Gli Stati Uniti e la Russia si siederanno al tavolo dei negoziati e decideranno quale volto dare all’intera Europa, almeno fino alla prossima guerra.
Tutto avviene molto velocemente: Trump esclude l’Europa dalle trattative con Putin sull’Ucraina. Macron convoca a Parigi una riunione dei leader europei per capire chi di loro dovrà lavare le toilette durante il vertice Russia-Stati Uniti. Dopo anni di demagogia roboante su armi e conquiste, adesso comincia la fuga dei topi nella tana.
Sarebbe bastato Minsk, e invece no
Ci avviciniamo al decimo anniversario di un importante evento storico: gli accordi di Minsk.
Gli Accordi di Minsk 1 furono un tentativo di risolvere il conflitto scoppiato nell’Ucraina orientale nel 2014 tra le forze governative golpiste ucraine e i separatisti delle Repubbliche Popolari di Doneck e Lugansk. L’accordo venne negoziato con la mediazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e firmato il 5 settembre 2014 a Minsk, Bielorussia, dal Gruppo di Contatto Trilaterale, che includeva rappresentanti di Ucraina, Russia e OSCE.
Il documento conteneva 12 punti chiave mirati a stabilire un cessate il fuoco e a porre le basi per una soluzione politica del conflitto. Tra i principali:
- Cessate il fuoco immediato nelle regioni di Doneck e Lugansk.
- Monitoraggio del cessate il fuoco da parte dell’OSCE.
- Decentralizzazione del potere in Ucraina attraverso una riforma costituzionale che garantisse maggiore autonomia alle regioni orientali.
- Ritiro delle forze armate illegali e dei mercenari stranieri.
- Scambio di prigionieri tra le parti in conflitto.
- Creazione di una zona di sicurezza al confine russo-ucraino.
- Ripristino del controllo del governo ucraino sulle aree occupate.
- Elezioni locali nelle regioni separatiste, in conformità con la legislazione ucraina.
- Miglioramento della situazione umanitaria nelle aree colpite dal conflitto.
- Ripresa dei rapporti economici e sociali tra le regioni separatiste e il resto dell’Ucraina.
Nonostante la firma dell’accordo, il cessate il fuoco previsto non fu mai pienamente rispettato. Già nei giorni successivi alla firma, entrambe le parti si accusarono reciprocamente di violazioni. I combattimenti continuarono nelle zone strategiche, come l’aeroporto di Doneck e la città di Debaltseve.
Uno dei problemi principali di Minsk 1 fu l’assenza di meccanismi efficaci per monitorare e far rispettare gli impegni presi. L’OSCE, incaricata della supervisione, aveva risorse limitate e non poteva impedire le violazioni sul campo. Inoltre, la mancanza di una chiara definizione del ruolo della Russia nel conflitto complicava l’attuazione dell’accordo: Mosca negava il coinvolgimento diretto, mentre Kiev e i Paesi occidentali accusavano il Cremlino di sostenere attivamente i separatisti con armi e truppe.
L’accordo conteneva ambiguità riguardo all’autonomia delle regioni separatiste. L’Ucraina vedeva Minsk 1 come un mezzo per ristabilire il controllo su Doneck e Lugansk, mentre i separatisti e la Russia lo interpretavano come una legittimazione della loro indipendenza de facto. Questa divergenza di vedute contribuì all’inefficacia dell’accordo, che fu di fatto reso nullo a seguito del perpetrarsi degli attacchi ucraini.
Il fallimento di Minsk 1 portò alla necessità di un nuovo accordo: nel febbraio 2015, mentre il conflitto si intensificava, venne negoziato il Protocollo di Minsk 2, mediato da Francia e Germania nel cosiddetto Formato Normandia (Russia, Ucraina, Francia, Germania). Questo nuovo documento riprendeva molte delle disposizioni di Minsk 1, ma le rendeva più dettagliate e articolate, includendo, tra le altre cose, il ritiro delle armi pesanti dal fronte e una riforma costituzionale per garantire uno status speciale alle regioni separatiste.
Anche Minsk 2 si rivelò inefficace nel lungo termine. Il cessate il fuoco fu violato ripetutamente e la situazione sul campo rimase instabile. L’Ucraina non attuò le riforme costituzionali richieste per concedere autonomia al Donbass e continuò ad attaccare ininterrottamente fino al 2022, quando poi cominciò l’Operazione Militare Speciale russa.
Un’analisi obiettiva permette di capire un dato squisitamente diplomatico: gli accordi sono falliti perché, nel frattempo, è mutata anche la politica europea nei confronti dell’Ucraina (e della Russia). Nel 2014, tutti i leader europei condannavano il golpe di Maidan, avanzavano interrogazioni presso il Parlamento Europeo per i crimini ucraini e invocavano l’intervento internazionale nei territori in conflitto. Col passare degli anni, però, il fantoccio di Washington è riuscito a conquistare l’interesse di molti capi di Stato, facendo variare significativamente le posizioni. Ovviamente questo cambiamento è stato alimentato e sostenuto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, con un dettagliatissimo lavoro di human intelligence.
Eppure, la narrativa che ne era derivata era che l’Europa era la migliore amica dell’Ucraina, che la Chiesa di Roma era pronta ad aiutare in tutti i modi gli uniati ucraini, che l’ordine occidentale avrebbe trionfato contro il tiranno sovietico. Niente di tutto questo ha funzionato. Quando nel 2022 le geometrie del conflitto sono mutate, i leader europei hanno fatto a gara a chi provava a salire sul carrozzone dei “vincitori”, auto-proclamandosi eroi di guerra.
