La guerra dei microchip continua e potrebbe presto prendere una nuova direzione. Da essa dipenderanno molti degli eventi geopoliticamente significativi del 20225, e non solo.
I chip TSMC in crescita, come pianificato dagli USA
Le vendite trimestrali della Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) hanno superato le stime, rafforzando le speranze degli investitori che il ritmo sostenuto della spesa in hardware per l’intelligenza artificiale (IA) si protrarrà fino al 2025. Si parla di un 39% di aumento nei ricavi fra ottobre e dicembre.
La corsa alla crescita del mercato dei microchip è principalmente legata allo sviluppo e al massiccio impiego delle intelligenze artificiali in praticamente qualsiasi cosa. Il più grande produttore a contratto di chip avanzati al mondo è stato uno dei maggiori beneficiari di una corsa globale per sviluppare l’intelligenza artificiale, tanto da essersi prefissato il record del 30% di crescita annua.
Impossibile? Il valore di mercato di TSMC è quasi raddoppiato nel 2024 e ora viene scambiata negli Stati Uniti a una valutazione vicina a 1,1 trilioni di dollari. Il guaio è quando finirà la moda della IA. Problemi come gli eccessi di produzione e la difficoltà a reperire i materiali (terre rare prima di tutto) si confrontano con il fatto che la produzione e il sostentamento delle IA sono processi terribilmente energivori. Consumano tantissimo, non sono per niente “green”. Ma questo non è bene raccontarlo sulla stampa mainstream. Per di più, sta sorgendo un altro problema: le app e i software AI Killer, una nuova tipologia di programmi capaci di “uccidere” le IA, rovinandole a vari livelli – dispositivi, reti, server –, riuscendo a danneggiare significativamente l’impiego di queste nuove tecnologie digitali.
Gli Stati Uniti hanno inoltre predisposto una serie di restrizioni per limitare il flusso dei chip più potenti di Nvidia verso la Cina, con incerte conseguenze a lungo termine per il principale cliente di TSMC. Morgan Stanley prevede che l’azienda proietterà una crescita annuale delle vendite di poco meno del 20 percento in dollari, perché comunque in questo momento sta facendo fatica a mantenere il trend delle vendite, soprattutto con Apple che fatica a vendere i suoi prodotti di punta e Nvidia che è messa sotto scacco.
Huang dà il colpo di grazia
Begli oggetti i computer a Qbit, peccato non si sia ancora capaci di rendere attivo il loro enorme potenziale.
È successo che Jansen Huang, CEO di Nvidia, società leader nel mercato, abbia fatto crollare le azioni del comparto quantistico di Wall Street, dichiarando che l’impiego pratico di questa tecnologia sarà presumibilmente possibile solo tra due decenni. Una doccia fredda per un settore che pareva essere pronto a decollare in impennata ma che, a quanto pare, è soggetto alle leggi del mercato e a quelle della ricerca molto più di quanto si pensi.
Le azioni di Rigetti Computing e Quantum Computing sono scese di oltre il 17% ciascuna nelle contrattazioni prima della campanella, mentre IonQ e D-Wave Quantum sono scese rispettivamente del 9,4% e del 14%. Una perdita da 3 miliardi di dollari di valore di mercato.
Le azioni di tutte le aziende sono aumentate di almeno tre volte lo scorso anno, spinte da una svolta di alto profilo presso Google, di proprietà di Alphabet, e dalle crescenti esigenze informatiche derivanti dalle applicazioni di intelligenza artificiale generativa.
A dicembre Google aveva presentato un chip di nuova generazione che, secondo l’azienda, avrebbe risolto in cinque minuti un problema informatico che a un computer classico avrebbe richiesto più tempo dell’intera storia dell’universo, innescando un rialzo delle sue azioni.
Nell’aprile 2024, Microsoft e Quantinuum hanno dichiarato di aver compiuto un passo fondamentale nel rendere i computer quantistici una realtà commerciale, ma non hanno commentato quanti altri anni sarebbero stati necessari per battere un supercomputer convenzionale utilizzando questa tecnologia.
Ci ha pensato quindi Huang a riportare le cose alla realtà. È curioso che il CEO di una delle più grandi aziende al mondo abbia deciso di infliggersi un auto-goal di questo tipo, a discapito dei suoi stessi interessi finanziari. Forse un false flag? Una strategia di disorientamento del mercato? Non è ancora chiaro. Quello che però è certo è che il brusco arresto ha portato ad una variazione dei mercati azionari che fa molto pensare sulle tempistiche reali per avere queste tecnologie quantistiche a disposizione.
L’Europa come terra da colonizzare
Se negli USA le cose non funzionano e a Taiwan sta diventando troppo scomodo, tanto vale puntare sull’Europa. È così che li americani pensano di “risolvere” il loro problema.
TSMC prevede l’apertura di nuovi stabilimenti in Europa. Similmente ha fatto Intel, che prevede nuovi impianti a Magdeburgo, in Germania, interrompendo gli investimenti fatti precedentemente in Polonia. Senza questi progetti, del valore di 30 miliardi di euro, è impossibile fornire all’Unione Europea un numero sufficiente di semiconduttori, la cui carenza sta già costringendo le fabbriche a chiudere. In precedenza, Intel aveva silenziosamente chiuso progetti su scala minore in Francia e in Italia.
