Italiano
Davide Rossi
April 26, 2025
© Photo: Public domain

L’umanità e la prossimità di Francesco verso il futuro multipolare del pianeta difficilmente potranno trovare nuovamente casa tra le mura vaticane, quale che sia la scelta dei cardinali in conclave.

Segue nostro Telegram.

I dodici anni di pontificato di Jorge Mario Bergoglio si sono chiusi il 21 aprile 2025 nello stesso modo in cui sono cominciati in quella fredda e piovosa serata del 13 marzo 2013. Quest’uomo venuto da lontano, come diceva lui “dalla fine del mondo”, pensando più alla Patagonia che alla sua Buenos Aires, convinto che ogni essere umano fosse suo fratello, ha sempre rifiutato di essere chiamato Sommo Pontefice e capo di stato del Vaticano, preferendo due titoli: “vescovo di Roma”, intendendo di essere non una persona superiore ad altre, ma dentro la chiesa un semplice primus inter pares e sopratutto “pastore”, ribadendo il concetto che in una chiesa che dovrebbe essere povera e per i poveri, i pastori non vivono in super attici vista Colosseo, ma devono proprio avere l’odore delle pecore. Nemico di una curia autoreferenziale e arricchita, ne ha tentato una riforma sabotata per secolare prossimità di quest’ultima al potere, la sua lontananza da quell’apparato di fumi e incensi – così definito da don Lorenzo Milani – l’ha confermata anche nelle sue ultime volontà, chiedendo di essere sepolto, per la prima volta dopo oltre tre secoli per un papa, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, presso quell’icona mariana di origine bizantina, la Salus popoli romani, a cui è sempre stato devoto, di più, sulla tomba, posta in una piccola cappella laterale, ha chiesto che sia scritto semplicemente “Franciscus” senza sbrodolata di tanti titoli, ovvero soltanto il nome scelto per la prima volta da un papa dopo otto secoli in cui il poverello d’Assisi amante del creato e della povertà ha spaventato il potere vaticano al punto che tutti se ne sono tenuti alla larga, non ritenendolo consono e degno di un romano pontefice.

La stampa atlantista, quella che lo ha disprezzato mettendo in decima o in quindicesima pagina i suoi richiami alla pace, il suo grido di dolore per il popolo palestinese o ancora il suo coraggioso richiamo alle responsabilità della NATO nel conflitto ucraino, ora si è genuflessa con titoli a nove colonne e per più giorni, raccontandoci in una specie di monotona isteria riparatoria il “papa degli ultimi”. Più onestamente, nel mondo dell’informazione liberal – liberista, qualcuno ha avuto il coraggio di dire la verità, elencando, come il quotidiano italiano “Il Riformista”, quelli che loro reputano difetti e a tutti gli effetti possono essere invece ascritti tra i meriti di Bergoglio, i solerti menestrelli atlantisti scrivono che Francesco è stato infatti anti – liberale, ostile al potere e ai valori occidentali, peronista, pauperista, propugnatore di una dannosa teologia del popolo, in perenne confusione dottrinale perché non ingabbiato in dogmi medievali e – per loro sfortunatamente e per noi meritoriamente – estraneo alle mode woke e gender.

Francesco infatti ha insegnato che cristiano è il pane dato a ogni essere umano e non quello negato. Ha ricordato che l’economia è buona quando tutti mangiano, non quando pochi diventano più ricchi. Che il sorriso e il perdono allontanano sempre ogni sentimento negativo e cattivo. Che l’acqua è ricchezza, per tutte e per tutti, è vita, serve per bere e per lavarsi, chi nega e fa pagare l’acqua è nemico di dio. La sua difesa del creato è stata scambiata per un ecologismo d’accatto, ma ovviamente è stata una delle tante strumentalizzazioni che ha dovuto subire. Ha ripetuto sempre come un comandamento la richiesta di “terra, tetto e lavoro” per ogni essere umano, ha chiesto dignità nell’avere un lavoro e una casa, non nel pietirli inginocchiati davanti a un padrone. Ha insegnato che si deve combattere contro chi vuole schiacciare l’uomo con il volto a terra, impedendogli di vedere il mondo e che si deve invece trovare il coraggio di alzarsi e lottare per renderlo migliore.