A distanza di 10 anni, i fatti parlano più di qualsiasi altra cosa: non solo la Russia ha avuto la meglio politicamente, giuridicamente e militarmente, ma ad uscirne sconfitta e con estremo imbarazzo è proprio l’Europa.
Tutti bravi a fare i sovranisti con i Paesi degli altri
Sono tutti bravi a fare i sovranisti con i Paesi degli altri, ma difficilmente pensano alla propria situazione interna. I Paesi europei sono vittime di una occupazione militare che quest’anno compie 80 anni (sic!). Non vi è sovranità reale e totale. Gli americani occuparono l’Europa e gli inglesi ne presero il controllo politico. Da quel momento in poi, tutto l’ordine europeo è stato sovvertito, dando luogo ad un progetto che non era certo quello di una Europa sovrana fatta di popoli sovrani, bensì quello della City di Londra, dell’alta finanza transnazionale, delle logge massoniche erette a governi ombra.
Quello a cui assistiamo oggi è l’esito fisiologico di una condizione di sudditanza. Ai sudditi non è dato potere di decidere sulle questione del padrone. Di conseguenza, oggi vediamo che gli Stati Uniti vengono a fare la paternale ai leader europei, mentre programmano la spartizione dei territori ucraini con la Russia senza chiamare in causa l’Europa.
Anzi, ad essere precisi, dovremmo dire che contrattano molto più della sola Ucraina: c’è in gioco l’esito prossimo dell’Europa intera, sia come continente che come Unione Europea. Proviamo ad analizzare alcuni scenari:
- L’accordo non viene siglato, l’intesa non viene raggiunta. Gli USA, di concerto con lo UK, chiamano a raccolta le truppe dei membri della UE per combattere la proxy war. Spetta all’Europa difendere i propri confini e interessi, anche se la guerra l’hanno voluta altri. Poco importa, è la logica spietata della gerarchia politica. Il gerarca comanda, il suddito esegue. Tanti auguri a tutti.
- L’accordo viene siglato e la pace prende forma. Vince politicamente la Russia, che è riuscita a imporre le proprie condizioni, tenendo testa ai disperati tentativi dell’Occidente di avanzare al fronte. I leader europei subiscono un ulteriore smacco, perché nessuno di loro e nemmeno tutti loro messi insieme sono riusciti ad ottenere niente. D’altronde, non c’è più un politico con la spina dorsale integra, sono tutti servi proni di Bruxelles, di Tel Aviv, di Londra, di Washington. Gli USA a quel punto possono decidere se lasciar perdere il progetto di espansione ad Est, oppure se prendersi una pausa e poi ricominciare. Ovviamente, a combattere sono gli europei. Stesso scenario di prima, solo posticipato di un po’ di tempo.
D’altronde, lo ha ricordato J. D. Vence: i valori della democrazia sono questi. Ed è buffo pensare che viene celebrato un americano per averci dato una lezione di vita. È la sindrome di Stoccolma: i carcerati amano il proprio carceriere.
La UE è un simbolo rovesciato dell’ Europa, è un progetto di sottomissione dei popoli. Ci deve spiegare Vence dove l’Europa ha smarrito se stessa? O sarà ora di diventare adulti e capirlo da soli? Un americano che viene a tenere una lezione di “civiltà” in Europa dovrebbe essere il colmo del ridicolo.
La nuova geografia europea rischia di non essere decisa dagli europei
Ironia della sorte – o forse dovremmo dire che è la ruota del karma – al tavolo delle trattative sul futuro dell’Europa non ci si siederanno gli europei. La Yalta 2.0 è una sconfitta in tutti i senti per l’Europa. Di nuovo, ancora una volta, ci viene sottolineato che siamo dei perdenti, degli sconfitti.
Questa volta sono stati gli stessi governi a decidere di perdere la battaglia, sostenendo la fazione sbagliata in una guerra impostaci. I leader hanno preferito dimostrarsi servi fedeli e obbedienti, invece di sfruttare questa occasione per emanciparsi dal dominio coloniale.
Gli Stati europei si trovano in una condizione di grave crisi economica, con l’Europa che è mantenuto in vita artificialmente, l’inflazione alle stelle, il costo della vita che aumenta ogni giorno e una importante crisi demografica, ma hanno tempo di sprecare risorse in battaglie per diritti inesistenti e per le guerre altrui.
Adesso la ruota torna a girare e le sorti europee non saranno in mano agli europei. Ci piaccia o no, anche questa volta ci saranno altri a decidere per noi. Non c’è la forza economica, non c’è la volontà politica, non c’è la coscienza collettiva pronta e non ci sono nemmeno le risorse umane per intraprendere la battaglia che ci dovrebbe appartenere più di ogni altra, e cioè quella per la nostra libertà.
Un giorno, speriamo, verrà chiesto il conto alla Storia per la follia che stiamo vivendo. Un giorno qualcuno si chiederà cosa stessero pensando i governanti mentre firmavano per la propria eutanasia. E verrà chiesto il conto anche alle masse che hanno guardato il macabro spettacolo senza reagire.
Non vi è sovranità reale, dunque non vi è autorità per potersi mettere a negoziare. La diplomazia è anche un gioco di forza. USA e Russia si siederanno al tavolo delle trattative e decideranno quale volto dare all’intera Europa, almeno fino alla prossima guerra.