Italiano
Lorenzo Maria Pacini
February 9, 2025
© Photo: Public domain

Enel, Ansaldo e Leonardo: è questo il trio che porterà l’Italia verso il nucleare?

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Un contenzioso lungo ormai decenni

La storia del nucleare in Italia è segnata da fasi alterne di entusiasmo e rifiuto, con un dibattito politico e sociale acceso che ha influenzato le scelte energetiche del Paese.

L’Italia è stata uno dei primi Paesi al mondo a investire nel nucleare civile. Già negli anni ’50, il governo avviò un programma ambizioso per sviluppare l’energia atomica, in un contesto di forte crescita economica e di necessità di diversificazione delle fonti energetiche. Nel 1963, entrarono in funzione le prime tre centrali nucleari: Latina, Sessa Aurunca (Garigliano) e Trino Vercellese, tutte con tecnologie diverse (britannica, americana e canadese) per testare quale fosse la più adatta al contesto italiano.

Negli anni ’70, con la crisi petrolifera, il governo accelerò il piano di sviluppo del nucleare, e vennero progettate nuove centrali, tra cui quella di Caorso, la più grande mai realizzata in Italia. Tuttavia, il clima politico cambiò rapidamente. Il disastro di Three Mile Island (1979) e la crescente sensibilità ambientale alimentarono il fronte antinucleare, sostenuto da partiti della sinistra e movimenti ecologisti.

Il vero punto di svolta arrivò con il disastro di Chernobyl nel 1986, che ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica italiana. Il Partito Radicale e il Partito Comunista Italiano promossero un referendum abrogativo nel 1987 su tre quesiti relativi al nucleare. Sebbene il referendum non vietasse esplicitamente l’energia atomica, impose limiti che di fatto portarono alla dismissione graduale delle centrali esistenti e al blocco di quelle in costruzione, come quella di Montalto di Castro. Nel giro di pochi anni, il programma nucleare italiano fu completamente smantellato.

A partire dagli anni 2000, alcuni governi tentarono di riaprire il dibattito sul nucleare. Il governo Berlusconi IV (2008-2011) annunciò un piano per la costruzione di nuove centrali, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’estero e abbassare i costi energetici. Tuttavia, l’incidente di Fukushima nel 2011 riaccese il timore dell’opinione pubblica, portando a un secondo referendum, promosso dall’opposizione di centrosinistra e dai movimenti ambientalisti. Con oltre il 94% dei voti favorevoli, il nucleare venne nuovamente bocciato dagli italiani.

Negli ultimi anni, la crisi energetica e la necessità di ridurre le emissioni di CO₂ hanno riportato il tema del nucleare al centro del dibattito. Il governo Meloni ha espresso apertura verso le nuove tecnologie nucleari, in particolare gli Small Modular Reactors (SMR), reattori più sicuri, efficienti e meno impattanti rispetto alle grandi centrali del passato. Il coinvolgimento di aziende italiane come Enel, Ansaldo Energia e Leonardo potrebbe rappresentare un’opportunità per il ritorno dell’Italia nell’energia atomica, puntando su un modello più moderno e sostenibile.

La nuova iniziativa, sotto l’egida del Governo Meloni

L’intento principale è aumentare l’efficienza e, al contempo, ridurre l’impatto ambientale, economico e visivo delle nuove tecnologie nucleari, rendendo gli investimenti più scalabili e sostenibili nel lungo periodo. A differenza delle tradizionali centrali di grandi dimensioni, gli SMR possono essere costruiti in ambiente industriale e successivamente assemblati in loco. Questi reattori hanno potenze più contenute, generalmente comprese tra 10 e 300 MW, permettendo una distribuzione decentralizzata dell’energia. Questa potrebbe essere la chiave per il futuro dell’energia nucleare italiana.

A conferma dell’interesse istituzionale, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato di seguire con attenzione i contatti tra le tre aziende. Come riportato da Industria Italiana, sebbene l’Italia abbia chiuso le proprie centrali dopo il referendum del 1987, il Paese conserva un alto livello di competenze nel settore. Oggi, infatti, l’industria nucleare italiana è la seconda in Europa per know-how e già 50 aziende nazionali fanno parte dell’Alleanza europea sugli SMR.

In questa prospettiva, la creazione di una nuova società potrebbe rappresentare un’opportunità per ricostruire una filiera industriale nazionale e rafforzare il ruolo dell’Italia nel panorama nucleare globale. Un esempio è Newcleo, azienda con radici italiane ma fortemente sostenuta da capitali francesi, che Emmanuel Macron ha inserito nella strategia energetica della Francia.