È sempre stato in cuor suo un grande argentino, ha amato la stagione politica più fortunata della sua nazione, quando – lui giovane – sovranità e indipendenza sono state sancite e difese, un sincero e limpido peronista nemico delle successive dittature, nonostante reiterati tentativi diffamatori, è stato amico di Raul e di Fidel Castro, di Evo Morales, tutti marxisti, non ha mai messo piede in Spagna dai re cattolicissimi, non è mai andato a Parigi a trovare il liberista e sguaiato laicista Emmanuel Macron che ha sempre detestato, ha ricevuto il sovrano britannico non in quanto capo di stato della nazione che colonizza ancora oggi le Malvinas parte della sua patria argentina, ma in quanto capo della chiesa anglicana, per la quale come per il mondo ortodosso, ha auspicato la riunificazione dei cristiani. Proprio in campo ortodosso, all’Avana, avendogli impedito la curia di andare a Mosca nel 2015 per il millenario di Vladimir, nel 2016 ha incontrato e abbracciato Kiril patriarca di tutte le Russie. Ha auspicato e lavorato alacremente per la riunificazione dei cattolici cinesi attraverso la ricomposizione tra sacerdoti e vescovi di nomina romana e quelli della chiesa patriottica di nomina governativa, nata ai tempi di Pio XII per contrastare l’aggressività tutta politica del Vaticano di allora. Ha mantenuto rapporti cordiali con i comunisti cinesi, desiderando una piena normalizzazione delle relazioni diplomatiche, osteggiato ferocemente da quanti in curia preferiscono lo studio ovale della Casa Bianca al vangelo. Ha detestato il potere della finanza statunitense e l’egemonia culturale a stelle e strisce, si è recato in quella nazione per la quale non ha mai provato soggezione o subalternità solo da papa e ha parlato come in ogni altro suo viaggio, in italiano, anche davanti ai congressisti di Washington. Solo in America Latina ha utilizzato lo spagnolo, la sua lingua madre, regalando a quella terra la santificazione del grande vescovo Oscar Arnulfo Romero, spregevolmente umiliato dal suo predecessore polacco.

L’umanità e la prossimità di Francesco verso il futuro multipolare del pianeta difficilmente potranno trovare nuovamente casa tra le mura vaticane, quale che sia la scelta dei cardinali in conclave, presumibilmente un uomo che verrà dall’Asia o dall’Africa, in ogni caso sarà di un papa capace di confermare l’universalità del messaggio cristiano di fratellanza e carità, di guardare al Sud Globale, perché un papato megafono dell’Occidente armato non potrà mai più esistere, il Vaticano è la più antica struttura di potere della terra proprio perché ha sempre abilmente aggiornato in diciassette secoli i suoi riferimenti in sintonia con il cambiare del mondo, tuttavia pur parlando di poveri e di misericordia il nuovo pontefice lenirà di molto lo slancio bergogliano per una giustizia sociale coerente con il suo peronismo anticapitalista e antimperialista. Sarà un pontificato che, pur ribadendo alcuni concetti espressi da Francesco, lo farà con quella moderazione richiesta da una curia che ha mal sopportato le parole infuocate del papa argentino e che soprattutto non vuol più sentir parlare di riforma dell’apparto di potere romano.

Radicalità evangelica e sguardo multipolare, l’irripetibile pontificato di Francesco

L’umanità e la prossimità di Francesco verso il futuro multipolare del pianeta difficilmente potranno trovare nuovamente casa tra le mura vaticane, quale che sia la scelta dei cardinali in conclave.

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I dodici anni di pontificato di Jorge Mario Bergoglio si sono chiusi il 21 aprile 2025 nello stesso modo in cui sono cominciati in quella fredda e piovosa serata del 13 marzo 2013. Quest’uomo venuto da lontano, come diceva lui “dalla fine del mondo”, pensando più alla Patagonia che alla sua Buenos Aires, convinto che ogni essere umano fosse suo fratello, ha sempre rifiutato di essere chiamato Sommo Pontefice e capo di stato del Vaticano, preferendo due titoli: “vescovo di Roma”, intendendo di essere non una persona superiore ad altre, ma dentro la chiesa un semplice primus inter pares e sopratutto “pastore”, ribadendo il concetto che in una chiesa che dovrebbe essere povera e per i poveri, i pastori non vivono in super attici vista Colosseo, ma devono proprio avere l’odore delle pecore. Nemico di una curia autoreferenziale e arricchita, ne ha tentato una riforma sabotata per secolare prossimità di quest’ultima al potere, la sua lontananza da quell’apparato di fumi e incensi – così definito da don Lorenzo Milani – l’ha confermata anche nelle sue ultime volontà, chiedendo di essere sepolto, per la prima volta dopo oltre tre secoli per un papa, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, presso quell’icona mariana di origine bizantina, la Salus popoli romani, a cui è sempre stato devoto, di più, sulla tomba, posta in una piccola cappella laterale, ha chiesto che sia scritto semplicemente “Franciscus” senza sbrodolata di tanti titoli, ovvero soltanto il nome scelto per la prima volta da un papa dopo otto secoli in cui il poverello d’Assisi amante del creato e della povertà ha spaventato il potere vaticano al punto che tutti se ne sono tenuti alla larga, non ritenendolo consono e degno di un romano pontefice.

