, ex Marine e analista militare statunitense, l’ha sintetizzata in breve: “Questa non è una capacità militare e non è un qualcosa di ripetibile”.
È un’operazione “una tantum” che richiede molte risorse. L’unica ragione per cui l’SBU ucraina ha rivelato come sia stata condotta è perché non può essere ripetuta su larga scala. E ora che la Russia conosce il metodo, si adatterà, rafforzando la propria sicurezza interna e riscrivendo le proprie procedure di force-protection relative alla difesa contro atti di sabotaggio come questo.
Ma andiamo più a fondo. Ciò a cui stiamo assistendo non è l’Ucraina che “si ribella”, come alcuni americani (ad esempio, il generale Mike Flynn), suggeriscono. È la continuazione di una guerra per procura condotta dagli Stati Uniti, iniziata ben prima del 2022, come ammesso persino dal New York Times.
La CIA si era infiltrata nell’apparato intelligence ucraino da oltre un decennio, addestrando e dirigendo operazioni di sabotaggio all’interno della Russia. Questo attacco con i droni non è stato diverso. Portava la firma della pianificazione operativa, della logistica e della tempistica strategica anglosassone.
Le implicazioni sono, ovviamente, enormi. Prendere di mira bombardieri con capacità nucleare esposti apertamente in base agli obblighi del trattato crea un precedente pericolosissimo, non perché abbia ribaltato l’equilibrio militare ma perché oltrepassa un limite che fino ad ora era rimasto in gran parte invalicabile.
Zelensky, con la benedizione e il sostegno di qualcuno, ha colpito risorse strategiche sul suolo russo alla vigilia dei colloqui per il cessate.
Non si è trattato di un passo falso. Si è trattato di un’escalation intenzionale mascherata da brillantezza tattica. Il generale Flynn ha ragione su una cosa. Se un attacco del genere fosse avvenuto contro una base di bombardieri statunitensi, lo avrebbero definito un atto di guerra.
Ma quando accade alla Russia, i commentatori occidentali lo applaudono come un atto di ingegno unico. Questa ipocrisia è pericolosa e suicida.
Cosa succederebbe se la Russia reagisse? Quando non limitasse più i suoi attacchi alle infrastrutture militari ucraine, ma iniziasse a colpire i nodi dell’intelligence della NATO, gli hub di rifornimento o le installazioni della CIA e dell’MI6 che operano in Ucraina?
Le capitali occidentali sono preparate a questa reazione a catena? Siamo anche brutalmente onesti sul ruolo dell’Ucraina in questa equazione. Non è un attore sovrano, è, a sua volta, una piattaforma o un sistema di lancio di una guerra per procura, volta ad indebolire la Russia.
Washington e Londra non vogliono la pace in Ucraina. Vogliono che la Russia si dissangui a spese dell’Ucraina. Il vero sforzo bellico sacrifica forse una nazione per indebolire un rivale geopolitico. E a coloro che (indebitamente forse) paragonano questa operazione con i droni a “Pearl Harbor”, suggerisco di ricordarsi che fine ha fatto il Paese che ha compiuto l’operazione originale.
Questo sconsiderato attacco alle risorse nucleari, reso possibile dall’intelligence di paesi NATO e celebrato dai media occidentali più entusiasti, non è un trionfo tattico. È una provocazione geopolitica di altissimo livello. Una provocazione che potrebbe provocare ritorsioni con conseguenze catastrofiche, non solo per l’Ucraina, ma per l’Europa e il mondo.
E se tante volte qualcuno ancora avesse dubbi In merito ad una robusta ritorsione russa, non è questione di “SE”, ma di “QUANDO” e “QUANTO DURERA’”.
Per i russi, l’Ucraina è ora passata dall’essere un “mezzo” per procura a una minaccia esistenziale. Un regime armato e diretto dalla NATO che attacca le potenze nucleari senza riguardo per le conseguenze o per la moderazione. La storia potrebbe ricordare questo momento non come una mossa astuta, ma come la scintilla che ha acceso l’incendio globale.
Articolo originale La Strategic Culture Foundation