L’idea di investire su un nucleare innovativo, sicuro e redditizio, anziché su una tecnologia percepita come rischiosa, potrebbe trasformarsi in un asset strategico per la transizione energetica italiana, con il supporto dello Stato attraverso le sue aziende partecipate.

Possiamo elencare tre motivi per investire nel nucleare italiano, secondo quanto analizzabile con i dati forniti:

  1. Competenze industriali di alto livello: l’Italia vanta un know-how avanzato, testimoniato dal coinvolgimento di enti come l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) nel progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) a Cadarache, in Francia.
  2. Eccellenza nella ricerca: il Paese dispone di strutture accademiche di rilievo, come il Politecnico di Milano, e di centri di ricerca che operano ancora su alcuni dei reattori sperimentali attivi negli anni Settanta. Tra questi, il Triga RC-1 dell’Enea, con una potenza di 1 MW, riattivato nel 2010 dopo 25 anni di inattività. Altri impianti attivi includono il TRIGA LENA da 250 kW dell’Università di Pavia (dal 1965), il Tapiro dell’Enea a Casaccia da 5 kW e il AGN-201 “Costanza” da 1 kW dell’Università di Palermo (entrambi attivi dal 1960).
  3. Nuovi scenari e necessità energetiche: i target europei di decarbonizzazione e la crescente domanda energetica, trainata da settori emergenti come i data center e l’intelligenza artificiale, rendono il nucleare modulare un’opzione strategica per il Paese. Secondo il World Nuclear News, l’Italia ha inserito nel suo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima un potenziale contributo nucleare che varia tra l’11% e il 22% della capacità totale, con un obiettivo di 16 GW. Inoltre, la presenza italiana in regioni chiave per l’approvvigionamento di uranio, come il Niger, potrebbe garantire accesso stabile alla materia prima essenziale per i reattori.

Il nucleare di nuova generazione, quindi, potrebbe rappresentare un’importante opportunità di rilancio per l’Italia, con un mix di tecnologia avanzata, ricerca e strategia industriale mirata.

Pur tuttavia, l’opposizione al nucleare in Italia è stata alimentata da diverse motivazioni, che spaziano dalla sicurezza ai costi, dall’impatto ambientale alla questione dello smaltimento delle scorie.

Uno dei principali timori riguarda la sicurezza delle centrali nucleari. Il disastro di Chernobyl nel 1986 e quello di Fukushima nel 2011 hanno rafforzato la convinzione che il nucleare sia una tecnologia troppo pericolosa. I movimenti ambientalisti e i partiti contrari sostengono che, anche con protocolli avanzati, il rischio di incidenti catastrofici non possa essere mai eliminato del tutto. In un Paese sismicamente attivo come l’Italia, i timori legati a eventi naturali imprevedibili hanno ulteriormente rafforzato l’opposizione.

Un’altra critica riguarda gli alti costi di costruzione, manutenzione e smantellamento delle centrali. Gli oppositori ritengono che il nucleare non sia economicamente conveniente rispetto alle energie rinnovabili, come solare ed eolico, che hanno visto una rapida evoluzione tecnologica e una riduzione dei costi; il lungo tempo necessario per costruire una centrale (spesso decenni) rende, inoltre, il nucleare una soluzione poco tempestiva rispetto alle esigenze delle varie agende ecologiste a cui il Governo italiano fa la corte. La gestione delle scorie nucleari è un altro tema centrale nel dibattito, decisamente non sottovalutabile. In Italia non esiste ancora un deposito nazionale definitivo per lo stoccaggio sicuro delle scorie ad alta radioattività e ciò ha portato al timore di una pericolosa dispersione di rifiuti nucleari e all’opposizione da parte delle comunità locali che non vogliono ospitare questi impianti.

Da ultimo, i referendum del 1987 e del 2011 hanno mostrato una chiara contrarietà dell’opinione pubblica italiana al nucleare. Tornare su questa scelta significherebbe ignorare la volontà popolare espressa più volte ma, come dice il detto, “L’occasione fa l’uomo ladro”, quindi potrebbe accadere che il Governo prenda il sopravvento per rendere felici le tre aziende strategiche Enel (energia), Ansaldo (trasporti) e Leonardo (difesa).