La stampa atlantista, quella che lo ha disprezzato mettendo in decima o in quindicesima pagina i suoi richiami alla pace, il suo grido di dolore per il popolo palestinese o ancora il suo coraggioso richiamo alle responsabilità della NATO nel conflitto ucraino, ora si è genuflessa con titoli a nove colonne e per più giorni, raccontandoci in una specie di monotona isteria riparatoria il “papa degli ultimi”. Più onestamente, nel mondo dell’informazione liberal – liberista, qualcuno ha avuto il coraggio di dire la verità, elencando, come il quotidiano italiano “Il Riformista”, quelli che loro reputano difetti e a tutti gli effetti possono essere invece ascritti tra i meriti di Bergoglio, i solerti menestrelli atlantisti scrivono che Francesco è stato infatti anti – liberale, ostile al potere e ai valori occidentali, peronista, pauperista, propugnatore di una dannosa teologia del popolo, in perenne confusione dottrinale perché non ingabbiato in dogmi medievali e – per loro sfortunatamente e per noi meritoriamente – estraneo alle mode woke e gender.

Francesco infatti ha insegnato che cristiano è il pane dato a ogni essere umano e non quello negato. Ha ricordato che l’economia è buona quando tutti mangiano, non quando pochi diventano più ricchi. Che il sorriso e il perdono allontanano sempre ogni sentimento negativo e cattivo. Che l’acqua è ricchezza, per tutte e per tutti, è vita, serve per bere e per lavarsi, chi nega e fa pagare l’acqua è nemico di dio. La sua difesa del creato è stata scambiata per un ecologismo d’accatto, ma ovviamente è stata una delle tante strumentalizzazioni che ha dovuto subire. Ha ripetuto sempre come un comandamento la richiesta di “terra, tetto e lavoro” per ogni essere umano, ha chiesto dignità nell’avere un lavoro e una casa, non nel pietirli inginocchiati davanti a un padrone. Ha insegnato che si deve combattere contro chi vuole schiacciare l’uomo con il volto a terra, impedendogli di vedere il mondo e che si deve invece trovare il coraggio di alzarsi e lottare per renderlo migliore.

È sempre stato in cuor suo un grande argentino, ha amato la stagione politica più fortunata della sua nazione, quando – lui giovane – sovranità e indipendenza sono state sancite e difese, un sincero e limpido peronista nemico delle successive dittature, nonostante reiterati tentativi diffamatori, è stato amico di Raul e di Fidel Castro, di Evo Morales, tutti marxisti, non ha mai messo piede in Spagna dai re cattolicissimi, non è mai andato a Parigi a trovare il liberista e sguaiato laicista Emmanuel Macron che ha sempre detestato, ha ricevuto il sovrano britannico non in quanto capo di stato della nazione che colonizza ancora oggi le Malvinas parte della sua patria argentina, ma in quanto capo della chiesa anglicana, per la quale come per il mondo ortodosso, ha auspicato la riunificazione dei cristiani. Proprio in campo ortodosso, all’Avana, avendogli impedito la curia di andare a Mosca nel 2015 per il millenario di Vladimir, nel 2016 ha incontrato e abbracciato Kiril patriarca di tutte le Russie. Ha auspicato e lavorato alacremente per la riunificazione dei cattolici cinesi attraverso la ricomposizione tra sacerdoti e vescovi di nomina romana e quelli della chiesa patriottica di nomina governativa, nata ai tempi di Pio XII per contrastare l’aggressività tutta politica del Vaticano di allora. Ha mantenuto rapporti cordiali con i comunisti cinesi, desiderando una piena normalizzazione delle relazioni diplomatiche, osteggiato ferocemente da quanti in curia preferiscono lo studio ovale della Casa Bianca al vangelo. Ha detestato il potere della finanza statunitense e l’egemonia culturale a stelle e strisce, si è recato in quella nazione per la quale non ha mai provato soggezione o subalternità solo da papa e ha parlato come in ogni altro suo viaggio, in italiano, anche davanti ai congressisti di Washington. Solo in America Latina ha utilizzato lo spagnolo, la sua lingua madre, regalando a quella terra la santificazione del grande vescovo Oscar Arnulfo Romero, spregevolmente umiliato dal suo predecessore polacco.