Il problema è che ora le possibilità dell’Unione Europea di competere nella corsa globale ai chip sono diventate ancora peggiori. Gli Stati Uniti, la Cina, la Corea del Sud e in generale tutti coloro che possono, stanno sviluppando attivamente il settore dei semiconduttori e distribuiscono sussidi per attirare tecnologie e produttori, mentre l’Europa non ha ancora predisposto un terreno realmente fertile per l’importazione e il potenziamento di questo tipo di industria. Soprattutto nei numeri e nei tempi di produzione che servono agli USA.
Secondo l’European Chips Act, l’UE prevedeva di occupare il 20% del mercato globale dei microchip entro il 2030, rispetto al 9% del 2022. Ora, dopo la partenza di Intel, la quota scenderà dal 9% al 7-8% circa, perché l’unica cosa che rimane in Europa sono piccole filiali di TSMC focalizzate su settori altamente specializzati dell’industria automobilistica.
In Europa c’è poi un altro problema: l’energia costa troppo. Produrre microchip, lo abbiamo già detto, richiede davvero tanta energia. Mantenere quindi la produzione in Europa ha senso solo nell’ottica americana di vendere all’Europa. Una sorta di ciclo di produzione-vendita-consumo a chilometro zero.
Si tenga presente che al mondo soltanto le aziende Intel, Samsung, Hynix e Micron possono progettare e produrre da sole i microchip. Tutte le altre hanno bisogno di almeno un passaggio tramite un’altra azienda specializzata, come Nvidia, AMD, Qualcomm o Marvell.
La Russia è al sicuro, nonostante i rischi
La Federazione Russa è leggermente indietro dal punto di vista della autonomia. Ancora ha bisogno di fornitori esterni, comprando da Cina e India.
Le esportazioni indiane verso la Russia di articoli come microchip, schede di circuito e macchine utensili hanno raggiunto i 60 milioni di dollari in aprile e maggio 2024, un record di export, circa il doppio rispetto ai mesi precedenti, e sono balzate a 95 milioni di dollari in luglio. Solo la Cina supera l’India in questo ambito.
Nel 2024, la Russia ha importato più di un miliardo di dollari di chip avanzati dagli USA e dall’Europa, aggirando le sanzioni.
Più della metà dei semiconduttori e dei circuiti integrati importati nei primi nove mesi del 2023 sono stati prodotti da aziende statunitensi ed europee. Tra queste figurano Intel Corp., Advanced Micro Devices e Analog Devices Inc. e i marchi europei Infineon Technologies AG, STMicroelectronics NV e NXP Semiconductors NV. Le aziende, tuttavia, hanno dichiarato di essere pienamente conformi alle sanzioni, di aver interrotto le attività commerciali in Russia all’inizio della guerra e di aver messo in atto processi e politiche per monitorare la conformità. Questo ha permesso alla Russia di continuare a produrre carri armati e altre armi.
Secondo un recente rapporto pubblicato da Kept, il mercato russo della microelettronica è destinato a crescere del 15,2% fino al 2030. Il principale motore della crescita dovrebbe essere il sostegno pubblico sotto forma di sussidi, prestiti e altri incentivi. L’attuale industria microelettronica russa è stata costruita praticamente da zero dall’inizio del 2010. L’industria microelettronica dell’era sovietica è crollata all’inizio degli anni ’90, incapace di competere con i produttori internazionali quando il paese si è aperto alle importazioni globali. Per quasi due decenni le importazioni hanno rappresentato praticamente tutto il fabbisogno di microchip del paese.
Oggi la Russia dispone di tre stabilimenti in grado di produrre microchip su larga scala, ovvero quelli di Mikron, Angstrem e Milandr, tutti situati a Zelenograd, vicino Mosca, ma con capacità produttive ridotte e solo per alcune tipologie di microchip.
Per quanto si tratti di dati positivi, c’è bisogno però di domandarsi quanto ancora sarà possibile, per la Russia, far dipendere tutti i propri sistemi da microhip che sono di produzione e proprietà di aziende americane e taiwanesi. È un rischio molto alto, che getta anche ombre e dubbi sugli accordi fatti negli scorsi decenni, anche durante il periodo sovietico.
Per concludere, una curiosità “all’italiana”: nel 2024, il famoso Parmigiano Reggiano è stato dotato di microchip di silicio, grande come un granello di sale, inserito nella crosta di 120 000 forme di Parmigiano. Il chip è prodotto da p-Chip di Chicago, azienda specializzata in microtransponder. La notizia è stata commentata più all’estero che in Italia, dove è stata praticamente nascosta. Ebbene, alla fine del mese di agosto 2024, Bill Eibon, un chimico dell’Ohio, ha mangiato il microchip “senza registrare alcun effetto collaterale”. Digerire la guerra dei microchip non sarà facile, nemmeno se si tratterà di un po’ di Parmigiano da mettere su un piatto di pasta.