In guerra, è vero, l’opinione democratica dei cittadini non è interesse di nessuno.

 

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La rotta nucleare dell’Italia

Enel, Ansaldo e Leonardo: è questo il trio che porterà l’Italia verso il nucleare?

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La storia del nucleare in Italia è segnata da fasi alterne di entusiasmo e rifiuto, con un dibattito politico e sociale acceso che ha influenzato le scelte energetiche del Paese.

L’Italia è stata uno dei primi Paesi al mondo a investire nel nucleare civile. Già negli anni ’50, il governo avviò un programma ambizioso per sviluppare l’energia atomica, in un contesto di forte crescita economica e di necessità di diversificazione delle fonti energetiche. Nel 1963, entrarono in funzione le prime tre centrali nucleari: Latina, Sessa Aurunca (Garigliano) e Trino Vercellese, tutte con tecnologie diverse (britannica, americana e canadese) per testare quale fosse la più adatta al contesto italiano.

Negli anni ’70, con la crisi petrolifera, il governo accelerò il piano di sviluppo del nucleare, e vennero progettate nuove centrali, tra cui quella di Caorso, la più grande mai realizzata in Italia. Tuttavia, il clima politico cambiò rapidamente. Il disastro di Three Mile Island (1979) e la crescente sensibilità ambientale alimentarono il fronte antinucleare, sostenuto da partiti della sinistra e movimenti ecologisti.

Il vero punto di svolta arrivò con il disastro di Chernobyl nel 1986, che ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica italiana. Il Partito Radicale e il Partito Comunista Italiano promossero un referendum abrogativo nel 1987 su tre quesiti relativi al nucleare. Sebbene il referendum non vietasse esplicitamente l’energia atomica, impose limiti che di fatto portarono alla dismissione graduale delle centrali esistenti e al blocco di quelle in costruzione, come quella di Montalto di Castro. Nel giro di pochi anni, il programma nucleare italiano fu completamente smantellato.

A partire dagli anni 2000, alcuni governi tentarono di riaprire il dibattito sul nucleare. Il governo Berlusconi IV (2008-2011) annunciò un piano per la costruzione di nuove centrali, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’estero e abbassare i costi energetici. Tuttavia, l’incidente di Fukushima nel 2011 riaccese il timore dell’opinione pubblica, portando a un secondo referendum, promosso dall’opposizione di centrosinistra e dai movimenti ambientalisti. Con oltre il 94% dei voti favorevoli, il nucleare venne nuovamente bocciato dagli italiani.

Negli ultimi anni, la crisi energetica e la necessità di ridurre le emissioni di CO₂ hanno riportato il tema del nucleare al centro del dibattito. Il governo Meloni ha espresso apertura verso le nuove tecnologie nucleari, in particolare gli Small Modular Reactors (SMR), reattori più sicuri, efficienti e meno impattanti rispetto alle grandi centrali del passato. Il coinvolgimento di aziende italiane come Enel, Ansaldo Energia e Leonardo potrebbe rappresentare un’opportunità per il ritorno dell’Italia nell’energia atomica, puntando su un modello più moderno e sostenibile.

La nuova iniziativa, sotto l’egida del Governo Meloni

L’intento principale è aumentare l’efficienza e, al contempo, ridurre l’impatto ambientale, economico e visivo delle nuove tecnologie nucleari, rendendo gli investimenti più scalabili e sostenibili nel lungo periodo. A differenza delle tradizionali centrali di grandi dimensioni, gli SMR possono essere costruiti in ambiente industriale e successivamente assemblati in loco. Questi reattori hanno potenze più contenute, generalmente comprese tra 10 e 300 MW, permettendo una distribuzione decentralizzata dell’energia. Questa potrebbe essere la chiave per il futuro dell’energia nucleare italiana.

A conferma dell’interesse istituzionale, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato di seguire con attenzione i contatti tra le tre aziende. Come riportato da Industria Italiana, sebbene l’Italia abbia chiuso le proprie centrali dopo il referendum del 1987, il Paese conserva un alto livello di competenze nel settore. Oggi, infatti, l’industria nucleare italiana è la seconda in Europa per know-how e già 50 aziende nazionali fanno parte dell’Alleanza europea sugli SMR.

In questa prospettiva, la creazione di una nuova società potrebbe rappresentare un’opportunità per ricostruire una filiera industriale nazionale e rafforzare il ruolo dell’Italia nel panorama nucleare globale. Un esempio è Newcleo, azienda con radici italiane ma fortemente sostenuta da capitali francesi, che Emmanuel Macron ha inserito nella strategia energetica della Francia.