L’umanità e la prossimità di Francesco verso il futuro multipolare del pianeta difficilmente potranno trovare nuovamente casa tra le mura vaticane, quale che sia la scelta dei cardinali in conclave, presumibilmente un uomo che verrà dall’Asia o dall’Africa, in ogni caso sarà di un papa capace di confermare l’universalità del messaggio cristiano di fratellanza e carità, di guardare al Sud Globale, perché un papato megafono dell’Occidente armato non potrà mai più esistere, il Vaticano è la più antica struttura di potere della terra proprio perché ha sempre abilmente aggiornato in diciassette secoli i suoi riferimenti in sintonia con il cambiare del mondo, tuttavia pur parlando di poveri e di misericordia il nuovo pontefice lenirà di molto lo slancio bergogliano per una giustizia sociale coerente con il suo peronismo anticapitalista e antimperialista. Sarà un pontificato che, pur ribadendo alcuni concetti espressi da Francesco, lo farà con quella moderazione richiesta da una curia che ha mal sopportato le parole infuocate del papa argentino e che soprattutto non vuol più sentir parlare di riforma dell’apparto di potere romano.

L’umanità e la prossimità di Francesco verso il futuro multipolare del pianeta difficilmente potranno trovare nuovamente casa tra le mura vaticane, quale che sia la scelta dei cardinali in conclave.

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I dodici anni di pontificato di Jorge Mario Bergoglio si sono chiusi il 21 aprile 2025 nello stesso modo in cui sono cominciati in quella fredda e piovosa serata del 13 marzo 2013. Quest’uomo venuto da lontano, come diceva lui “dalla fine del mondo”, pensando più alla Patagonia che alla sua Buenos Aires, convinto che ogni essere umano fosse suo fratello, ha sempre rifiutato di essere chiamato Sommo Pontefice e capo di stato del Vaticano, preferendo due titoli: “vescovo di Roma”, intendendo di essere non una persona superiore ad altre, ma dentro la chiesa un semplice primus inter pares e sopratutto “pastore”, ribadendo il concetto che in una chiesa che dovrebbe essere povera e per i poveri, i pastori non vivono in super attici vista Colosseo, ma devono proprio avere l’odore delle pecore. Nemico di una curia autoreferenziale e arricchita, ne ha tentato una riforma sabotata per secolare prossimità di quest’ultima al potere, la sua lontananza da quell’apparato di fumi e incensi – così definito da don Lorenzo Milani – l’ha confermata anche nelle sue ultime volontà, chiedendo di essere sepolto, per la prima volta dopo oltre tre secoli per un papa, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, presso quell’icona mariana di origine bizantina, la Salus popoli romani, a cui è sempre stato devoto, di più, sulla tomba, posta in una piccola cappella laterale, ha chiesto che sia scritto semplicemente “Franciscus” senza sbrodolata di tanti titoli, ovvero soltanto il nome scelto per la prima volta da un papa dopo otto secoli in cui il poverello d’Assisi amante del creato e della povertà ha spaventato il potere vaticano al punto che tutti se ne sono tenuti alla larga, non ritenendolo consono e degno di un romano pontefice.

La stampa atlantista, quella che lo ha disprezzato mettendo in decima o in quindicesima pagina i suoi richiami alla pace, il suo grido di dolore per il popolo palestinese o ancora il suo coraggioso richiamo alle responsabilità della NATO nel conflitto ucraino, ora si è genuflessa con titoli a nove colonne e per più giorni, raccontandoci in una specie di monotona isteria riparatoria il “papa degli ultimi”. Più onestamente, nel mondo dell’informazione liberal – liberista, qualcuno ha avuto il coraggio di dire la verità, elencando, come il quotidiano italiano “Il Riformista”, quelli che loro reputano difetti e a tutti gli effetti possono essere invece ascritti tra i meriti di Bergoglio, i solerti menestrelli atlantisti scrivono che Francesco è stato infatti anti – liberale, ostile al potere e ai valori occidentali, peronista, pauperista, propugnatore di una dannosa teologia del popolo, in perenne confusione dottrinale perché non ingabbiato in dogmi medievali e – per loro sfortunatamente e per noi meritoriamente – estraneo alle mode woke e gender.

Francesco infatti ha insegnato che cristiano è il pane dato a ogni essere umano e non quello negato. Ha ricordato che l’economia è buona quando tutti mangiano, non quando pochi diventano più ricchi. Che il sorriso e il perdono allontanano sempre ogni sentimento negativo e cattivo. Che l’acqua è ricchezza, per tutte e per tutti, è vita, serve per bere e per lavarsi, chi nega e fa pagare l’acqua è nemico di dio. La sua difesa del creato è stata scambiata per un ecologismo d’accatto, ma ovviamente è stata una delle tante strumentalizzazioni che ha dovuto subire. Ha ripetuto sempre come un comandamento la richiesta di “terra, tetto e lavoro” per ogni essere umano, ha chiesto dignità nell’avere un lavoro e una casa, non nel pietirli inginocchiati davanti a un padrone. Ha insegnato che si deve combattere contro chi vuole schiacciare l’uomo con il volto a terra, impedendogli di vedere il mondo e che si deve invece trovare il coraggio di alzarsi e lottare per renderlo migliore.

È sempre stato in cuor suo un grande argentino, ha amato la stagione politica più fortunata della sua nazione, quando – lui giovane – sovranità e indipendenza sono state sancite e difese, un sincero e limpido peronista nemico delle successive dittature, nonostante reiterati tentativi diffamatori, è stato amico di Raul e di Fidel Castro, di Evo Morales, tutti marxisti, non ha mai messo piede in Spagna dai re cattolicissimi, non è mai andato a Parigi a trovare il liberista e sguaiato laicista Emmanuel Macron che ha sempre detestato, ha ricevuto il sovrano britannico non in quanto capo di stato della nazione che colonizza ancora oggi le Malvinas parte della sua patria argentina, ma in quanto capo della chiesa anglicana, per la quale come per il mondo ortodosso, ha auspicato la riunificazione dei cristiani. Proprio in campo ortodosso, all’Avana, avendogli impedito la curia di andare a Mosca nel 2015 per il millenario di Vladimir, nel 2016 ha incontrato e abbracciato Kiril patriarca di tutte le Russie. Ha auspicato e lavorato alacremente per la riunificazione dei cattolici cinesi attraverso la ricomposizione tra sacerdoti e vescovi di nomina romana e quelli della chiesa patriottica di nomina governativa, nata ai tempi di Pio XII per contrastare l’aggressività tutta politica del Vaticano di allora. Ha mantenuto rapporti cordiali con i comunisti cinesi, desiderando una piena normalizzazione delle relazioni diplomatiche, osteggiato ferocemente da quanti in curia preferiscono lo studio ovale della Casa Bianca al vangelo. Ha detestato il potere della finanza statunitense e l’egemonia culturale a stelle e strisce, si è recato in quella nazione per la quale non ha mai provato soggezione o subalternità solo da papa e ha parlato come in ogni altro suo viaggio, in italiano, anche davanti ai congressisti di Washington. Solo in America Latina ha utilizzato lo spagnolo, la sua lingua madre, regalando a quella terra la santificazione del grande vescovo Oscar Arnulfo Romero, spregevolmente umiliato dal suo predecessore polacco.

L’umanità e la prossimità di Francesco verso il futuro multipolare del pianeta difficilmente potranno trovare nuovamente casa tra le mura vaticane, quale che sia la scelta dei cardinali in conclave, presumibilmente un uomo che verrà dall’Asia o dall’Africa, in ogni caso sarà di un papa capace di confermare l’universalità del messaggio cristiano di fratellanza e carità, di guardare al Sud Globale, perché un papato megafono dell’Occidente armato non potrà mai più esistere, il Vaticano è la più antica struttura di potere della terra proprio perché ha sempre abilmente aggiornato in diciassette secoli i suoi riferimenti in sintonia con il cambiare del mondo, tuttavia pur parlando di poveri e di misericordia il nuovo pontefice lenirà di molto lo slancio bergogliano per una giustizia sociale coerente con il suo peronismo anticapitalista e antimperialista. Sarà un pontificato che, pur ribadendo alcuni concetti espressi da Francesco, lo farà con quella moderazione richiesta da una curia che ha mal sopportato le parole infuocate del papa argentino e che soprattutto non vuol più sentir parlare di riforma dell’apparto di potere romano.

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