L’idea di investire su un nucleare innovativo, sicuro e redditizio, anziché su una tecnologia percepita come rischiosa, potrebbe trasformarsi in un asset strategico per la transizione energetica italiana, con il supporto dello Stato attraverso le sue aziende partecipate.

Possiamo elencare tre motivi per investire nel nucleare italiano, secondo quanto analizzabile con i dati forniti:

  1. Competenze industriali di alto livello: l’Italia vanta un know-how avanzato, testimoniato dal coinvolgimento di enti come l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) nel progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) a Cadarache, in Francia.
  2. Eccellenza nella ricerca: il Paese dispone di strutture accademiche di rilievo, come il Politecnico di Milano, e di centri di ricerca che operano ancora su alcuni dei reattori sperimentali attivi negli anni Settanta. Tra questi, il Triga RC-1 dell’Enea, con una potenza di 1 MW, riattivato nel 2010 dopo 25 anni di inattività. Altri impianti attivi includono il TRIGA LENA da 250 kW dell’Università di Pavia (dal 1965), il Tapiro dell’Enea a Casaccia da 5 kW e il AGN-201 “Costanza” da 1 kW dell’Università di Palermo (entrambi attivi dal 1960).
  3. Nuovi scenari e necessità energetiche: i target europei di decarbonizzazione e la crescente domanda energetica, trainata da settori emergenti come i data center e l’intelligenza artificiale, rendono il nucleare modulare un’opzione strategica per il Paese. Secondo il World Nuclear News, l’Italia ha inserito nel suo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima un potenziale contributo nucleare che varia tra l’11% e il 22% della capacità totale, con un obiettivo di 16 GW. Inoltre, la presenza italiana in regioni chiave per l’approvvigionamento di uranio, come il Niger, potrebbe garantire accesso stabile alla materia prima essenziale per i reattori.

Il nucleare di nuova generazione, quindi, potrebbe rappresentare un’importante opportunità di rilancio per l’Italia, con un mix di tecnologia avanzata, ricerca e strategia industriale mirata.

Pur tuttavia, l’opposizione al nucleare in Italia è stata alimentata da diverse motivazioni, che spaziano dalla sicurezza ai costi, dall’impatto ambientale alla questione dello smaltimento delle scorie.

Uno dei principali timori riguarda la sicurezza delle centrali nucleari. Il disastro di Chernobyl nel 1986 e quello di Fukushima nel 2011 hanno rafforzato la convinzione che il nucleare sia una tecnologia troppo pericolosa. I movimenti ambientalisti e i partiti contrari sostengono che, anche con protocolli avanzati, il rischio di incidenti catastrofici non possa essere mai eliminato del tutto. In un Paese sismicamente attivo come l’Italia, i timori legati a eventi naturali imprevedibili hanno ulteriormente rafforzato l’opposizione.

Un’altra critica riguarda gli alti costi di costruzione, manutenzione e smantellamento delle centrali. Gli oppositori ritengono che il nucleare non sia economicamente conveniente rispetto alle energie rinnovabili, come solare ed eolico, che hanno visto una rapida evoluzione tecnologica e una riduzione dei costi; il lungo tempo necessario per costruire una centrale (spesso decenni) rende, inoltre, il nucleare una soluzione poco tempestiva rispetto alle esigenze delle varie agende ecologiste a cui il Governo italiano fa la corte. La gestione delle scorie nucleari è un altro tema centrale nel dibattito, decisamente non sottovalutabile. In Italia non esiste ancora un deposito nazionale definitivo per lo stoccaggio sicuro delle scorie ad alta radioattività e ciò ha portato al timore di una pericolosa dispersione di rifiuti nucleari e all’opposizione da parte delle comunità locali che non vogliono ospitare questi impianti.

Da ultimo, i referendum del 1987 e del 2011 hanno mostrato una chiara contrarietà dell’opinione pubblica italiana al nucleare. Tornare su questa scelta significherebbe ignorare la volontà popolare espressa più volte ma, come dice il detto, “L’occasione fa l’uomo ladro”, quindi potrebbe accadere che il Governo prenda il sopravvento per rendere felici le tre aziende strategiche Enel (energia), Ansaldo (trasporti) e Leonardo (difesa).

In guerra, è vero, l’opinione democratica dei cittadini non è interesse di nessuno.